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Autore: dovefinisceilbuio    15/04/2014    2 recensioni
------SPOILER ALLEGIANT------
Supponiamo che Tobias, una volta venuto a sapere della morte di Tris, volesse trovare a tutti i costi Caleb:
«Dov’è?» è l’unica cosa che riesco a dire, dopo cinque minuti abbondanti di silenzio che non posso più sostenere. «E’ nell’obitorio» mi risponde Cara, sempre vicina a Christina.
«No, Caleb. Dov’è?» la mia voce è priva di emozioni. Priva di vita.
«Tobias, che vuoi fare?» Cara si cerca di alzare, ha ancora il viso umido e gli occhi gonfi «Non peggiorare la situazione, Tobias.»
Buona lettura.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Caleb Prior, Four/Quattro (Tobias)
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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«Dov’è Tris?» domando.
«Mi dispiace, Tobias.»
«Mi dispiace di cosa?» interviene Christina in modo brusco. «Dicci cos’è successo!»
«Tris è andata nel Laboratorio Armamenti al posto di Caleb» spiega Cara. «E’ sopravvissuta al siero della morte e ha liberato il siero della memorie, ma le... le hanno sparato. E non ce l’ha fatta. Mi dispiace tantissimo.»
Sono quasi sempre capace di capire quando le persone mentono e questa deve essere una bugia, perché Tris è ancora viva. È nel cortile interno, con gli occhi luminosi, le guance arrossate e il suo corpo piccolo ma pieno di forza e di energia, avvolta da un raggio di luce. Tris è ancora viva, Tris non mi lascerebbe da solo, non andrebbe nel Laboratorio Armamenti al posto di Caleb. [...] Gli occhi di Cara si riempiono di lacrime.
È allora che me ne rendo conto. Ovvio che Tris andrebbe nel Laboratorio Armamenti al posto di Caleb.
Ovvio che lo farebbe.
[...] Rimango fermo, perché non riesco a fare altro. Perché mi sembra che, se sto semplicemente fermo, potrò fermare tutto questo e impedirgli di diventare vero. Posso far finta che vada tutto bene. Christina si piega su se stessa, incapace di sostenere il dolore. Cara la abbraccia e
                               io rimango fermo, immobile.
 
Non è realmente morta, posso ancora sentire la sua energia nell’aria.
Non può essere morta.
Christina è immersa nelle lacrime e i suoi singhiozzi le impediscono di respirare. Cara è accovacciata di fianco a lei, per abbracciarla o consolarla. E io guardo semplicemente avanti, cerco di muovermi ma le gambe non sembrano intenzionate a obbedire all’ordine. Caleb, cerca Caleb. Un pensiero fisso si era bloccato nella mia mente: doveva essere morto Caleb, non Tris. Caleb.
«Dov’è?» è l’unica cosa che riesco a dire, dopo cinque minuti abbondanti di silenzio che non posso più sostenere. «E’ nell’obitorio» mi risponde Cara, sempre vicina a Christina.
«No, Caleb. Dov’è?» la mia voce è priva di emozioni. Priva di vita.
«Tobias, che vuoi fare?» Cara si cerca di alzare, ha ancora il viso umido e gli occhi gonfi «Non peggiorare la situazione, Tobias.»
Mi allontano da loro lasciandole al loro dolore.
Non è reale, lei non è morta.
Caleb. Lui è morto.
Il corridoio si comincia a muovere e io mi trovo sempre più perso, sempre più solo. Le stanze sono tutte uguali e non c’è traccia di Caleb. Cos’è questo posto? Dove sono? Tutto mi sembra sempre più sconosciuto. Nulla è familiare, nulla trasmette sicurezza tra quelle mura. Devo andarmene. Devo uscire.
Il mio respiro si fa sempre più corto, il mio corpo sta diventato sempre più pesante.
Trovo la porta. Esco. Mi siedo per terra perché l’alternativa e rischiare di soffocare. Perché? Perché è dovuto succedere questo? Non doveva andarsene. Doveva restare. Baciarmi, prendermi la mano. Doveva ripetermi ogni giorno che mi amava e io le avrei detto la stessa cosa. Avrei dovuto svegliarmi ogni mattina con lei al mio fianco. Saremmo dovuti invecchiare insieme o morire insieme. Dovevamo fare ancora tante di quelle cose.
Mi dispiace
La voce di Cara mi risuona ancora nella testa. Tutto quell’odio che man a mano stava diminuendo dentro di me è esploso come una bomba. Tutto il dolore represso in questi anni è tornato più forte di prima e non sono sicuro di riuscirlo a reggere.
«Tobias» una voce maschile si fa largo nella mia testa. Mi giro, anche se so già chi è. Caleb.
Ha  un aria stanca, di chi ha pianto tutta la notte. I suoi occhi sono gonfi e arrossati. Gli tremano le mani e ha il viso più scavato, come se il dolore l’avesse cambiato. Non penso. Gli sono addosso prima che se ne renda conto. Il suo viso si macchia di sangue, il suo sangue. Ma non lotta. Rimane fermo, immobile. E io continuo a tirargli dei pugni. Non penso.
Mi fermo una decina di pugni dopo. Quando mi alzo vedo Caleb a terra, con il labbro rotto, il naso che sanguina e un livido che si sta già formando attorno al suo occhio.
«Perché ti sei fermato?» la sua voce emette un suono debole, morente.
«Meriti di vivere sapendo che saresti dovuto esserci tu. Dove è ora lei.» Non riesco neanche a guardarlo. Fino a quel momento non ho mai visto nessun tipo di somiglianza tra loro, eppure adesso noto dei tratti simili e ognuno di quei tratti è una pugnalata per me.
«Pensi che ci viva bene con questo? Non l’ho mai voluto» La sua voce è rotta. Spezzata.
«Avresti dovuta fermarla! Non avresti dovuto lasciarla morire, lei meritava di vivere mille vite più di te!» Sto gridando. Sto gridando e non posso farne a meno.
«Lei non voleva lasciarti»
«E questo cosa diavolo centra?» non ho più pazienza. Perché se ne sta li? Perché non se ne va?
«Prima di... di andare la dentro, ha detto di dirti che non voleva lasciarti.»
Crollo per terra, ancora. Le mani mi reggono la testa e ho paura di quello che mi sta succedendo. Il dolore non fa che aumentare e non credo che se ne andrà mai via. «Non lo capisco...» parlo sottovoce, incapace di emettere un suono più alto.
«Se non voleva lasciarmi, perché l’ha fatto? Perché non ti ha lasciato morire?» vedo la sua testa chinarsi per nascondere le lacrime che ormai scendono voluminosamente dalle sue guance.
C’è silenzio. Come può il silenzio fare così male?
Mi alzo.
Do un’ultima occhiata a Caleb che è ancora a terra. «Vai in infermeria» dico. E me ne vado.
 
Lei è sdraiato su un tavolo e, per un istante, penso che stia solo dormendo, che – quando la toccherò – si sveglierà, mi sorriderà e mi darà un bacio sulla bocca.
[...] Non ho idea di quanto tempo mi ci voglia per realizzare che non succederà, che lei non c’è più. Ma quando lo capisco, sento le forze abbandonarmi. Cado in ginocchio accanto al tavolo e piango, credo... o almeno è quello che vorrei fare.
E tutto dentro di me grida ancora un bacio,
ancora una parola,
ancora uno sguardo,
ancora.
  
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