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Autore: Shetani Bonaparte    06/04/2014    4 recensioni
Se ne è tornato a casa. Al fianco di chi tacitamente ama.
È tornato da te ferito, scosso, supplichevole di perdono.
Questa notte avete curato le vostre rispettive ferite. Ferite causate da lui.
Ma non importa.
Importa solo che lui sia tornato a casa.
Da te.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James T. Kirk, Spock | Coppie: Kirk/Spock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~Ciauz!
Chi mi legge dovrebbe sapere che ho una visione altilenante su Kirk e Spock: so che non hanno mai dato inizio ad una relazione, ma a volte scrivo del loro rapporto come quella di una vera coppia.
Questo è uno di quei casi.
È ambientato nel primo film, “Star Trek – the motion picture”, e… beh, spero sia di vostro gradimento.
La dedico a Naky94 – forse così mi perdonerà per scrivere cose sempre tristarelle! LOL ^^
Certo, non è molto allegra, ‘sta fic, ma vi faccio uno spoiler: happy ending!
Un bacione,
Shetani

 

 

Se ne è tornato su Vulcano. A casa, dimentico che la sua casa è al fianco di chi amava.
T’hy’la. Amico. Fratello. Amante.
Ma per favore… tu non vali nulla per lui, oramai, vero? No, il Kolinahr avrà cancellato tutto, fra non molto. O forse lo ha già fatto.
Se ne è andato.
Scappando da ciò che gli faceva paura. Da te.
Ripudiando quel poco che ancora viveva in lui di Amanda. Ripudiando la sua stessa madre.
Abbracciando totalmente, irreversibilmente, un mondo di logica.
Quella logica bastarda e bugiarda che, diamine, non gli è mai totalmente appartenuta.
Bugiardo.
Ecco cosa è stato.
E che osi ripetere ancora che i vulcaniani non mentono mai.
Non lo vedrai mai più, forse. E forse è meglio così.
Non sopporteresti svariate cose di lui. Lui, che diventerà o è già diventato uno sconosciuto. Che ha ucciso colui che era diventato una parte fondamentale di te. Che ti aveva fatto credere di essere ugualmente importante per lui – bugiardo.
Non potresti mai più guardarlo in viso senza quella scintilla che gli illuminava gli occhi neri e scuri e profondi e senza quel sorriso sfuggente e a malapena accennato. Non potresti sentirti vivo in presenza di una sua opaca imitazione. Non potresti giocare a scacchi senza avvertire, di tanto in tanto, le sue dita sfiorare le tue in quel tocco mai sentito estraneo eppure misterioso, sconosciuto, sempre nuovo.
Bello.
No. Non sarà più parte della tua vita.
Sorseggi il bicchiere che culli in una mano; buono, il brandy sauriano, eh?
Buono.
Buono un cazzo: è solo una via per svezzarti da lui.
O magari per illuderti. Per farti sognare.
Alla faccia della forza che dimostri. Alla faccia del tuo status di abile ammiraglio.
Sei bugiardo quanto lui. O forse peggio.
Hai sempre mentito.
Dimmi un po’… quanti falsi sorrisi hanno piegato le tue labbra, da quando se ne è andato? Quanta forza hai dimostrato, eh?
Fottiti.
La verità è che lui ti ha prosciugato.
Ti ha portato via la metà migliore di ciò che eri.
Poggi il bicchiere sul tavolino, distrattamente, ti rechi nella zona notte e senza nemmeno levarti la divisa da ammiraglio ti nascondi sotto le pesanti coperte.
Il brandy funziona poco. Ma sa ingannarti.
E tu credi a quella bugia consciamente. Fingi di sentirti meglio.
Lì, rannicchiato al buio. Come una bestia.
Come un animale abbandonato da colui che ha dato redenzione alla sua anima. Abbandonato dalla sua ragione di vita.
Come un lupo abbandonato dal San Francesco di turno.
Un passatempo che ha stufato.
Il giocattolo di un bimbo troppo grande.
Smarrito nel dimenticatoio. Senza più via d’uscita.
Eppure quella via d’uscita la ricerchi nel brandy, vero? Ma neanche poi così tanto…
Non ti impegni più in nulla. Neanche nell’ubriacarti.
E non ti impegni perché il tuo impegno maggiore era a lui dedicato. Eri riuscito a penetrare la sua dura scorza e a carezzargli l’anima. Ed era fuggito.
Impegnarsi in qualcosa ti spaventa. Potresti rimanere ferito dal risultato.
E lui è ancora una ferita aperta e pulsante. Dolente. Infiammata.
Non si può suturare.
E se ci si riesce, i punti prima o poi saltano. Prima o poi si riapre.
No, il brandy non fa effetto a lungo. Ne hai bevuti solo tre, di bicchieri.
Non puoi presentarti al lavoro ubriaco, no. Il lavoro è l’unica cosa che ti distrae abbastanza da non piangere pubblicamente.
Fai schifo.
Lui ti ha ridotto uno schifo.
Ha buttato nel cesso cinque anni di amicizia e… e amore, ammettilo – tu, ammettilo. Lui non l’ha fatto. Tu devi.
Non ora, però, eh?
Dormi.
Sogna.
Dimentica il dolore in sogni che parlano di lui al tuo fianco.
Menti a te stesso. Ancora una volta. Ancora una notte.
E vaffanculo.

Toh, ma guarda.
Devi già tornare in plancia. Ti cambi d’abito, raggiungi la tua postazione.
I tuoi amici sembrano allegri. Sereni. Spensierati.
Vorresti essere come loro.
Invece stamane sei stranamente in ansia.
Eppure non devi ricevere visite.
Il rumore del turbo lift che si apre.
Ecco. L’ansia è prepotente.
E come un cane che rivede dopo troppo tempo il padrone, col cuore colmo di gioia, ti giri.
“Permesso di salire a bordo, Capitano”
Lo dovresti ignorare. Odiare. Ripudiare.
Rigettarlo come un organo estraneo. Come lui ha fatto con te.
Invece lo accogli a braccia aperte.
Hai paura.
Paura di lui. Del suo cambiamento. Di te stesso e della tua debolezza.
Fai pena.

La mano ti formicola già da un po’.
Da quando lui l’ha stretta. In infermeria. Davanti a tutti.
Alla fine quel ‘semplice sentimento’ che vi univa non è mai veramente morto.
Lo ha riportato da te.
E tu da idiota l’hai accolto nuovamente in te.
Cosa farai, se ti abbandonerà di nuovo?
Non reggeresti, lo sai. Suicidio?
Perché no, eh?
Ma non ci pensi neanche. Non ora.
Non ora che quella fottuta storia di V’Ger è finita.
“Jim”
È alle tue spalle.
Qui, nel tuo dannato alloggio.
È entrato senza suonare il cicalino. Come al suo solito.
“Vattene”
“Non era mia intenzione causarle dolore”
Oh, ma che belle parole.
Ma sono vere.
Non voleva farti soffrire, no.
In fondo… voleva solo cancellarti dalla sua vita. Dimenticarti.
Ti ha solo abbandonato.
Nulla di male, eh?
A passi svelti, chiudi con l’apposito codice la porta.
Vuoi impedirgli di fuggire.
Prima devi parlargli.
Poi che se ne vada pure, tanto a star senza di lui ci sei abituato, vero?
No.
“Perché ti ostini a starmi vicino?” lo affronti, stringendo i pugni, affondando le unghie nella carne dei palmi.
“Jim…”
“Jim un cazzo, Spock! Ti rendi conto di quanto…”
Poi taci, di colpo. Gli volti le spalle, ti versi un bicchiere di brandy.
È proprio necessario?
No. Infatti lasci il bicchiere sul tavolino. Intonso. Lo guardi e basta.
E poi lo senti lì, alle tue spalle.
Così vicino… eppure così lontano.
Ti ci obblighi, a sentirlo lontano.
“Ti rendi conto di quanto mi hai ferito?” chiedi.
Ti aspetti una risposta del tipo ‘non vedo abrasioni fisiche’ o riba del genere, invece ti sorprende.
Piacevolmente.
Non va bene.
Non dovrebbe piacerti sentire la sua fronte timidamente poggiata tra le tue scapole e le sue mani sui tuoi fianchi. A richiedere ciò che dovrebbe essere già suo da tempo.
Il tuo corpo. Oltre che al tuo cuore e alla tua anima.
Richiede di appartenergli totalmente.
“Sono stato stupido, Jim” sussurra. “Mi perdoni”
Senti un brivido caldo lungo la schiena quando il suo bacino si poggia sulle tue natiche.
Attento. Devi stare attento.
Potrebbe usare il sesso per farsi perdonare.
No, troppo poco logico, eh? Eh.
“Cosa ti fa credere che ti voglia al mio fianco?”
“Non mi serve essere un betazoide per percepire questo suo desiderio. E sarebbe illogico non esaudirlo” risponde lui in maniera stranamente… umana?
Non si muove. Tace.
Non esprime nulla a voce.
Ma tu li senti ugualmente, quei sentimenti che turbinano in lui.
Amore. Passione.
Ricambi, tu. Sciocco.
Ti giri tra le sue braccia, che va ad incrociare dietro la schiena.
Dritto. Rigido. Freddo.
Eppure è stranamente caldo. Dolce.
Oh, eccoli di nuovo. Lì, sul suo viso. Appositamente per te.
Un sorriso quasi inesistente e una scintilla sepolta neanche tanto bene nel nero degli occhi.
“Può perdonarmi?” chiede.
Chiede un perdono che è già arrivato da un pezzo.
Da quando il padrone è tornato dal cane abbandonato.
Da troppo.
Che forse non doveva arrivare.
Non ci rifletti. Lo fai e basta. Anche se potrebbe scappare, lo fai.
Nascondi il viso nell’incavo del suo collo e lasci le lacrime libere di rigarti le guance.
Piangi in silenzio. In silenzio lui ti consola.
Rimanendo lì, al tuo fianco.
Come avrebbe dovuto sempre fare. Senza limiti. Senza interruzioni.
E più piangi più lui è lì.
Più lui è lì più piangi – di gioia, di dolore e rabbia.
Un circolo vizioso che non vuole concludersi.
Ma deve.
Si scosta e tu gli afferri le spalle con la forza propria di un bambino ferito e spaventato.
Vuole forse andarsene?
No.
Ti sfiora il viso con il pollice e il medio d’una mano, asciuga le tue lacrime una alla volta.
Calda.
La sua pelle è calda. Rovente.
Come la superfice di Vulcano, dove si è rintanato pur di sfuggirti. Vanamente.
“Sono sempre stato e sempre sarò tuo” mormora a pochi centimetri dalla tua bocca, abbandonando la formalità.
Con la stessa dedizione, tu sarai sempre suo.
A meno che non ti abbandoni ancora.
“Prendimi” dici. Ordini. Pretendi. Supplichi.
Lo aiuti a levarti la maglia della divisa e poi a spogliarti definitivamente. Po si arrangia lui, a spogliarsi.
Non sei più giovane come una volta, ma lui ugualmente ama il tuo corpo.
Lo tasta con le mani, lo carezza.
Ti fa perdere la concezione del tempo e dello spazio.
Un vuoto di rumore.
Un vuoto di emozioni.
Niente. Non provi niente.
E poi provi tutto quando lo accogli tra le gambe e lui entra in te un poco alla volta.
Fa male, diamine, fa veramente male.
Ma non t’importa, spingi coi fianchi contro di lui. Il tuo corpo si muove ad un ritmo serrato in cerca del suo appagamento. In contrasto con lui, leggero e lento come una pioggia primaverile. Eppure non v’è alcun contrato, vi muovete insieme.
Diversi e uguali.
Come è sempre stato. Come sempre sarà.
Il dolore scema. Arriva il piacere.
Complice il sentire lui muoversi in te.
Non emette un gemito, silenzioso e pudico come è solito essere.
Tu gemi forte, invece, tra il morbido materasso e lui, che ti sovrasta e ti domina totalmente.
Domina il tuo cuore innamorato. La tua mente così affine alla sua.
Domina il tuo corpo, ora, mentre si libera in te, ti marchia con il suo seme bollente e denso.
Continua a muoversi finché non ti inarchi verso di lui e non ti liberi tra i vostri ventri, emettendo un verso di apprezzamento tra un gemito e un ringhio.
Fa per alzarsi ma tu no, non glielo vuoi permettere e lo imprigioni con l’intero tuo corpo.
Ciò non gli impedisce di stendersi sul materasso.
Sciogli la stretta. No, non fuggirà.
Si copre il bel corpo con le lenzuola, timido, mentre ti accoccoli sul suo petto.
Ti carezza la schiena, una lenta, ampia, unica carezza.
È strano il modo che ha la vita di evolversi.
Era divisa a metà, la tua, a causa sua. Incompleta. Orrenda. Inutile.
E sempre a causa sua ora è più che completa.
Lo stringi forte a te, sfiori il suo elegante e nobile viso con le tue floride labbra e lui non si ritrae, anzi, sporta la testa di lato per concederti più spazio e ti perdi nella perlustrazione di quel collo sottile.
Se ne è tornato a casa. Al fianco di chi tacitamente ama.
È tornato da te ferito, scosso, supplichevole di perdono.
Questa notte avete curato le vostre rispettive ferite. Ferite causate da lui.
Ma non importa.
Importa solo che lui sia tornato a casa.
Da te.
Intreccia le dita d’una mano con le tue, sugellando un silenzioso patto: mai più soli, mai più divisi.
Rimanete così, immergendovi in un sonno a cui non sei più abituato: lieto, sereno, privo di menzogne.
Ognuno è la casa dell’altro.
Eh già… siete tornati a casa.

  
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