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Autore: Sognolicantropi    16/04/2014    3 recensioni
È una scisaac (con molti accenni Sciles e Sterek) un po' diversa, il soprannaturale non c'entra, quindi non ci saranno lupi mannari, kanima ecc.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Derek Hale, Isaac Lahey, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: AU | Avvertimenti: Bondage
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«Ma non ti è mai interessata l’arte!» urlò Lydia ancora una volta, cercando di sovrastare la confusione che si era creata in casa Stilinski-McCall. «Gli interessa l’artista!» esclamò allora Allison divertita prendendo le distanze da uno Stiles Stilinski davvero arrabbiato.
Quel giorno sarebbe dovuto andare da Derek e come se non fosse già abbastanza nervoso per l’appuntamento, casa sua era stata invasa dai suoi migliori amici  anche se, in quel momento, “migliori” non lo erano esattamente.
«McCall! Cosa ti è saltato in mente?!» sbraitò Stiles guardando Scott truce, mentre quest’ultimo, disteso nel divano, stava sghignazzando come un folle, ridendo della situazione.
«Mi hai detto che oggi era via così ho invitato Allison, Lydia e Ethan a farmi compagnia. Qual è il problema?» chiese Scott divertito dall’espressione del più grande.
«Il problema è che quelle due sono impazzite! Potevi aspettare che me ne andassi?!» sbottò Stiles, indicando la mora e la rossa a qualche metro da lui.
«Ma, Stiles, perché non vuoi metterci al corrente delle tue conquiste amorose?» domandò con una finta espressione triste Allison,
«Sì, Stiles, perché non vuoi metterli al corrente?» ripeté il moro innocente. «McCall, stai zitto» rispose Stiles mettendo una mano,sopra alla bocca di Scott, impedendogli altre uscite geniali. «Non vi ho detto niente per evitare scenate come questa!» ammise Stiles, scuotendo la testa.
«Sentite prima che buttiate giù la casa, io vado» annunciò Stiles prendendo il cappotto, prima che uno di loro potesse ricominciare ad urlare frasi senza senso.
«Ehi tu, vieni a darmi un bacio» ordinò Scott, senza muovere un muscolo dal divano. Stiles riluttante si avvicinò, posando lievemente le sue labbra a quelle del moro. «Ma sei un idiota!» strillò Stiles indietreggiando. Scott gli aveva morso il labbro e ora aveva ricominciato a ridere, accompagnato dalle sane risate di Allison e Lydia e da quella quasi interrogativa di Ethan.
«Fallo tuo» soffiò Scott con tono malizioso, dandogli un pacca sul sedere.
«I-io… me ne vado!»  balbetto Stiles a metà tra l’imbarazzato e l’indignato, prima di voltarsi e chiudersi la porta alle spalle.
I ragazzi intanto si ripresero un attimo dallo stato in cui erano poco prima e Scott stava cercando di spiegare ad un Ethan davvero sconcertato il perché dei comportamenti tra lui e Stiles. Era come esser tornati ai primi mesi che trascorreva a Brooklyn alle prese con Allison e Lydia che seriamente non riuscivano a capire la sua relazione con Stiles.
“Andiamo molto d’accordo” disse Scott per concludere il discorso con Ethan.
 
Stiles intanto, dopo essersi ripreso dalle battaglie perse in partenza con i suoi amici, ma soprattutto quelle con Scott, era riuscito a fermare un taxi e stava aspettando impaziente il momento in cui avrebbe finalmente rivisto Derek. Ci volle poco più di mezz’ora per arrivare, ma quando scese dalla macchina una sensazione di ansia sembrò investirlo completamente.
C’erano mille cose che potevano andare storte e ovviamente Stiles non si concentrò su quelle mille e una che potevano andare per il verso giusto.
Questa volta per arrivare all’appartamento di Derek prese l’ascensore anche perché era quasi del tutto convinto che le sue gambe non avrebbero retto ancora per molto tutta quella tensione. Si fermò davanti alla porta di casa e, dopo qualche secondo, bussò leggermente alla porta. In men che non si dica il moro si presentò davanti a lui, sorridendo.
«Ciao…» disse Stiles sottovoce, guardandosi le mani che, aggrovigliate, sembravano essere davvero la cosa più interessate di quel momento. Sentiva il suo cuore battere all’impazzata contro il petto e, per uno sciocco momento, si chiese se Derek se ne fosse accorto.
«Ehi!» soffiò il moro, dolcemente, dopo essersi fermato qualche secondo ad osservarlo con attenzione. Subito dopo si spostò dall’entrata facendo passare uno Stiles decisamente nervoso. Derek intanto lo guardava quasi ossessivamente, come se avesse avuto il bisogno di imprimersi nella mente ogni singolo dettaglio di Stiles: come si muoveva, come si stava torturando le mani oppure come stesse cercando con così tanta convinzione di evitare il suo sguardo.
Stiles, da parte sua, avrebbe voluto fare la stessa identica cosa, ma sentiva addosso lo sguardo penetrante di Derek.
«Sei agitato» affermò il moro dopo aver fatto accomodare Stiles in salotto. Non era una domanda, ma la semplice verità. Stiles sbuffò appena in imbarazzo, chiedendosi come il ragazzo l’avesse capito così tanto velocemente. Di solito Stiles era bravo a camuffare i suoi stati d’animo, ma da quando era arrivato per Derek era come un libro aperto.
«E’ colpa tua» mugugnò contrariato, mordendosi un labbro subito dopo, convinto di averlo solo pensato. Il danno ormai era fatto, ma Derek sorrise compiaciuto guardando l’imbarazzo di Stiles con dolcezza.
«Ti va di fare un giro?» propose il moro, salvando il più piccolo da quella situazione. Stiles infatti annuì convinto, seguendo Derek.
«Al momento Guggenheim  è esposta una bellissima collezione di quadri Naïf e secondo me ti piacerebbero!» esclamò Derek allegro mentre scendevano le scale del condominio. Stiles rimase un po’ sorpreso dalla scelta del posto, non gli era mai capitato di uscire con un ragazzo ed essere invitato a vedere una mostra di quadri Naïf che, a pensarci bene, non era nemmeno sicuro di sapere cosa fossero. Accettò di buon grado la proposta, curioso di scoprire perché il ragazzo avesse scelto proprio quella meta.
Durante il tragitto in macchina entrambi in ragazzi si erano rasserenati almeno temporaneamente e, ogni volta che scoprivano una piccola parte dell’altro, erano sicuri di essersi innamorati un altro po’.
Mentre Stiles cercava di superare la sua timidezza, Derek cercava di metterlo a suo agio. Il moro non riusciva a capire come mai la sua presenza lo facesse tanto agitare, non era sua intenzione mettere a disagio Stiles. Benché poco prima avesse sorriso al suo stato ora era seriamente preoccupato di fare o dire qualcosa di sbagliato. Forse il problema principale era la sua agitazione. Non appena aveva visto Stiles di fronte alla porta di casa sua aveva cominciato ad agitarsi e più cercava di stare calmo più era di sicuro di fare l’opposto, ben consapevole di far fare la stessa cosa a Stiles. Per questo motivo Derek gli aveva proposto di andare a vedere quella collezione perché, in una galleria d’arte, il moro poteva essere finalmente se stesso.
Per Stiles quella era la prima volta che andava al Guggenheim. Da quando era a Brooklyn con Scott non c’erano mai stati dato che nessuno dei due era un grande interessato dell’arte.
Quando arrivarono Stiles rimase sorpreso dalla grandezza dello stabile e, una volta dopo essere entrato, dalla quantità di mostre che ospitava.
Derek agli occhi di Stiles sembrava esser diventato una persona diversa. Si muoveva come se quella fosse casa sua, conosceva ogni angolo del grande museo e sembrava aver ritrovato un sorriso sincero.
«Sai che cos’è l’arte Naïf?» chiese il moro allegro a Stiles che stava cercando di non perdersi in qualche stanza di passaggio.
«Se ti dico di no significa che sono tanto ignorante?» rispose Stiles sorridendogli.
«No, solo che io sono più intelligente» scherzò Derek facendogli l’occhiolino mentre salivano un’altra rampa di scale.
Stiles, scherzando a sua volta, lo guardò truce, prima che il moro cominciasse a spiegargli che cosa fosse esattamente.
«Questo tipo di arte e quella degli artisti che hanno, oppure anche chi non ha frequentato scuole o accademie d’arte e che quindi dipingono da autodidatta. Racchiude anche tutte le persone che dipingono senza che sia il loro lavoro, ma più che altro una grande passione». Stiles lo guardò affascinato, sentendosi veramente un idiota. Mentre Derek parlava sembrava che fosse una cosa banale, scontata e che tutti sapevano.
«Ehi, non sei ignorante se non sai queste cose!» esclamò il moro allarmato, vedendo lo sguardo sconsolato di Stiles. «Ho fatto le superiori e l’università prima di imparare ogni tipo di arte».
«Pensavo di essere un idiota» mormorò contrariato Stiles, tirando un sospiro di sollievo.
«No, non lo sei» asserì Derek dolce, «Dai, andiamo che siamo arrivati» aggiunse subito dopo, prendendo il più piccolo per mano.
Il cuore di Stiles fece una capovolta quando sentì la mano calda di Derek intrecciarsi alla sua. Era la sensazione più bella del mondo che stava aspettando da troppo tempo per ricordarsi quanto fosse piacevole stringere la mano alla persona che si ama.
Cercò di calmarsi, sperando che Derek non accorgesse di quanto fosse compiaciuto da quel contatto.
Quando entrarono, il moro lasciò la presa e Stiles sbuffò piano quando le loro mani si separarono. Subito dopo, sotto sollecitazione di Derek cominciò ad osservare i quadri esposti. La maggior parte di quelli erano stati dipinti con dei colori vivaci che ti mettevano allegria; ce n’erano di bellissimi e, anche se non sapeva come, Derek aveva ragione: quei quadri gli piacevano un sacco.
Rimasero al Guggenheim per almeno un’ora prima di decidere di tornare a casa di Derek. Stiles si era divertito molto, ascoltava il moro ogni volta che gli spiegava cose nuove, lo aveva preso in giro ed entrambi i ragazzi dentro quelle mura avevano finalmente potuto essere se stessi.
«Così sei un professore, sei riuscito a spiegarmi ogni quadro del museo come se l’avessi creato tu, per caso disegni anche?». Stiles era rimasto sinceramente impressionato dalla quantità di informazione che il moro poteva tenere a mente, ma specialmente dalla passione che guizzava negli occhi di Derek ogni qualvolta Stiles gli poneva una domanda. L’arte non gli era mai piaciuta più di tanto, i suoi amici avevano ragione, ma quel pomeriggio il più grande gli aveva fatto cambiare idea.
Stiles era in piedi di fronte ad un grande quadro di appeso alla parete. 
«Quello, ad esempio, l’ho fatto io» disse Derek indicando proprio il dipinto che stava osservando il ragazzo.
«Ho una stanza piena di disegni, quadri che ho dipinto da quando sono qui a New York» aggiunse il moro ridendo dell’espressione sconvolta di Stiles.
«Non ci credo. Non puoi aver fatto questo capolavoro!» esclamò allora il più piccolo.
«Capolavoro è esagerato» balbettò Derek in imbarazzo, «Ci sono alcuni particolari che avrei potuto fare meglio, ma Isaac ha portato l’originale a farlo ingrandire senza che io sapessi nulla e diciamo che è stato il mio regalo di compleanno» concluse Derek.
«Perché proprio un quadro di Londra? Voglio dire, immagino che tu abbia fatto tantissimi altri disegni, perché Isaac ha scelto proprio questo?» chiese piano Stiles, sedendosi nel divano.
«Sia io che Louis veniamo dall’Inghilterra. Molte volte sentiamo la mancanza di casa, dei nostri famigliari. Ormai sono cinque anni che siamo qui e avere quel quadro appeso affianco alla finestra è come avere una doppia scelta: se vogliamo possiamo guardarlo, immaginando di essere ancora lì, ancora a casa, altrimenti abbiamo la vista su quella che ormai è la nostra vita».
«… dev’essere bellissimo» sussurrò Stules, abbassando lo sguardo sulle sue mani. «Ho detto qualcosa di sbagliato?» chiese Derek, aggrottando le sopracciglia. «No,  solo… in questi due anni non ho mai realizzato quanto mi mancasse la mia famiglia». Il moro lo guardò comprendendo appieno i sentimenti del più piccolo. Avrebbe voluto abbracciarlo, farlo sentire a casa, ma non era sicuro che fosse il momento adatto.
«Visto che ti piacciono tanto, ti va di vedere altri miei lavori?» propose allora Derek, cambiando velocemente argomento, decidendo così di far pensare ad altro a Stiles. Il ragazzo annuì con un sorriso accennato. Il moro si diresse velocemente nel suo studio e, stando bene attento di non portare l’album con i ritratti del più piccolo, decise di portargli alcuni disegni che si era portato dall’Inghilterra.
«Questi sono alcuni disegni che ho fatto a Bradford, dove vivevo» disse il moro, sedendosi accanto a Stiles. Successivamente gli passò l’album che Stiles prese facendo attenzione a non sfiorargli la mano. Era sciocco, forse, ma dopo avergliela stretta per pochi secondi sapeva che effetto gli avrebbe fatto avere un’altra volta la mano del moro sotto la sua. Derek, man mano che Stiles sfogliava i disegni, gli spiegava in che zona della città era oppure per quale ragione avesse deciso di disegnare un determinato soggetto. C’erano più di trenta disegni e il moro aveva qualcosa da dire per ognuno di essi. Stiles li guardava affascinato, girando con cura a attenzione ogni pagina avendo quasi paura di rovinare tanta perfezione.
Poi, in un secondo, facendosi più vicino, Derek appoggiò la gamba a quella di Stiles; il ragazzo si lasciò sfuggire un piccolo sospiro sorpreso. Tutti i suoi sforzi per non toccare il moro erano svaniti con così poco preavviso tanto che il ragazzo dovette registrare abbastanza in fretta ciò che era successo. Aveva completamente dimenticato che cosa stesse facendo, tanto che per lui era davvero complicato concentrarsi ancora su quei disegni senza contare il fatto che se provava a parlare usciva solo qualche balbettio sconnesso.
Derek intanto continuava a parlare, ma Stiles per quanto si sforzasse non riusciva ad ascoltare neanche una parola, era rimasto ad osservare le loro gambe una contro l’altra. Poteva sentire indistintamente ogni singolo battito del suo cuore farsi più veloce, scontrandosi contro il petto, ma non riusciva a capirne il motivo: non si era mai sentito così tanto vulnerabile nei confronti di un ragazzo.
«Stiles se ti sei stufato dimmelo per favore, non ti voglio costringere a guardare i miei disegni» disse Derek prendendo il suo album tra le mani di Stiles, posandolo successivamente sopra il tavolino di fronte a loro.
«No! Cioè n-no, va bene» balbettò Stiles agitandosi quando vide il moro avanzare lentamente verso di lui.
«”Va bene” cosa?» soffiò Derek con un sorriso sghembo, senza preavviso sollevò il volto il Stiles, portandolo alla sua stessa altezza, incatenando i suoi occhi a quelli color nocciola dell’altro.
«Continuare» sussurrò Stiles a qualche centimetro dal moro. Derek non era proprio sicuro di saper che cosa stesse facendo, ma si era trattenuto da quando aveva visto Stiles sulla porta e per qualche ragione, sapeva non sarebbe stato respinto perché il più piccolo stava aspettando la stessa cosa. Osservava il volto di Stiles minuziosamente e notò, con piacere, che i suoi occhi guizzavano dai suoi alle sue labbra, aspettando una sua mossa.
«Derek io… non sono quel tipo di persona che bacia il ragazzo alla prima uscita» mugugnò Stiles contrariato. Nemmeno lui avrebbe voluto fermarsi proprio ora, ma sentiva che doveva almeno provarci.
«Nemmeno io» bisbigliò Derek per nulla turbato da quell’affermazione, «Ma non ti sembra la cosa più giusta da fare?» aggiunse subito dopo dato che Stiles non dava nessuna risposta.
Derek intanto si avvicinava lentamente, Stiles avrebbe potuto benissimo contargli le ciglia una ad una. Rabbrividì quando sentì il respiro caldo del più grande scontrarsi contro la sua pelle. In quel momento la porta si aprì di colpo e i due innamorati si separarono velocemente, sperando di non essere stati visti: entrambi desiderarono di essersi fermati molti secondi prima… anzi, molto probabilmente non lo fecero affatto.
  
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