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Autore: The Lady of His Heart 23    05/04/2014    5 recensioni
Foxface...Clove...Rue.
3 ragazze.
3 tributi.
3 angeli.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Clove, Faccia di Volpe, Rue
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Foxface:
E quando quel maledetto giorno della mietitura la donna in rosa fece il mio nome, quasi non ci credevo. Io non ero forte o atletica, ne tanto agile nel maneggiare attrezzi affilati e soprattutto non volevo uccidere nessuno, come avrei fatto a vincere quell’edizione contro quei serial killer del distretto 1 e 2. Non mi restava altro che affrontare la mia sorte e dire addio ai miei genitori.
Giunti a Capitol City, la città era perfettamente come me l’aspettavo, sfarzosa e lussuosa. Anche il mio appartamento lo era. Durante la sfilata dei carri indossavo un vestito molto strano, ma non ci feci tanto caso, dato che li tutti erano vestiti in modo molto strano.
Durante i test per gli allenamenti presi un misero sette, persino la piccoletta dell’undici mi aveva superato con un otto. Neanche il mio compagno di squadra prese un voto tanto alto. Non ricordo neanche il suo nome in effetti, non ho fatto molto caso a lui. Sapevo che una volta nell’arena lui avrebbe potuto uccidermi, o io avrei potuto ucciderlo, per questo non volevo che ci fosse nessun rapporto d’amicizia tra i tributi e me, per non soffrire dopo. Il mio allenatore si avvicinò a me in un momento di disperazione e mi disse che per vincere gli Hunger Games non era necessario essere più forte degli altri, ma semplicemente più svegli degli altri. Mi disse che con la mia furbizia, sarei stata in grado di cavarmela una volta nei giochi. E così feci. Seguii attentamente ogni corso di sopravvivenza, senza mai arrivare tardi, fatta eccezione per una volta soltanto.
Quando mi presentai per le interviste indossavo un abito azzurro, se non altro era decente rispetto a quel buffo disco che avevo in testa la sera della sfilata dei tributi. Il conduttore, anche lui un uomo assurdo, mi fece qualche domanda a cui io risposi sempre con un sorriso, nel tentativo di acchiappare più sponsor.
Appena il conto alla rovescia partì, ero nervosissima. Quando diede il via ai giochi vidi che tutti correvano verso la cornucopia per rifornirsi. Avevo subito capito che se sarei corsa anche io li come tutti gli altri tributi sarei morta nel massacro. Afferrai il primo zaino che trovai e mi diressi svelta nella foresta per mimetizzarmi con la natura. Mentre correvo per cercare un nascondiglio, mi scontrai accidentalmente con un altro tributo. Era Katniss Severdeen. Non avevo prestato molta attenzione ai tributi, ma quella ragazza era impossibile da non ricordare. Era la ragazza del distretto 12, quella che si era offerta volontaria come tributo al posto della sorella e che aveva sfilato con un vestito in fiamme. Erano fiamme finte ovviamente, ma per dei capitolini affamati di scoop era quasi impossibile accorgersene. Ero spaventata, pensavo che mi avesse uccisa, ma non lo fece. Non attesi che mi spiegasse le motivazioni di quel suo gesto e scappai via.
Mi nascosi confondendomi tra gli alberi, la sera quando calò la notte osservai dal mio nascondiglio tutti i volti dei tributi caduti al massacro della cornucopia e strinsi a me la collana che mia madre mi aveva regalato prima della mia partenza. Sognavo solo che tutto questo finisse, volevo tornare a casa, volevo tornare dai miei genitori e dal mio gattino. Perché a me, perché tutto questo. Ti prego, fa che torni viva, ti supplico, se ci sei davvero restami accanto qualsiasi cosa accada. Le lacrime scesero lisce sul mio volto.
Ormai era quasi finita, sarei tornata a casa. Ci sarei riuscita davvero. Sorrisi. Dovevo solo resistere un altro po’, in gioco restavano solo pochi tributi, potevo farcela. Ma di animali non se ne vedevano più in giro e la fame cominciava a farsi sentire. Mentre camminavo senza meta vidi il ragazzo del dodici raccogliere dei frutti selvatici. Quando si allontanò corsi e gliene presi un mucchietto e mi allontanai. Camminavo per il bosco quando mi venne fame, allora misi in bocca quei frutti e continuai a camminare. Ad un tratto mi sentii sempre più stanca, non riuscivo a vedere bene gli oggetti davanti a me. Gli alberi e le piante, apparivano come tante sfumature verdi e marroni. Mi accascia a terra, sfinita. Osservai la mia mano e allora compresi. Sono stati quei frutti ad avvelenarmi. Subito mi saltò in mente quella lezione in cui ero arrivata tardi. No, non volevo, no, non poteva finire così, ormai ero arrivata quasi alla fine, sarei tornata a casa, sarei tornata a casa, io … sarei … sarei … ma forse questo non era poi così male, non sentivo nessun dolore, nessuna sofferenza, se la morte era così dolce, perché tutti la temono allora.
Sorrisi, perché io sarei stata l’unica che avrebbe affrontato la morte con serenità. Si, stavo andando a casa. I miei occhi restarono aperti, quasi come per osservare quello spettacolo di sfumature che pian piano sbiadiva davanti a me.

Clove:
Ero felice il giorno della mietitura, carica come non mai. Mi offri volontaria e fui subito soddisfatta e orgogliosa di me stessa. Sapevo di vincere, gli altri tributi non avevano scampo. Avevo passato tutta la mia vita per quel momento e niente e nessuno mi avrebbe mai distolto dal mio obiettivo. Sorrisi e con orgoglio salutai il mio distretto e la mia famiglia.
Una volta a Capitol City, la città era stupenda, e anche il mio appartamento lo era. Durante la sfilata dei tributi, i miei stilisti mi fecero indossare un’armatura molto particolare. Adoravo quell’abito, perché mi rappresentava, mi faceva sentire potente come mai in vita mia. Trionfando salutai la folla.
Durante i test per gli allenamenti, ovviamente risultai un 10. Mi piaceva includere timore a quei giovani tributi. Lanciare i miei coltelli era sempre una gioia, perché mi aiutavano a scaricarmi. Era come se tutta la mia rabbia vibrasse sulle mie mani e scivolasse sulla lama affilata dei miei coltelli che si andavano a conficcare dritti nel bersaglio senza mai deviare di un centimetro. Tutti erano molto soddisfatti di me, gli allenatori, gli strateghi e gli sponsor.
Quando mi presentai per le interviste indossavo un abito arancio. Odiavo quel vestito, mi pizzicava in un modo assurdo, preferivo di gran lunga la mia tuta, ma nonostante tutto, con quell’abito mi vidi diversa, più carina ed elegante. Una principessa per una notte. Quegli idioti dei capitolini non sapevano far altro che ridere incitati delle grida di quell’idiota del conduttore. Dato che ero del secondo distretto,la mia intervista fu una delle prime. A conclusione avrei potuto andarmene, ma decisi di restare per osservare le interviste degli altri tributi. Quando toccò all’ultimo tributo Peeta, il ragazzo disse una frase che mi lasciò senza parole. Aveva detto che non era contento di vincere perché lei era venuta li con lui, e vincere avrebbe significato ucciderla. Quelle sue parole mi toccarono molto. Amore, che strano sentimento, non penso di aver mai provato niente del genere, prima … be, prima di … di incontrare Cato, il mio compagno di distretto. Mi è sempre piaciuto quel ragazzo e non solo per il suo aspetto, ma anche per la sua forza, la sua intelligenza e la sua arroganza.
Quando il conto alla rovesci partì ero carica, pronta. Corsi verso la cornucopia e afferrai il primo zaino che trovai li vicino e lo aprii, ma era vuoto, allora mi guardai intorno e fu allora che li vidi. Dei coltelli super affilati disposti sopra una roccia. Gli afferrai e cominciai a lanciarli contro i tributi. Uno, due, tre … in poco tempo riuscii a farne fuori parecchi. Restai tutto il tempo con gli altri favoriti nel tentativo di far fuori quanti più tributi potevo con la mia mira infallibile.
Quando quell’oca dell’uno morì insieme al ragazzo del suo stesso distretto, non ne fui turbata, anzi, ero contenta, avevo più opportunità di arrivare in finale come una vera vincitrice. “Resta qui e non fare sciocchezze”mi aveva detto Cato, ma io non gli diedi ascolto e appena vidi la ragazza del dodici mi ci gettai contro senza riflettere. Ero infatti troppo arrabbiata con quella ragazza, perché aveva preso in giro tutti fingendo di amare il ragazzo del suo distretto. Rotolammo e ci colpimmo a vicenda fino a che non riuscii a bloccarla al suolo. Ero a un passo dall’ucciderla quando mi sentii afferrare da dietro e sollevare in aria. Tresh il ragazzo dell’undici mi urlava contro furioso. Era arrabbiato perché Marvel aveva fatto fuori la sua compagna di distretto.
Afferrò una pietra da terra e con un colpo secco mi colpì in testa spaccandomi il cranio a metà. Il mio corpo cadde a terra. Sentivo un forte dolore premermi sulla testa. No, non era possibile, non stavo morendo no, NO. Udii qualcuno chiamare il mio nome e poi una figura avvicinarsi a me. Era Cato.
“No, Clove! Ti avevo detto di aspettare, no, ti prego resta, ti supplico, Clove, Clove …”le sue parole divennero un sussulto silenzioso e la sua immagine sempre più scura fino a scomparire. No, non potevo morire così, tutti i miei progetti, tutte le cose che avrei voluto fare e dire, non potevo fare più nulla ormai. Nella confusione prima che le forze abbandonarono il mio corpo, sussurrai “Ti amo Cato” e poi spirai. Non so se lui abbia afferrato le mie parole, ma non potevo morire senza prima averle dette.
I miei occhi restarono spalancati fissi sul suo volto. Mi consolai pensando che una morte così dolce forse ero riuscita ad averla solo io, come per ultima visione lo sguardo del ragazzo che più amavo, il mio Cato. Si, forse eravamo noi i veri sfortunati amanti del distretto due.

Rue:
Quando al giorno della mietitura fecero il mio nome ero scioccata, aveva appena compiuto l’età giusta per partecipare ai giochi ed ero già stata estratta. Il mio compagno era forte e alto e robusto e molto minaccioso. Io non gli arrivavo neanche all’ ombelico ed ero molto minuta e debole. Non avevo mai maneggiato delle armi e non avevo la minima idea di cosa fare per evitare di morire subito. Salutai la mia mamma e i miei fratellini.
Arrivati a Capitol City era tutto troppo grande per una bambina piccola come me. Alla sfilata dei tributi indossavo un abito molto carino, mi piaceva molto. Anche i cavalli erano molto carini. Ho sempre adorato gli animali, prima di partire infatti ero corsa da loro per dargli qualche carota extra.
Agli allenamenti non ero molto forte, ma sfruttai le mie agili capacità per arrampicarmi. Segii tutte le lezioni di sopravvivenza molto attentamente e mi allenai come tutti gli altri tributi anche se i miei risultati non erano dei migliori. Al test presi un 8, niente male certo, ma non era neanche un voto tanto altro. Scrutavo stando in disparte gli altri tributi. Erano tutti molto forti, mi facevano paura. Però c’era un tributo che mi era piuttosto simpatico. Era Katniss la ragazza del dodici. Lei si era offerta volontaria per la sorella e questo le dava molto valore.
Il giorno dell’intervista indossavo un altro vestito molto carino, mi sentivo una principessa. Il conduttore mi fece qualche domanda a cui risposi e poi finito il turno mi salutò. Sapevo che per quanto carina potessi sembrare non avrei mai attratto sponsor sufficienti.
Quando il conto alla rovesci cominciò avevo molta paura. Appena scatto il tempo, tutti corsero verso la cornucopia. Io invece mi voltai di scatto e corsi nella direzione opposta. Camminavo mimetizzandomi con la natura e nascondendomi tra gli alberi. Seguivo sempre lei, Katniss la ragazza dei 12. Quando lei rimase ferita gli curai il braccio e mi presi cura di lei. Quando si risvegliò dopo un paio di giorni, non mi uccise, ma si prese cura di me. Mi fece mangiare e mi curò le ferite. Era molto buona e gentile. Avevamo anche concordato un segnale segreto con il quale se una di noi fosse stata in pericolo avrebbe chiamato l’altra. Il segnale consisteva nel richiamo delle ghiandaie imitatrici.
Quando rimasi intrappolata in una rete da pesca di uno dei distretti, probabilmente del ragazzo del distretto 4, feci il segnale e in poco tempo Katniss fu da me e mi liberò. E proprio quando il pericolo pareva scampato, alle mie spalle Marvel il ragazzo del distretto 1, senza pietà mi scagliò contro una delle sue lancia che si conficcò dritta nel mio stomaco. Katniss lo colpì a sua volta con una delle sue frecce. Mi estrassi la lancia dallo stomaco e caddi a terra priva di forze, avvolta dall’abbraccio dolce di Katniss, le chiesi di cantare per me e lei lo fece.
Gli alberi sopra di me sbiadivano chiari e la voce di Katniss si faceva sempre più lieve fino a scomparire nel buio che mi inghiottiva. No, per favore no, ti prego no. Una lacrima scese sul mio volto, la sentivo amara e salata rigarmi il volto. Ma in fin dei conti, sapevo che sarebbe andata così, non esistono vincitori per questi giochi.
La voce di Katniss e il suo sorriso dolce erano tutto quello che mi restava. Questo mi rese molto felice. Forse ero una di quei pochi tributi che aveva avuto una morte serena, consolata da quella dolce, anche se stonata melodia. Rimasi ad occhi spalancati ad osservare il cielo fino all’ultimo istante, a ricordarmi che ero solo polvere e sarei tornata tale. Non avevo paura e non ce l’ho tutt’ora.

   
 
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