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Autore: Elis12    13/04/2014    2 recensioni
[Marvey]
"Non so tu ma io non vedo questa gran fila di persone che fanno parte della mia vita”, ribatté lui.
“Volevo dire che non sei completamente solo. Ci sono io con te.”
Mike alzò gli occhi su di lui e lo guardò sorpreso. L’aveva detto davvero? Voleva dire che per lui contava almeno un poco di quello che Harvey significava per Mike? Sul serio non era completamente solo? Sì, ad Harvey importava di lui, e questa era la rassicurazione migliore che potesse ricevere in una serata come quella. Rimasero a fissarsi negli occhi per parecchi istanti, come a voler confermare ciò che era stato detto, come a credere possibile quello che stessero per fare.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harvey Reginald Specter, Mike Ross
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: i personaggi non mi appartengono... purtroppo!

La mia prima fiction slash su Mike e Harvey. Ho messo lemon nella descrizione anche se non è proprio "lemon".
Buon lettura!

 
Stay with me, forever


Personaggi: Mike Ross; Harvey Specter
Pairing: Marvey

Mike rimase seduto a terra per tempo immemore. Nemmeno lui avrebbe saputo dire da quanto era là ormai, con la schiena dolorante appoggiata contro la parte bassa del divano e il culo che formicolava per la posizione scomoda a lungo mantenuta. Semplicemente, se ne stava lì a fissare il nulla, lasciando che le lancette dell’orologio scandissero il tempo con il loro “tic tac”, risuonando per l’appartamento vuoto e silenzioso. A parte lui, s’intende. Ecco com’era la sua vita: come un appartamento vuoto e disordinato. Aveva perso tutti quelli a cui teneva. I suoi genitori erano morti, sua nonna anche, Jenny se n’era andata, Trevor era probabilmente da qualche parte a farsi arrestare. E poi c’era pure Rachel, che era appena stato costretto a scaricare a causa dei suoi segretissimi segreti, che Harvey gli aveva proibito di rivelare ad anima viva. E siccome Rachel rientrava nella categoria “persone”, la loro storia era finita ancora prima di cominciare. Alla fine si ritrovava sempre così: da solo, strafatto, a crogiolarsi nella sua disperazione e solitudine. Non poteva nemmeno sfogarsi con Harvey, perché lui l’avrebbe scacciato malamente trattandolo come un bambino capriccioso che necessita di una tata. E Harvey il babysitter non lo voleva fare. Si chiese se fosse davvero così, un moccioso lamentevole, che si lasciava autodistruggere per cercare di attirare l’attenzione di qualcuno più grande. La sua, di attenzione. Mike smise di fissare il soffitto e spostò invece lo sguardo vacuo sullo smoking che Harvey gli aveva prestato per la serata ad Atlantic City, ma che non gli aveva ancora restituito. Non che non ne avesse avuta l’occasione; sia chiaro, si vedevano tutti i giorni in ufficio. E’ solo che Mike… non voleva ridarglielo. Non era ancora pronto a separarsene. Si portò la canna quasi finita alle labbra e aspirò. Poi sbuffò fuori una boccata di fumo, mentre contemplava in silenzio l’oggetto dei suoi sogni più proibiti. Ormai ci aveva anche fatto l’abitudine a vedere quello smoking compostamente adagiato sul divano altrimenti pieno di briciole. Sentiva un forte legame affettivo, sebbene fosse solo un completo come tanti. Ma per lui non era un vestito uguale a tutti gli altri, era di Harvey. E questo bastava a dargli sicurezza, a ricordargli che c’era ancora qualcuno nella vita che si batteva per lui. Un motivo abbastanza valido per cui rialzarsi ogni mattina e indossare la maschera da ragazzo con la testa a posto, ma che in realtà la testa non sa neanche dove l’ha lasciata. E per una memoria eidetica come la sua, non ricordarsi dove si è lasciato il cervello, è una presa per il culo bella e buona. Non sempre però ce la faceva. Quella sera, per esempio, appena tornato a casa, aveva gettato via la maschera indifferente e si era seduto per terra a riflettere, fumando erba e bevendo birra, pensando al suo capo. Grazie a quello smoking, sentiva la presenza di Harvey in casa sua ed era una cosa che lo rassicurava dannatamente così tanto. Si sentiva meno solo in quel modo, anche se non l’avrebbe mai ammesso neanche sotto giuramento. Piuttosto avrebbe dichiarato il falso davanti al Gran Giurì. Se ne vergognava troppo e aveva paura che Harvey lo venisse a sapere, soprattutto perché lui, prima o poi, scopriva ogni cosa. Non poteva certo sopportare che Harvey gli rinfacciasse di essersi innamorato di lui, dopotutto non era colpa sua se era andata così. Forse doveva anche vergognarsi per la piega che prendevano i suoi pensieri appena poggiava lo sguardo su quel dannato completo. Aveva provato un sacco di volte a liberarsene, e avrebbe dato qualsiasi cosa per restituirlo ad Harvey, ma il problema è che non ci riusciva. L’oggetto incriminato continuava imperterrito ad osservarlo dall’angolo del divano, facendogli venire in mente le sue fantasie perverse, e ogni volta Mike si malediceva di essere talmente fumato da non avere neanche un po’ di controllo sugli sconci pensieri riguardanti il suo capo. Se Harvey l’avesse saputo, l’avrebbe ammazzato. Così come l’avrebbe ucciso se avesse scoperto che si faceva ancora le canne. Era una promessa che aveva fatto a se stesso, quella di smettere, e l’aveva giurato anche ad Harvey. Non voleva vedere la sua faccia delusa e di disappunto se l’avesse beccato. Ma il punto è che non ci riusciva. Non poteva togliersi anche quella piccola consolazione. Perciò, per sentirsi meno in colpa, si ripeteva in continuazione il solito mantra: “Che cos’è un’unica canna dopo un’intensa giornata di duro lavoro?”. Se invece provava a svuotare il sacchettino di erba nel cesso, si sentiva subito a disagio e finiva che tirava inutilmente lo sciacquone, rimanendo a guardare mentre il nulla spariva nello scarico. La sua vita era un disastro totale e lui ne aveva bisogno per distrarsi, per tirarsi un po’ su il morale quando Harvey non era nei paraggi; anche se il suo completo contribuiva di certo alla causa. Ricordava molto bene la sera in cui Harvey, per la prima volta, si era presentato alla porta del suo appartamento con l’abito in mano. Gliel’aveva dato, dicendogli di metterselo, prima di trascinarlo ad Atlantic City. E Mike, chiuso nel bagno, consapevole del fatto che il suo capo si trovava nel suo salotto impegnato a guadarsi intorno, aveva percepito un moto di emozioni accendersi dentro di sé. Quando si era infilato il suo vestito, gli era sembrato di sentire il calore di Harvey sulla pelle. Aveva inspirato a fondo il profumo della sua colonia costosa, stringendosi le braccia intorno al busto magro e immaginando che fosse l’altro ad abbracciarlo. Ed era rimasto qualche secondo fermo così, a godersi quel sogno ad occhi aperti, finché Harvey, irritato di aspettare, non aveva bussato forte alla porta chiedendogli se era il caso di chiamare l’idraulico perché il suo associato si era incastrato nella tavoletta del cesso. Provò una tale gioia quella sera in sua compagnia, che tornato a casa si era convinto di due cose: si sarebbe tenuto lo smoking in ricordo di Harvey, e che si era in qualche modo innamorato del suo capo.
Era così perso nei suoi dolci ricordi, che Mike quasi non sentì gli insistenti colpi alla porta. Si alzò con fatica, imprecando per essere inciampato nella gamba del tavolino, e saltellando poi in modo comico fino all’uscio, maledicendo chiunque avesse osato disturbarlo mentre si fumava una canna in santa pace. Ma quando spalancò la porta urlando “arrivo”, si bloccò di colpo: il grande Harvey Specter stava in piedi proprio di fronte a lui. Mike notò i suoi capelli scompigliati, che per una volta non erano impataccati dal gel, dandogli un’aria sexy; la camicia scura senza cravatta era sbottonata leggermente in alto, ma comunque abbastanza da farlo imbambolare sul posto. Quando Harvey fece qualche passo avanti, entrando guardandosi intorno con aria circospetta senza essere stato invitato, Mike si costrinse a reagire: si fece da parte, nascose la canna dietro la schiena e sforzandosi di assumere un tono normale, esclamò: “Buona sera anche a te, Harvey. Prego, entra pure.” Sbatté la porta dietro di sé, realizzando che il suo aspetto doveva essere un schifo in confronto a quello impeccabile del suo capo, che sicuramente si alzava già dal mattino senza un capello fuori posto. Sperò che il più grande non ci facesse troppo caso, ma come se gli avesse letto nel pensiero, niente sfuggiva a Mr Specter. Nel giro di cinque secondi, annusò l’aria, registrò l’odore, si girò a guardarlo con le mani in tasca, squadrandolo dalla testa ai piedi con la sua espressione illeggibile, e chiese: “Hai fumato?”
Mike fece spallucce. “Vuoi farmi causa? Non siamo al lavoro.”
“Come scusa?”, domandò Harvey scettico, seguendolo con lo sguardo mentre tornava al tavolino stracolmo di bottiglie vuote. “Lascia che ti ricordi una cosa. Non mi avevi promesso che avresti smesso?”, chiese con una punta di accusa.
“Sono in casa mia, Harvey. Ho avuto una giornata di merda e non sto facendo del male a nessuno. Che importa?”
“Importa a me”, replicò lui sovrastando la sua voce. “Quando mi fai una promessa, pretendo che tu la mantenga.” Fissò gli imperdonabili occhi scuri su di lui, con le rughette che gli si stavano già formando intorno alla bocca per l’irritazione.
Mike sollevò le mani come a dire che non poteva farci niente e poi le lasciò ricadere lungo i fianchi mollemente. “Che sei venuto a fare, comunque?”, cambiò discorso.
“A riprendermi quello”, spiegò lui, puntando il dito verso il costoso smoking. Mike sperò che non si fosse accorto del versetto strozzato che gli era sfuggito. “Vedo che te lo sei tenuto. Non dirmi che te lo porti nel letto e lo abbracci tutte le notti pensando a me”, esclamò ironico, lanciandogli un’occhiata e schioccando la lingua seccamente.
Mike preferì tacere; non si fidava abbastanza di se stesso in quel momento, per non rispondere che sì, gli sarebbe piaciuto.
“Be’, se è solo per questo, prendilo e vattene.” Non sapeva neanche lui da dove provenisse questo tono. Forse era arrabbiato con Harvey per aver lasciato che lui si riducesse di nuovo così. Per non essersi preso abbastanza cura del suo cucciolo, perché entrambi sapevano che per il più grande Mike era un cuccioletto da accudire.
Harvey lo guardò incredulo, per quanto il grande Specter possa farsi cogliere senza parole. Lo osservò insistentemente e poi gli rivolse un’espressione più comprensiva. “Mike, che succede?”
“Ora ti importa?”, ribatté lui con rabbia.
“Non te lo starei chiedendo se non mi importasse. Che cosa c’è?”, domandò con un tono dolce che solo in rare, rarissime occasioni, sapeva tirare fuori.
“Niente”, rispose lui, evitando il suo sguardo e abbassando senza volerlo il capo.
Harvey fece un passo in avanti e insistette: “Ti ho chiesto cos’è successo.”
“Lascia perdere, ok?”, esclamò Mike fissando i suoi occhioni azzurri su di lui, ma la voce lo tradì e  s’incrinò all’ultimo. Si fregò gli occhi con le mani prima che Harvey potesse vedere le sue lacrime, ma ormai era tardi. Non voleva comunque mettersi a piangere come un bambino davanti al suo capo. Prima che potesse accorgersene o fare qualcosa per impedirlo, però, sentì una mano appoggiarsi sulla sua nuca e poi Harvey lo strinse a sé. Mike rimase a bocca aperta. “Ti.. ti rendi conto che mi stai… abbracciando?”, chiese sconvolto.
Per tutta risposta, Harvey esclamò: “Ma ‘sta zitto!”. Quando Mike si lasciò finalmente andare e nascose la faccia nell’incavo tra collo e spalla, Harvey lo abbracciò più forte. Rimasero così qualche secondo, con Mike che singhiozzava senza pudore insudiciando la costosa giacca dell’altro, e Harvey che gli dava pacche rassicuranti sulla schiena, senza riuscire a trattenere un’espressione di orrore al pensiero delle condizioni in cui si trovava il pezzo sopra del suo vestito. Quando finalmente il più piccolo si fu ripreso abbastanza, Harvey si tolse la giacca contaminata di moccio e la lanciò sul divano, borbottando: “Ti manderò il conto della lavanderia.”
Mike si asciugò gli occhioni azzurri e poi andò a sedersi accanto all’altro. “Allora, vuoi dirmi che succede?”, chiese Harvey paziente.
“Che cosa? Mi stai dicendo che sei disposto a fare il babysitter?”, domandò Mike scettico.
“Solo per stasera, quella che ho assunto è andata in ferie”, accettò Harvey con finta riluttanza.
“Potresti doverti subire anche la soap opera”, lo avvertì.
Ripensandoci, Harvey ammise: “Dovrei proprio licenziarla per ciò che mi tocca fare.” Osservandolo con più attenzione, Harvey sospirò. “Seriamente Mike, perché hai ricominciato a fumare?”
“Guardami Harvey”, esclamò lui. “Ho un lavoro che non merito neanche, una laurea finta. Guadagno un sacco di soldi ma non ho nessuno con cui condividerli. Ho comprato una casa a Manhattan per mia nonna, e ora non so cosa farmene. Tutti i miei parenti sono morti, e i miei amici mi hanno abbandonato. Sono solo. E triste. E non voglio più essere né solo né triste”, mormorò.
Harvey lo guardò con dolcezza, posandogli poi una mano sul braccio, disse: “Non sei da solo, Mike.”
“Sì, invece. Non so tu ma io non vedo questa gran fila di persone che fanno parte della mia vita”, ribatté lui.
“Volevo dire che non sei completamente solo. Ci sono io con te.”
Mike alzò gli occhi su di lui e lo guardò sorpreso. L’aveva detto davvero? Voleva dire che per lui contava almeno un poco di quello che Harvey significava per Mike? Sul serio non era completamente solo? Sì, ad Harvey importava di lui, e questa era la rassicurazione migliore che potesse ricevere in una serata come quella. Rimasero a fissarsi negli occhi per parecchi istanti, come a voler confermare ciò che era stato detto, come a credere possibile quello che stessero per fare. Poi Harvey, sempre lui faceva il primo passo, si sporse in avanti, avvicinò le labbra a quelle dell’altro e sussurrando, ripeté: “Non sei solo, perché ci sono io qui con te. E non ho nessuna intenzione di lasciarti andare.” Il bacio che si scambiarono fu tenero, dolce, e umido al tempo stesso. Mike stava piangendo di nuovo. Allacciò le braccia intorno al collo di Harvey e lo tenne stretto a sé. Harvey, dal canto suo, prese ad accarezzargli la schiena e la guancia, esplorando la sua bocca sempre più velocemente e con voracità. Un attimo dopo, o forse un secolo dopo, Harvey spingeva Mike sul divano e lui si lasciava ricadere sulla schiena, tirandosi addosso il più grande per non doversi separare da quel bacio. Mike avvertì, però, un rigonfiamento sotto di sé, tastò con la mano libera e si ritrovò a sfilare la giaccia di Harvey da dietro la sua schiena. “Sei una pessima babysitter. Come fai a curare i bambini se lasci in giro persino le tue cose?”, chiese con un sorriso, lanciando poi la giacca da qualche parte nella stanza. Per tutta risposta, Harvey si mise a cavalcioni sopra di lui e mormorò: “Meno male che non lo sono. Le babysitter non fanno questo…” Lo baciò sulla guancia  e poi proseguì lungo il mento, lasciando una scia umida dietro di sé. “O questo…” Gli leccò il lobo dell’orecchio, succhiandolo piano e strappando un gemito a Mike. “Oppure questo…”, disse muovendo il bacino in modo che la sua erezione fregasse contro quella dell’altro.
“Oook”, esclamò Mike agitato, tirandosi su quasi di scatto. “Ho capito, non sei una babysitter. Non proverò mai più a darti della babysitter.”
“Lo vedi, sono un avvocato e sono molto bravo nel convincere le persone.”
“Dimostrami di essere bravo anche in qualcos’altro”, gli rivolse un’espressione oscena e maliziosa insieme.
“Ok, sfacciato, ti faccio vedere io”, replicò Harvey con un sorriso sexy, prima di tornare a baciarlo con la lingua e a divorarlo. Slacciò la cravatta di Mike mentre il ragazzino allentava la sua. Si tolsero le rispettive camice, e Harvey brontolò qualcosa quando Mike le lanciò entrambe per terra senza alcun rispetto. Passarono poi ai pantaloni, gli oggetti che più di tutti premevano per essere tolti. Harvey gli slacciò la cerniera e poi gli sfilò anche i boxer, subito seguiti dai suoi. Mike gemette forte mentre l’altro lo preparava, infilandogli due dita con deliberata lentezza. Quando venne il momento di penetrarlo, il ragazzino quasi urlò dal dolore e si aggrappò forte alle sue braccia come un bambino che non vuole lasciare andare la sua mamma. E Harvey, da bravo genitore, lo rassicurò con parole dolci sussurrate all’orecchio. Ma la goduria maggiore di tutte, fu vedere Mike che reagiva sotto le sue spinte, ansimando di piacere nella sua bocca, assecondandolo di tanto in tanto per premere più a fondo. Harvey si muoveva sempre più veloce, con il fascino di una pantera, gemendo anche lui sempre più forte. Quando entrambi erano quasi al limite, Harvey scambiò le posizioni, portandosi il ragazzino sopra di sé e lasciando che facesse il primo e ultimo passo da solo. Mike si inarcò con un urletto strozzato quando entrambi vennero, tenendosi in equilibro con le mani appoggiate sulle spalle di Harvey. Poi si lasciò ricadere stancamente sul suo petto liscio e sudato, ascoltando il battito del suo cuore mentre cercava di riprendere fiato. Harvey lo cullò tra le sue braccia per lungo tempo, come se stesse cercando di far addormentare un cucciolo. E poi diceva di odiare fare il babysitter.
Infine, Mike premette il viso contro la sua pelle e mormorò: “Non lasciarmi solo.”
Harvey gli posò un bacio tenero sui capelli e replicò: “Mai.”

NdA

Che direi, spero vi sia piaciuta. Fatemi sapere cosa ne pensate lasciando una recensione. :)
See u soon, 
Elis. 

 
  
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