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Autore: Ailis_    14/04/2014    4 recensioni
Post Season 3
Quando perdi tutto quello che sei, cosa ti rimane?
Sofi era diversa. Aveva quell’aria sognante ma i suoi occhi erano attenti. Era dolce ma sapeva allontanarti con uno sguardo, era piena di quel non so che; aveva un mondo dentro e lui ne era affascinato. Non sapeva mai cosa aspettarsi, era bella, ma non bella da esposizione: bella da amare, da stringere forte, da riderci insieme, da scherzarci insieme come due bambini. Era piccola, da abbracciare con cura e faceva paura. Il suo sorriso esagerato non copriva il dolore in fondo ai suoi occhi. E Stiles, perdendosi in quegli occhi, non avrebbe potuto fare altro che andarsene via e dannarsi l’anima o innamorarsene perdutamente.
Sofi ha perso la memoria. L’unica cosa che le resta del suo passato è un nome su un ciondolo, fino a quando Scott e Isaac e Stiles entrano nella sua vita. Ed è la seconda possibilità migliore che potesse desiderare.
Sofi e Stiles.
Scott e Kira, Lydia e Isaac, Derek e un nuovo amore.
Altri omicidi. Una nuova minaccia si avvicina.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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It's where my demons hide

Crumbling Walls

When the hour is night
And the hopelessness is sinking in
And the wolvers all cry
To feel they’re not worth hollering
When your eyes are red
And emptiness is all you know
With the darkness fed
I will be your scarecrow
You tell me to hold on
Oh, you tell me to hold on
But innocence is gone
And what was right is wrong.

Prologo

 

 

 

It’s where my demons hide

 

 

 

 

 

Listen, listen
I would take a whisper if that's all you had to give
But it isn't, is it?
You could come and save me and try to chase the crazy right out of my head

I'm out on the edge and I'm screaming my name
Like a fool at the top of my lungs
Sometimes when I close my eyes I pretend I'm alright
But it's never enough

 

 

 

 

Le tremavano le mani.
Per quello che voleva fare non era un buon segno. Ci voleva mano ferma, eppure le dita tremavano mentre chiudeva il rubinetto della vasca.
Aveva letto tanti libri, ma nessuno l’aveva preparata alla sensazione di una mente quasi separata dal corpo.
Le mani tremavano, le dita esitavano e il cuore batteva forte come un tamburo nella cassa toracica, come se stesse accumulando più battiti possibile prima che tutto finisse.
Ma la sua mente era lucida e distante, come se stesse osservando la vita di qualcun altro.
Si guardò intorno.
L’appartamento era tirato a lucido e profumava di limone e detergente per mobili. Il sole del pomeriggio morente entrava dalle finestre, ampie vetrate affacciate sul cielo terso di una bella giornata. Sembrava che le pareti gialle riverberassero i raggi di sole.
Era tutto così allegro e vitale da sembrare una realtà parallela, un mondo attraverso uno specchio.

L’unica nota stonata in quel quadretto di insopportabile perfezione era la musica.
Quella canzone era troppo triste per un mondo così ridente.
Aveva creato quella playlist con attenzione ed era l’unica cosa che non le sembrasse estranea nella propria casa.
Quella e il sole al tramonto, morente.

Si chiese se si sentissero così tutti quelli che decidevano di fare ciò che stava per fare lei. Così assolutamente determinati, freddi, impassibili.
Se avesse scavato un po’ più a fondo, si sarebbe forse resa conto che non c’era nessuna traccia di freddezza nelle sue decisioni.
Ma la disperazione più profonda è un sentimento bizzarro: può distruggere ogni barlume di razionalità oppure restituire un distacco impensabile, ma sotto sotto, è sempre un fuoco che arde facendo terra bruciata di ciò che tocca.
Ma lei stava tergiversando e non c’era più tempo. Alzò un po’ il volume della musica, poi lanciò il telecomando lontano e lo sentì cadere con un tonfo sordo.
Si diede un’ultima occhiata allo specchio, giusto per controllare che i capelli fossero proprio come li voleva, poi sistemò una cornice sul bordo della vasca.
Era una foto piuttosto vecchia, ma era sempre stata una delle sue preferite. Aveva appena conosciuto Charlie quando era stata scattata, era l’ inizio.

L’acqua era calda contro la pelle e lo sciabordio si unì alla musica giusto un po’ più forte.
Afferrò il coltello d’argento. Era un oggetto piccolo, ma affilato quanto bastava. Lo aveva scelto perché lo aveva portato Charlie in quella casa.
A quanto ne sapeva, era un vecchio cimelio di famiglia, ma non era per quello che lo aveva scelto.
La simbologia era tutto per lei, quando si parlava di suicidi.
Ecco il perché della foto accanto alla vasca e del coltello. Sarebbe finita proprio da dove era iniziato tutto e quando la lama affondò nella carne tenera del polso, pensò che fosse un po’ come recidere l’amore che l’aveva legata a Charlie.
Come se tagliare vene e poi le arterie, affondando nella carne con l’argento del coltello, fosse un modo per gridare al mondo che era lui, che Charlie l’aveva uccisa. Perché era colpa sua, solo colpa sua. E lui doveva saperlo, non doveva dimenticarlo mai.
Affondò l’arma nell’altro polso e poi la tenne in mano mentre si sistemava contro il bordo della vasca.
Le ferite erano profonde, sarebbe andato tutto come doveva andare.
Avrebbe fatto male per poco, si disse. Presto sarebbe giunta l’incoscienza e poi la morte.
Tenne in mano il coltello e se lo rigirò tra le dita sempre più stanche. Lentamente, tutto acquistava un aspetto nuovo.
Era come se il mondo intorno la raggiungesse attutito, come se una grossa bolla di sapone l’avesse inghiottita.
Sbuffò una mezza risata e voltò il capo.
Aveva letto abbastanza da ricordare vagamente che la stanchezza sarebbe stata seguita dalla perdita di coscienza e dalla morte e sapeva che quelli erano gli ultimi minuti che le restavano.
Non ci furono flash della sua vita, ricordi felici che la traghettassero con dolcezza dall’altra parte. Non aveva più nulla del genere.
Le restava solo la terra bruciata che Charlie si era lasciato dietro, insieme a un vuoto grande come una casa e a un insopportabile dolore al petto.
Pensò a Charlie. In quegli ultimi istanti di vita, lasciò andare tutto il resto e pensò solo a lui affinché l’odio e la rabbia le crescessero dentro e diventassero una forza in grado di sopravvivere persino alla morte.
Guardò la foto. Era una bella immagine e lei era più giovane, più radiosa, più viva. E c’era Charlie, che era un po’ ovunque, quasi come se fosse proprio accanto a lei. E lui riempì la sua mente proprio mentre scivolava verso l’oblio e tutto divenne un vortice di colori, di tenebre e di lui, dell’uomo che aveva amato terribilmente.

Non c’era spazio per altro. Solo Charlie.

Ci vediamo all’inferno, bastardo.

 

 

 

*

 

 

L’abitacolo era caldo e piacevole in confronto all’umidità e alla pioggia che batteva contro i vetri dell’auto.
Una canzone triste riempiva l’aria, ma a Sofi sembrava piacere così Martin accettò di non cambiare stazione. Per il resto, erano entrambi in silenzio, anche se era piuttosto piacevole. Sofi sorrideva vagamente con la testa poggiata contro il finestrino.
“E’ stato un bel weekend”
Lei alzò la testa per guardarlo e sorridergli.
“Lo è stato, sì”
“Avevo davvero bisogno di un paio di giorni di totale relax. Il college mi sta uccidendo”
“Diciamo che a ucciderti è il college e Amy”

“Io e Amy ci siamo lasciati. Non c’era più il legame di una volta, non poteva continuare ancora a lungo”
“Be’, forse dovresti dirlo anche a lei, allora. Magari smetterà di intasare la nostra segreteria di messaggi”

Martin sorrise.
“Glielo dirò”
“Ma già che affrontiamo l’argomento, mi chiedevo quando mi presenterai la tua nuova fiamma”
Martin arrossì e si maledisse per essere stato colto in fragrante.
Dopotutto, avrebbe dovuto immaginarlo.
Lui e Sofi si conoscevano da molto tempo e avevano vissuto insieme per l’ultimo anno. Doveva sapere che non avrebbe impiegato molto a scoprire la verità.
“Ehm, non penso che sia il momento giusto”
“Andiamo, posso affrontare la ragazza. O il ragazzo. Non sono una che giudica”
Martin le scoccò un’occhiataccia e la vide sorridere con le labbra e con gli occhi, come non le vedeva fare da un po’. Il suo sorriso esagerato non copriva mai il dolore in fondo ai suoi occhi, ma lei non aveva mai voluto parlare e lui non aveva chiesto.
“No, io sono sicuro che tu sia pronta a incontrarla. Sì, è una lei. Ed è per lei che sono preoccupato”
Sofi ridacchiò e si appoggiò di nuovo al finestrino.
Martin riportò l’attenzione sulla strada quando sentì un sobbalzò e il rumore di qualcosa che si rompe. Poi l’auto iniziò a sobbalzare e fu costretto ad accostare.
Lui e Sofi si scambiarono un’occhiata.
“Abbiamo bucato una gomma”
“Ma abbiamo quella di riserva, giusto?”
“Sì, ma penso di aver bisogno un aiuto per cambiarla”
“Non dirlo”
L’espressione sul volto di Sofi era così costernata che Martin dimenticò per un momento la situazione e quasi scoppiò a ridere.
“Temo proprio che sia così”
Poi aprì la portiera e scese a trafficare con gli arnesi abbandonati nel bagagliaio. Sofi alzò gli occhi al cielo, legò i capelli e chiuse la lampo della giacca, poi lo seguì.
“Prendi la ruota” le urlò Martin mentre azionava il crick.
Sofi afferrò l’oggetto, ma era così pesante che finì per scivolare a terra e schizzare fango su tutti i pantaloni.
Soppresse un’imprecazione e  si chinò per sollevarlo di nuovo quando si sentì chiamare.
“Sofi”
Martin la guardava, ma in realtà il suo sguardo andava oltre, come se stesse guardando alle sue spalle. Oppure ancora oltre, verso qualcosa che lei non vedeva.
“Sofi, corri”
“Cosa?”
Lo vide abbandonare il crick e alzarsi di scatto.
“Corri!” le gridò e poi scattò verso il bosco, schizzando fango mentre correva. Sofi impiegò un momento per registrare i fatti, poi si slanciò nella sua stessa direzione, arrancando un po’ dietro di lui.

 

 

 

Correre verso il bosco era stato un errore, dovevano immaginarlo.
Le scarpe erano fradice di pioggia, incrostate di fango e pesanti da sollevare. Gli sembrava di indossare i pesi alle caviglie che usava quando si allenava.
Solo che stavolta non c’era nessun allenamento e qualunque cosa li stesse inseguendo, era reale.
Sofi arrancava dietro di lui e Martin continuava a pensare a lei e a voltarsi indietro per controllare che fosse lì.
Sentiva che si avvicinava. La cosa che li inseguiva era sempre più vicina, la sentiva come un alito gelido sul collo.
Non sarebbe servito correre.
Per quanto potessero essere veloci, la creatura lo sarebbe stata di più. Scansò un albero.
Stava diventando sempre più lento e affaticato; alle sue spalle, il respiro di Sofi era sempre più affannoso.
Con panico crescente, comprese che non avrebbero retto ancora a lungo. Non a quel ritmo e sicuramente non fino a quando non avessero trovato qualcuno che li aiutasse.
Erano in mezzo al bosco, a chissà quante miglia dal primo centro abitato.
Saltò una radice, ma sentì che Sofi inciampava e cadeva a terra. Tornò indietro per aiutarla ad alzarsi.
“Non credo di farcela ancora per molto” ammise.
“Fermiamoci e combattiamo” propose poi mentre tentava disperatamente di rimettersi in piedi. Era sporca e infreddolita, bagnata fino al midollo e senza armi, ma combattere era tutto ciò che le restava.
Non sarebbe riuscita a correre ancora per molto.
Martin la afferrò per le spalle e la scosse con poca grazia.
“No. Dobbiamo correre. Devi correre”

“Aspetta, perché io?”
“Correremo entrambi. Vai avanti”
“Non riesco a capire. Cosa c’è là, Martin? Da cosa stiamo fuggendo?”
“Non ora. Ora devi prometterlo, Sofi. Qualunque cosa succeda, qualunque cosa tu veda o senta, non devi voltarti mai. Se ti volti, sei perduta”
Sofi avrebbe voluto fargli un milione di domande, ma lui la spinse via prima che potesse fare altro che annuire e le urlò di correre.
E lo fece. Corse e lo sentì fare altrettanto dietro di lei, mentre le urlava di non fermarsi mai, che sarebbe andato tutto bene e che non doveva mai voltarsi.
Sofi non si voltò mai, neanche quando sentì un grido e poi la voce di Martin smise di parlare. Allora pianse e scoppiò in singhiozzi che le mozzarono il respiro, ma non si fermò.
Riusciva a pensare solo alle sue ultime parole. Se ti volti sei perduta.

La pioggia era sempre più forte e le scivolava sugli occhi, tra le ciglia e in bocca.
Sapeva di aver appena abbandonato al suo destino il suo unico amico. E faceva più male dei rami che le schiaffeggiavano il volto, le gambe e le braccia.
Chiuse gli occhi, come se facesse male guardare le cose.
Fu un attimo.

Scivolò a terra, cercando disperatamente di respirare e trovandosi la bocca piena di pioggia e lacrime.
Cercò di aggrapparsi a un ultimo brandello di coscienza, ma quando voltò la testa, tutto divenne scuro e freddo, come se tutta la luce fosse stata portata via.

Non sapeva davvero più dove fosse il mondo, cosa fosse, se ci fosse, ma le mancava terribilmente. C’era solo l’eco della sua voce che chiedeva aiuto.

 

 

 **

 

Note dell’autrice:

 

Se siete arrivati fino a qui, sono contenta.
Sì, è vero, fino ad ora non è ancora comparso nessuno dei nostri eroi, ma non temete. Dal prossimo capitolo cominceranno ad arrivare, uno per volta.
Sperando che vogliate proseguire la lettura, ovviamente.
Per chi volesse, ho un gruppo su Facebook dedicato alle mie storie su cui si può trovare tutto riguardo a questa, compresa la playlist.
Sì, c’è una playlist.
Vi lascio il link, casomai a qualcuno interessasse. Non ricordo se l’ho reso privato, ma nel caso potete sempre fare richiesta per entrare.
https://www.facebook.com/groups/1441808206046120/

 

Alla prossima!

 

   
 
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