1) La gatta e il criceto.
Hyde park è sempre
stato il mio posto preferito dove
riflettere.
Quando le cose andavano male a casa mia – e succedeva
spesso con un padre che ama la bottiglia più della famiglia
– o le mie compagne
mi prendevano in giro.
Loro giravano con le calze di nylon sotto i calzini
prescritti dalla divisa e si accorciavano le gonne, io invece ero
costretta a
non indossarle e a tenermi la mia vomitosa gonna color grigio topo ben
sotto il
ginocchio.
All’epoca ero una ragazzina mingherlina, con le trecce e
senza un filo di trucco, mia madre non mi permetteva nemmeno di farmi
le
sopracciglia o strapparmi i baffi.
Era una all’antica mia madre – penso lo sia
tutt’ora,
anche se non abbiamo più rapporti da anni – e
diceva che ogni cosa andava fatta
a un’età ben precisa e per lei quindici anni erano
troppo pochi per baloccarsi
con la depilazione. O almeno fu quello che disse a me.
Capite bene come a quindici anni stessi spesso in questo
parco a pensare a come facesse schifo la mia vita e a come non avessi
strumenti
per cambiarla, risparmiavo su ogni cosa perché a
diciot’anni me ne volevo
andare, ma tre anni mi sembravano dannatamente troppo lunghi.
E poi conobbi lui e i tre anni si accorciarono
decisamente.
Lui è John Simon Ritchie, mia madre lo definiva un poco
di buono da cui stare alla larga, era il figlio di una tossica che non
ce
l’aveva fatta a tenersi nessuno dei due mariti.
Quando lo
incontrai la prima volta però mi sembrava più un
tizio che aveva bisogno di un
abbraccio che un teppista, perché
aveva
l’aria di non averne ricevuti molti in vita sua.
Chiudo gli occhi e
il ricordo del nostro primo incontro mi invade.
{È
un merdoso pomeriggio di dicembre. Fa un freddo che ti
toglie la pelle dal corpo e mia madre ancora non mi lascia mettere le
calze di
nylon perché per lei sono sconvenienti.
Immagino che non sappia che non ci sono ragazzi che fanno
la fila per spiarmi sotto le gonne ed è stato inutile
tentare di farglielo
presente, ha chiuso frettolosamente l’argomento e ha
cominciato a pulire
energicamente la finestra del salotto.
Mia madre è fatta così, più le cose
vanno di merda, con
mio padre che beve un giorno sì e l’altro pure,
più lei si mette a pulire a
fondo un appartamento squallido che già scintilla
più che può.
Sto facendo avanti e indietro su un’altalena cigolante
– per
sfogare il mio
nervosismo – guardando
con aria assente le luminarie.
“Posso?”
La voce maschile che mi parla mi fa trasalire.
Johnny Ritchie che parla a me?
“Certo che puoi, non ho mica comprato l’intera
merdosa struttura.”
Lui scoppia a ridere smettendo poi per evitare che si
trasformi in tosse.
Indossa un vecchio giubbotto di pelle e dei jeans laceri.
“Scusa, ma la mia vecchia non perde molto tempo a
sistemarmi i jeans e cose del genere.”
“E la mia preferisce avere un figlia con un principio di
ipotermia piuttosto che lasciarmi mettere delle calze.”
“Come ti chiami?”
“Katherine Anderson.”
“John Ritchie.”
Io mi esibisco nel mio miglior ghigno sarcastico.
“Io ti conosco, sei famoso a scuola. Dicono che non sai
seguire una lezione senza farti buttare fuori.”
“Non è colpa mia se sono fottutamente
noiose.”
“Hai ragione.”
Lui mi guarda incuriosito.
“Pensavo che una come te mi avrebbe fatto la
predica.”
Io scoppio a ridere divertita.
“L’unica ragione per cui mi vedi così
è perché mi obbliga
mia madre e se provassi a ribellarmi il mio vecchio mi spedirebbe
all’ospedale
conciata come un colabrodo.”
“Merdosa la vita, la mia è una
tossicomane.”
Lentamente iniziamo a parlare di noi e delle nostre vite
e mi accorgo che è un tipo a posto, matto come un cavallo,
ma sostanzialmente a
posto. È migliore di quelli che mia madre chiama buoni
partiti perché lui non
trasuda ipocrisia da tutti i pori.
Se deve dirti una cosa te la dice dritta in faccia e
questo l’ho capito
dopo averci parlato
un paio d’ore.
“Ehi, Johnnie, posso fare una cosa?”
“Uhm, certo.”
Continua a fumare tranquillo, io invece raccolgo tutto il
mio coraggio e lo abbraccio. La cosa lo coglie di sorpresa
perché lascia cadere
la sigaretta appena iniziata nel fango.
“Perché?”
“Uhm, sembri uno che ha bisogno di un abbraccio.”
Lui mi regala un sorriso vero e poi mi scompiglia i capelli.}
Da allora non ci siamo mai lasciati, se così si
può dire.
Abbiamo iniziato a legare parecchio e circolavamo
tranquillamente insieme anche a scuola, non c’è
nemmeno bisogno di dire che da
allora nessuno ha più osato disturbarmi.
Johnnie è sempre stato magro, ma nelle risse ci sa fare e
poi aveva una reputazione da teppista che lo precedeva come
un’ombra lunga.
In realtà ha un cuore d’oro ed è forse
per questo che
siamo diventati amici e poi qualcosa di più.
È stato due anni fa quando aveva appena incontrato John
Lydon ed era appena diventato Sid Vicious. Sid come il suo criceto,
Vicious
perché Johnny credeva che quel criceto fosse maligno.
Non ho ancora capito chi dei due si sia scelto il nome
peggiore, se Sid Vicious o Johnny Rotten.
Non ha importanza, so solo che due anni fa mia madre
venne a sapere che avevo fatto amicizia con un poco di buono e
sollevò un
polverone.
Io però quella volta non me ne ero stata buona a sentire
le sue sfuriate, il giorno dopo mi ero comprata una tinta rosso sangue
e avevo
tinto i miei capelli.
Quando mamma la vide svenne quasi e mio padre urlò che o
mi toglievo quel colore da puttanella entro il giorno dopo o potevo
considerarmi
fuori casa.
Ho scelto il colore da puttanella e ho riempito una borsa
e uno zaino con le cose che più mi servivano.
{Ok,
alla fine ce l’ho fatta.
Sono diventata come Sid, a forza di stare con lui sono
diventata una mezza teppista anche io e, per Dio, la cosa non mi
dispiace.
Ero stanca di stare in quella casa, ora devo solo sperare
che Sid e John mi vogliano come coinquilina, non riescono a farsi
durare un
lavoro più di una settimana, ma in qualche modo pagano
sempre l’affitto a fine
mese.
Cammino tra la folla di gente che torna a casa ricevendo
parecchie occhiate, i miei capelli si notano, come i jeans stracciati,
il
giubbotto di jeans e gli anfibi.
In ogni caso ben presto mi trovo nel quartiere squallido
dove vive Sid, spero di stare simpatica a Johnny perché io
lo apprezzo davvero.
Suono il campanello e mi viene detto di salire, aprono la
porta e io inizio a salire le scale: puzzano di cavolo e cipolla.
L’appartamento
dei ragazzi è all’ultimo piano e
l’ascensore non funziona, così mi tocca fare
le scale a piedi con la borsa che sbatacchia sulle mie gambe e le
cinghie del
mio vecchio zaino di scuola che mi tagliano le spalle.
Suono il campanello e Sid mi apre, indossa una canottiera
e un paio di jeans, nonostante fuori faccia freddo e il riscaldamento
non mi
sembri al massimo.
“Ehi, Kat! Come mai qui?”
Io abbasso gli occhi.
“I miei mi hanno sbattuto fuori casa e non so dove
andare. Potrei…”
Prima ancora di finire la frase mi ritrovo avvolta dal
suo abbraccio e io mi abbandono sul suo petto magro lasciandomi andare
a un
breve pianto isterico.
Finito quello, mi guida nell’appartamento e chiude la
porta, Johnny arriva dalla cucina con i suoi capelli rossi da irlandese
irti.
“Ehi, Kitty Kat. Cosa ci fai qui?”
“Vivrà da noi, i suoi l’hanno sbattuta
fuori.”
Johnny scuote le spalle.
“Sì, mi sta bene. Contribuirai anche tu
all’affitto, ma
per stasera abbiamo solo minestra di pollo per tutti.”
Io annuisco e mangio un misero piatto di minestra senza
discutere, poi mi offro di lavare i piatti, poco importa che siano
quelli di
una settimana, cosa di cui mi rendo conto non appena metto piede in
cucina.
Finito, guardo un po’ la tele con loro e poi Johnny se ne
va a letto, l’ha preso come garzone un fornaio. Sid invece mi
accompagna in
camera sua, cambia le lenzuola e mi cede il suo letto.
“Sei sicuro?”
Dico un po’ a disagio.
“Posso dormire sul divano.”
“No, è scomodo. Stai tranquilla.”
Io mi metto a letto, ma non riesco a dormire e a un certo punto sento
dei
gemiti. Scalcio via le coperte e vado in salotto, come pensavo
è Sid che fa
casino. Lo tocco: il corpo è gelato, ma la fronte scotta.
Quel cretino ha la febbre e non me l’ha detto, penso in
un impeto di tenerezza. Gentilmente lo scuoto e lui mi guarda con i
suoi
occhioni scuri, liquidi e gonfi di sonno.
“Katie, cosa c’è?”
“Hai la febbre, Sid. Devi dormire nel tuo letto.”
“E tu?”
“Posso dormire con te?”
Gli chiedo rossa come un pomodoro.
Lui mi accarezza una guancia.
“Richiedimelo.”
“Posso dormire con te?”
“Mi piace questa domanda e la risposta è
ovviamente sì.”
Con un po’ di fatica si trascina in camera sua e si
stende a letto, io vengo attirata sul suo petto non appena tocco il
letto.
È la prima volta che sono così vicina a un
ragazzo, ma è
piacevole: mi sento protetta tra le sue braccia.
Sorridendo, mi addormento.}
Da allora non ci siamo
più separati, Sid è stato il primo
ragazzo con cui ho dormito e il primo con cui ho fatto sesso.
Penso sia quello perfetto per me nonostante tutti i suoi
difetti e spero sia un buon padre, perché sono incinta ed
è esattamente il
motivo per cui sono qui sdraiata sull’erba asciutta a
guardare le nuvole che si
inseguono in cielo.
Aspetto un figlio da lui e non so come dirglielo.
{Mia
madre ha sempre detto che fare l’amore fuori dal
matrimonio è un peccato, ma a me non sembra proprio. Anzi.
Sento le ondate di piacere che si susseguono ogni volta
che Sid entra in me. Raggiungo l’orgasmo chiamando il suo
nome e poco dopo lui
fa lo stesso e ricade ansante su di me.
Ora la stanza è piena solo dei nostri sospiri, lui si
è
alzato un attimo per togliersi il preservativo e buttarlo nel cestino e
poi è
tornato a letto. Immediatamente sono finita sul suo petto, lui gioca
distratto
con i miei capelli rossi e sorride.
“Ehi, Kat.”
“Sì?”
“Ti va di essere la mia ragazza?”
“Sì, assolutamente sì!”
Rispondo sorridendo.
“Mi piaci da un sacco di tempo.”
“Anche tu, da quando ti vedevo a scuola con le tue trecce, la
gonna troppo
lunga e l’aria incazzata.”
Io seppellisco la faccia nel suo petto per non fargli vedere che sono
arrossita.
“Sei sicuro di volermi come ragazza? Potrei distrarti
dalla tua musica e Johnny mi ucciderebbe.”
“Sicurissimo e sono sicura che non ti metterai in mezzo
tra me e la musica.”
“Sì, non lo farò. Mi divertono i vostri
concerti.”
“Allora, vieni a quello di sabato. Sembra che ci
sarà
qualcuno di importante, forse il tempo delle minestrine è
finito e finalmente
direi. Iniziavano a starmi sul cazzo.”
Io rido.
“Anche a me, comunque verrò.”
Fuori nevica, è sera e Johnny è fuori, scommetto
in qualche pub ad ubriacarsi.
Io mi abbandono lentamente al suo tocco, al suo giochinare con i miei
capelli e
mi addormento.}
Non mi sono mai messa tra lui e la
band, tranne forse
adesso con questa gravidanza indesiderata. Sono sempre andata ai loro
concerti,
li ho sostenuti e
ho festeggiato con loro
quando finalmente qualcuno si è accorto di loro.
Non sono il massimo come tecnica, ma incarnano benissimo
la voglia di ribellione, John e Sid soprattutto, benché lui
suoni con il basso
non attaccato all’amplificatore. Poco importa, è
l’energia che mette sul palco
che coinvolge e fa venire voglia di saltare.
Questo è quello che gli viene meglio e che li rende
speciali: tutti i ragazzi a cui la vita gira storta si riconoscono in
quei
quattro.
{Il
concerto è finito e io sono saltata in braccio a Sid,
Johnny ride, dice che sembro un koala.
Stiamo ancora battibeccando allegramente quando un uomo
in giacca e cravatta si avvicina a noi, sorridendo.
“Siete voi i Sex Pistols?”
“In persona”
Gli risponde Johnny con il suo solito ghigno
impertinente.
“Bene, perché potrei darvi la
possibilità di diventare
molto famosi.”
Lui e Johnny si mettono a discutere sui dettagli
dell’incontro e un fremito di elettricità percorre
l’aria: forse ce l’hanno
fatta.
Quando l’uomo se ne va del ghigno di Johnny non
c’è più
traccia, c’è il sorriso di un bambino a cui hanno
detto che il Natale arriverà
una settimana prima.
“Forse potremo incidere un disco ragazzi!”
Immediatamente si scatena una selva di ululati di gioia, Sid mi bacia.
“Che carini!”
Commenta la voce di una ragazza, mi volto e mi trovo
davanti una bionda. I suoi occhi dicono che non è affatto
contenta di vedere
Sid con una ragazza.
“Chi sei?”
Le chiedo poco gentile.
“Nancy Spungen, eroinomane e zoccola di professione.
Sparisci, bellezza. Qui non c’è bisogno di
te.”
Lei se ne va furiosa, chiaramente umiliata dalle parole
di Johnny.
Io sento le vibrazioni del pericolo continuare a mandare
segnali. Temo che questa non sarà l’ultima volta
che la vedrò.}
Non è stata
l’ultima volta, Nancy ha provato con costanza
a togliermi Sid e non ci è mai riuscita. Non sono una che
molla facilmente,
soprattutto quando ci sono in gioco le cose a cui tengo come Sid.
Non voglio che lui cada nel gorgo dell’eroina per colpa
sua, soprattutto ora che sono incinta, anche se non ho idea se
vorrà occuparsi
o meno del bambino.
Forse siamo tutti e due troppo giovani e incasinati per
averne uno, ma tant’è, ormai il piccolo o piccola
sta crescendo nella mia
pancia.
Mia madre sarebbe stata favorevole all’aborto, io no: non
avrei mai il coraggio di liberarmi del frutto del mio amore per Sid.
“Tutto bene?”
Una voce maschile si fa sentire e il suo proprietario si siede accanto
a me.
“Sid! Come hai fatto a trovarmi?”
“So dove vai quando hai bisogno di pensare e credo che tu
abbia bisogno di pensare e molto.”
Il mio corpo si copre di sudore freddo improvvisamente.
“Cosa vuoi dire?”
“Che ho trovato un test di gravidanza in bagno e dubito
che appartenga a Johnny.”
Io sospiro.
“Sì, hai ragione. Ho bisogno di pensare e molto
perché…
io…. Sono …. Incinta.”
Le parole mi escono a stento, ho una paura folle che se
ne vada e mi lasci da sola, con i miei problemi
e casini, per seguire la band.
Mi aspetto della collera sul suo bel viso,
inaspettatamente sorride.
“È mio, vero?”
“Ovviamente.”
Rispondo piatta.
“Ti capirei se non volessi prendertene cura, siamo
giovani e tu hai la band…”
“Sh! Non dire cazzate!
Kat, è bellissimo!”
“Davvero?”
Per tutta risposta mi fa alzare e mi prende in braccio
facendomi fare una giravolta.
“Sarò padre!”
“Sei sicuro? Non è una responsabilità
da poco!”
Lui sorride di nuovo.
“Lo so!”
Poi mi rimette a terra e abbassa gli occhi.
“L’unica cosa per cui sono dispiaciuto è
che non potrò
esserci per tutta la gravidanza, solo per il parto.”
Lo guardo senza capire.
“Ci hanno organizzato un tour negli Stati Uniti, volevo
chiederti di venire con noi, ma dato le tue condizioni
è meglio che tu rimanga a casa.”
Io annuisco.
“Sì, ma Nancy ci sarà.”
“Ma chi se ne frega di quella vacca,non mi piace per
niente.
Io ho te e il bambino e non so di che farmene di lei e
della sua eroina.”
Mi prende per mano.
“Andiamo a casa? Così daremo la notizia a zio
Johnny.”
Io scoppio a ridere, John Lydon è l’ultima persona
che chiameresti zio,
rischieresti di prenderti un pugno in faccia e i suoi pugni fanno
dannatamente
male. Se Sid è stato coinvolto in poche risse, Johnny
è il campione mondiale
delle beghe del quartiere, nessuno sano di mente lo disturberebbe.
Prima dell’uscita del parco c’è una
bancarella che vende
crepes, io afferrò il polso di Sid e lo faccio fermare.
“Me ne prenderesti una?”
Gli chiedo gentilmente, lui annuisce.
La tizia che ce le vende ci guarda con sospetto, non
credo le piacciano un ragazzo con i jeans stracciati e una vecchia
canottiera
bianca e una ragazza dai capelli rossi con una gonna troppo corta e una
maglietta
troppo strappata.
Mangiamo la crepes mentre torniamo a casa, il traffico è
sostenuto come al solito e si è alzato un vento freddo. Io
alzo lo sguardo al
cielo e – come al solito – minaccia pioggia.
“La prossima volta che devi riflettere su qualcosa ti
conviene scegliere un posto all’asciutto,
l’estate è finita.”
Io annuisco.
“Non riesco mai a rendermi conto di quanto passi alla
svelta, ormai siamo già a settembre.”
Arriviamo alla villa in cui adesso abita il buon vecchio
Johnny Rotten infreddoliti e stanchi, a tutti e due piace macinarsi
Londra, ma
oggi abbiamo sbagliato completamente abbigliamento.
Lui viene ad aprirci, indossa una maglia nera e ha in
mano una bottiglia di Jack Daniels, i suoi capelli sono un casino come
al
solito.
“Spero abbiate una buona ragione per essere venuti a
disturbarmi mentre mi stavo rilassando.”
Io lancio un’occhiata alla sua bottiglia.
“Oh, il tuo fegato ci ringrazierà.”
Ci sediamo tutti al tavolo del salotto, Johnny ci guarda interrogativo.
“Allora, piccioncini?”
“Kat è incinta.”
Lui trasalisce violentemente, poi si alza dalla sedia e
si piazza davanti alla mia, le braccia aperte.
Io lo abbraccio.
“Per la Madonna, che notizia! Cristo, se sono felice per
te, Sid.
Questo vuol dire che non ci seguirai nella terra dello
zio Sam.”
Io sorrido.
“No purtroppo, rimarrò qui nella cara vecchia
Inghilterra
a lievitare come una torta mal riuscita.”
"Vado a prendere dello champagne e dei bicchieri.”
“Vengo anche io.”
Lo seguo in cucina e chiudo la porta, facendo attenzione
a che Sid non se ne accorga.
“Cosa vuoi dirmi Kat?”
“Devo chiederti un favore, Johnny.”
“Spara.”
“Io non ci sarò e non potrò tenere
d’occhio Sid, per
favore tienilo lontano dall’eroina e da Nancy
Spungen.”
“Eroina e Nancy sono sinonimi.”
“Lo so, per questo te lo chiedo e non ti chiedo di farlo per
me, ma per il
bambino che porto in grembo, non voglio che nasca orfano di
padre.”
“Non voglio nemmeno io, perché è una
vera merda.
D’accordo, terrò d’occhio Sid. Nella
band non circola ero
e cercherò di tenere lontana quella vacca di Nancy. Quanto
cazzo la odio!”
“Non dirlo a me.”
Prendiamo lo champagne e torniamo di là, dove brindiamo
al nuovo Ritchie in arrivo.
Io sorrido, ma dentro di me ho paura.
Riuscirà mio figlio ad avere un padre?