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Autore: Clary F    10/04/2014    9 recensioni
Normali. Se così si possono definire i ragazzi che frequentano il liceo St. Xavier di New York. Clary e Simon sono sfigati. Magnus è l'organizzatore di feste per eccellenza. Jace, Isabelle e Alec sono i capi indiscussi della scuola. Me è davvero questa la realtà?
Alto contenuto di clichè americani e di glitter.
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Clarissa, Jace Lightwood, Magnus Bane, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Titolo: Of Pink-Bane and Glitter
Contesto: Generale, vago.
Personaggi: Clary, Jace, Simon, Isabelle, Magnus, Alec, Jordan, Maia, Jonathan.
Coppie: Clary/Jace, Magnus/Alec, Isabelle/Simon, Jordan/Maia.
Disclaimer: Nel testo è presente una citazione da Gossip Girl e una da Città di Vetro.
Note: La storia è ambientata in universo alternativo, dove i personaggi sono persone normali, prive di poteri. Forse.



OF PINK-BANE AND GLITTER


I giorni alla St. Xavier sembravano scorrere inesorabili nella monotonia delle lezioni. Era un venerdì mattina soleggiato e Clary Fray si accinse ad aprire lo sportello del suo armadietto, per recuperare i libri per la lezione della prima ora. Non fece in tempo ad aprirlo, che Simon, il suo migliore amico da sempre, sbatté con forza una mano sullo sportello, facendole fare un piccolo balzo all'indietro. Alcuni studenti nel corridoio si voltarono a guardarli, cercando la fonte di quel fracasso e Clary alzò gli occhi al cielo. Alle superiori nessun gesto passava inosservato, era come stare per otto ore al giorno sotto un'enorme lente di ingrandimento. Un passo falso e tutta la scuola avrebbe iniziato a puntarti il dito contro, a bisbigliare al tuo passaggio o, nei casi più disperati, a umiliarti pubblicamente. Tra il palmo della mano e la superficie metallica dell'armadietto, Simon teneva un volantino ricoperto di glitter luccicante, scritto in un'elegante calligrafia dal colore viola acceso.
«Noi dobbiamo assolutamente andare a questa festa.»
Simon le sventolò il volantino sotto il naso e Clary cercò di leggere cosa vi era scritto, nonostante il movimento oscillatorio causato dall'amico. Siete tutti invitati alla magnifica, fantastica, pirotecnica festa organizzata da Magnus Bane. Dalle nove di stasera in poi, presentatevi al numero 13 di Woodbury Road. Più sotto, coperto da uno strato di brillantini multicolore, c'era un post scrittum. Abbigliamento consono. Selezione all'ingresso.
Clary corrugò la fronte, aprendo finalmente l'armadietto e caricandosi di libri di letteratura. «Scusa, credo di aver appena avuto un'allucinazione estremamente vivida.» Alzò un sopracciglio rossiccio e guardò Simon. «Tu vuoi andare alla festa di Bane? Ma se il venerdì sera ti devo trascinare, letteralmente, per farti passare una serata al Pandemonium e farti scollare dal quel computer mentre giochi ad Halo?»
«Stasera mi sento in vena di follie.» Ribatté il ragazzo, passandosi una mano fra i ricci castani, lievemente imbarazzato. «Dai, sarà divertente. Ho sentito dire che Magnus ha anche una piscina, e dei cavalli, e un campo da golf e -» si interruppe, cercando di ricordare cos'altro avesse sentito riguardo i beni di Magnus.
«Io odio i cavalli.» Asserì Clary, appoggiandosi con la schiena all'armadietto e stringendo fra le braccia i libri. «E poi sai benissimo che quel genere di feste non è per noi,» avrebbe voluto aggiungere noi sfigati, reietti della società, ma non voleva rovinare il buon umore di Simon. «Insomma, nessuno ci ha invitato.» Continuò lei e quando Simon fece per aprire bocca lo zittì con un gesto della mano. «Lo so che l'invito è aperto a tutti, ma secondo te quel selezione all'ingresso cosa vuol dire? Una volta arrivati là ci dirà che non possiamo entrare perché non abbiamo i vestiti adatti, o i capelli adatti, o le facce adatte.»
«Ho sentito dire che Bane è un tipo a posto, non è quel genere di persona.» Disse Simon, annuendo a sé stesso. «Beh, certo, è un po’ fissato con la moda. Ma per una sera possiamo metterci un vestito carino e vedere che succede, no?»
Clary lo guardò a bocca aperta, trattenendo a stento una risata. «Inizi a spaventarmi, Simon Lewis. Non è che Raphael ti ha venduto un po’ di roba? No, perché se così fosse dovresti imparare a condividere con la tua migliore amica.»
«Sai benissimo che sono contro ogni tipo di droga, Fray.» Rispose Simon, in tono fintamente pomposo. La campanella risuonò lungo tutti i corridoi, preannunciando l'inizio della prima ora. Clary chiuse gli occhi per un istante, pregando che la giornata finisse in fretta.
«Devo andare a letteratura, se arrivo di nuovo in ritardo Starkweather mi uccide. Riprendiamo il discorso a pranzo.»
Il ragazzo annuì e Clary si avviò verso l'aula di letteratura, prendendo posto in uno degli ultimi banchi. Odiava le lezioni di letteratura. Tutte quelle parole, pronunciate da persone sconosciute vissute secoli prima, sembravano non esercitare il minimo fascino su di lei. Le sembravano fredde e impersonali e la recitazione rigida del professor Starkweather non aiutava di certo la cosa. Preferiva di gran lunga l'ora d'arte, l'unica materia in cui si sentiva superiore agli altri studenti. Si lasciò cadere sulla sedia e aprì il libro a pagina 365, iniziando a disegnare sui margini bianchi della pagina. La classe era già piena, ad eccezione dei due banchi davanti a lei, ancora vuoti. Il professore era alla cattedra ed aveva già iniziato a scribacchiare sulla lavagna. Ben presto arrivarono anche i due ritardatari e Clary staccò per la prima volta gli occhi dal suo disegno, osservandoli entrare dalla porta, uno con fare spavaldo ed arrogante, il secondo con aria più umile ed un'espressione di pura adorazione nei confronti dell'altro. Jace Wayland e Alec Lightwood presero posto nei due banchi davanti al suo. Starkweather, che di norma spediva i ritardatari dritti dal preside, non fece una piega e continuò a scrivere alla lavagna. Clary provò un'ondata di rabbia nei confronti di quei due giovani. Ecco cosa significava essere popolari, non dover sottostare alla normali regole, non dover preoccuparsi di cosa indossare, né di cosa dire, né di arrivare in ritardo. Certo, avere il viso di un angelo e il fisico di una statua greca a volte poteva aiutare ad arrivare in cima alla piramide della scala sociale senza alcuno sforzo, come era capitato a Jace Wayland, per l'appunto. Era così bello che, a volte, Clary si accorgeva di trattenere il fiato se lui era nei paraggi. Questo non faceva che innervosirla ancora di più, visto che lo reputava un idiota arrogante e presuntuoso. Si costrinse a distogliere gli occhi verdi dalla nuca di Jace Wayland, puntandoli ostinatamente sul suo libro. Ma la nuca di Jace Wayland aveva un che di magico, un'attrazione che andava al di là di ogni legge fisica. I suoi capelli riflettevano la luce solare che penetrava dalle finestre, illuminandoli di una luce dorata così intensa da far male agli occhi. Il giovane si dondolava distrattamente sulle gambe posteriori della sedia, un braccio ciondolante, tutto in lui sembrava essere studiato per attrarre e ammaliare. Clary non era l'unica, infatti, ad osservare Jace. Al suo ingresso molte, quasi tutte, le ragazze della classe avevano alzato gli occhi, sussurrando bisbigli alle compagne di banco e soffocando risatine. Jace si voltò verso Alec e Clary ebbe una visuale completa del suo profilo perfetto, zigomi alti e naso dritto leggermente all'insù.
«Ehi, stasera Izzy vuole che andiamo alla festa di Bane,» lo sentì sussurrare verso il ragazzo dai capelli neri. Alexander Lightwood era un altro dei ragazzi più popolari della scuola. Aveva grandi occhi blu e capelli fini e lucenti di un nero intenso e sembrava pendere completamente dalle labbra di Jace. Clary sapeva che era più grande di loro di un anno, ma anche che in prima era stato bocciato, probabilmente per poter stare in classe con Jace, rifletté la ragazza.
«Io non vengo.»
«Non dire cazzate, Alec. Tu verrai o tua sorella ti staccherà la testa con quel braccialetto a forma di frusta che porta sempre al polso.» Sogghignò Jace.
«Sai che quel tizio non mi piace.» Bofonchiò lui, in risposta.
«Chi, Bane? Ma se organizza le feste più assurde di tutta New York.»
«Forse è per questo che non mi piace. E poi si veste come Lady Gaga, dai è assurdo.»
«A me piace Lady Gaga.» Sussurrò Jace e Clary, che stava origliando la conversazione, alzò gli occhi al cielo. «E noi andremo a quella maledetta festa. Non vorrai passare l'ennesimo venerdì sera a guardare le repliche di Laguna Beach in tv?» Concluse Jace, con voce velenosa e un ghigno da stronzo dipinto sul volto.
Vide Alec arrossire furiosamente e Clary non riuscì a trattenere una piccola risatina. Se ne pentì immediatamente. I due ragazzi si voltarono verso di lei simultaneamente e si ritrovò persa negli occhi color oro lucido di Jace. Non era mai stata così vicina al suo viso, prima d'ora, e riuscì a scorgere le piccole pagliuzze dorate dell'iride, mischiate ad uno spruzzo di azzurro tra tutto quell'oro. Arrossì furiosamente e distolse in fretta lo sguardo. Jace fece un'espressione compiaciuta, coronata da un ghigno beffardo che fece fare una capriola allo stomaco di Clary.
«E tu, rossa, ci vieni alla festa?» Le chiese Jace, in un sussurro complice, per non attirare l'attenzione del professore, girato di spalle e troppo intento a scrivere alla lavagna. Lei cercò di deglutire, ma la sua gola sembrava completamente prosciugata, per cui la voce le uscì leggermente roca, facendola arrossire ancora di più.
«Io … n-non lo so ancora.»
Alec sembrò perdere interesse per lei e si voltò di nuovo verso la lavagna, senza degnarla di un ulteriore sguardo.
«Comunque ho un nome.» Continuò lei, riprendendo il controllo sulla propria voce.
«Come, scusa?» Fece Jace, osservandola con occhi pigri e annoiati.
«Ho detto che ho un nome. Non mi chiamo rossa. Mi chiamo Clary.»
Le labbra di Jace si sollevarono agli angoli, in un mezzo sorriso.
«Lo so, ma preferisco rossa.» disse Jace. Clary lo fissò con espressione profondamente scioccata.
«Wayland, Fray, il Giulio Cesare di Shakespeare non è abbastanza interessante per voialtri?» Li riprese il professor Starkweather, con voce pacata. Clary si sentì gli occhi del resto della classe addosso e arrossì di nuovo.
«Certo che no, Hodge.» Jace era l'unico che poteva permettersi di chiamare i professori per nome di battesimo, pensò Clary distrattamente, cercando di ignorare le occhiate omicide provenienti da buona parte delle ragazze della classe di letteratura. «Tra il concepire un'impresa terribile e il tradurla in azione c'è uno spazio ch'è un sogno orribile, come un fantasma. L'anima razionale e le passioni in quel momento siedono a consulto e tutto l'essere umano è in subbuglio come un piccolo regno ch'è in rivolta.» Il giovane recitò alcuni versi del poema e per la prima volta, Clary avvertì un tremito lungo la schiena. Forse la letteratura non faceva poi così schifo, se era Jace Wayland a recitarla.
Il professore lo guardò con un misto di esasperazione e ammirazione. «Wayland, la tua perspicace memoria non ti basterà a passare gli esami di fine anno.»
«Oh, certo che no. A quello ci penserà il mio charme
Una serie di risatine, prevalentemente femminili, fece da sottofondo al suono insistente della campanella. Tra rumore di banchi e sedie che raschiavano a terra, il professor Starkweather cercò di assegnare i compiti per la settimana successiva, ma Clary era già sgattaiolata via dall'aula, ancora frastornata dall'idea di aver parlato con Jace per la prima volta, dopo quattro anni. Certo, aveva sognato mille volte quel momento, e nel sogno lei non balbettava né arrossiva come un pomodoro e magari indossava un abito carino, anziché un paio di jeans e una camicia a quadri da contadinotta. Per il resto della mattinata si trascinò da una lezione all'altra come un automa, fino a che non arrivò l'ora di pranzo. Fortunatamente l'estate era alle porte e agli studenti era permesso mangiare all'esterno. Clary si sedette al suo solito tavolo, raggiunta pochi secondi dopo da Simon. Rimase a fissare il suo vassoio con il pranzo, lo sguardo vacuo e nessuna voglia di mangiare.
«… quindi Luke potrebbe accompagnarci con il suo pick-up, che ne dici?» Stava dicendo Simon. «Clary? Terra chiama Clary?»
«Uhm, sì.»
«Non hai sentito una parola di quello che ho detto, vero?»
Lei lo guardò con aria colpevole. «Ehm, no.»
«Ho detto che stasera potrebbe accompagnarci Luke alla festa.»
«Certo, l'entrata in scena con il pick-up di Luke guidato da un genitore non farà altro che farci guadagnare punti nella scala sociale.» Borbottò, alzando un sopracciglio.
«Hai ragione. Pessima idea. Ehi, Jordan!» Simon si sbracciò in direzione di un ragazzo muscoloso e abbronzato, affiancato da una ragazza con una testa fitta di treccine castane. I due si sedettero al loro tavolo.
«Ciao ragazzi.» Disse Jordan, con un sorriso bianco e perfetto. «Lei è Maia, la mia ragazza. Simon, senti puoi dire ad Eric di smetterla di chiamarmi ogni sera? Non ce la faccio più, continua a cambiare nome alla band …»
Jordan e Simon iniziarono una discussione vivace su quanto fosse idiota Eric e suoi nuovi pezzi che avrebbero dovuto suonare prossimamente in un locale a Brooklyn. Clary sapeva che Jordan era una new entry nel gruppo, quindi non era ancora abituato al comportamento ossessivo compulsivo del loro amico Eric. Si prese qualche minuto per osserva la ragazza di fronte e lei, che guardava Jordan con occhi pieni di amore. Era molto carina, notò Clary, e sembrava simpatica, cercò di fare uno sforzo e le sorrise. Probabilmente il suo sorriso era più simile ad una smorfia, ma almeno ci aveva provato. In diciassette anni di vita Clary non aveva mai fatto amicizia con una ragazza, questo perché, fondamentalmente, a lei le ragazze non piacevano, preferiva di gran lunga la compagnia maschile. Ma forse era ora di cambiare.
«Foolish Virgins?!» Esclamò Simon ad alta voce, risvegliandola dai suoi pensieri. «Vergini Stupidi? Eric è pazzo.» Concluse, scuotendo la testa, esasperato.
«È quello che dico anche io.» Fece Maia, con una smorfia.
«Una band non si può chiamare Foolish Virgins!» Rintuzzò Jordan.
«Attirerete un sacco di ragazze con quel nome,» disse Clary, soffocando una risata dietro il suo bicchiere d'acqua. Maia rise. Sì, decisamente quella ragazza iniziava a piacerle.
«Voi ci andate alla festa di Magnus Bane, stasera?» Chiese Simon agli altri due, cambiando discorso. Maia e Jordan si scambiarono un'occhiata.
«Non è proprio il nostro genere, amico.»
«Neanche il nostro.» Rispose Simon. «Ehi! Tu hai un furgone, giusto?» Chiese a Jordan, illuminandosi tutto d'un tratto.
«Sì,» rispose Jordan, cautamente.
«Dovreste assolutamente venire. Potremmo andare con il tuo furgone! Che ne dici, Clary?»
Ma Clary non stava di nuovo ascoltando. Aveva appena intercettato Jace e la sua combriccola, seduti al solito tavolo, quello dei vincenti. Jace era circondato da due ragazze bionde con la divisa da cheerleader, che sembravano trovare ogni scusa possibile per mettergli le mani addosso. Lui sembrava godersi un sacco quelle attenzioni e Clary strinse i pugni sotto il tavolo. Poi le due oche bionde furono bruscamente scacciate da Isabelle Lightwood, la sorella di Alec. Isabelle era probabilmente la ragazza più bella della scuola, aveva dei capelli neri lunghissimi e lucidi come seta. Occhi neri che sembravano soppesare ogni tuo difetto, sempre se eri degno di ricevere uno dei suoi sguardi. Ovviamente era anche il capitano delle cheerleader. Con un gesto sprezzante della mano fece allontanare le due bionde, prendendo il loro posto accanto a Jace. I due iniziarono a sussurrarsi all'orecchio e a ridere di chissà quali segreti. Clary sapeva che Jace viveva con i Lightwood, quindi Isabelle era come se fosse una specie di sorella per lui. Ma non c'erano legami di sangue ad impedire a quei due di … scosse la testa, cercando di focalizzare l'attenzione sulla conversazione che si stava tenendo al suo tavolo.
«Sì, insomma,» stava dicendo Maia, con aria cospiratoria. «Girano delle voci che Magnus sia andato a letto con la professoressa di francese.»
«Chi? La Belcourt?» Chiese Simon, esterrefatto. Maia annuì. «Ma è terrificante!»
«Certo, se non ti piacciono le bionde prosperose con profondi occhi blu.» Intervenne Jordan, meritandosi un'occhiataccia da parte di Maia.
«Ma dai! Quella è cinquantaquattro chili di puro silicone e abiti griffati.» Ribadì Simon.
«E poi avrà duecento anni in più di lui.» Confermò Maia.
«Credete che ci saranno anche i Lightwood alla festa?» Chiese Clary, parlando di sua spontanea volontà per la prima volta, senza riuscire a trattenersi.
«Credo di sì. Dove c'è festa ci sono loro, di solito.» Rispose Jordan. «Non avrai intenzione di intraprendere una scalata sociale?» La prese in giro il ragazzo.
No di certo, pensò Clary. Il liceo era come una grande piramide egizia, divisa in classi sociali. Chi cercava di scalare verso la vetta, finiva inevitabilmente per cadere a terra, spiaccicandosi al suolo come un pomodoro maturo.
«La scalata sociale non è mai una buona idea, avete visto come è ridotta Aline Penhallow?» Disse Maia, girandosi verso un punto imprecisato del cortile. Aline aveva cercato di spodestare Isabelle dal suo status indiscusso di regina della scuola. Inutile dire, che per la povera sprovveduta fosse stata una mossa decisamente azzardata. Aline, prima, faceva parte della squadra delle cheerleader, era popolare, sedeva al tavolo di Jace. Ora, era stata cacciata dalla squadra, nessuno le rivolgeva parola, nemmeno i reietti, così era costretta a mangiare da sola ogni santo giorno. A volte Clary provava un intenso moto di pietà per quella ragazza, che veniva subito cancellato dal ricordo di lei, nell'ora di ginnastica, che faceva commenti acidi ad alta voce sulla sua mancanza di forme e sulla sua altezza, o meglio, bassezza.  
In effetti, ora che ci pensava, l'ora di pranzo era un momento perfetto per capire la divisione delle classi sociali. C'era il tavolo dei Lightwood, capi indiscussi della scuola; il tavolo dei secchioni, quelli che non si impicciavano mai nelle questioni mondane perché troppo occupati a pensare ad Harvard o Yale. Il tavolo della squadra di football. Il tavolo di Magnus Bane, il personaggio più eccentrico di tutta la scuola. E i tavoli degli sfigati, come lei.
«Ciao Simon.»
Esclamò una vocina alle loro spalle, facendoli sobbalzare. Apparteneva ad una ragazzina esile, con boccoli biondi che la facevano assomigliare molto a Dorothy, la protagonista del Mago di Oz. Simon arrossì furiosamente, passandosi una mano fra i riccioli castani, come ogni volta che era in imbarazzo.
«Ehm, ciao Maureen.» Bofonchiò a mala pena. La ragazzina sorrise raggiante, contenta che Simon si fosse ricordato il suo nome, dopodiché corse dal suo gruppo di amiche ridoline, che la aspettavano a qualche metro di distanza. Clary la riconobbe, era Maureen Brown, del primo anno. E aveva una cotta pazzesca per Simon.
«Dovresti trattare meglio le tue fan.» Lo rimproverò Clary, ridendo di gusto.
«La mia unica fan, vorrai dire!» Rispose amareggiato.
Clary gli tirò una gomitata in un fianco, continuando a ridere con poca grazia.
«Ciao, rossa
Si immobilizzò, tutto il suo corpo era rigido e teso. Era stata così impegnata a prendere in giro Simon, che non si era accorta dei Lightwood e la loro corte, che passavano in quel momento accanto al suo tavolo. Gli occhi verdi di Clary si incrociarono con quelli d'oro di Jace. Durò un attimo, prima che il ragazzo distogliesse lo sguardo e continuasse dritto per la sua strada, ma Clary sentì il cuore martellarle nelle orecchie. Rimase a boccheggiare come un pesce rosso, senza spiccicare parola, finché Simon non le mise una mano sulla spalla, scuotendola leggermente.
«Stai bene?»
«Sì,» fece lei, arrossendo furiosamente e coprendosi il più possibile il viso con l'ammasso di capelli rossi. Aveva fatto la figura dell'idiota davanti a Jace Wayland. Per la seconda volta nell'arco di otto ore.
«Da quando quel Wayland ti saluta?» Le chiese Simon, un po’ stizzito.
«Da ora.»
 
 
Clary si guardò allo specchio per l'ennesima volta. Il riflesso mostrava una ragazza troppo bassa, con i piedi nudi sul pavimento freddo della sua stanza. Gli occhi verdi, dalle palpebre pesantemente truccate di nero e un vestito troppo corto di un materiale translucido simile alla seta, anch'esso nero, con le spalline sottili. Sua madre non l'avrebbe mai lasciata uscire di casa conciata così, pensò in un momento di sconforto, infilandosi ai piedi un paio di ballerine, dopo aver scartato i tacchi su cui non sarebbe mai riuscita a camminare. Sì legò i capelli rossi in una coda alta, poi li sciolse, per l'ennesima volta, facendoli ricadere sulle spalle come viticci vermigli. Sentì il suono di un clacson e scostò la tendina dalla finestra, per vedere il furgone di Jordan parcheggiato nel suo vialetto. Prese la borsa e corse verso l'ingresso, sperando di non incappare sfortunatamente in sua madre.
«Ciao mamma, ciao Luke!» Esclamò, già sulla soglia della porta. Percepì i passi di sua madre, avvicinarsi dalla cucina fino all'ingresso.
«A che ora hai intenzione di tornare, Clary?»
Roteò gli occhi al cielo. «Ho diciassette anni, mamma, tornerò all'ora che voglio!» Sbraitò, seccata. «Sono in ritardo, devo andare.» Buttò lì, prima che Jocelyn potesse vederla e schizzò letteralmente nel furgone di Jordan, chiudendo la portiera con un tonfo.
«Parti, presto!» Sibilò al ragazzo, affondando nel sedile posteriore, accanto a Simon. Jocelyn era sulla soglia di casa e cercava di sbirciare al di là dei vetri del furgone. Clary ringraziò mentalmente l'oscurità della notte.
Jordan ingranò la marcia e sgommò in direzione di Manhattan. «Questa scena fa molto Fast and Furious.» Disse, svoltando a destra.
Il viaggio in macchina fu piuttosto silenzioso. Anche se nessuno di loro lo avrebbe ammesso, erano tutti un po’ agitati per l'imminente festa, soprattutto perché non sapevano cosa aspettarsi all'entrata, probabilmente li avrebbero rispediti a casa o umiliati davanti a tutti. Clary avvertì un doloroso crampo allo stomaco per la tensione e Simon sembrò accorgersene, perché le prese la mano e le sussurrò: «sei fantastica.» Lei non riuscì a rispondere e si limitò a rivolgergli un sorriso tirato.
Quando Jordan parcheggiò l'auto nel viale, la prima cosa che notò era che c'erano già un sacco di macchine posteggiate e, ognuna di esse sembrava costare più della stessa casa in cui viveva. I quattro proseguirono a piedi lungo la strada sterrata in mezzo al parco, mentre il contorno di una villa in stile Tudor si stagliava contro il cielo blu notte di New York.
«Questa è casa sua?» Sibilò Clary, incredula, mentre si avvicinavano sempre di più all'imponente costruzione. Era di una bellezza mozzafiato, con colonne di marmo bianco e ampie balconate dello stesso materiale. I muri della facciata erano di un caldo color crema e dall'ampia scalinata che conduceva all'ingresso si intravedeva già una folla di persone.
«Un po’ esagerata. Credo che potrei perdermi, in un posto del genere.» Disse Jordan, con un sorriso, prendendo Maia per mano.
«Il padre di Bane è un multimilionario, credevo di avertelo detto.» Le disse Simon, stringendosi nelle spalle come a volersi scusare.
«No, mi avete solo detto che è andato a letto con la prof di francese.»
All'entrata c'erano due specie di gorilla, con tanto di abito nero e auricolare all'orecchio. Indossavano anche dei ridicoli occhiali da sole neri, nonostante fosse notte.
«Siamo forse finiti sul set di Men in Black?» Scherzò Simon, anche se il sottile velo di sudore che gli imperlava la fronte lo tradì. Anche lui era agitato. I due gorilla li squadrarono da capo a piedi, prima di fare un cenno col capo, che stava ad indicare che potevano entrare. Clary non si accorse di aver trattenuto il respiro fino a che non varcò la soglia della villa. C'era un enorme atrio, sormontato da un lampadario di cristallo che sembrava risplendere di luce propria. Un'ampia scalinata di marmo grezzo saliva fino ai piani superiori. Ma, il rumore di folla, risate, musica, proveniva principalmente alla loro sinistra, dove si apriva un salone immenso, con divani di pelle, tappeti, un camino, un bancone bar e altri mobili dall'aria costosa. Clary scorse alcune facce conosciute, ma era difficile distinguere qualcosa tra quell'ammasso di corpi danzanti e aggrovigliati. Era troppo impegnata ad osservare quel finimondo, che non si accorse che Maia e Jordan li avevano abbandonati per andare a prendere da bere, finché non li vide tornare con in mano quattro bicchieri di carta rossa. Ne prese uno, osservandone il contenuto: un limpido liquidi rosa shocking, sembrava alcool puro per lavare i pavimenti, e l'odore era quasi lo stesso. Arricciò il naso e fece una smorfia.
«Che diavolo è questa roba?» Urlò, cercando di sovrastare il rumore della musica alta.
Maia si strinse nelle spalle. «Non ne ho idea, il barista ha detto che si chiama Pink-Bane
Clary sgranò gli occhi, poi si rivolse a Simon a voce bassa. «Altro che il set di Men in Black, qui siamo finiti in una puntata di My Super Sweet Sixteen
Lui rise, tracannando il contenuto del bicchiere in un sorso. La cosa non gli riuscì molto bene, perché a metà sorso quasi si soffocò, rovesciandosene metà sulla camicia bianca. «Diavolo, questo affare è una bomba!» Bofonchiò senza fiato. «Il mio esofago va a fuoco.»
Clary provò a bere un po’ del suo Pink-Bane, ma era davvero disgustoso. Lo rifilò a Jordan, che lo mandò giù in un colpo solo. «Noi andiamo a ballare,» disse, gli occhi lucidi e le guance arrossate dall'alcool. «Venite?»
«Fra un minuto.» Rispose Clary, visto che Simon cercava ancora di riprendersi dal suo quasi soffocamento. I due ragazzi si addentrarono nella folla, fino a che anche l'ultimo pezzo di stoffa giallo limone dell'abito di Maia fu inghiottito dagli altri corpi.
«Possiamo ballare.» Disse Simon, guardandola con i suoi occhi castani e risoluti.
«Oh, andiamo. So che detesti ballare, non c'è bisogno, davvero.» Lo rassicurò Clary, guardandolo con affetto e accarezzandogli distrattamente un braccio.
«Fammi bere un altro di questi cosi e poi andiamo a scatenarci in pista.» Affermò Simon, dileguandosi verso il bancone bar. Clary lo osservò allontanarsi con un sorriso, prima di scorgere una figura familiare farsi largo tra la folla. Raphael Santiago era più piccolo di lei di due anni, ma aveva il portamento e la sicurezza di un ragazzo dell'ultimo anno. Le si fermò accanto, esibendo il suo sorriso accattivante.
«Ti serve qualcosa, Fray? THC, LSD, Delorazepam, Diazepam, Prazepam. Ho tutto i pam, davvero, non faccio discriminazioni.» Le mostrò una serie di bustine di plastica trasparente, contenenti pillole di ogni forma e colore.
«Ehm, no grazie. Sono a posto.» Scosse la testa rossa e il ragazzo si avventò su un altro possibile compratore. Simon tornò poco dopo, barcollando e visibilmente provato dal suo secondo Pink-Bane, chi non lo sarebbe stato? Insomma, quell'affare era una bomba.
«Mi concedi questo ballo, milady?» Sbiascicò in direzione di Clary, offrendole galantemente una mano. Lei lo guardò con una smorfia divertita e accettò l'invito. Si addentrarono nel centro del salone, dove i ragazzi si agitavano al ritmo di una canzone dance che fuoriusciva da delle casse nascoste in qualche punto imprecisato della stanza. Clary iniziò a ballare, presto vennero raggiunti anche da Maia e Jordan. Simon non era mai stato un gran ballerino, ma evidentemente l'alcool che gli scorreva nelle vene aveva sciolto a dovere i suoi muscoli rigidi, rendendolo meno imbarazzante del solito. Si stava divertendo, doveva ammetterlo. Chiuse gli occhi e si lasciò andare al ritmo della musica, sbirciando qualche volta i visi che le scorrevano attorno, alla ricerca di qualcuno. Quando intercettò lo sguardo di Simon però, capì che il ragazzo non si stava esattamente divertendo. Dal soffitto erano caduti, come per magia, una marea di brillantini e il ragazzo, con i ricci sbrilluccicanti di glitter, aveva l'aria sudata e pallida, quasi verdognola.
«Ti senti bene?» Gli urlò Clary nell'orecchio e Simon fece di sì con il capo.
«Devo … solo … uhm, andare un attimo al bagno!» Urlò di rimando, prima di volatilizzarsi tra la folla. Clary fece per seguirlo, ma venne attratta da una luce azzurra che si rifletteva nei vetri delle porte finestre. Si avvicinò ad esse, cercando la provenienza di quella luce ed uscì all'esterno. C'era un enorme patio di granito, che terminava con uno scalino, lasciando spazio all'erba verde e perfettamente curata del parco che si estendeva attorno alla villa. Il riflesso azzurro proveniva da una piscina enorme, rettangolare, assolutamente stupenda, dove ragazzi in costume da bagno si schizzavano a vicenda, nuotando e giocando ad affogarsi. Lasciò vagare lo sguardo su quella vista mozzafiato, fino a che non intercettò una chioma bionda. Jace era stravaccato su un divano di vimini, ricoperto di cuscini bianchi. Attorno a lui c'era la sua corte, come al solito: Isabelle, Alec e altri di cui non conosceva il nome, tra cui una bionda che gli accarezzava teneramente i capelli, osservandolo con aria sognante e ridendo ad ogni sua battuta. Lui teneva una mano sulla coscia nuda della ragazza, facendo scorrere pigramente le dita sulla pelle abbronzata di lei e sussurrandole all'orecchio parole che Clary non poteva udire. Sentì un moto di gelosia attanagliarle lo stomaco, così si voltò, dirigendosi verso uno dei tanti banconi bar.
«Dammi qualunque cosa che non sia un Pink-Bane, per favore.» Borbottò al barista improvvisato che stava dietro al banco. Lui le sorrise con comprensione e le mise in mano un bicchiere di carta. Clary bevve in un sorso il contenuto, era dolce e alcolico, ma niente a paragone con il cocktail rosa.
«Sapevo che saresti venuta, rossa
Una voce alle sue spalle le solleticò l'orecchio. Percepì ogni muscolo irrigidirsi e il cuore iniziare a battere furioso. Si voltò lentamente e lì, in piedi di fronte a lei, c'era Jace. Era più bello che mai, con i capelli che gli ricadevano sulla fronte, gli occhi dorati, il sorriso arrogante e i jeans che gli scendevano bassi sui fianchi. Avrebbe voluto sciogliersi in un sorriso adorante, ma la scena di pochi attimi prima, di lui e la bionda perfetta aggrovigliati, le balzò alla mente.
«Ti ho detto che ho un nome,» rispose acida, incrociando le braccia al petto. Si sentiva pallida, bassa e con troppe lentiggini.
«E io ti ho detto che preferisco chiamarti rossa. Adoro quando mi guardi come se volessi uccidermi.» Ribatté lui, con un sorriso irresistibile. Clary gli rivolse un'occhiataccia.
«Esatto, proprio così.» Fece lui, scoppiando a ridere. La sua risata era divina e assolutamente contagiosa, tanto che Clary si ritrovò a sorridere senza accorgersene.
«La tua ragazza non sembra affatto contenta che tu parli con me.» Disse lei, facendo un cenno in direzione della bionda, seduta imbronciata sul divano, che le rivolgeva occhiate di fuoco.
«Chi, Helen? Non è la mia ragazza. Io non ho una ragazza, se vuoi saperlo.»
«Non potrebbe interessarmi di meno.»
Jace la osservò con aria divertita. «Vieni,» la prese per mano, con delicatezza e Clary sentì una scarica elettrica partirle dal braccio ed espandersi ad ogni cellula del suo corpo. Rimase senza fiato. «Ti presento al resto del gruppo.» La trascinò in direzione della corte.
«Cosa?» Sussurrò lei, nel panico. «No, grazie, non c'è bisogno. Sto aspettando un mio amico, lui è andato in bagno ma -»
«Non essere timida, non mordono mica.»
Su questo Clary aveva dei seri dubbi, soprattutto riguardo a Isabelle, che la fissò con quei occhi neri, facendola sentire un verme insignificante di fronte alla sua bellezza da amazzone. Era altissima con quei tacchi e il vestito che indossava, di un argenteo scintillante, fasciava il suo corpo esaltandone le forme. I capelli neri e lucidi erano sciolti sulla schiena, sembrava una regina.
«E lei chi è?» Disse Alec, alzando un sopracciglio.
«Lei è -» iniziò Jace.
«Clary.» Lo interruppe lei.
«Ma potete chiamarla rossa.» Fece Jace, con un ghigno.
La bionda di nome Helen la fissò con rabbia crescente. Simon dove ti sei cacciato, si ritrovò a pensare Clary, disperatamente. Isabelle le porse una mano inanellata.
«Piacere, sono Isabelle.»
«Lo so, siamo nella stessa classe di francese.» Disse Clary, a bassa voce.
«Oh, davvero?» Rispose la ragazza, perdendo subito interesse nei suoi confronti. «Beh, che ne dite di Obbligo o Verità?» Continuò rivolgendosi al resto del gruppo. «Questa festa è una noia.»
«È fissata con quel gioco,» le spiegò Jace, scambiando lo sguardo orripilato di Clary per uno sguardo confuso.
«Ehm, io passo. Non sono brava a quel gioco.» Disse, cercando di divincolarsi dalla presa di Jace sulla sua mano, per scappare via il più lontano possibile, magari in India, o giù di lì.
«Certo che sei brava. Tutti sono bravi a giocare a Obbligo o Verità, a patto che dicano la verità e non si tirino indietro davanti a una sfida, ovvio.» Isabelle la guardò con sufficienza. «Forse non sei abbastanza coraggiosa, piccola Claire
«Clary. E comunque va bene, giochiamo a questo stupido gioco.» Borbottò, sedendosi su una poltrona di vimini, punta sul vivo. Sapeva che non era una buona idea sfidare Isabelle Lightwood, ma non riuscì a trattenersi dal sentirsi ferita nell'orgoglio.
«Perfetto!» Esclamò Isabelle, estasiata. «Inizio io.» Accavallò le gambe, passando in rassegna i giocatori e scegliendo la sua vittima con attenzione.
«Helen.» Disse Isabelle, rivolgendosi alla ragazza bionda. «Obbligo o verità?»
«Obbligo.» Rispose lei, rigida.
«Devi fare un tuffo in piscina.» Ordinò Isabelle con un sorriso.
Helen Blackthorn sembrò rilassarsi notevolmente. «Bene, tanto sotto il vestito ho il costume.» Disse, alzandosi in piedi. Jace osservava la scena divertito, con l'aria di chi sta aspettando il momento migliore che deve ancora arrivare.
«In topless.» Continuò Isabelle. Si levò un coro di apprezzamento e di applausi da parte dei ragazzi del gruppo.
Helen sgranò gli occhi chiari. «Iz … cosa dici? Non posso!» Balbettò, scioccata.
«Vuoi dire che ti tiri indietro?» Le chiese Isabelle, con gelida calma. Era stata gentile, ma il suo tono lasciava intendere che se si fosse rifiutata, ne avrebbe pagato le conseguenze in un secondo momento.
Helen fece un verso sommesso, come quello di un animale in trappola e Clary provò pietà per lei, nonostante sapesse che se ci fosse stata lei al suo posto, quel sentimento non sarebbe stato di certo ricambiato. Helen si liberò lentamente del suo vestito dorato, facendolo scorrere giù lungo i fianchi, rimanendo in costume. Dopodiché iniziò a slacciarsi il pezzo di sopra, arrossendo, lo sguardo basso e mortificato. Si coprì il seno con le braccia e corse verso la piscina, tuffandosi. Isabelle annuì soddisfatta. Il gioco continuò e Clary pregò che il suo turno non arrivasse mai, ma ben presto fu di nuovo il turno di Isabelle e Clary sapeva benissimo che avrebbe scelto lei.
«Rossa, obbligo o verità?»
«Verità.» Rispose di getto, ancora scioccata dal tuffo in topless di Helen e ben intenzionata a non fare la stessa fine.
«Ti piace mio fratello?» Le chiese Isabelle, con gli occhi luccicanti.
«Chi, Alec? No!» Esclamò lei, sollevata per essersela cavata con poco.
«Ti ringrazio,» fece Alec, con una smorfia e Jace rise.
«Te lo dico sempre che dovresti migliorare il tuo look, Alec.» Lo schernì Jace. «Con quelle magliette bucate non riuscirai mai a trovarti una ragazza.»
Il gruppo rise e Alec arrossì furiosamente.
«Intendevo l'altro mio fratello, quello seduto proprio accanto a te.» Continuò Isabelle, imperterrita, indicando Jace. Il ragazzo si fece improvvisamente serio, fissando i suoi occhi dorati sul viso di Clary, paonazzo per la vergogna. Certo che le piaceva Jace, a chi non piaceva? Ma sbandierare così i suoi sentimenti davanti a quelle persone snob e altezzose non era proprio una sua prerogativa. Jace sembrò notare il suo turbamento.
«Avanti, Iz, lasciala stare. Ti ha già dato una risposta, dovevi essere più chiara fin dall'inizio. Devi sempre terrorizzare tutte le persone nuove che conosci?»
«Sono le regole, Jace.» Rispose lei, stizzita.
«Beh, tu cambi sempre le regole a tuo piacimento.» Ribatté lui, serio. Isabelle lo fissò per un momento, poi alzò le mani in segno di resa.
«E va bene, allora non ti dispiacerà prendere il posto della rossa
«Affatto!»
«Obbligo o verità, Jace?»
«Obbligo.»
«Devi baciare Clary.»
Clary impallidì, poi arrossì. Probabilmente il suo viso toccò tutta l'ampia gamma di colori esistenti al mondo.
«Non ti dispiace, vero?» Le sussurrò Jace e il suo respiro le solleticò il viso. Mugolò qualcosa in risposta, che probabilmente alle orecchie di Jace suonò come un no, perché sorrise e un secondo dopo avvertì la sua mano tra i suoi capelli e i suo viso a pochi millimetri dal suo. Chiuse automaticamente gli occhi e percepì le labbra di lui sulle sue, morbide e calde e invitanti. Schiuse la bocca, lasciandosi accarezzare la lingua, prima con incertezza e delicatezza, poi il loro baciò divampò come un miccia, facendosi più intenso e passionale. Sentì i denti di Jace cozzare contro i suoi, ma non si interruppero ignari di tutti gli occhi puntati su di loro.
«Clary … cosa stai facendo?» Esalò una voce, senza fiato. Clary riaprì gli occhi, staccandosi da Jace bruscamente, per vedere un Simon completamente esterrefatto, in piedi accanto a lei.
«Oh, guarda, la brutta copia di Jim Morrison.» Fece Isabelle, senza alcun tatto. «Giochiamo a Obbligo o Verità, vuoi unirti a noi?»
«Simon, io …» Iniziò Clary, senza sapere cosa aggiungere. Il suo migliore amico sembrava davvero sconvolto. Ma Simon non stette ad ascoltare, le voltò le spalle e corse via. Lei fece per alzarsi e corrergli dietro ma fu fermata da Isabelle.
«Vado io. Ho un debole per le rock star fallite, tu rimani pure qui a sbaciucchiarti con mio fratello.» E corse dietro a Simon. Anche Alec si alzò e si dileguò tra la folla, con uno sguardo tutt'altro che gioviale.
«Ma che gli prende a tutti?» Sussurrò Clary, a nessuno in particolare, ancora senza fiato per il bacio ricevuto.
«È il tuo ragazzo?» Chiese Jace, con voce gelida, senza nemmeno guardarla negli occhi. Il suo corpo era rigido ed emanava freddezza da tutti i pori.
«Lui … no, è Simon, il mio migliore amico!» Esclamò lei, confusa e arrabbiata. «Non ho un ragazzo.» Aggiunse, cercando di calmarsi.
«Non potrebbe importarmi di meno.» Le disse Jace, ripetendo le parole che aveva detto lei prima, ma stava di nuovo sorridendo.
«Bugiardo.» Gli disse Clary, osservandolo di sottecchi.
«Hai ragione.» Si alzò e la prese di nuovo per mano. «Voglio farti vedere la parte più bella di tutta la casa.»
Clary si lasciò trascinare da lui; corsero lungo il prato, lasciandosi alle spalle il rumore della festa e della musica, inoltrandosi nel parco fitto di alberi, per poi sbucare in una piccola radura, circondata da cespugli di rose di ogni colore e altri fiori, gigli, che rendevano l'aria satura del loro dolce profumo. Il cielo sopra le loro teste era scuro e puntellato di stelle e quella specie di serra naturale era davvero bellissima. Clary accarezzò i petali di una rosa.
«È bellissimo, Jace.» Sussurrò, concentrandosi suoi fiori per non dover riflettere troppo a fondo sulla situazione. Vide Jace, con la coda dell'occhio, sdraiarsi sull'erba supino, incrociando le braccia dietro la nuca, e osservare il cielo. Dopo qualche istante, Clary si sedette accanto a lui, raccogliendo le ginocchia al petto.
«Ora che siamo soli, potresti rispondere alla domanda di Izzy.»
«Quale domanda?» Chiese lei, anche se sapeva benissimo a cosa si stesse riferendo. «Tu, piuttosto, perché mi hai chiesto se Simon è il mio ragazzo?»
«È una domanda più che lecita. Ti ho guardata a scuola, sei sempre sulle tue, non parli con nessuno a parte con quello sfigato.»
«Uno, Simon non è uno sfigato è il mio migliore amico. Due, tu mi guardi a scuola?» Chiese incredula.
«Sì, ti guardo. Ti sembra una cosa così strana, Clary?» Le disse, girando il viso verso di lei e chiamandola per nome per la prima volta.
«Sì … no. Voglio dire, non sono un soggetto poi così interessante da guardare. E tu sei sempre circondato da ragazze bellissime …» il discorso le morì sulle labbra, arrossendo e facendo sorridere Jace.
«Io ti trovo molto interessante. Come per esempio, quando in prima liceo, durante l'ora di ginnastica, sei caduta dalla corda. Una scena esilarante, tra parentesi -»
Clary si rabbuiò, interrompendolo con voce acida. «Vuoi fare un elenco di tutte le scene umilianti che ho fatto nell'arco di questi quattro anni, no perché -»
«No.» Fu il turno di Jace di interromperla. «Quello che voglio dire è che tutta la classe rideva di te,» Clary emise un verso di frustrazione. «Ma tu ti sei rialzata, e ti sei di nuovo arrampicata su quella maledetta corda. Sei stata molto stoica, per una ragazza di quindici anni che si è appena resa ridicola.»
«Scusa, questo secondo te è un complimento?»
«Sì.»
«E, poi, come fai a ricordarti di una cosa così stupida successa quasi quattro anni fa?»
«Perché anche allora ti guardavo.»
Il cuore iniziò a battere forte nel petto di Clary.
«Perché?» Gli chiese senza fiato.
«Non è ovvio?» Allungò un braccio e tracciò con le dita la linea dei suoi zigomi, Clary rabbrividì a contatto con il suoi polpastrelli, socchiudendo gli occhi.
«Ma perché io? Insomma, non ha senso,» disse con voce lamentosa, odiandosi per questo.
«Perché sei diversa, non ti importa di quello che pensa la gente.» Le sussurrò Jace, guardandola negli occhi.
«Oh, sì che mi importa, invece.»
«Beh, non lo dai a vedere.»
Jace l'attirò a sé, facendola sdraiare sopra di lui. Clary affondò le ginocchia nude nell'erba fresca, mentre le mani di Jace le scorrevano sulla schiena sopra il tessuto del vestito nero. Rimase senza fiato e lo baciò con foga, rabbrividendo quando lui fece scivolare le dita sulle sue gambe, raggiungendo l'orlo del vestito, esitando un attimo, e poi sollevandolo, stringendola a sé. Rotolarono sull'erba finché Jace non fu sopra di lei, le sue mani le stringevano i fianchi, mentre le mordeva delicatamente la pelle sensibile dell'incavo del collo, mandandole scosse di piacere in tutto il corpo. Clary gli sbottonò la camicia, con mani tremanti e inesperte, facendogliela scivolare giù per le spalle e le braccia e poi gettandola via lontano. Rimase un attimo a guardarlo: quel sorriso arrogante, i muscoli tesi del suo torace e i piccoli avvallamenti sull'addome. Era stupendo.
«Sei bello.»
Disse stupidamente, pentendosene immediatamente e arrossendo. Lui le sorrise e la baciò ancora, sollevandole il vestito fin sopra la vita e strofinando il suo corpo seminudo contro il suo. Clary non riusciva più a pensare, a mala pena ricordava il suo nome, tutto ciò a cui pensava era Jace sopra di lei e il suo corpo che voleva di più.
«Puoi dirmi di fermarmi.» Le sussurrò Jace, in un orecchio, interrompendo la scia di baci sul collo. «Ma non lo farai …»
 
 
Alec aveva bevuto troppi Pink-Bane. Gli girava la testa e dopo la scena passionale tra Jace e Clary era stato assalito da un pericoloso senso di nausea. Salì l'ampia scalinata di granito barcollando, reggendosi alla ringhiera d'ottone e scansando le coppiette che andavano ad appartarsi. Aveva visto Jace baciare circa un miliardo di ragazze, ma lo sguardo che aveva, mentre baciava Clary, non glielo aveva mai visto prima di allora. Era stata come una coltellata in pieno stomaco, nonostante si fosse illuso di non provare più niente per lui. I piani superiori della villa di Bane erano labirintici, Alec aprì porte a caso, nella speranza di incontrare un bagno, prima o poi. Aprì l'ultima porta sulla destra, era l'ennesima camera da letto. Frustrato, fece per richiuderla, quando venne interrotto da una voce scontrosa.
«Andate ad appartarvi da qualche altra parte! Questa è camera mia.»
Alec si sporse nella stanza. C'era una figura seduta su una poltrona, i piedi calzati da un paio di stivali griffati erano poggiati sulla scrivania. «Ehm, scusami. Cercavo il bagno.»
La figura si voltò e Alec lo riconobbe subito; Magnus. Nonostante l'alcool gli annebbiasse la mente e la vista, avrebbe riconosciuto il suo compagno di scuola ovunque. I capelli neri erano acconciati in una stravagante cresta glitterata. Gli occhi giallo verdi, con un'insolita pupilla, che ricordava ad Alec quella di un gatto, erano contornati da uno strato di matita nera brillantinata. Indossava una camicia di un azzurro fluo, e un paio di pantaloni di pelle strettissimi. Era inconfondibile.
«Ah, sei tu.» Disse Magnus, illuminandosi con un sorriso. «In questo caso, entra pure.» Gli fece cenno di avvicinarsi con la mano. Il cuore di Alec iniziò a battere più veloce. Era tutta la sera che in un certo senso sperava di incontrare Magnus, anche se non sapeva esattamente spiegarne il perché.
«Cercavo il bagno.» Ripeté Alec, come un bambolotto stupido.
Magnus alzò un sopracciglio. «Io non ti piaccio, vero Alexander?»
Alec arrossì e finalmente si decise ad entrare nella stanza, richiudendosi la porta alle spalle. «No è solo che -»
«Cercavi il bagno, sì, questo l'ho capito, occhi blu
«Come … come mi hai chiamato?» Sibilò Alec, incredulo.
«Adoro i tuoi occhi. Se devo essere sincero, speravo proprio che stasera venissi alla mia festa.» Il ragazzo tolse i piedi dalla scrivania e accavallò le gambe, osservando Alec con grande interesse.
«Strano. Dai le feste, speri che un ragazzo venga e poi te ne stai tutto il tempo rinchiuso in camera tua?» Ribatté Alec, cercando di mettere insieme una frase con un minimo di significato. Faceva davvero caldo, in quella camera. Deglutì, a disagio.
«Un comportamento incivile, hai ragione.» Sorrise lui, alzandosi. Alec indietreggiò andando a sbattere con la schiena contro la porta. «Non ho intenzione di mangiarti, Alexander. Volevo solo essere gentile e offrirti qualcosa da bere.» Disse divertito, prendendo una bottiglia di whisky e due bicchieri di vetro.
«No, grazie. Ho bevuto troppi di quei cosi rosa. Davvero disgustosi.» Si accorse subito della figuraccia, arrossendo ancora di più e fissandosi la punta delle scarpe. Era tutta la sera che sperava di incontrare Magnus e il destino lo aveva portato fino in camera sua, quindi, perché ora doveva fare la figura dell'idiota?
«Così i miei Pink-Bane non sono di tuo gradimento?» Lo prese in giro con aria beffarda, avvicinandosi.
«Ehm, non sono il mio genere, ecco. Troppo rosa, troppo luccicanti.» Balbettò Alec, che non era mai stato bravo a mentire.
«E qual è il tuo genere?» Gli chiese Magnus, avvicinandosi ancora di più, tanto da avere il viso a pochi centimetri da quello di Alec. La domanda di Magnus andava ben oltre i gusti in fatto di cocktail.
«Io …»
Alec non riuscì a finire la frase. Si sentiva come un gattino in trappola, bloccato dalla porta chiusa da un lato e dal corpo di Magnus dall'altro. Lui si avvicinò ancora, ora i loro nasi si stavano praticamente sfiorando.
«Che diavolo stai facendo?» Sussurrò Alec, senza fiato.
«Sto per baciarti, mi sembra ovvio.» Rispose lui, sorridendo in modo enigmatico.
«E cosa ti fa pensare che io possa baciare te? Non sono gay!» Strillò Alec, con una voce stridula e molto gay. Si maledì mentalmente.
«Tesoro, sei tu non sei gay io sono uno stregone.» Scoppiò in una risata cristallina.
Alec non rispose. Il respiro di Magnus gli aveva solleticato il viso, facendolo rabbrividire. Si sentiva attratto da quel ragazzo. Diavolo, era estremamente attratto da lui, anche se si vestiva come Lady Gaga e brillava di glitter come un faro di notte. Era così estremamente diverso da Jace. Forse è per questo che mi piace. Forse tutti quei Pink-Bane mi hanno dato alla testa, pensò per un attimo, prima di afferrare il ragazzo per i fianchi e spingerlo contro di sé.
«Adoro i ragazzi intraprendenti!» Mugolò Magnus, prima di posare le labbra su quelle di Alec, mordendogli il labbro e baciandolo a fondo. Alec si lasciò andare ad un piccolo gemito di piacere. Era la prima volta che baciava un ragazzo, e la cosa si era rivelata decisamente eccitante. Sembrò tornare lucido per un istante, perché si staccò da Magnus, che lo stava astutamente trascinando verso il grande letto al centro della stanza. «Hai per caso messo della droga in quei cocktail rosa?» Sussurrò sulle sue labbra, approfittando di quella piccola pausa per respirare, troppo scioccato dal suo stesso comportamento.
«Così mi offendi, credi che abbia bisogno di drogare i miei ospiti per persuaderli a baciarmi?»
Alec sorrise, imbarazzato. Riprese a baciarlo con forza, infilando le mani sotto la sua camicia azzurra e accarezzandogli la pelle morbida sopra le coste, per poi fermarsi di nuovo. «Questa cosa, nessuno dovrà venirlo a sapere. Nessuno sa che io sono -»
«Vuoi farmi impazzire? Cerca di rilassarti, Alec. Non lo dirò a nessuno se è questo che vuoi.» Lo baciò teneramente sulle labbra, prima di sfilargli la maglietta a tradimento. Alec, a torso nudo, rimase un attimo interdetto da quella mossa sleale, poi iniziò ad armeggiare con la sua camicia, strappando i bottoni per la foga e lanciandola a terra, esasperato.
«Hai decisamente bisogno di un corso intensivo su come spogliare un ragazzo, mio caro.» Lo prese in giro Magnus, con dolcezza. Alec fece un verso simile ad un lamento, dopodiché si ritrovò con la schiena sul letto morbido e con Magnus sopra di lui, che accarezzava ogni singola parte del suo corpo. Era una sensazione stupenda, lasciarsi andare per la prima volta. Avvertire quella stretta al basso ventre, mentre Magnus disegnava un scia di baci lungo il suo torace. I baci erano come una droga, nonostante il suo corpo teso volesse dirgli che aveva bisogno di più, in realtà non sapeva di cosa avesse bisogno esattamente, ma non importava. Magnus sembrava decisamente esperto in quell'ambito. Abbandonò la testa sul cuscino morbido, socchiudendo gli occhi e sentendo solo il battito ritmico del suo cuore, sempre più forte e più forte ancora.
 
 
Simon sentì una voce femminile gridare alle sue spalle.
«Ehi, Jim Morrison, vuoi fermarti?»
Il ragazzo si fermò, ancora sconvolto da ciò che aveva appena visto e si voltò per trovarsi davanti a Isabelle Lightwood. Deglutì a fatica.
«Jim Morrison?» Ripeté, frastornato dalla musica e confuso dall'alcool. «Ti ringrazio del complimento, ma mi chiamo Simon.»
«Che importa? Non mi interessa il tuo nome.» Ribatté lei, avvicinandosi a Simon, con gli occhi neri da predatrice.
«Gentile da parte tua.» Rispose lui, ironicamente.
«Sei carino, lo sai?» Gli sussurrò all'orecchio, avvolgendolo sinuosamente con il suo braccio magro e accarezzandogli i ricci castani. Simon sgranò gli occhi.
«C-come?» Balbettò, ripromettendosi di non bere mai più un Pink-Bane in vita sua. Quel cocktail dava allucinazioni. Anche perché Isabelle Lightwood non gli avrebbe mai detto che era carino.
«Anche tu, sì, ecco … sei molto carina.» Riuscì a bofonchiare, sentendosi un povero scemo.
«Solo molto carina?» Gli chiese lei, con voce suadente, le sue labbra piene a pochi centimetri dal suo viso.
Simon la osservò. Aveva delle ciglia nere lunghissime, era più alta di lui e il vestito argentato che indossava lasciava davvero poco all'immaginazione. «Direi molto più che carina. Fantastica?» Ritentò, senza neanche sapere cosa stesse dicendo.
«Così va meglio.» Rispose Isabelle con un sorrisino malizioso. La ragazza si guardò attorno, erano finiti nell'ingresso, dove la folla era più diradata, ma nonostante questo i pochi avventori lanciavano occhiate perplesse in direzione dei due ragazzi. «Ti va di giocare a sette minuti in paradiso, con me?»
«Io, come, scusa?» Simon aveva una vaga reminescenza riguardo a quel gioco. Forse lo aveva visto in qualche film in tv, ma di solito era una cosa che facevano i bambini, giusto?
«Scegli una persona e ti chiudi nell'armadio, o nello stanzino delle scope, con lei per sette minuti. Ma se mi piace, potremmo anche prolungare il tempo.» Scherzò lei, afferrandolo per il colletto della camicia. «Quell'armadio sembra perfetto. Credo che Magnus lo abbia fatto costruire apposta per questo gioco.» Aggiunse, trascinandolo verso due ante di un armadio a muro che si trovava in una parete dell'ingresso. Lo aprì e Simon si ritrovò praticamente scaraventato all'interno, in mezzo a cappotti invernali e con il corpo di Isabelle schiacciato contro il suo. Cercò di controllare il respiro, per non rischiare l'iperventilazione. Questa è un'allucinazione, non mi trovo davvero nell'armadio di Bane con Isabelle Lightwood, si ripeté nella mente all'infinito. Anche se la coscia di Isabelle premuta in mezzo alle sue gambe era più che reale. Sentì le mani della ragazza raggiungere i bottoni dei suoi jeans e le sue labbra sfiorare le sue. Venne istantaneamente preso dal panico.
«Ehm, senti, dimmi un po’ … hai un gatto?»
Al buio dell'armadio non vide l'espressione di Isabelle ma dedusse che fosse abbastanza scioccata.
«Sei matto?»
«No, insomma … io ho un gatto, si chiama Yossarian, e tu? Ne hai uno?» Simon stava sudando copiosamente, il cervello annebbiato e confuso dall'alcool e da quella situazione assurda.
«Sì, se ci tieni tanto a saperlo, ho un gatto. Si chiama Church. Contento? Ora possiamo continuare.» Concluse e senza aspettare risposta riprese a baciarlo e ad armeggiare con i suoi pantaloni. Simon si staccò a fatica.
«Perché, lo stai facendo Isabelle? Puoi avere chi vuoi a questa festa, non capisco.»
«Ho un debole per i quattrocchi dal cuore spezzato.» Rispose lei, mordendogli il collo.
«Io non ho il cuore spezzato.» Sibilò rigido.
«Come no, Sheldon.»
«Simon, mi chiamo Simon.»
«Ti ho detto che il nome non è importante.»
«Per me lo è, sai.»
Isabelle smise di baciarlo. «Quanto la fai lunga, Simon!»
«Ti ho detto che ho una band?» Fece lui, cercando un briciolo di conversazione e di distogliere l'attenzione della ragazza dalla sua bocca.
«Ah, sì? E come si chiama?»
Simon tirò un sospiro di sollievo, finalmente Isabelle sembrava ascoltare la sue parole, seppur senza molta attenzione.
«Ehm, Foolish Virgins
La ragazza scoppiò a ridere. «Vergini Stupidi? È per questo che sei così in imbarazzo? Non preoccuparti, sarò buona con te.» Lo schernì, la voce intrisa di sarcasmo. Simon benedì il buio dell'armadio, perché il suo viso stava andando a fuoco.
«Sei una stronza, Isabelle Lightwood.» Si portò le mani alla bocca nell'istante esatto in cui finì la frase. Non poteva davvero aver dato ad Isabelle Ligthwood della stronza. Probabilmente avrebbe dovuto lasciare la scuola, e anche il paese magari.
«Come osi?!» Isabelle si irrigidì. Aprì le ante dell'armadio come una furia, facendo ticchettare i suoi tacchi sul pavimento. «Te ne pentirai, Sheldon.» Lo minacciò, puntandogli un dito contro.
«Simon,» bisbigliò il ragazzo, osservandola allontanarsi come una furia.
La mia vita sociale è finita, pensò sconsolato.
 
 
«Clary!»
La ragazza sentì la voce di Simon alle sue spalle. Si voltò e gli corse incontro.
«Simon! È un'ora che ti cerco!» Esclamò, sollevata di averlo finalmente trovato.
«Senti, mi dispiace per prima. Ho esagerato, me ne rendo conto. È che … ero geloso. Ecco, l'ho detto. Ora ti prego, possiamo andare a casa?»
Clary osservò il suo migliore amico, sembrava sconvolto e aveva sputato quelle parole tutte d'un fiato.
«Certo, è tardi. Ma che ti è successo?» Gli chiese preoccupata.
«Isabelle Lightwood ha cercato di sedurmi e io le ho detto che è una stronza!» Mugolò con voce stridula, per nulla mascolina. Clary cercò di non scoppiargli a ridere in faccia.
«Cosa?!»
«Sì, lunedì non tornerò a scuola. Lascerò il paese, magari andrò in Messico e mi nasconderò lì per i prossimi secoli.»
Non riuscì più a trattenersi e rise. «Scusami, scusami …» bofonchiò, tenendosi lo stomaco e continuando a ridere.
«Oh, fantastico. Ridi pure delle mie disgrazie.»
«Ragazzi!» Maia e Jordan li raggiunsero tenendosi per mano. «Che ne dite, è l'ora di tornare a casa?»
«Sì!» Esclamò Simon, con il sollievo scritto in faccia.
Il viaggio di ritorno fu silenzioso come all'andata. Erano tutti o troppo ubriachi, o troppo scioccati dagli eventi della festa. Clary ripensò alle mani di Jace sul suo corpo e alle sue labbra che baciavano la sua pelle nuda, sorridendo fra sé. Jordan la lasciò davanti al vialetto della casa di Luke e lei lo percorse, ancora con aria sognante, frugando nella borsa alla ricerca delle chiavi. Quando arrivò davanti alla porta, però, si bloccò. C'era una figura seduta sugli scalini dell'ingresso.
«Ciao, sorellina.»
«Jonathan!» Sussurrò. Era molto legata a suo fratello, nonostante dopo il divorzio dei genitori, lui avesse deciso di rimanere con il padre. «Che ci fai qui? È tardissimo, perché non sei entrato in casa?»
«Mi sono accorto troppo tardi di non avere più le chiavi. Sai, Valentine ha dato di nuovo di matto, mi serve un posto dove stare per un po’, perciò sono venuto qui. Ma era tardi e non volevo svegliare Jocelyn e Luke.» Jonathan non chiamava mai i loro genitori per nome, era una cosa che Clary non aveva mai capito di lui. «Ho anche provato a lanciare dei sassolini contro la finestra di camera tua, in perfetto stile Romeo & Giulietta, ma niente. Ora capisco perché, temevo fossi diventata sorda.» Le disse con un ghigno alzandosi in piedi. Clary lo abbracciò, affondando il viso nell'incavo del suo collo e sentendo il suo familiare odore di pepe nero e sole, sempre che il sole avesse un odore.
«Fortuna che sono arrivata, vieni.»
Clary aprì la porta e insieme a suo fratello si addentrarono nella casa buia, facendo il meno rumore possibile e finendo per sghignazzare come due idioti, soffocando nelle loro stesse risa.
«Mi metto sul divano.» Gli sussurrò Jonathan, dandole un piccolo bacio fraterno sulla fronte.
«Non essere stupido, il divano di Luke è la cosa più scomoda del mondo.»
«E più disgustosa, anche. Credo risalga al settecento.» Aggiunse lui con un ghigno.
«Puoi dormire nel mio letto.»
Dopo essersi infilata il pigiama, Clary si stese sul materasso, alzando le coperte e facendo segno a Jonathan di mettersi accanto a lei. Lui obbedì e poco dopo si ritrovarono entrambi sdraiati su un fianco, con i visi a pochi centimetri l'uno dall'altro.
«Dove sei stata stasera?» Le sussurrò lui, con una mano premuta sotto la guancia.
«A una festa. La più bella festa del mondo.» Disse sorridendo nel buio …
 
 
… Clary si svegliò di soprassalto. La luce del mattino penetrava insistentemente attraverso le tende della camera da letto e per un attimo non riuscì a capire dove fosse. Poi ricordò; aveva dormito in una delle camere per gli ospiti nell'appartamento di Magnus. Le sembrava di non aver chiuso occhio tutta la notte e di aver davvero partecipato alla festa che, in realtà, aveva solo sognato. Rimase qualche istante a letto, ripercorrendo con la mente quel sogno così realistico che aveva avuto, chiedendosi se la sua vita, e quella dei suoi amici, sarebbe potuta essere davvero così, se non fosse stata una Cacciatrice di demoni, se suo fratello stesso non fosse stato in parte demone, e se fate, vampiri, stregoni e lupi mannari non fossero stati davvero reali. Ma era quella la realtà. Si infilò una vestaglia e si diresse in cucina. Lì, seduti al tavolo davanti ad una tazza di caffè e una di sangue fresco (rigorosamente animale, ovvio), c'erano rispettivamente Alec e Simon. Simon si teneva la testa fra le mani, come in preda ad una potente emicrania post-sbronza.
«Ho fatto un sogno davvero strano.» Disse Clary, sedendosi al tavolo e versandosi del caffè nero. «Ero ad una festa e -»
«Cosa?» Sussultò Simon. «Anche io ho sognato di essere ad una festa e, anzi, mi sento la testa come se fossi davvero stato ad una festa.» Borbottò, massaggiandosi le tempie.
Alec emise un verso strozzato. Entrambi si voltarono a guardarlo, confusi, e lui arrossì furiosamente.
«Che c'è? Anche tu hai sognato di essere a una festa?» Gli chiese Simon.
«Qualcosa di simile …» bofonchiò, nascondendosi dietro la tazza di caffè.
Magnus fece la sua entrata in scena, con addosso una vestaglia di seta rosa, tutta pizzi e merletti.
«Buongiorno, miei cari.» Li salutò con aria allegra. «Sapete, stanotte mi è venuta un'idea geniale per un nuovo cocktail, si chiamerà Pink-Bane e -»
«No!» Lo interruppero Clary, Alec e Simon, urlando all'unisono.
   
 
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