She’s
not like us
“È bellissima”, disse
la donna, osservando la bambina che stringeva tra le braccia.
“Già”,
rispose
suo marito, reggendo la fiaccola che serviva loro per illuminare il
buio
sentiero che li avrebbe condotti alla Città di Smeraldo.
All’improvviso
il vento si intensificò. Vi fu uno scricchiolio alle loro
spalle. La bambina
mosse un braccio, un gesto apparentemente casuale, fissando gli alberi
e il
cielo con i suoi grandi occhi azzurri. E proprio uno di quegli alberi
si torse
e cadde come se una scure invisibile lo avesse abbattuto. Cadde,
evitandoli, ma
per poco.
Un
terrore atavico si impadronì dell’uomo, che si
sentì ghiacciare il sangue. “È
stata lei! Ha buttato giù quell’albero”.
La
bambina sorrideva. Adorabile.
“Calmati,
caro. È stato il vento. È
solo una neonata e ha bisogno del nostro aiuto. Possiamo
tenerla?”. La
donna non aveva mai avuto figli, ma li desiderava. E sorrideva alla
piccola
come se lei fosse un dono del cielo. Beh... in un certo senso lo era.
Il
tornado l’aveva portata fino a lì.
“Non
è una buona idea. Hai visto
cos’ha fatto? Non è come noi”. Era
spaventato. Temeva
che qualsiasi potere avesse quella bambina, avrebbe fatto loro del male.
“Hai
ragione, non lo è. È sola e
noi ci occuperemo di lei”.
La
bambina sembrò approvare. Sorrise ancora e si
agitò un po’ tra le braccia della
donna.
Non
rifarlo, supplicava
tra sé e sé il taglialegna. Non
rifarlo,
ti prego. Qualunque cosa tu sia, non rifarlo.
“Ora
proseguiamo lungo il sentiero
o non arriveremo mai alla Città di Smeraldo prima
dell’alba”.
“Come
la chiameremo?”.
“Che
ne dici di... Zelena? Sarà la
bambina più felice di tutta Oz”.
Sconfitto,
il taglialegna non parlò più e
proseguì lungo il sentiero con la moglie.
Zelena.
Significava “verde”, proprio il colore che dominava
nella strana Città di Smeraldo
che si stagliava di fronte a loro, illuminando quella notte oscura.
Non
appena entrarono in casa per sistemare le loro cose, Zelena
cominciò a
piangere. Anzi, non si limitava a piangere. Strillava
all’impazzata. Il
taglialegna la guardò, sconcertato. Era rossa in viso e
teneva gli occhi
strizzati. I piccoli pugni disegnavano cerchi di rabbia
nell’aria.
-
Oh, piccola... tranquilla. Siamo a casa. Va tutto bene –
disse la donna che da
quel momento sarebbe stata sua madre. La tirò fuori dalla
cesta e la cullò. Era
raggiante, come non lo era mai stata da quando si erano sposati.
Un
sommovimento scosse l’abitazione. Gli oggetti sulle mensole
di legno
traballarono. Fu una questione di qualche istante, poi tutto si
fermò.
-
Cara, hai sentito, vero?
-
Certo che ho sentito. Era un terremoto, credo.
Zelena
aveva smesso di piangere e si succhiava le dita.
-
Dobbiamo darle qualcosa da mangiare. – osservò la
donna, baciandola sulla
fronte.
-
Ma... il terremoto...
-
È passato. Vuoi che muoia di fame?
Era
impossibile discutere. Sua moglie era stata ammaliata dalla bellezza di
quella
bambina venuta da chissà dove.
Il
taglialegna uscì. Anche se era molto presto, nella
Città di Smeraldo era già
attivo un piccolo mercato in cui artigiani e contadini vendevano le
loro merci.
Comprò del latte e qualcos’altro per sé
e sua moglie. Quando tornò Zelena aveva
ricominciato a piangere, ma tutto sembrava in ordine. Sua moglie
riscaldò il
latte e poi lo diede alla piccola, che lo bevve, gorgogliando
soddisfatta.
Il
taglialegna sbirciò da sopra la spalla della moglie. Si
ritrovò a contemplare
la bambina, affascinato. Sì, era davvero bellissima, su
quello non c’erano
dubbi. Aveva la pelle liscia, chiara e immacolata. Il viso paffuto. Una
fitta
massa di capelli chiari, tendenti al rosso. Ma erano gli occhi a
catturare.
Quei grandi occhi azzurri. Non aveva mai visto occhi simili, occhi che
sembravano anche... stranamente adulti.
Sei
un osso duro? Sei una che dà
del filo da torcere?
(sei
malvagia?)
-
Chi avrà mai avuto il coraggio di abbandonare questa povera
bambina? Bisogna
essere davvero crudeli. – osservò sua moglie.
Malvagi,
forse, pensò
il taglialegna.
-
Non so. Non ne ho idea.
***
A
due anni Zelena già dimostrava di essere una bambina molto
sveglia. Chiunque la
vedesse se ne innamorava all’istante e lei si lasciava
prendere in braccio da
tutti.
Il
taglialegna aveva evitato accuratamente di parlare dei suoi strani
poteri. Non voleva
che la gente sapesse. Ogni tanto succedevano cose strane, ma sua moglie
fingeva
di non vederle e si dava spiegazioni assurde per non ammettere quella
che era
la verità. Zelena non era come loro.
“È
sola e noi ci occuperemo di
lei”.
Lo
facevano.
Una
mattina, in pieno inverno, il taglialegna si alzò presto,
rabbrividì e quando
guardò fuori dalla finestra scoprì che durante la
notte era caduta molta neve.
I pini gocciolavano e ondeggiavano. Sua moglie dormiva ancora. Si
vestì, aprì
la porta sul retro e notò che il vialetto
d’accesso era scomparso. Ora c’era
solo una lunga striscia bianca mescolata ai riflessi verdi, che erano
le luci
di città. Arrancò fino al portico sul retro e
prese alcuni, solidi ciocchi di
quercia, fermandosi solo un attimo a pestare i piedi prima di
rientrare.
Aveva
appena sistemato i ciocchi nel camino quando udì un rumore
alle sue spalle.
Zelena avanzò sulle gambette traballanti, cadde e
proseguì gattonando verso di
lui.
-
Aspetta un momento, Zelena, devo accendere il fuoco. Qui dentro si
gela.
-
Paaaaaaa… - rispose la bambina.
Non
sono tuo padre.
-
Sì, adesso arrivo, solo un...
Il
taglialegna vide la scintilla. La vide chiaramente e, preso dal panico,
si tirò
indietro. Fortuna che aveva ancora i riflessi pronti.
Vi
fu uno scoppio fragoroso e una vampata di fuoco esplose nel camino. Il
taglialegna urtò una sedia e finì gambe
all’aria. Zelena rise, gioiosa,
allungando una manina verso le fiamme.
-
Ora basta! – gridò suo padre. Si
rialzò, furente, afferrò la bambina e la mise
seduta sul tavolo. Lei si dimenò e cominciò a
piangere. – Inutile che strilli! Sei
stata tu, ti ho vista! Hai acceso il fuoco con i tuoi maledetti poteri!
Zelena
pianse più forte. Ciocche di capelli le erano ricadute sulla
fronte.
-
Chi sei tu?! Chi sei, piccolo essere malvagio?!
-
Ma che cosa sta succedendo? – domandò sua moglie.
Entrò in cucina, attirata dal
trambusto. Prese Zelena in braccio e lanciò al marito
un’occhiata di
rimprovero.
-
È stata lei. Ha acceso il fuoco. L’ho vista!
– si difese lui.
-
Smettila.
-
Ti dico che l’ho vista.
-
È solo una bambina. Non è colpa sua!
Sua
moglie l’amava troppo per rendersi conto di quanto fosse
preoccupante il fatto
che una bambina così piccola avesse già quei
poteri sconcertanti.
***
Zelena
aveva da poco compiuto otto anni quando, una mattina, un bambino con il
quale
giocava spesso e che abitava nei pressi della sua casa le
regalò un fiore. Era
verde brillante, come molte altre cose della Città di
Smeraldo.
Glielo
porse, arrossendo.
-
È per me? – domandò Zelena, sorpresa.
-
Sì. Avrei voluto trovarne uno azzurro, perché i
tuoi occhi sono azzurri. Ma non
l’ho trovato.
Zelena
si sentì lusingata per quel regalo. Fino a quel momento non
le era mai stato
regalato un fiore.
Allungò
una mano, ma prima che il ragazzino potesse consegnarle il fiore, esso
svanì in
una nuvola verdognola e riapparve stretto dalle sue dita. Zelena lo
guardò con
gli occhi sgranati. Poi sollevò lo sguardo, preoccupata. Il
ragazzino la
fissava, incredulo, il viso bianco come ricotta.
-
Scusa. Non lo faccio apposta, davvero. Non so come...
...controllarlo,
stava
per dire.
-
Sei una strega!
-
No...
-
Sì, sei una strega! Ho visto quello che hai fatto!
-
Ti ho detto che non l’ho fatto apposta. Ti prego... non lo
dire a nessuno. Mio
padre non vuole che si sappia.
Il
ragazzino si girò e corse via, più veloce del
vento. Zelena rimase là, con il
fiore tra le mani. Era capitato altre volte che... le scappasse una
magia, ma
non l’aveva mai fatto di sua spontanea volontà.
Era qualcosa che non era in
grado di controllare. Suo padre la osservava spesso con sospetto. Con
rabbia,
anche. Ogni tanto aveva alzato un braccio come per colpirla, ma la
mamma
l’aveva sempre fermato. Sua madre era buona e sembrava non
dare troppo peso a
quei poteri.
-
Cos’è successo, Zelena? – chiese sua
madre, vedendola rientrare, scura in
volto.
-
L’ho fatto ancora.
-
Cosa?
-
La magia.
Sua
madre titubò.
-
È scappato. Credo di avergli fatto paura. Lui è
stato gentile ed io non volevo
spaventarlo. Ma non sono riuscita a controllarmi.
-
Lo so, Zelena. So che è non colpa tua. – Sorrise e
le permise di sedersi sulle
sue ginocchia. Le accarezzò i lunghi capelli rossicci e
ondulati. Avrebbe
voluto che Zelena fosse la bambina più felice di Oz. Quando
l’aveva trovata
aveva pensato di poterla rendere felice. E l’aveva
considerata un dono, perché
non aveva mai avuto dei bambini, pur volendoli. Aveva notato i poteri,
certo.
All’inizio, aveva fatto finta che fosse tutto normale. Dava
la colpa al vento
quando un ramo si spezzava o un albero intero cadeva. Dava la colpa al
terremoto oppure solo alla sua mente stanca quando sentiva gli oggetti
muoversi
sulle mensole o nei cassetti. Dava la colpa a se stessa quando non
trovava
qualcosa e quel qualcosa ricompariva nelle mani di Zelena.
Dovrei
dirle la verità? Dovrei
dirle che non sono sua madre?
“Dobbiamo
dirglielo”, aveva
suggerito suo marito. Ma lui non amava molto Zelena. Non
l’aveva mai voluta
davvero. Aveva anche cominciato a bere.
“No”.
“Sì,
invece. Deve saperlo”.
“E
perché mai? Chiunque l’abbia
abbandonata non la rivorrà certo indietro”.
“L’hanno
abbandonata perché è... malvagia”.
“Non
dire idiozie. È una bambina!”.
“Non
è solo una bambina! Non è come
noi!”.
“Forse
dovremmo portarla dal Mago.
O da qualcuno che possa insegnarle...”
“No,
così tutti vedranno ciò che è
realmente”.
-
Mettiamo il fiore in un vaso. Magari il tuo amico tornerà
– disse la donna.
-
No, non tornerà. Ha paura. Mamma, tu e papà non
avete questi poteri, vero?
-
No, tesoro.
-
Perché?
Titubò
di nuovo. Guardò Zelena e pensò che fosse proprio
graziosa. Una bella bambina.
Sarebbe stato altrettanto bello vederla crescere e diventare una donna
adulta.
Forse con il tempo avrebbe anche imparato ad usare la magia nel modo
giusto. O
forse... forse il Mago di Oz avrebbe potuto aiutarla.
Ma
la donna che aveva cresciuto Zelena non stava bene. Da un po’
di tempo aveva delle
emicranie. Certi giorni erano piuttosto forti.
-
Non lo so, tesoro. Proprio non lo so. – finì col
risponderle.
***
La
moglie del taglialegna morì due anni dopo.
Quella
notte Zelena trovò suo padre in cucina, con la testa
appoggiata sulle braccia.
Ubriaco fradicio. Mugugnava qualcosa di incomprensibile.
Gli
era capitato già altre volte di alzare il gomito. E
c’entrava anche il fatto
che l’avesse vista spesso fare cose che uno come lui non
comprendeva. Era piccola,
ma non le sfuggiva quasi nulla.
-
Padre...
-
Va via... – borbottò, senza nemmeno guardarla.
-
Padre, vi accompagno a letto.
-
No. Va via, ti ripeto. – Alzò una mano per
scacciarla. Zelena indietreggiò di
un passo. – Non ti voglio, va via...
Lei
avrebbe voluto piangere, ma non se ne andò via. –
Padre, avete bevuto
abbastanza.
-
Che ne sai?
-
Lo vedo. Vi accompagno a letto.
Il
taglialegna si alzò pesantemente. La sedia cadde sul
pavimento con fracasso.
Poi con una mano scagliò per terra tutto quello che
c’era sul tavolo.
-
Ci vado da solo, a letto.
-
Non ce la farete, padre.
-
E come vorresti aiutarmi? – Si chinò in avanti,
barcollando. Il suo alito
puzzava terribilmente. La sua voce era roca, impastata e venata di
collera. –
Con la magia? Con la magia che sai usare tanto bene?
Zelena
non rispose. Lo fissò, con gli occhi pieni di lacrime. Si
disse che suo padre
parlava così a causa del dolore. Non doveva dargli retta.
-
Andiamo, padre.
Alla
fine, protestando e farfugliando, lui si lasciò portare a
letto.
-
Sai cosa sei? Malvagia. Sì... sei malvagia. Lo sei sempre
stata... – disse suo
padre, mentre già stava cedendo al sonno.
Zelena
pianse in camera sua, soffocando i singhiozzi nel cuscino.
***
Tre
giorni dopo suo padre si decise a mangiare qualcosa di solido. Aveva un
aspetto
tremendo: barba lunga, capelli sporchi e spettinati, gli occhi rossi e
cerchiati da ombre scure.
-
Non mi guardare così. So di non avere un
bell’aspetto. Devo darmi una
sistemata. Bisogna apparire sempre al meglio, Zelena, qualsiasi cosa
succeda. –
Inciampò e per poco non cadde. Afferrò il bordo
del tavolo per mantenere
l’equilibrio. Imprecò. – Hai capito?
Ricordatelo.
-
Va bene, padre.
-
Preparami la colazione, adesso!
-
Tra un attimo. Prima, volete che vi faccia la barba?
-
Tu fare la barba a me?
-
Non credo possiate farvi la barba da solo, padre. Vi tremano le mani.
Potreste
tagliarvi.
-
Anche tu potresti tagliarmi, bambina impertinente!
Zelena
deglutì. – Vi ho visto tante volte mentre vi
facevate la barba. Posso aiutarvi.
Davvero. Starò attenta... a non tagliarvi, padre.
A
non usare la magia, anche. Solo
che lei non sapeva come avrebbe potuto evitare di usare la magia,
perché quella
veniva da sé. Da dentro. Da qualche posto profondo che
Zelena non riusciva a raggiungere,
perché nessuno le aveva mai indicato la via. Ma non voleva
che suo padre si
arrabbiasse ancora. Non voleva che suo padre le dicesse che era
malvagia. E
voleva sua madre. Voleva la mamma che le aveva sempre dimostrato il suo
affetto,
nonostante tutto. Voleva la mamma che le aveva detto più
volte che lei era
buona. Che non era colpa sua.
Ma
la mamma non c’era più.
Intanto
suo padre borbottò, protestò un poco e alla fine
si arrese. E Zelena lo aiutò a
farsi la barba.
***
Il
fazzoletto comparve dal nulla, preceduto da un verde sfavillio.
“Non
toccarmi!”, urlò
suo padre, alzandosi e prendendo le distanze dalla ragazza che sedeva
dinanzi a
lui. Il taglialegna
aveva gli occhi
fuori dalle orbite per la paura.
“Mi
dispiace. Non posso farne a
meno”, rispose
Zelena.
“Intendi
dire che non puoi
controllarlo”.
“Forse
se mi permetteste di
imparare come...”
“Così
chiunque vedrebbe ciò che sei
davvero. Malvagia”. Sputò
fuori quella parola con disprezzo,
dopo una breve pausa.
Malvagia.
Malvagia.
Malvagia. Malvagia.
La
parola batté nel suo cranio come un maglio. Scandiva i
battiti del suo stesso
cuore.
Malvagia.
Malvagia. Malvagia.
TUM-TUM.
TUM-TUM. TUM-TUM.
Zelena
si voltò a guardarlo, furibonda e ferita.
La voce le uscì stridula e sconvolta. “Come potete dire una cosa simile a
vostra figlia?”.
Nessuna
pausa tra la sua domanda e ciò che venne dopo. Nessuna paura
e nessuna
esitazione.
“Perché
tu non sei mia figlia!”
TUM-TUM.
TUM-TUM. TUM-TUM.
Il
cuore perse un battito. Forse due.
“Di
che cosa state parlando?”, riuscì
a chiedere.
“Non
sei nostra figlia, Zelena. Ti
abbiamo trovata nel bosco, in una cesta portata da un tornado. Tua
madre ha
voluto tenerti. È stata ammaliata dalla tua bellezza, ma
sotto c’era
qualcos’altro...”
TUM-TUM.
TUM-TUM.
“La
tua malvagità”.
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Okay,
ho svelato il mio piccolo segreto: ho un debole per
quell’invidiosa di Zelena.
Appena ho visto la puntata 3x16 ho subito voluto dedicarle una one
shot. Quando
entro in empatia con i fictional characters è molto
pericoloso. xD
A
parte ciò, spero vi sia piaciuta. Non ho dato nomi ai
genitori di Zelena, visto
che la serie televisiva non ha dato informazioni a riguardo. Avrei
potuto
inventarmeli, ma ho deciso di non farlo.