A
John,
ovunque
tu sia.
Julia
Tepore.
Una
sensazione accogliente che scivolò sulle sue membra
intorpidite, come un’amante
lasciva. Con lo stesso atteggiamento insinuante avvolse le mani
intorpidite di
John di un momentaneo torpore. Le dita riconobbero
l’estraneità di quella
sensazione e artigliarono prepotentemente il busto
cui fino a quell’istante erano rimaste
avviluppate. Il gesto protettivo con cui John desiderava ammantare la
propria
persona era accompagnato dalla chiusura repentina delle palpebre che
costrinsero
le pupille ad un’oscurità violata da una
prepotente luminosità.
John
comprese che assieme a questa giungeva quel calore inspiegabile che
assaliva
anche le dita dei piedi, poggiati su una superficie levigata. La sua
piacevole
frescura era simile a quella che John avvertiva con soddisfazione sul
pavimento
del proprio appartamento durante le giornate estive.
Un
ricordo a cui John istintivamente era solito associare il respiro
affannato del
ventilatore e quello alterato dal riso, di Sean.
La
consapevolezza di aver delineato nei propri pensieri
quell’immagine passata
anche poco tempo prima, causò in lui un turbamento lieve,
simile a quello di un
dormiente disturbato da uno sgradevole stimolo esterno.
La malinconia di John Lennon
non risultava
così radicata da ripresentarsi più volte nella
sua mente.
La
freddezza di quella constatazione pareva essere soggetta
anch’essa a quel
tepore immotivato, per cui le paure di John si chetarono con la stessa
placidità di quelle di un bambino.
Ed era proprio tipica di un
bimbo la posizione
fetale raffigurata dal suo corpo, che John non ricordava di aver
assunto. Un
brivido causato dal contatto fra
la
pelle del suo petto e quella del ginocchio confermò la sua
nudità, che era
certo di non aver mai provocato.
Le
incertezze si accalcavano disordinatamente, creando una lieve
increspatura
sulla fronte di John, simile a quella provocata su un lenzuolo
immacolato dalla
pressione insistente di una mano.
Perché
quello era stata fino a quell’istante la mente di John.
Un
lenzuolo immacolato macchiato repentinamente da ricordi che
l’uomo riportava
faticosamente alla memoria.
La
risata ravvivata dalla giovinezza di Sean, che lui aveva rammentato con
un
sorriso mentre il suo corpo sobbalzava in un abitacolo asettico e le
sue ciglia
si adagiavano sulle guance; il movimento inanimato della sua mano
contro il
tessuto umido dei propri abiti, la cui presenza nel recente ricordo
contrastava
con la loro attuale assenza; la sensazione di indebolimento,
accompagnata dagli
incoraggiamenti di quegli uomini sconosciuti da cui la sua anima si era
allontanata lentamente. Quelle immagini risorsero alla mente di John,
causando
in lui una sensazione di incertezza e di infantile curiosità.
L’angoscia
per la decisione che il destino aveva attuato su di lui non
sfiorò per un
istante i suoi pensieri, sostituita dal desiderio di conoscenza del
luogo in
cui si trovava.
Quel
primordiale istinto costrinse John a sollevare lentamente le palpebre,
le quali
si esibirono in una danza frenetica nel momento in cui gli occhi di
John
incontrarono un biancore etereo. L’abbraccio con cui
desiderava avvolgere John
si rivelò un’aggressione indesiderata che fece
inarcare maggiormente la schiena
dell’uomo. Le braccia incrociate vennero sfiorate dai
capelli, scossi
debolmente dal respiro regolare, così diverso da quello che
John ricordava
affannoso nelle immagini che recuperava a fatica nella memoria recente.
John premette i palmi contro
gli occhi per
riabilitare la vista affaticata e torse il capo verso gli estremi di
quello che
comprese solo più tardi essere uno spazio illimitato.
Condusse nuovamente
l’attenzione alle sue nudità, che gli provocavano
un dubbio fastidioso ma non
certo quella vergogna che una simile condizione avrebbe acceso in
qualunque
umano.
Ma
l’umanità era l’unica caratteristica che
John non avrebbe attribuito alla sua
mente improvvisamente serafica, sgombra di qualunque preoccupazione non
riguardasse
la natura del luogo in cui si trovava.
John camminava lungo quella
distesa
sconfinata, esponendo all’esterno parte di quel calore che le
sue membra
rannicchiate avevano custodito gelosamente. Avanzò i palmi,
nel tentativo di
percepire un eventuale ostacolo che potesse compromettere la propria
avanzata
priva di meta. Ma le dita interrompevano soltanto il fulgore di quei
bagliori
che si proponevano oltre i polpastrelli di John, ombrando le mani. La
luminosità aumentava la propria intensità,
abbassando nuovamente le palpebre di
John, ma i suoi piedi continuavano ad avanzare, preda di una fiducia
immotivata. L’alluce si distese assieme alla fronte nel
momento in cui quel
calore ormai famigliare venne meno, cedendo alle insistenze cordiali di
una brezza
marzolina. Le labbra di John si incurvarono in un sorriso compiaciuto,
riconoscendo in quel debole refolo fresco, i capricci ventosi
primaverili che
giocavano con i tendaggi della finestra a cui John amava affacciarsi.
L’uomo
imitò il sospiro che era solito
liberare nell’istante in cui quella sensazione rigenerante
gli carezzava la
pelle. Assaporò nuovamente con la vista lo spazio
circostante, scoprendosi
interdetto nel riconoscere numerose figure colmare con la loro
ingombrante
presenza uno spazio apparentemente destinato al silenzio della
solitudine. Una
qualità che il vociare indistinto di quei profili umani
profanava ignobilmente,
secondo il parere di John, le cui orecchie ancora assaporavano il suono
del
proprio respiro.
Quel
refolo di fiato proveniente dal petto glabro di John si confuse con le
parole
rumorose di quegli individui che, alla vista del nuovo venuto,
interruppero i
movimenti leggiadri delle proprie mani. Adagiarono lo sguardo privo di
malizia
sul corpo di quell’uomo, nudo come loro.
Lo
stupore ironico con cui John avrebbe riconosciuto la condizione di
nudità
generale a cui assisteva, fu sostituito da un’incomprensibile
familiarità.
Colui
che aveva sempre dato un volto ed un’identità
definita a qualunque sentimento,
permise a quell’emozione serena ed inspiegata, di
impadronirsi di lui.
La
grazia femminile che avrebbe incitato i suoi desideri carnali, sorrise
nella
sua direzione provocando in lui la stessa espressione calorosa. Quella
fanciulla dalle forme morbide si accompagnava ad una donna dalla pelle
avvizzita, diversamente dallo sguardo di John che germogliò
gradevolezza al suo
passaggio.
L’uomo
osservò con soddisfazione coloro che lo circondavano.
Esseri
leggiadri, di qualunque età e di nessuna razza, che a causa
delle loro
caratteristiche indistinte, John non riusciva a definire umani.
Distolse con
disappunto gli occhi da quelli che lo ammiravano curiosi per
concentrarsi sulle
proprie mani, che portò all’altezza del volto. Le
giunture parvero appesantite
unicamente dal ricordo che John aveva di esse; mani che avevano retto
una
chitarra, che avevano carezzato il corpo di una donna, che avevano
circondato
le spalle di un amico. John avvertì la sensazione che a quei
palmi
improvvisamente leggeri non venisse richiesta più alcuna
attività.
Così
come alla sua mente, prima colma di preoccupazioni frustranti e
passionali
desideri, che ora si limitava a cibarsi di una realtà priva
di tentazioni. Se
solo il pensiero di John avesse partorito ancora quella
quantità di pensieri
che era solita generare, avrebbe riconosciuto in quel luogo la
realizzazione
dell’ideale a cui aveva aspirato in vita. Forse una lacrima
silenziosa avrebbe
solcato le guance di John, che si limitarono ad arrossare a causa del
calore
naturale donato dall’ambiente.
Avrebbe
goduto ancora di quei sorrisi benevoli se il suo udito non fosse stato
disturbato da una voce che pareva sovrastare le altre. Un suono
accogliente e
lievemente raschiante, come la risacca del mare; insistente e
frusciante come
il respiro di un bambino durante il sonno; privo di idioma ma
ugualmente
decifrabile da John e dalle presenze che lo attorniavano.
Riconobbe
in quella melodia parole ammirevoli, alterate da un accento acuto che
le
rendeva involontariamente puerili, causando in John la
curiosità di un novello
ascoltatore.
L’impulso
di soddisfare questo interesse condusse la figura di John attraverso le
altre,
verso la fonte di quel richiamo che pareva riferirsi a lui. Ogni passo
alimentò
la sensazione di familiarità, non più
così estranea, in John. Ma se fino a
pochi istanti prima quell’emozione risultava inspiegata ora
riemergeva alla
mente di John ricondotta a ricordi sempre più definiti.
Le
dita del musicista divennero nuovamente preda dell’abbraccio
di quella
luminosità accecante che, solo dopo pochi attimi
restituì l’immagine dei piedi
alla vista del loro padrone.
John
portò le mani agli occhi, infastiditi da quel chiarore
abbagliante a cui le sue
iridi faticavano ad abituarsi. Scosse le ciglia ripetutamente prima di
distinguere il profilo spoglio di un essere simile nelle forme a quelli
precedentemente incontrati. Questi non si accompagnava ad alcuno, ma
unicamente
alla voce che si sprigionava da quelle labbra che la vista di John non
riusciva
ancora a distinguere. Ma la vista gli avrebbe presto rivelato che si
trattava
di una bocca naturalmente scarlatta, carnosa e schiusa, come fosse
piena di
parole non ancora pronunciate. Premevano insistentemente contro
quell’apertura
e vagavano eteree in quel mondo la cui scoperta le aveva tanto
incuriosite. Lo
sguardo di John per la prima volta analizzò minuziosamente
una di quelle algide
figure, mosso dal desiderio di riconoscere in essa la persona cui
somigliava.
Il
naso importante quanto il riferimento che quella donna aveva
rappresentato per
John, condusse agli occhi scuri circondati dalle ciglia femminili che
sfioravano le ciocche dei capelli. Danzavano sulla schiena nuda della
donna e
alcune celavano pudicamente il seno di cui John distingueva il pallore.
Il
ventre coperto dalle mani esili era gonfio dei respiri profondi che la
donna
rilasciava parsimoniosa. I polpastrelli incontravano la pelle ogni
qualvolta
acquistava fiato utile a proseguire la melodia.
I
glutei erano raccolti dal profilo ricurvo che disegnava la linea delle
gambe,
impercettibilmente flesse. Lo sguardo di John sembrava non riuscire a
sfamare
la curiosità con cui scandagliava il fisico della donna,
riguardo la cui
identità non aveva più dubbi.
Le
parole da lei pronunciate, pur non plasmate da un idioma umano, erano
riconosciute da John come una canzone.
Una
canzone composta da lui stesso quando quelle mani erano ancora
abbastanza
resistenti da sorreggere una chitarra e pizzicarne le corde.
Una
canzone con cui John aveva desiderato dipingere nella mente dei propri
ascoltatori quel volto gentile a cui aveva destinato il testo in cui un
solo
nome si ripeteva cadenzato.
Il
nome della donna per cui la composizione era stata creata.
Il
nome di colei che non gli offriva alcun riguardo, ignara del turbinio
di
pensieri che affollava improvvisamente la mente prima sgombra di John.
Quasi
avvertisse il fluire tempestoso dei ricordi in quell’uomo, il
suo viso si
diresse verso quello di John, con un sorriso soave, prima di
interrompere il
suo canto. Mentre pronunciava il nome della protagonista il suono si
smorzò
definitivamente, come quello della radio di John, affaticata dagli anni
di
lavoro. Ma al contrario, la pelle candida della signora non sembra aver
ceduto
ai prodotti del tempo che invece avevano donato numerose increspature
al volto
di John.
Ora
la necessità di un’attenta osservazione
sembrò caratterizzare gli occhi
femminili, che percorsero ogni anfratto del corpo di John, senza alcuna
timorosa vergogna.
Cedeva
il suo respiro all’ambiente circostante non più
con gelosia, bensì con
l’abbondanza ansante che era solita anticipare le lacrime.
Quei
rivoli incolori solcarono le guance rubiconde, prive dei singhiozzi che
spesso
accompagnavano il pianto umano.
Le
labbra della donna si limitavano ad arcuarsi in un sorriso felicemente
sorpreso
che risultava un degno sostitutore del naturale calore
dell’ambiente, nel cuore
di John.
La
figura si avvicinò timorosa al musicista, una mano sospesa
verso di lui, come
un bimbo affascinato
da un animale ma al
contempo timoroso del contatto con esso.
Ritrasse
la mano prima di permettere alle dita di scivolare sul corpo di John,
fino a
raggiungere il ventre mentre l’uomo avvertiva
un’essenza umida cospargergli il
naso e le gote.
John
Lennon non si abbandona alle lacrime.
Questa
l’affermazione che durante la sua umanità aveva
ripetuto ai propri pensieri
quando la loro frustrazione lo avrebbero spinto a cedere al pianto.
Ma
le palpebre di John parevano non attendere altro che
quell’istante per
richiudersi sulle iridi e bagnarsi di emozioni trattenute troppo a
lungo.
-John?-
La
voce tremante della donna pronunciò il nome del musicista
con infantile
insicurezza prima di raccogliere il volto di John fra le mani. La pelle
rovente
delle sue guance incontra il tepore di quella carezza materna che
diviene
insistente. Percorre i suoi lineamenti, i suoi capelli, le orecchie, le
spalle,
la schiena, i fianchi mentre le lacrime della donna erano raggiunte da
nuove
compagne.
-John.-
Ripeté
più volte quel nome, prima di affiancarlo ad altre parole
prive di linguaggio
che nella mente di John compongono il loro significato.
-John...
sei… sei davvero tu?-
John
avrebbe desiderato rispondere con convinzione a quella domanda oppure
convincere la donna a liberare ancora una volta quella voce che tanto
lo aveva
estasiato.
Ma
le sue labbra si limitarono a fremere e ad accettare inaspettatamente
un bacio
da quelle femminili che ormai gli sfioravano il mento. A quella
repentina
dimostrazione di affetto seguì l’unione di quei
corpi in un abbraccio da tempo
desiderato e spesso attuato nei sogni di John.
Ora
la pelle della donna è ruvida sotto i suoi polpastrelli,
contrariamente alla
sensazione evanescente che le mani di John sfioravano nelle fantasie.
Lei
adagiò la mascella sulla spalla di John e sfiorò
il suo collo con un sospiro
che avrebbe anticipato il termine di quella canzone prima bruscamente
interrotta.
Pronunciò
finalmente quel nome.
Il
suo nome.
Il
nome che John non aveva mai osato pronunciare, vittima del timore che
potesse
risvegliarsi dall’ennesimo sogno in quell’abitacolo
angusto, l’ultimo che il
suo corpo avesse conosciuto.
Quel
flebile refolo di fiato pareva essere il suono più distinto
giunto alle
orecchie di John in quel luogo etereo.
-Julia…-
Angolo
autrice:
O
come preferisco chiamarlo, il mio “angoletto
personale”. Uno spazietto
insignificante utile a darmi l’illusione di ricoprire il
ruolo di scrittrice
affermata. In queste poche righe volevo ringraziare tutti i miei
lettori,
coloro che continuano a supportarmi nella crescita di questa grande
passione
letteraria e in particolare Kia85 che ha accettato di leggere in
anteprima lo
scritto e di revisionarlo. Grazie per i tuoi preziosi appunti e per
quei
consigli che custodisco gelosamente nello scrigno della mia nascente
esperienza.
Grazie
a coloro che leggeranno e recensiranno questa storia, aiutandomi a
migliorare
costantemente. Perché quello è il mio fine ultimo.
Un
bacio
Giulia