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Autore: HikariKamishi    10/04/2014    1 recensioni
Un ragazzo e una ragazza frequentano la stessa classe al liceo.
Diventano migliori amici e lei si innamora di lui, ma non ha il coraggio di dirglielo.
E lui? Ricambia il sentimento o lei è semplicemente un'amica?
{Accenni JongKey}
[Tratto da una storia vera: la mia storia...]
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo Personaggio, Quasi tutti
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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… Arrivati là, feci un lungo respiro e cominciai a parlare.
Non so dire chi mi diede il coraggio e la forza di aprire bocca, ma poteva anche risparmiarseli.
-“Allora, la farò breve: Dato che ti sei ricordato il mio nome, dato che ricordi che esisto e che stiamo nella stessa classe, puoi dirmi perché non mi hai parlato per tutto questo tempo?” pronunciai le parole tutte d’un fiato, senza rendermene nemmeno conto.
Lui alzò gli occhi al cielo scocciato e incrociò le braccia al petto, portandosi  una gamba dietro l’altra e appoggiandosi al muro.
-“E’ l’ultima volta che te lo chiedo, giuro.” Quasi mi sentii in colpa per averglielo chiesto.
Non volevo che la situazione peggiorasse, non avrei potuto sopportare tutto quello daccapo, per chissà quanto tempo.
-“Ti sei comportata male.” Mi rispose, girandosi da un’altra parte.
-“Mi dispiace.” Gli chiesi scusa, senza sapere nemmeno il motivo.
Mi sentii veramente stupida perché dentro di me pensavo “perché, che ho fatto?”
Non so come, ma ciò che avevo appena pensato uscì dalle mie labbra.
-“Te lo dico adesso, ma non te lo ripeto più.” Disse, come se fosse una minaccia.
-“D’accordo.” Mi sentii così impotente.
-“Mi hai scocciato … Ti comporti troppo male! Rompi le palle, quando sto con te mi sento in trappola, mi tratti male e non credi mai a ciò che ti dico.” Disse tutto quello velocemente, guardandomi negli occhi.
-“N-non capisco.” Sentivo l’ansia salire ad ogni suo battito di ciglia.
-“Non capisci?” chiese, sorridendo ma con tono arrabbiato.
-“No.” Era così crudele.
-“Allora ti spiego: Sono stanco di tutte le tue prese in giro… Mi tratti troppo male! N-non sono il tuo bambolotto. Non ti fidi di me e non mi credi mai… S-se ti dico che mio nonno non sta bene vuol dire che mio nonno non sta bene.-Mentre lo diceva, gesticolava molto e ogni tanto balbettava.- E quando non voglio entrare non mi devi rompere le palle. È mai possibile che devo nascondermi per non farmi vedere da te? Cosa sono, un l-ladro?” imprecò a voce bassa.
Intanto il mio cuore cominciò a far male.
Davvero mi stava dicendo tutte quelle cose orribili? Le pensava davvero?
Mi sentii stupida.
Avrei voluto fare faccia e muro mille volte.
-“Mi dispiace…” mi scusai di nuovo.
-“Figurati.” Rispose, girandosi di nuovo dall’altra parte.
-“So di essermi comportata male, ma l’ho sempre fatto per…”
… il tuo bene?
Non lo facevo per il suo bene, ma per il mio.
Ero un’egoista! A me non importava molto che lui si prendesse l’assenza o un brutto voto, m’importava solo il fatto che senza lui la mia giornata non aveva senso.
Se non c’era lui, non aveva senso restare là, chiusa in un’aula per sei ore.
-“il mio bene?” terminò la frase.
 -“Non lo so.” Gli risposi, abbassando lo sguardo.
Lui mi guardò per un po’, senza dire nulla.
Io non avevo il coraggio di alzare lo sguardo e incontrare il suo.
Sapevo che se avessi visto i suoi  occhi, sarei scoppiata in lacrime.
-“So di essermi comportata male e mi dispiace, ma tu ti sei comportato peggio.” Sputai quest’ultima frase, come se fosse una medicina amara.
-“Lo so… Mi dispiace.”
-“Se ti dispiace perché lo hai fatto?” gli chiesi, con tutta la rabbia che avevo in corpo.
-“Per punirti.”
-“P-punirmi?” non capii.
-“Sì… Così impari a comportarti come si deve!” mi rimproverò.
-“Io devo imparare a comportarmi come si deve? Tu devi farlo! Sei un ipocrita!” quasi glielo urlai.
-“Ipocrita?” mi fece eco, ironizzando la cosa.
-“Sì! Non mi hai mai detto che ti dava fastidio questo mio atteggiamento! È normale, secondo te, quello che fai? Fai tanto l’amico e appena ho bisogno di te, cosa fai? Te ne vai. Non mi parli più… M-mi vedi piangere e te ne freghi … Non si abbandonano nemmeno i cani, figurati gli amici.” Cominciai a balbettare anch’io.
-“Non posso starti vicino, mi spiace.” Abbassò la testa.
-“Non dispiacerti, in fondo a te cosa importa se io sto bene o male? Nulla… Io ho passato un periodo d’inferno a causa tua, ma a te che importa?”
-“Un periodo d’inferno a causa mia? Perché, io chi sono?”
Quella domanda fu come un fulmine a ciel sereno.
Era la domanda più difficile che mi avessero mai fatto.
Chi era lui?
Non potevo di certo dirgli che per me era tutto.
Non potevo di certo dirgli che era il motivo per il quale mi alzavo al mattino.
Non potevo di certo dirgli che era il mio ossigeno, la mia ragione di vita.
No, non potevo farlo.
-“Un amico.” Gli dissi, scandendo la parola.
-“E allora?”
-“E allora, cosa? Il nostro rapporto l’abbiamo preso in modo diverso… Per me sei un amico, mentre per te, io sono solo una compagna di classe.”
-“Che differenza c’è?” rimasi quasi shockata da quella domanda.
-“C’è che noi in classe ne siamo ventidue, ma di ventuno persone non m’importa… M’importa solo di te.”
-“L’amicizia non esiste, Chaerin.- Disse rassegnato.- prendi me e Jonghyun ad esempio: siamo molto uniti, ci confidiamo l’uno con l’altro e ci divertiamo insieme, ma so che tra quarant’anni, se ci rincontriamo, non ci salutiamo neanche più.”
-“Io invece pensavo che se ci saremo rincontrati tra quarant’anni, ci saremo chiamati nana e ranocchio, proprio come un paio di mesi fa.”
-“Hai pensato male.-Mi guardò per qualche istante, prima di continuare- Possiamo andare?”
-“Un’ultima domanda… Cosa provavi quando non ci parlavamo? Cioè, a te non importava del fatto che non ci guardavamo nemmeno più in faccia?”
-“Cosa provavo? Nulla.” Mi sentii morire.
Aveva preso il mio cuore, lo aveva accartocciato tra le mani e gettato via come se fosse un pezzo di carta.
Non mi sarei mai aspettata delle parole così crudeli, non da lui.
Mi stava dicendo che io ero una semplice compagna di classe, come lo erano tutti gli altri.
Mi stava dicendo che a lui non faceva nessun effetto il fatto che non ci parlavamo.
Mi stava dicendo che mi aveva preso in giro per un anno e mezzo.
Gli occhi si appannarono improvvisamente: era il segnale di un pianto imminente.
Pregai Dio di mandare una qualche distrazione per non piangere e fortunatamente le mie preghiere furono esaudite.
Vidi arrivare il mio angelo custode dal sorriso d’oro.
-“Ragazzi, è suonata!” ci annunciò Jinki.
-“Davvero? Non me ne ero accorto.- disse Minho, agitandosi e correndo via- Devo scappare o perderò il pullman! Ciao.”
-“Tutto apposto?” mi chiese l’angelo, accarezzandomi una spalla.
Feci segno di no con la testa e gli mormorai un “grazie”.
Lui mi fece l’occhiolino e mi disse
-“Andiamo dai, non pensarci.”
Annuii e ci avviammo verso l’uscita.
Arrivati davanti al cancello, Jinki dovette correre a prendere il pullman e io rimasi da sola ad aspettare Saiako, Mika e Sulli.
Furono i due minuti più lunghi di tutta la mia vita.
-“Saiako, cazzo, esci!” avevo bisogno di una spalla su cui piangere, e quale spalla migliore di quella della riccia, poteva consolarmi?
Quando la vidi uscire, pensai di aver visto la luce.
Le andai subito incontro e l’abbracciai forte, scoppiando in un mare di lacrime.
-“Noo, Chaerin! Non piangere suu!” disse freneticamente, cercando di tranquillizzarmi.
Io continuai a piangere per un bel po’.
 . . .
Il giorno seguente era il compleanno di Minho.
Quando lo vidi davanti alla scuola gli feci gli auguri e subito mi allontanai.
Non avevo più il coraggio di guardarlo in faccia, non dopo quello che mi aveva detto.
Quella giornata fu devastante per la mia psiche e per il mio cuore.
Jinki non c’era e tutti gli altri stavano appresso a Minho, ovviamente, e nessuno mi degnava nemmeno di uno sguardo.
La prima ora passò troppo lentamente e in quell’aula, senza nessuno al mio fianco, mi sentivo morire.
“Finsi” di star male e chiesi all’insegnante di uscire per prendere un po’ d’aria.
Una volta uscita, mi si avvicinò la bidella di quel piano.
-“Bambolina, cos’hai?”

Quella parola.

*“Ciao bambolina, io sono il ranocchio Choi Minho.. A quanto pare saremo compagni di banco nell’ora di matematica!”*
(Capitolo 1)

Perché, con tanti bei “soprannomi”, aveva dovuto usare proprio quello?
-“Mi fa male la testa.” Mentii.
-“Sicura che è la testa e non il cuore?” mi chiese la donna, mettendomi una mano sulla spalla sinistra.
Mi girai di scatto verso di lei, spalancando gli occhi, incredula.
-“S-sì.” Mentii, di nuovo.
Non so come, ma quella donna riuscii a farmi tirar fuori tutto.
Cinque minuti dopo, sapeva tutto di me.
Le avevo raccontato la faccenda di Minho, facendo addirittura il suo nome.
Non ero il tipo di persona che si fidava facilmente degli altri, ma quell’anziana signora mi ispirava tanta sicurezza. Forse perché era una donna molto sfortunata… Avevo già sentito parlare di lei nei corridoi e avevo sentito che sua figlia era morta una decina di anni prima, a trent’anni. Non sapevo la causa della perdita, ma sapevo che era stata colpa del marito.
Non mi sembrò il caso di chiederglielo, anche perché sapevo che ne soffriva molto.
Ma comunque, dopo che le ebbi raccontato la faccenda, lei mi disse le seguenti parole.
-“Non ti merita. Lui ti usa! Sta con te solo quando gli fa comodo. Non ti apprezza abbastanza… L’amicizia? L’amicizia non esiste. L’unico legame sincero è quello tra madre e figlio… So che ci stai male, ma devi fartene una ragione.- mi porse un fazzoletto- Non piangere.”
Non mi ero accorta di star piangendo… Forse perché nell’ultimo periodo era una cosa abbastanza ripetitiva.
Negli ultimi due mesi, avevo pianto più di quanto avessi mai fatto in tutto il resto della mia vita.
Ma quella donna aveva ragione. Erano parole dure, ma vere.
Anche se non volevo crederci, dovetti farlo per forza… In fondo io già sapevo tutte quelle cose, ma avevo bisogno che qualcun altro, a parte Jinki e Saiako, me lo dicesse.
-“Cosa devo fare?” le chiesi disperata, tra un singhiozzo e l’altro.
-“Ignoralo.-Mi rispose subito, senza pensarci una seconda volta.- Quando lui ti chiede qualcosa, tu dì solo “non lo so” o “non lo so fare”… Così lui non verrà più da te e finalmente capirai com’è realmente.”
-“E se poi viene di nuovo da me?”
-“Ignoralo lo stesso. Ti rendi conto che tra un paio d’anni la scuola finirà e non vi vedrete più? Come farai poi?” Era la stessa domanda che mi ripetevo ogni sera, prima di addormentarmi.
“Come trascorrerò il resto della mia vita senza lui?”  
Non riuscivo a darmi una risposta e temetti che non sarei mai riuscita a farlo.


   
 
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