Limpido
Ho un velo di pece sottile
Germinante nei miei occhi comatosi.
Gemo all'albore d'ogni giorno nuovo.
Da mostrar loro non ho che pietà,
Che solo l'atmosfera mi riserva
Nel suo filtrare plumbeo
I raggi prepotenti di un sole vacuo.
Continuo ad alzarmi la mattina
Soltanto perché sono curioso, e so
Che questa vita ha in serbo per me
Qualcosa che mai riuscirò
Neanche ad immaginare.
Qui, dove tutti hanno una vocazione,
Dove tutti sono come girasoli
Sotto un cielo che non gli piange mai,
Riconosco in me l'unico, che
Con le mani traboccanti
Di vita, non sa che farsene.
Lascio che mi goccioli sui piedi,
Lascio camminarmici sopra.
Sventurato me: capitano inerte
Della mia anima inerme,
Che non so nemmeno dove
Dover portare a passeggio,
Quando m'accerchiano scodinzolando,
I miei sentimenti.
Costretti in questa gabbietta
Di deboli costole,
Spingono verso l'esterno,
Permeando ogni cavità,
Insinuandosi nelle più minute,
Fin dentro questi alveoli,
Soffocano ogni mio respiro,
E ogni mio singolo respiro
Mi da la nausea:
Lentamente affogo
Nel ticchettio degli orologi,
Nell'ipocrisia della mia essenza
Umiliata da tutto ciò che intorno
Scorre, trascinandomi con sé,
Senza ch'io possa reagire,
Senza ch'io nemmeno tenti.
Ansia, Angoscia e le voci d'altri,
Dall'esterno, universalmente,
Comprimono il mio scheletro,
E sulla mia schiena percepisco
Eruttare emaciate emozioni,
Condite dalle più tristi
Ma colorite note musicali.
Come pittura sulla tavolozza,
Vengo, di volta in volta,
Spiaccicato e pungolato
E pugnalato con ostinazione
Dalla realtà.