Urla
«Dottor
Ceppi. Sarà un piacere, per me, uccidervi.»
«Antonio!»
«Non
voglio starti a sentire, Anna!»
«E
invece ti conviene.»
«Non
permetterti di stabilire ancora delle regole tra noi.»
«Non
sono stata io a farlo.»
«Ah
no?» si voltò, così finalmente potei
prendere spavento riconoscendo
un’espressione di avversione che non gli apparteneva. Scosse
la testa alla mia
mancanza di risposta. «Sei stata
un’incosciente.»
«Mai
lo sono stata meno di allora! Tu non ti sei mai macchiato di colpe
dettate
dall’istinto, dalla passionalità, dalla
superficialità…?»
«È
successo vent’anni fa, Anna! Ero un ragazzino.»
«Continua
a nasconderti dietro queste banali scuse. Non sei morto in carcere, ma
lo farai
per mano di uomo misero.»
«Avrei
preferito passare il resto della mia vita in quella cella, piuttosto
che-»
«Io,
avrei preferito morire, quelli che
tu chiami vent’anni fa,
invece di
trascorrerli pensando a chi non avrei mai più creduto di
riavere.»
Si
zittì, studiando le mie parole.
«Pensi
sia stato facile tornare con te dopo ciò che mi avevi fatto
passare?» Abbassai
la voce e deviai lo sguardo, come volessi parlare a me stessa.
«Forse per te
era tutto così naturale… riappropriarsi
dell’affetto del primo amore» risi
amaramente.
«Non
espierò mai questa colpa, vero?» parlò
come se stesse sfidandomi.
«No,
perché tu scegliesti un’altra» feci una
pausa, per serbarmi ancora qualche
istante prima di cadere nella trappola del rimorso. «Io ho
sempre scelto te»
mormorai, la testa bassa, quasi vergognandomi di quella confessione
fanciullesca, sebbene racchiudesse il nocciolo della mia vita in una
coltre di
sincerità.
Antonio
non fece alcun movimento.
«Stavolta
più che mai.» E sollevai le gonne, fissandolo
negli occhi con un’espressione
compassionevole più che ripugnata.
Quindi
mi affrettai fuori dalla stanza, prima che
l’irrazionalità del mio sentimento
mi costringesse ad ammettere errori mai commessi, pur di mantenere sul
bilico
dell’equilibrio gli ultimi frammenti della nostra storia.
Solo
quando mi accomodai in carrozza, pronta ad impartire al vetturino
l’ordine di avviarsi,
la portiera si spalancò di colpo, facendomi
d’istinto portare una mano sul
cuore.
«La
marchesa ha dimenticato il baule più piccolo»
ansimò la giovane serva, in pieno
timore di subire un rimprovero per la mancata solerzia.
Annuii,
posando il bauletto sul sedile di fronte a me, quasi fosse un compagno
di
viaggio.
E chissà se il petto mi stava facendo male per lo spavento o piuttosto per aver sperato, nell’infinitesimo di un istante, di riaverlo accanto a me, così da gridare al mondo che non m’importava più di niente, se non dei suoi sorrisi e della stretta delle sue braccia.