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Autore: marvelangels    15/04/2014    1 recensioni
Avete presente Isaac? L'amico di Augustus? Quello che poi diventerà cieco? Ecco, proprio lui. Mi sono ispirata alla sua cecità per questo racconto. Voglio che sappiate una cosa: non continuerò questa storia. Però potete farlo voi. Se volete continuare la storia e metterla su efp allora okay, però vorrei che prima mi chiedeste il permesso. Okay? Okay. Spero vi piaccia e scusate se ci sono errori :)
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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 Non era una delle migliori situazioni è vero, ma a me non dispiace poi molto, se non fosse che mi sono svegliata per il dolore. Sono seduta su un letto d'ospedale, in una stanza d'ospedale, con una finestra da ospedale, in un ospedale. La testa mi fa male, toccai la fasciatura all'occhio destro. Premetti un po' dove avrebbe dovuto esserci l'occhio e fa un gran male, lo lasciai stare. Girai la testa per vedere fuori dalla finestra e il pioppo si muoveva placido al vento di fine estate. È stata una bella estate, tutto sommato. Mi chiesi come sarebbe stato adesso a scuola, visto che non sono completamente cieca ma solo da un'occhio. Avrei avuto un insegnante di sostegno? Che merda, non voglio un'ombra che mi fa le cose solo perché non ho più il senso della profondità. Non è una cosa così tragica essere semi-ciechi. Anzi, nel mondo antico greco e in quello indiano essere ciechi era considerato un segno di grande saggezza e sapienza perché la persona cieca aveva letto e conosciuto e scritto così tanto da diventare cieca. Quindi in un certo senso non è così male. 
—Scarlett tesoro, come stai?— distolsi lo sguardo (beh, mezzo sguardo) dal pioppo e salutai mia madre che era entrata per farmi compagnia.
—Ciao mamma, bene, fa solo un po' male se lo tocco. I medici sono stati molto bravi.— mia madre annuì convinta e seria. Tutti dicono che è impossibile accontentare le madri, in realtà basta dir loro ciò che vogliono sentirsi dire. Certo beh...poi viene anche la parte di FARE ciò che vogliono, ma questo è un altro discorso.
—Hai proprio ragione, sono molto bravi. Vuoi qualcosa da mangiare o hai sete?— mia madre è così. Insegna lettere alle superiori e parla con frasi fatte e ‘grammaticalmente e verbalmente corrette’ come dice lei. A volte sembra di parlare con un libro di grammatica per bambini dai sei ai dieci anni. O con un robot. Parlammo per un po' poi lei dovette tornare in corridoio per correggere delle verifiche, credo. Riposai un po'.

Non ci sono molte cose che puoi fare in ospedale, specie se ci vedi per metà. Nonostante questo però ero stanca di starmene a letto quindi ne scesi e aprii piano la porta, per vedere se mia madre era ancora li. Non c'era. Aprii la porta e nelle ciabatte in plastica molle fornite dall'ospedale girai i corridoi del terzo piano del settore H. Un po' barcollando forse, senza la profondità non è facile muoversi. Erano le sette di sera, un'ora prima che mi portassero la cena in camera. (Fra parentesi: odio la cena che mi propinano qui, una zuppa al cavolfiore. Sa di scoreggia liquida "profumata" alla mentuccia. Tranne al giovedì, che posso mangiare la pizza.) purtroppo però oggi è venerdì quindi niente pizza. Mentre camminavo nel reparto I mi imbattei nella cosa più bella ci fosse nell'ospedale: la sala tv. Entrai, chiusi la porta e mi buttai su un vecchio divano anni cinquanta a due posti. Mi guardai un episodio intero di Project Runway USA, la mia serie preferita. Dovevano fare un abito per una drag queen. Mi chiesi che cosa spingesse gli uomini a travestirsi da donne (anche se devo ammettere che ci riescono davvero bene) e a posare per dei servizi fotografici. Vinse Joe. Daniel fu mandato a casa (povero Daniel, mi stava simpatico...ma posso sopravvivere) e Blaine fu salvo (oh gioia! Io lo amo quel ragazzo). Erano le sette e cinquantaquattro, esattamente sei minuti e sarei dovuta essere in camera mia. Schizzai per i corridoi inciampando e arrivai appena in tempo. Ringraziai l'infermiera e se ne andò. Mangiai la pagnotta di pane, bevvi l'acqua e rovesciai la brodaglia fuori dalla finestra; qualcuno da sotto imprecò verso l'alto. Chiusi lentamente la finestra, meglio far finta di nulla. Mi ridistesi a letto. Provai a leggere un cartoncino che mi avevano dato dove c'erano delle frasi di grandezza minore o maggiore, per esercitare la vista. Feci circa un'ora di esercizi poi mi addormentai. 

Il sabato fu uguale. Sveglia, mamma, visite, tv, riposo, mamma, cena, urlo dal basso, esercizi, nanna.

La domenica mattina mi svegliai con mia madre che mi scuoteva la spalla destra.
—Spostati per favore.— 
—Oh si scusa.— mia madre comparve nella visuale sinistra.
—Per piacere non parlarmi mai più da destra, non riesco a vederti e mi da fastidio.—
—Certo tesoro, scusami. Oggi come stai?—
—Bene. Solite visite?— chiesi.
—Sì. Non sei emozionata?— mia madre aveva l'aria di chi sta per dire una gran sorpresa...
—Uhm...no...le solite visite...— dissi dubbiosa, preparandomi al peggio.    
—Ma come? Domani inizia la scuola!— 
Fermate. Fermate! FERMATE! Stop. Rewind. Riavvolgere il nastro. Che cazzo ha detto?!
Non sono moralmente, fisicamente e volontariamente pronta per la scuola. Mi hanno cavato un occhio da cinque giorni e devo andare a scuola?! Ma scherziamo? Per di più è il terzo anno, l'anno più importante di tutti. Non posso arrivare a scuola e sentire la gente che mi chiede perché ho sempre gli occhiali da sole (PERCHÉ LA BENDA NON LA METTO).
—Ah già è vero, che bello.— dissi. 
Poco dopo mamma mi riportò a casa. Mi era mancata. Scelsi dei vestiti puliti e mamma mi preparò lo zaino con l'astuccio e un quaderno. Mangiai qualcosa. 
  
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