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Autore: Fun_for_life_    14/04/2014    0 recensioni
La mia vita era perfetta, o almeno così credevo, finchè poi un giorno qualcosa cambiò.. eravamo rimasti solo in quattro, io, i miei migliori amici, e la musica dei Fun. a rendermi la vita migliore.
Stavo per partire per New York, il mio migliore amico mi aveva comprato dei biglietti per il concerto dei Fun., e quella sera successe qualcosa che cambiò la mia vita per sempre.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andrew Dost, Jack Antonoff, Nate Ruess, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Rabbia, nervoso, delusione, frustrazione, paura, ansia. Tutte le mie emozioni peggiori erano state amplificate nel sentire le parole di Nate. Non mi resi conto di star trattenendo il respiro finchè non mi alzai, tremolante, e mi diressi a bere un bicchiere d'acqua. Se davvero avevo un tumore, per quale fottuto motivo non me lo aveva detto?! Ero talmente arrabbiata che uscii dalla mia stanza perchè sentivo il bisogno di colpire qualcosa e non volevo svegliare Nate, anzi, non volevo proprio vederlo al momento. Fermai la mia mente dalla corsa di pensieri che stava intraprendendo e feci prevalere la mia parte razionale. Poteva essere un semplice incubo, dovevo trovare certezze. Solo in quel momento notai l'assenza di una cartella clinica alla fine del mio letto come avevano tutti gli altri. Senza esitazione mi diressi dal medico che aveva il turno di notte, e bussai due colpi alla sua porta.

"Avanti" sentii quasi impercettibilmente dire all'interno della stanza. Mi feci coraggio e abbassai la maniglia. Non dovevo aver paura, conoscevo ormai tutti i dottori e infermiere.

"Buona sera" esclamai entrando e accomodandomi sulla poltrona di fronte la scrivania del dottor Turner.

"Syria! Che ci fai sveglia a quest'ora?" chiese, notai una nota di preoccupazione nella sua voce. Decisi di affrontare subito l'argomento senza troppi giri di parole.

"Dottore, perchè io non ho una cartella clinica da poter leggere?" improvvisamente interruppe il nostro contatto visivo, iniziando a sudare freddo.

"Beh, perchè.. ecco.. noi.. non... ehm..." si guardava nervosamente intorno alla ricerca disperata di qualcosa da dire.

"Dottore." dissi con voce ferma. La confidenza che avevamo stava risultando utile. "Ho un tumore, non è vero?" chiesi diretta. L'adrenalina scorreva veloce dentro di me, credevo fosse quella che mi spinse a chiedere quella domanda senza esitazione, nonostante mi sentissi morire dentro. Tirò un gran sospiro prima di annuire impercettibilmente e ristabilire il contatto visivo.

"Io e il tuo fidanzato avevamo un accordo...." storsi le labbra alle parole -il tuo fidanzato- per il nervoso ".... mi aveva chiesto di essere lui stesso a dirtelo, gli avevo concesso cinque giorni massimo, in pratica prima dell'inizio della chemioterapia"

Mi irrigidii sul posto. Quella parola iniziò a rimbombarmi nelle orecchie, era assordante. Chiesi altre informazioni sulla malattia, cose che avrei preferito non sapere. Specialmente la parola -inoperabile-. Improvvisamente tutto attorno a me sembrò fermarsi. Le mie emozioni erano talmente amplificate che si annullarono a vicenda, lasciando dentro di me un vuoto enorme. Mi sentii debole, vulnerabile. Volevo stare sola, così mi feci dare la mia cartella clinica, su cui c'era scritto tutto, e lasciai la stanza, salutando e ringraziando. Mi diressi nella sala dei giochi per i bambini, che ero sicura essere deserta in quel momento. Mi sedetti al bordo della finestra, poggiando la testa al vetro e osservando il buio avvolgere la città. Macchine che scorrevano per le strade nonostante l'ora, gente ubriaca che barcollava per i marciapiedi, il camion per la spazzatura che collezionava i rifiuti. Non mi sentivo più parte di quel mondo, restavo impassibile a guardare quei movimenti, incantata dalla luce del semaforo che cambiava colore. Colori che sembravano aver perso ogni significato ai miei occhi. L'unico che riconoscevo in me stessa era il nero. Strinsi più forte la cartella in plastica tra le braccia, fino a farmi quasi male, e strizzai gli occhi, sentendoli pizzicare. Estrassi il cellulare dalla tasca, cercando qualcuno con cui potermi sfogare. Gli unici che avrei potuto chiamare erano i ragazzi, si trovavano dall'altra parte del mondo, quindi da loro era pomeriggio. Senza pensarci due volte, composi il numero di Zayn. Rispose al terzo squillo.

"Piccola!" mi salutò, facendomi spuntare un accenno di sorriso. Ogni volta che mi parlava usava quei nomignoli che tanto amavo, come quasi tutti gli altri ragazzi.

"Zayn" dissi semplicemente, cercando di far trasparire almeno un po' di entusiasmo nella voce, ma con scarsi risultati.

"Hei, che succede?" chiese subito premurosamente. Mentre pensavo se fosse giusto o meno rivelargli quella notizia per telefono sentii delle persone dietro di lui fare un gran baccano. Avrei giurato che fosse Harry che rimproverava Louis per uno dei suoi soliti scherzi. La risata di Zayn si diffuse per il cellulare subito dopo quella di Liam e Louis. Dio, quanto mi mancavano. Non potevo essere tanto egoista da scaricare quel peso su di loro, così mi limitai a lasciarmi distrarre.

"Niente, sono solo un po' stanca, voi come state?"

"Stanchi anche noi, ma fra quattro giorni abbiamo una pausa finalmente"
"Già e poi finalmente verrete qui, mi mancate un sacco" lo sentii sospirare, brutto segno.

"Ci manchi tantissimo anche tu, ma... non credo che potremo venire" ecco, quel poco di sollievo che avevo provato, aveva lasciato di nuovo spazio al buio. Ancora più cupo, questa volta.

"Perchè?" chiesi con tono freddo e deluso.

"Beh perchè abbiamo appena saputo che questa sarà la nostra ultima pausa per un bel po', e beh noi volevamo passarla con le nostre fidanzate perchè...." lo interruppi, avevo afferrato il concetto. Mi sentii sprofondare.

"Perchè loro sono più importanti di me, certo lo capisco. Devo andare ciao ragazzi." risposi fredda prima di staccare la chiamata. Capivo che preferivano stare con le loro fidanzate, ma cavoli, Eleanor mi aveva detto che si erano visti appena la settimana scorsa, perchè le ragazze si erano messe d'accordo per fare loro una sorpresa. Motivo per cui Alessandra era ripartita. E sprofondai ancora più giù. Era questo che mi feriva di più, noi non ci vedevamo da più di sette mesi. Il telefono riprese ad illuminarsi, il nome di Zayn lampeggiava sullo schermo. Prima che potessi anche pensarci, avevo già risposto.

"Syria mi dispiace, ma cerca di capirci, non le vedremo per un bel po' di tempo"

"Sette mesi Zayn. Non ci vediamo da sette mesi e se ne aggiungeranno chissà quanti altri" la risposta di Zayn fu interrotta da un commento di Louis che probabilmente pensava non avrei sentito.

"Cavolo ma che le prende in questo periodo? Saranno gli ormoni, è da quando è incinta che fa così, è insopportabile" ammise con frustrazione nella voce. E caddi ancora più giù, fino a non riuscire più vedere la luce. Nonostante il tentativo di Zayn di coprire la sua affermazione, afferrai bene quelle parole, abbastanza bene da sentire il dolore diffondersi fino dentro le ossa. Il dolore scomparve in fretta, lasciando altro spazio al vuoto nel mio petto che si allargò notevolmente, trasciandomi ancora più giù nel burrone dell'apatia. La luce solo un bel ricordo.

"Bene, ringrazia Louis da parte mia, e digli di non preoccuparsi, tanto non ho intenzione di richiamare ancora. Vi auguro di divertirvi, tolgo il disturbo." dissi acida e ferita, non attendendo nemmeno una risposta prima di premere il tasto rosso e gettare con rabbia il cellulare sul pavimento ai miei piedi. Ignorai tutte le chiamate che seguirono quella spiacevole telefonata e rimasi a fissare il mondo fuori dalla finestra.

P.O.V. Nate

Mi svegliai particolarmente sfinito, ma soprattutto con un brutto presentimento. Erano le 6:30 del mattino, e il sole era già completamente sorto. Mi stiracchiai, ricordando gli avvenimenti della scorsa notte e notando spiacevolmente di essere solo nel letto. Scrutai la stanza, non trovando Syria da nessuna parte. Non si era mai alzata dal letto prima che io mi svegliassi. Andai a controllare nel bagno se fosse lì, ma anche quello era vuoto. Uscii per i corridoi trovandoli ancora quasi completamente deserti visto l'orario. Trovai Benedetta e le chiesi se l'aveva vista, annuì con volto triste e mi indicò la sala dei bambini. Seguii il suo sguardo confuso, non capendo cosa potesse farci lì a quell'ora. Appena arrivai, la notai seduta all'angolo, sotto la finestra con la testa poggiata al vetro. Era totalmente immobile, talmente tanto da farla sembrare un'immagine dipinta per quanto surreale, sembrava che nemmeno stesse respirando. Mi avvicinai e poggiai una mano sulla sua spalla. Sussultò e si distaccò subito interrompendo il contatto. Corrugai le sopracciglia non capendo il motivo della sua azione, fin quando non mi porse la cartella clinica, senza nemmeno guardarmi. Deglutii a vuoto, notai quanto la mia mano stesse tremando quando afferrai l'oggetto, aprendolo e scoprendo tutte le cose che non le avevo ancora detto, che lei ora aveva scoperto, e l'aveva fatto nel peggiore dei modi. Feci un ulteriore passo avanti e sentii qualcosa sotto il piede destro. Il suo cellulare abbandonato al suolo. Lo raccolsi notando un'infinità di messaggi dai ragazzi che le chiedevano scusa per vari motivi, tra cui l'impossibilità di poter venire a trovarla come avevano promesso. Questo non ci voleva proprio, sapevo quanto tenesse a loro, e la loro presenza era proprio quella che ci voleva in questo momento. Cercai di nuovo di instaurare di un contatto con lei, afferrandole il braccio, ma non me lo permise, allontanò la mia mano, aggiungendoci un lamento di dolore. Solo allora notai due lividi all'interno delle braccia, che collegai subito con la cartellina. L'aveva stretta talmente forte, per così tanto tempo che le si era bloccata la circolazione, formando due macchie violacee. Non sapevo se essere più preoccupato del fatto che ora sapesse e fosse arrabbiata con me perchè aveva saputo che io glielo avevo tenuto nascosto, o se stesse soffrendo talmente tanto, da non sentire nemmeno il dolore alle braccia. Mi sedetti davanti a lei, stando bene attento a non sfiorarla nemmeno accidentalmente e la fissai per un tempo infinito, sperando che lei ricambiasse il mio sguardo, ma non lo fece, mi ignorò completamente, continuando a fissare il panorama.

"Piccola mi dispiace.." fece una smorfia infastidita che mi ferì ulteriormente. "Ti prego guardami.." continuai speranzoso, ma non lo fece, non spostò il suo sguardo dalla sua precedente posizione. Non si mosse di un millimetro. "Amore.. per favore dì qualcosa, qualsiasi cosa" niente ancora, era come se non ci fossi. Il suo respiro era pericolosamente controllato, la sua mascella contratta, labbra serrate e sguardo spento.

"Ti prego.. " riprovai, poggiando una mano sulla sua, che lei prontamente ritrasse, così abbassai lo sguardo, sconfitto. Sospirai pesantemente e andai a chiedere al dottore.

Come pensavo mi confermò tutto, lei era stata lì quella notte e il dottor Turner le aveva detto tutto, anche del nostro accordo. Dannazione avrebbe potuto evitare l'ultimo dettaglio. Quando tornai a vedere se ci fosse stato qualche cambiamento, la sala giochi era stata popolata dai bambini sorridenti e lei era sparita. Tornai in stanza per recuperare il mio cellulare e la trovai lì, seduta nella stessa posizione sotto la finestra. Diversa stanza, stesso sguardo assente, stesse gambe strette al petto, stesso viso abbandonato contro il vetro. Provai e riprovai a farla parlare ma senza alcun risultato. Stanco, chiamai i rinforzi. Gli unici nei paraggi erano Andrew Jack e Miriam. Composi il numero di Jack e attesi.

"Pronto?" mi rispose affannosamente.

"Jack, che succede?"

"Miriam sta per partorire!" sembrava in preda ad una crisi.

"Ok Jack, stai calmo, respira e dimmi dove siete, veniamo subito"

"Il vostro stesso ospedale, terzo piano"

"Arriviamo" dissi semplicemente, senza considerare che Syria non mi ascoltava nemmeno quando parlavo. Iniziai a togliermi il pigiama, cambiandomi.

"Miriam sta per avere il suo bambino, capisco che sei arrabbiata con me, ma non puoi mancare alla nascita di suo figlio" dissi duro. Lei non disse niente, semplicemente si alzò, si vestì e dopo poco uscì dal bagno lavata e pronta. Io feci lo stesso, impiegando meno tempo possibile e ci posizionammo di fronte all'ascensore, che non si decideva ad arrivare. Improvvisamente sentii lo spostamento d'aria di Syria che intraprese una corsa. Senza pensarci la seguii, dirigendomi con lei alle scale. Evidentemente era stufa di aspettare l'ascensore. Scendemmo quattro piani di corsa, arrivando col fiatone, trovando Andrew e Jill seduti sulle poltroncine della sala d'aspetto. Il mio amico comprese subito la tensione tra di noi e mi lanciò uno sguardo d'intesa, dirigendosi alle macchinette. Syria continuò a non guardare nessuno, e si sedette su una delle poltroncine, in disparte. Vederla così mi stavo distruggendo, e non poterla confortare mi faceva sentire inutile. Avrei voluto piangere, ma non potevo, ora dovevo essere forte, per entrambi. Raggiunsi Andrew alle macchinette e presi un caffè, visto che avevo mancato la colazione quella mattina.

"Cosa succede?" chiese schietto.

"Andy.. ha saputo, sa del tumore, sa tutto"
"E non dovresti esserne sollevato? Ti sei tolto un peso"
"No, non l'ha saputo da me, stamattina l'ho trovata sotto la finestra con la sua cartella clinica tra le braccia..." sospirai triste rivivendo quel momento nella mia mente "...non mi permette di toccarla, non mi rivolge la parola, non mi guarda, è come se non esistessi...non riesco a sopportarlo" conclusi. Una mano si posizionò sulla mia spalla cercando di confortarmi.

"Nate, è arrabbiata, è spaventata, è comprensibile che stia reagendo così, ma tu non mollare, vedrai che prima o poi le passerà..nel frattempo, vado io a parlarle" mi sorrise aprendo le braccia, io mi lasciai abbracciare, avendo proprio bisogno di quel conforto.

P.O.V. Syria

Rimasi seduta a quelle poltroncine, davvero scomode aggiungerei, a contemplare il muro di fronte a me. Era di un azzurro pastello, tipico degli ospedali. Iniziai ad analizzare tutti i disegni esposti e ogni particolare riuscissi a scorgere. Tenere la mente occupata era la cosa migliore che potessi fare il quel momento. Il cellulare vibrò ancora e ancora nella mia tasca, finchè scocciata non lo presi, notando solo in quel momento la crepa sullo schermo, causato probabilmente dalla caduta che gli avevo fatto fare, me ne importava davvero poco. Questa volta era il nome di Liam che continuava a lampeggiare sullo schermo. Non avrei risposto, loro non potevano nemmeno immaginare cosa stesse succedendo qui. Rifiutai l'ennesima chiamata, e iniziai a leggere quanti più messaggi riuscissi tra quell'infinità.

"Piccola mi dispiace davvero tanto, siamo molto stressati e sai che Louis non pensava davvero ciò che ha detto, per favore rispondi.

-Z "

"Giuro che non avrei mai voluto dire una cosa del genere, quello con gli ormoni in subbuglio sembro io qui, non tu.. mi dispiace davvero, sai che ti adoro carotina, ti prego rispondi alle chiamate.

-L"
"Sai che Louis è un emerito idiota, che pretendi? A confermarlo oggi ne ha combinata un'altra delle sue, credo tu abbia sentito che gliene ho dette di tutti i colori.. se ci richiami te la racconto.

-H"

"Se non rispondi giuro che vengo lì e ti uccido, siamo in pensiero per te, e siamo dispiaciuti, puoi rispondere?!

-Z"

Gli altri erano più o meno tutti uguali, continuai a leggere, riuscendo per un momento a distrarmi. Decisi di rispondere solo a Louis, convinta che avrebbe riferito anche agli altri.

"Ragazzi, qui le cose non vanno molto bene, non è un buon periodo, per niente, nulla sta andando bene e io sono ancora rinchiusa in questo ospedale, mi dispiace se mi comporto così male come ha detto Louis, non lo faccio di proposito.. è solo che mi mancate, ma se volete stare con le vostre ragazze lo capisco, spero di vedervi il prima possibile.

P.S. Louis, sei un deficiente, ma ti voglio tanto bene.

-S"

La risposta non tardò ad arrivare, mi chiedevano ancora scusa, e dicevano che mi avrebbero chiamato più tardi. Continuai a girare e rigirare il cellulare tra le mani, fissando il pavimento, finchè non entrò nella mia visuale un paio di scarpe che riconobbi subito. Andrew. Aveva appena parlato con Nate alle macchinette, che sicuramente gli aveva detto del tumore, e lui non era sconvolto, il che implicava che lui già sapeva. Bene, un'altro che me lo aveva tenuto nascosto, di conseguenza un'altro da evitare. Si sedette accanto a me fissandomi, sentivo il suo sguardo bruciare sul mio profilo, ma non mi mossi, nè lo guardai.

"Syria mi dispiace così tanto, avevo detto a Nate di dirtelo, ma lui aveva paura, quando me lo ha detto ha pianto per ore e ore, io e Jack non riuscivamo a fare nulla per tirarlo su di morale, lui è così perdutamente innamorato di te che non sapeva cosa fare, è terrorizzato all'idea di perderti, non era pronto a dirtelo, perchè aveva paura di come tu avresti reagito e non avrebbe retto una reazione come questa, infatti ora sta malissimo, non essere arrabbiata con lui" continuò a guardarmi in attesa di una risposta che non sarebbe arrivata, di uno sguardo che non avrei ricambiato. Non aveva senso ciò che aveva detto, capivo che Nate aveva paura, ma cosa diavolo pensava che sarebbe cambiato non dicendomelo? La prima cosa che volevo era stare tra le sue braccia e confortarci a vicenda. Lui non avrebbe dovuto assimilare la notizia da solo, come non starei facendo io. Ma no, doveva rendere tutto più difficile. Mi sentivo così sola in quel momento, che sarei voluta sprofondare nella sedia e sparire. Le persone di cui avevo bisogno erano sparse per il mondo e una era proprio vicino a me, in una sala operatoria, e io non potevo nemmeno tenerle la mano. Sentivo il terreno mancarmi sotto i piedi. Ero abbastanza sicura che nessuno oltre Nate, Jack e Andrew lo sapesse, o almeno così speravo, se così non fosse stato sarei potuta impazzire. Il mio pensiero viaggiò a mia madre, chissà se lei sapeva. Probabilmente no, o si sarebbe fiondata qui, poi dovevo ancora dirle del bambino. Mi accarezzai lievemente il ventre, ricordandomi solo in quel momento di avere un essere che cresceva dentro di me. Avrei potuto ancora avere questa creatura con un tumore? Il dottore non aveva detto nulla a riguardo quindi presumevo di si.

Andrew era ancora lì nell'attesa che io aprissi bocca, ma quando capì che non lo avrei fatto, continuò a parlare.

"Nate non ha fatto colazione stamattina, quindi presumo nemmeno tu, ti va del latte caldo? Vado a prenderlo se vuoi" come faceva a mantenere quel tono dolce, io proprio non lo capivo. Se mi fossi trovata a parlare con qualcuno che non mi rispondeva, lo avrei preso per le spalle e scosso finchè non si sarebbe deciso a parlare. Dato che mi dispiaceva, scossi leggermente la testa, e mi voltai a guardare il lato opposto ad Andrew, sperando che andasse via, e così fece.

Rimanemmo in quel posto delle ore, ma io avevo perso la cognizione del tempo. Quando finalmente uscì uno Jack scosso e commosso. Piangeva come una fontana e annunciò che era nato un maschietto, che avevano deciso di chiamare Erick. Ero sicura che anche lui sapesse, quindi proprio non riuscivo a fargli le congratulazioni. Mi limitai a fare un cenno del capo, che a lui bastò, non fece caso a nulla, troppo felice per il nuovo arrivato. Gli altri festeggiarono allegramente con lui, ma io nemmeno li guardai, preferendo continuare ad analizzare il muro davanti a me. Nate mi dedicava delle occhiate di sfuggita, per accertarsi che fossi ancora lì. Attesi che ci diedero il permesso di vedere Miriam, e mi diressi da lei, scavalcai tutti gli altri, entrando forse un po' troppo prepotentemente per prima. Lei mi vide, e il suo sorriso si trasformò in una smorfia, mentre ancora teneva fra le braccia Erick. Ignorai le sue domande, continuando ad osservare il bambino, era bellissimo. Aveva due grandi occhioni color cioccolato, due guanciotte paffute che non vedevo l'ora di accarezzare. Mi avvicinai cautamente e mi sforzai di sorriderle, non ero arrabbiata con lei, ma non sentivo nulla in quel momento, nè felicità, nè gioia, nè odio, nè tristezza. Niente. Senza parlare, le chiesi il consenso di tenerlo, lei capì dalle mie mani tese in avanti e me lo porse, sostituendo di nuovo le sopracciglia corrugate con un sorriso. Lo presi tra le braccia, e il piccolo mi guardò piegando leggermente il capo. Sembrava mi stesse studiando. Sorrisi sinceramente alla sua espressione, e lui rise. Per la prima volta in quella giornata tutti i pensieri negativi rimasero bloccati fuori dalla mia mente, facendomi sorridere e stringere affettuosamente quel bambino. Ma no, non riuscii a sentire il solito calore nel petto che si prova quando si è felici. Non sentii nulla, nemmeno il mio stesso battito cardiaco. Concessi agli altri il permesso di entrare, abbandonando la stanza lasciando un piccolo bacio sulla fronte del bambino e uno a Miriam. Tornai in camera mia, accucciandomi di nuovo sotto la finestra, decisa a passare un bel po' del mio inutile tempo sotto quella finestra, a contemplare un mondo che sentivo non appartenermi più.

Passai così i giorni successivi, mangiando il minimo indispensabile, solo per il bambino che poteva avere nutrimenti solo attraverso me, senza toccare nulla, senza muovermi da quella posizione nemmeno per dormire nel mio letto, non abbandonai la mia postazione se non per andare in bagno, e cosa più importante non parlai, nel mezzo della mia apatia era emerso l'odio, solo quello. Ma non odio semplice, no, odio profondo verso me stessa, talmente grande da rendermi sgradevole il suono della mia stessa voce, che mi appurai di non far sentire alle mie orecchie e a nessun altro per tutti quei giorni. Nate era disperato, ma non sentivo dispiacere per lui, nè per nessun altro. Non parlavo e non avevo contatti fisici con nessuno, mi infastidivano, tranne col piccolo Erick. Era l'unico che mi concedevo di toccare e di guardare. Già, non guardavo nessuno. Non più dopo aver visto la compassione e la pena negli sguardi di chi mi guardava, che non facevano altro che far aumentare l'odio nei miei confronti. E magari mi sarei chiesta anche perchè tutto quell'odio nei miei confronti, se non fosse stato che quel sentimento era talmente forte da distrarmi da tutto il resto. Anche dalla prima giornata di chemioterapia.

P.O.V. Nate

Stavo esaurendo. Stavo perdendo il controllo di tutto. Lei era lì, ma era come se non ci fosse, era talmente distante da farmi mancare l'aria nel petto. Talmente fredda nei miei confronti da farmi sentire brividi di freddo in piena estate. Talmente dimagrita e sofferente, da farmi lacerare l'anima. Mi sentivo un' idiota colossale, pensavo che se glielo avessi detto probabilmente non avrebbe reagito così, probabilmente ora non sarebbe sotto quella finestra, probabilmente ora, sarebbe tra le mie braccia. Vedere la sua pelle morbida senza poterla toccare mi faceva male. Volevo toccarla, abbracciarla e baciarla così disperatamente che pensavo stessi per impazzire. Pur di sentire la sua voce, pur di vederla guardarmi come faceva prima, mi ridussi a cercare i video ufficiali delle nostre canzoni su YouTube. I miei amici erano disperati quasi quanto me, e quando saltò la prima seduta della chemioterapia mi infuriai. Le urlai contro che doveva fare quella terapia per il suo bene, per il bene del bambino, per il nostro bene. Ma lei non mi guardò nemmeno allora, non si mosse anche se le mie urla avrebbero potuto forarle i timpani. Rimase impassibile a guardare oltre la sottile lastra di vetro che la divideva dal mondo esterno. Stavo letteralmente impazzendo. Non vedendo altri risultati dopo il quinto giorno, capii che l'unica soluzione era chiamare chi volevo tanto tenere a tutti i costi lontano da lei per l'immensa gelosia che provavo, e quando capii che erano gli unici che avrebbero potuto fare qualcosa, mi sentii ancora peggio. Probabilmente da loro si sarebbe fatta toccare, magari avrebbe parlato. Avevo già cercato il numero delle ragazze il giorno prima chiamandole una ad una, ma nessuna poteva liberarsi prima di lunedì, venerdì al massimo, e noi eravamo ancora a domenica. Così, con tutto il coraggio che avevo in corpo composi quel numero, dovevo farlo per lei.

P.O.V. Syria

Un'altro giorno stava passando, il sole stava tramontando dietro quel palazzo che ormai conoscevo a memoria, come ormai tutto ciò che vedevo da quella finestra. Tutto normale, tutto come al solito. Sarebbe stata una giornata come tutti gli altri, se non avessi sentito un odore di miele che poteva appartenere solo ad una persona. Sentivo la sua presenza nella stanza, bruciarmi sulle spalle. Per la prima volta da più di una settimana, mi alzai da quella postazione che ormai aveva assunto la mia forma, e nonostante le gambe indolensite, tutti i muscoli che protestavano all'inusuale movimento, corsi a fiondarmi tra le sue braccia.  



Salvee! si, sono ancora viva! incredibile ma vero, sono riuscita a pubblicare! scusatemi per il ritardo davvero, ma, come sapete, si avvicina la fine della scuola quindi ci sono compiti in classe e interrogazioni praticamente ogni giorno, ma ora sono malata quindi sono riuscita a pubblicare! 
Comunque, passando al capitolo.. mi rendo conto che questo sia particolarmente pesante, ma capitemi, è un passaggio importante e non potevo non dedicare così tanto spazio alle emozioni dei personaggi. Ma c'è qualcosa di allegro! il nostro piccolo Erick! *^* trovo quella parte davvero dolcissima, e credo che sia chiaro perchè Syria sia così affascinata e presa dal bambino. Chi sarà appena arrivato? hehehe spero di non farvi aspettare troppo per rivelarvelo, farò del mio meglio per fare in modo che non passi troppo tempo, ma non vi prometto nulla. Grazie come sempre a chi mi sostiene, a chi legge, a chi recensisce, e anche a chi non lo fa, le visualizzazioni sono tantissime! *^* grazie! you make me happy <3 
Ora vi lascio, fatemi sapere che ne pensate, ci tengo! alla prossima! 

Baci, Fun__for_life_ <3 

  
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