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Autore: 365feelings    06/04/2014    5 recensioni
Percy la stringe come se volesse annientarla in se stesso, come se potessero fondersi in un'unica persona. E Annabeth si aggrappa a lui disperata, stremata, felice: piange, sono vivi. Non era scontato.
Seconda classificata parimerito al contest: “Percabeth or Pernico? This is the problem” indetto da Water_wolf su forum di EFP
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo della storia: Va bene così
Tipo di storia: one shot, future!fic, het, malinconico, sentimentale
Rating: verde
Coppia scelta: Percy/Annabeth
Citazione scelta: L’aveva stretta come se volesse annientarla in se stesso, come se potessero fondersi in un’unica persona. – Shadowhunters, Città di Cenere di Cassandra Clare.
Breve introduzione: Percy la stringe come se volesse annientarla in se stesso, come se potessero fondersi in un'unica persona. E Annabeth si aggrappa a lui disperata, stremata, felice: piange, sono vivi. Non era scontato.
Note dell’autore: non sappiamo ancora come Gea verrà sconfitta e come si svolgerà la battaglia finale, ma immagino che i nostri eroi riusciranno più che a distruggerla ad intrappolarla nuovamente. È plausibile, inoltre, secondo me, uno scontro su due fronti: uno in America (dove i due Campi comprendono che devono allearsi se vogliono sopravvivere) e uno in Grecia. Una volta scongiurata l’ascesa di Gea, la Argo II a causa dei danni riportati non è in grado di affrontare il viaggio di ritorno; qui interviene Chirone che, previdente, manda un manipolo di semidei a recuperare gli eroi.
Spero di aver reso bene Percy, Annabeth e il loro legame. Personalmente me li immagino un po' storditi e doloranti, ancora in fase di ripresa perché sconfiggere Gea non è una cosa da poco. Per il momento sembra tutto finito anche se ci sono mille cose da fare, però per loro il tempo sembra essersi come fermato: hanno vinto e sono vivi, ora possono stare insieme e almeno nell'immediato futuro questa è l'unica cosa che interessa loro.








Si cercano sul campo di battaglia.
Pare che abbiano portato a termine l'impresa, che ce l'abbiano fatta: attorno a loro ci sono i resti fumanti di una battaglia che li ha visti un'altra volta eroi, un'altra volta vincitori. Gea ha sottovalutato la forza di sette semidei e di due campi rivali e ora le sue armate non sono che cenere ed incubi, storie da raccontare davanti ad un fuoco.
Si cercano sul campo di battaglia e quando finalmente si trovano, non basta vedersi, occorre sentirsi.
Li separano una manciata di metri che sembrano infiniti, l'adrenalina che cala e la stanchezza che monta come una marea inarrestabile, ma l'unica cosa di cui si preoccupano sono l'uno dell'altra — tutti resto sfoca in un dettaglio fuoricampo.
Percy la stringe come se volesse annientarla in se stesso, come se potessero fondersi in un'unica persona. E Annabeth si aggrappa a lui disperata, stremata, felice: piange, sono vivi. Non era scontato. Dopo tutto quello che hanno passato (i Titani, l'amnesia, altri mostri, il Tartaro, ancora prove, Gea) niente è scontato, non la presa salda di Percy sui suoi fianchi, non il modo in cui lo accarezza, non il sentimento che li unisce.
Le gambe di entrambi cedono e crollano a terra esausti, ma non sembrano curarsene: il mondo si è ridotto alla piega dei loro sorrisi salati e sporchi di terra, alla consistenza dei loro corpi intrecciati, a loro due soltanto e potrebbero essere lì o altrove, non se ne accorgerebbero.
Quando li ritrovano, sono ancora abbracciati e semi incoscienti: alcuni chiamano i soccorsi, altri cercano di far loro coraggio, qualcuno esclama che sono degli incoscienti. Loro, in un sussurro, chiedono solo di non essere più separati.



La prima volta che apre gli occhi, non si sveglia per davvero.
Registra distrattamente delle tende bianche da campo e poi tanta luce, ma non ha la forza per dire o fare nulla, nemmeno per rendersi conto che non è più dove lo hanno raccolto. Ripiomba immediatamente nell'oblio, forse non si è nemmeno svegliato.
La seconda volta, c'è ancora molta luce e una sagoma scura china su di lui. Anche volendo balzare in piedi e sguainare Vortice, i muscoli si trovano meglio a letto (perché è in un letto che si trova) e non obbediscono. Percy è ancora troppo stanco, sente che dormirebbe per tanto tanto tanto tempo (e distrattamente prende appunto di chiedere ad Annabeth come si dice per tanto tanto tanto tempo, perché sicuramente esiste un termine e lei lo conosce), quindi aspetta che gli occhi si abituino all'ambiente e mettano a fuoco la figura contro luce. Ma non serve: il volto non è ancora uscito dalla penombra che già lo ha riconosciuto.
«Quando dormi sbavi».

Pare che questa volta siano tutti conciati peggio del solito.
Annabeth gli ha raccontato di come Chirone abbia inviato un manipolo di semidei a recuperarli e che ora sono nuovamente in America, in una infermeria di fortuna; quella del Campo non ha più posto. Gli ha spiegato che hanno avuto bisogno di molta ambrosia per guarire e che per non distruggere il loro organismo hanno dovuto somministrarla a intervalli regolari; attualmente lui e Jason e molti altri sono ancora in cura.
«Come ti senti?» gli chiede, passandogli un bicchiere d'acqua. Nemmeno lei è guarita del tutto e il suo corpo porta ancora i segni di quell'ultima, disperata battaglia, ma i suoi tagli e i suoi lividi le permettono di reggersi in piedi.
«Come se mi avesse colpito un meteorite» risponde «Non c'è mica il mare, qui vicino? Va bene anche un lago. Credo che un bel tuffo mi rimetterebbe in sesto più di tutta l'ambrosia che mi faranno bere».

Prima di partire sono passati a trovare i loro amici: Leo ha ancora una fasciatura attorno al braccio ma assicura che non è niente e che tornerà in forma in un baleno, lo stesso dicono Hazel e Frank nonostante le stampelle a sorreggerli.
Jason invece è ancora bloccato a letto e dallo sguardo Percy capisce che non ne può più: è il figlio di Giove, dovrebbe essere da qualche parte a dare una mano e invece è costretto all'immobilità.
«Sei fortunato, io resterò qui almeno per i prossimi vent'anni».
«Non esagerare» lo riprende Piper «I figli di Apollo dicono che ci vorrà solo qualche altro giorno, poi verrai dimesso».
Ha una nuova cicatrice sulla guancia, ma non se ne cruccia, anzi, è ancora più bella. Probabilmente ha messo un po' di lingua ammaliatrice nella frase, perché suona davvero convincente.



Deve avere ancora qualche costola incrinata, perché il salto dalla scogliera è stato doloroso come Annabeth gli ha predetto. Forse era il caso di scendere in spiaggia, erano solo altri tre metri, ma adesso è in acqua e non conta più.
Si lascia precipitare a picco verso il fondale, l'oceano che lo avvolge con le sue mani fredde e salate, mentre la luce che fende la superficie si fa via via sempre più flebile e lontana. Rimane solo un luccichio sopra di lui, uno sfarfallio di luce argentata.
Si sente subito meglio, ma insieme al corpo che finalmente si risana, arriva la consapevolezza di ciò che è accaduto e che fino a quel momento aveva cercato di allontanare: la battaglia finale, il terrore di perdere tutto e questa volta per davvero, i caduti, la distruzione dei giganti, infine Gea, terribile, che torna nella sua prigione maledicendo l'Olimpo e i suoi figli.
Anche nella sconfitta, Gea riesce a gettare un'ombra scura sul futuro di pace che si sono conquistati a caro prezzo: la sua maledizione lo inquieta più di quanto gli piaccia ammettere, gli lascia addosso la sensazione che non sia mai davvero finita, che nessuno di loro sia salvo.

Quando riemerge, Annabeth è seduta sulla battigia, le onde che rotolano ai suoi piedi e lambiscono le caviglie nude; i pensieri cupi si fanno immediatamente da parte e il volto si apre in un sorriso un po' incredulo — sono insieme ed è questo che conta.
La chiama, le chiede di raggiungerlo e insiste fino a quando non cede.
La ragazza avanza nell'acqua rabbrividendo, la maglietta del Campo che si incolla al corpo; alla fine caccia la testa sott'acqua, gli occhi chiusi e il respiro trattenuto. Dopo qualche secondo torna in superficie scostando dal volto i capelli che si sono trasformati in un groviglio biondo: ha avuto modo di lavarsi una volta ripresa conoscenza, ma solo adesso inizia a sentirsi davvero pulita da tutta la sporcizia della guerra, tutta la cattiveria che Gea ha riversato su di loro, dal Tartaro.
Percy la osserva con un'intensità tale da farla arrossire: studia i tratti regolari del volto, il modo in cui apre la bocca per catturare l'ossigeno, i riccioli incollati alla fronte, si sofferma sui lividi e sulle escoriazioni, indugia sulla linea sinuosa del collo.
«Sei bellissima» le dice e la bacia con la testa piena di lei e lei soltanto.
Annabeth risponde intrecciandogli le braccia attorno al collo e mentre continuano a baciarsi ha l’impressione di occupare con Percy un unico grande posto al centro dell’universo.
La pace, l’equilibrio tra i due Campi da costruire, l’Olimpo, le prossime imprese, la scuola: sarà faticoso, sarà noioso, non se ne cura. Non ora che può stare con Percy.
Sa di essere egoista, ma è felice, sono entrambi felici; va bene così.
   
 
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