Come
le vacche di Apollo
- Okay – dissi. – Vada
per un pomeriggio normale e due persone normali.
Lei
annuì. – Allora... ipoteticamente, se queste due
persone si piacessero, che
cosa ci vorrebbe per spingere lo stupido ragazzo a baciare la ragazza,
eh?
Che
fossi stupido era fuori
discussione. In quel momento lo ero. Ero stupido, rosso come le vacche
di
Apollo e, anche se mi trovavo vicinissimo al mio elemento,
cioè il mare, ero
ben lontano dall’essere il semidio figlio di Poseidone.
Andava bene, questo,
dato che avevo appena accettato di passare un pomeriggio da persona
normale.
Era il resto a non andare bene. La mia lentezza. La mia goffaggine.
Chissà
se mio padre mi stava
guardando, a proposito... Beh, ne dubitavo. Probabilmente era impegnato
in una
terribile battaglia nelle profondità dell’oceano.
Guardai
Rachel, che aspettava.
Aspettava
che la baciassi, ovvio.
Deglutii.
-
Non hai mai baciato una ragazza,
vero Percy? – chiese Rachel.
-
Oh, ecco... Io... Ehm, no.
Ancora
più rosso. E accaldato.
Rachel
sorrise.
Lei
l’aveva mai baciato, un
ragazzo? Un ragazzo normale, intendevo. Forse no, dato che Rachel, al
contrario
di altri mortali, vedeva attraverso la Foschia e quindi era circondata
da
mostri che le davano di volte al cervello, non permettendole di
concentrarsi su
qualche interessante membro della specie maschile.
Tuttavia
Rachel non ebbe
esitazioni. Lei non era mai esitante. Era una di quelle ragazze che non
si
nascondevano e mostravano apertamente i propri sentimenti. Come stava
facendo con me.
Non
era Annabeth, però. Era quello
il problema? Se ci fosse stata Annabeth al suo posto sarei stato meno
lento?
Rachel
si protese verso di me e
premette le labbra sulle mie, con determinazione. I suoi capelli rosso
fuoco
sfiorarono la mia faccia rosso fuoco. Sbarrai gli occhi, mugugnai
qualcosa, ma
socchiusi la bocca per rispondere in qualche modo e sentii che quella
di Rachel
si muoveva insieme alla mia.
Sì,
decisamente goffo e lento come le
vacche di Apollo. Se non peggio.
Rachel
spinse la lingua nella mia
bocca. Nell’istante stesso in cui questo accadde chiusi gli
occhi e avvertii
una sensazione molto... molto piacevole. E anche qualcosa... un certo
formicolio un po’ più in basso, ma non
c’è bisogno che ve ne parli, giusto?
Quando
Rachel si staccò da me,
anche lei era rossa. Vistosamente rossa. Si aggiustò una
ciocca di capelli e si
passò una mano sulla fronte.
Io
restai là, come un idiota.
-
Ehm... – cominciai, umettandomi
le labbra.
-
Sai di salsedine – commentò
Rachel, precedendomi.
-
Salsedine? Non di alghe, quindi?
– Quasi non sapevo ciò che dicevo. Mi girava la
testa.
-
No, non di alghe.
Aprii
la bocca per aggiungere
qualcosa, ma arrivarono Beckendorf e Blackjack.
Avevo
avuto modo di osservare
dall’alto la scena che si stava svolgendo sulla Prius
parcheggiata sul
promontorio affacciato sull’Atlantico. Prius che Percy
Jackson non avrebbe potuto
guidare, dato che non aveva ancora compiuto sedici anni. Dettagli.
Eccoli
là, i piccioncini. Lui e
quella strana ragazza di nome Rachel. Ne avevo vagamente sentito
parlare.
Vagamente, sì.
Si
stavano baciando. Quasi mi
dispiaceva interrompere un momento tanto romantico, ma si stava per
scatenare
la fine del mondo.
Quando
rivedrò Annabeth dovrò cercare di tenere la bocca
chiusa.
Percy
aveva un debole per Annabeth
Chase, quindi, a margine, mi domandavo perché stesse
baciando un’altra.
TUMP-TUMP-CRUNCH!
Gli
zoccoli di Blackjack, il
cavallo alato amico di Percy, piombarono sul cofano della macchina,
scavando
alcuni, poco simpatici crateri.
-
Blackjack, che stai... – iniziò
Jackson. Poi,
però, alzò la testa e vide proprio il
sottoscritto, Charles Beckendorf, in sella al destriero.
È
rosso come le vacche di Apollo, pensai,
tra me e me.
-
Ehi, Percy – lo salutai
allegramente.
Blackjack
nitrì. Non essendo figlio
di Poseidone, ma “solo” di Efesto, non potevo
capire il linguaggio equino, ma
certamente il cavallo alato era felice di rivedere il suo
“capo”. E forse anche
un po’ perplesso e imbarazzato per aver interrotto la
scenetta romantica.
Percy
diede un’occhiata alla mia
tenuta da combattimento e capì. –
È ora?
Mi
incupii e dovetti annuire.
Il
rosso del suo viso si tramutò in
un ragionevole bianco ricotta.
-
Ciao – disse
Rachel, sollevando lo sguardo su di lui. Era
scocciata e non aveva tutti i torti.
È
carina. Bel colpo, Perceus Jackson, pensai,
cercando di
darmi un tono. Non ero esattamente il benvenuto, visto e considerato
che
indossavo un pettorale, l’elmo da guerra di bronzo, un paio
di pantaloni
mimetici neri e avevo una spada assicurata
alla cintura. In più nella borsa a tracolla c’era
un bel mucchietto di
esplosivi.
-
Oh, ehi. Io sono Beckendorf. Tu devi essere
Rachel – Mi inventai
qualcosa. – Percy mi ha parlato
di...
ehm, mi ha parlato vagamente di te.
Inarcò
un sopracciglio. – Davvero? Bene. E
così immagino che adesso
dobbiate andare a salvare il mondo.
-
Più o meno – confermai.
Salvare
il mondo da Crono.
Che
cosa volete che sia? Un giochetto da ragazzi, mi
dissi, per sdrammatizzare.
Percy
guardò Rachel, disarmato. – Potresti
dire a mia madre...
-
Glielo dirò. Sono sicura che
c’è abituata. E spiegherò a Paul la
storia
del cofano.
Mi
chiesi cosa mai avrebbe
raccontato al compagno mortale della madre di Percy. Sembrava una
ragazza molto
sveglia, comunque.
-
Buona fortuna – continuò
Rachel, senza dare il tempo al povero
Percy di reagire. – Ora muoviti,
mezzosangue, và ad ammazzare qualche mostro per me.
Sì,
decisamente la ragazza mi
piaceva. Se fossi stato al posto di Percy (e se al posto della ragazza
con i
capelli rosso fuoco ci fosse stata la mia Silena) un bacio glielo avrei
anche
dato. Sicuramente. Non era detto che saremmo tornati da
quell’impresa. Forse sì
e forse no. Avevo chiesto a Silena di stare tranquilla e lei mi aveva
dato una
sua foto, che custodivo gelosamente, ma una foto come portafortuna
poteva anche
non bastare. Si parlava di Crono. Di lui e dei mostri che ingrossavano
le file
del suo esercito e di altri mezzosangue ai quali era stato fatto un bel
lavaggio del cervello.
“Mi
chiedi di stare tranquilla... Sei davvero convinto che io
starò tranquilla,
Charles?”. Silena
mi aveva guardato con i suoi
grandi occhi blu. Accigliata. Infelice.
Avevo
pensato che fosse bellissima.
Bellissima proprio come sua madre, la dea Afrodite. Ed era anche
coraggiosa.
“Silena,
non so che altro dirti. Spero tu possa perdonarmi. Sono solo un povero
figlio
di Efesto e non sono bravo con le parole”.
Silena
mi aveva baciato e basta.
Devo
tornare, pensai.
Devo
assolutamente tornare al Campo.
-
Allora – aggiunsi poi,
quando fummo in volo sopra l’Atlantico. – Immagino che non dovrò parlare di
quest’ultima scenetta con Annabeth.
-
Oh, dei. Non pensarci nemmeno. – rispose
Percy.
Risi.
Era bello ridere con un amico
prima della battaglia.
Blackjack
nitrì di nuovo. Presumo
la pensasse come me.
__________________________
Ecco
qua: una cosa leggera leggera
e senza pretese. Io amo Annabeth, ma leggendo Lo
scontro finale mi è proprio venuta voglia di
scrivere una
versione alternativa di questa scena. Tra l’altro,
è la prima storia che posto
in questo fandom.