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Autore: itsme131    16/04/2014    1 recensioni
Jeanine Buckingham è una stella di Hollywood, forse la più famosa. Ha tutto quello che si possa desiderare: una villa enorme, soldi a palate, va da un set di riprese ad una sfilata di moda, si circonda di amici come Angelina Jolie o Johnny Depp, e in apparenza non le manca nulla. Ma lei, ventinovenne romantica, si è resa conto che tutta la sua vita è una maschera: quello che non ha è… un’anima gemella. Il suo vero amore, per così dire. Qualcuno che le faccia riscoprire i valori veri della vita, e che la sappia ricambiare in maniera disinteressata, senza pensare al denaro o alla fama. L’occasione le si presenta quando si traveste per non essere riconosciuta e va in giro per Los Angeles come una cittadina qualunque: per un caso conosce George, buono e gentile, e se ne innamora inaspettatamente.
L’unico problema è che George ama Aisha, il suo travestimento, e non sa che c’è sotto Jeanine…
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Rientrai verso le tre di notte. Ero esausta: mi ero dovuta alzare presto per andare sul set del mio ultimo film, a recitare le scene finali, fino alle cinque del pomeriggio… Ero poi dovuta correre in camerino, truccarmi e acconciarmi, per andare ad una sfilata di moda che non mi interessava minimamente, e infine ad una cena a Las Vegas con dei produttori antipatici e noiosi che volevano propormi un nuovo film, ma non avevo ascoltato molto del loro sproloquio. Ero tornata a casa come dalla terza guerra mondiale.
In quel momento volevo solo sfilarmi quello striminzito vestito, struccarmi, liberarmi di quegli odiosi tacchi e addormentarmi nel mio letto.
Ogni tanto mi chiedevo se non fosse il caso di ritirarmi dalla vita hollywoodiana per trascorrere in pace la mia vita. Ci avevo pensato spesso, ma alla fine non l’avevo mai fatto, non ne avevo il coraggio.
Così mi ritrovavo a scrutare mestamente la mia agenda elettronica strapiena di impegni.
Sentendomi rientrare, Antoinette venne ad aprirmi, quella santa donna. Mi aveva aspettato fino a quell’ora, con la sua consueta gentilezza. Antoine era la mia cameriera di fiducia: era, ormai, quasi come una bàlia, per me. “Oh, Jeanine, devi riposarti!” mi disse con la sua voce pacata e gentile di una sessantenne in gamba quale era. Mi sfilò la giacca e la appese. “Vai a dormire…” mi esortò “ad accendere l’allarme ci penso io.”
“Va bene” lasciai che si prendesse cura di me come se avessi avuto cinque anni anziché ventinove, perché ero davvero stanchissima.
Mi misi il pigiama e affondai nel mio materasso soffice lasciando il bagno in disordine, non importava. Ancora una volta, il mio ultimo pensiero prima di addormentarmi fu di riuscire a trovare l’amore della mia vita… Lo so, suona troppo come una cosa da storielle d’amore, ma io amavo le storielle d’amore, e avevo imparato a sperare.
La mattina successiva mi alzai con tutta calma verso le undici: per fortuna quel giorno avevo soltanto una conferenza stampa nel pomeriggio. “Buongiorno, Antoinette!” gridai dalla mia camera, stiracchiandomi e accogliendo Leda, la mia chihuahua, tra le mie braccia. Accarezzando il suo soffice pelo, ripensai al sogno fatto quella notte. Avevo sognato di travestirmi e di uscire nel mondo come una qualunque donna americana che andava a fare commissioni, per vedere com’era la vita al di fuori della bolla dorata in cui vivevo. Decisi… decisi di farlo davvero.
Ero esperta con trucco e travestimenti: passai un’ora intera allo specchio, e dovetti ammettere che ero venuta proprio bene. Avevo usato un fondotinta scuro e denso a coprire la mia pelle chiara, lenti marroni per camuffare i miei occhi azzurri, mi ero pesantemente truccata, e come tocco finale, avevo indossato una parrucca di tante treccine castane, ricacciata chissà dove. Sembravo una vera afroamericana. Infilai una tuta leggera e delle infradito: non sapevo con precisione come la gente comune usasse vestirsi, ma così andavo sul sicuro.
Non vedendo l’ora di andare ad “esplorare”, uscii di casa di soppiatto; non volevo che Antoinette mi vedesse conciata così. Portai con me qualche banconota, decisi di fingere di andare a fare la spesa.
Come uscii da Hollywood e mi addentrai nel centro di Los Angeles, rimasi lì per lì un po’ disorientata: tutti quei colori, quelle folle, quei turisti, il traffico… Però mi piaceva. Sorrisi allo splendente sole di giugno e imboccai un viale che sperai portasse ad un supermercato. Invece mi trovai davanti ad un bel ristorantino italiano: affamata, entrai, e per abitudine, già mi preparai sul piede di guerra ad affrontare i mille paparazzi che mi pedinavano nei locali: poi ricordai di essere irriconoscibile e mi rilassai, prendendo posto ad un tavolo per due. Quel posto vuoto davanti a me mi faceva così tristezza.
Mangiai in silenzio la mia pizza, guardandomi attorno felice del caos quotidiano del ristorante in cui mi ero immersa, e mi sentii una qualunque donna che si era concessa un buon pranzo. Al diavolo le preoccupazioni, le conferenze, le riprese, le sfilate e tutto quanto!
Ero così assorta nel guardare gli altri, che non mi accorsi che qualcuno mi stava picchiettando la spalla: “Ehm… Mi scusi…”
Mi girai di scatto, e mi ritrovai davanti un uomo all’incirca della mia età: di bell’aspetto, con gli occhi verdi, i capelli scuri e una barba leggera. Aveva un’espressione spiacente.
“Io avrei prenotato questo tavolo…” continuò, e non sembrava molto felice di sfrattarmi.
Mi alzai velocemente, mandando anche all’aria la sedia e suscitando una sua risata.
“Io… mi scusi, l’ho trovato vuoto e ho pensato che non fosse prenotato. Me ne vado subito” arrossii.
“Non si preoccupi… Sono venuto qui da solo, può restare, le dà fastidio se mangiamo insieme?” mi chiese, prendendo posto davanti a me.
“N-no…” balbettai.
E chi l’avrebbe detto mai che mi sarei ritrovata a pranzare con uno sconosciuto, travestita da afroamericana?
“Ah, perfetto” continuò lui, non accorgendosi del mio imbarazzo o – molto più probabile – fingendo di non essersene accorto.
“Posso darti del tu?” mi chiese facendo scorrere lo sguardo sulle pietanze del menù.
“C-certo.”
“Come ti chiami?” mi domandò, mentre con un cenno chiamava la cameriera. Io andai nel pallone. Non avevo pensato a crearmi una seconda identità…
Approfittai della cameriera che ci interruppe per chiedere cosa volesse ordinare, e pensai in fretta. La mia mente ricordò il nome africano che mi piaceva tanto quand’ero bambina…
“Aisha” dissi con incertezza “mi chiamo… Aisha.”
“Che bel nome!” si complimentò l’uomo “io sono George.”
Mi tese la mano, io la afferrai insicura, e la strinsi forte.  “Piacere” dissi.
“Piacere mio.”
Ci fu un silenzio imbarazzante per qualche minuto.
“Ti piace il cibo italiano?” mi chiese, tentando di rompere il ghiaccio.
“Sì…” mi ripresi dai miei pensieri assorti “a te?”
“Questo ristorante è il mio preferito” disse con gesto teatrale, abbracciando con un movimento della mano il locale circostante.
I suoi modi cortesi e solari mi portarono a confidarmi: iniziammo a chiacchierare infervoratamente dei nostri interessi, del mondo, e di tante altre cose. Dovetti mentirgli a malincuore quando mi chiese di raccontargli qualcosa della mia vita.
Mi sentivo realizzata ogni volta che mi sorrideva, scoprendo i denti bianchissimi. Mi chiesi cosa mi stesse succedendo, ma non ebbi occhi che per lui per tutto il pranzo.
Lo sguardo mi cadde sull’orologio: le tre. Dovevo tornare a casa, la conferenza stampa era alle quattro e mezza…
Mi alzai con la morte nel cuore. “Ora devo proprio andare…” mormorai titubante.
“Aspetta, mi faccio portare il conto.” Era una mia impressione, o stava cercando di temporeggiare per passare più tempo con me?
“Okay” dissi risedendomi, felice di aver ancora un minuto da spendere in sua compagnia.
“Sei una donna simpatica” si complimentò spigliatamente con me.
“Bè, grazie… anche tu sei davvero simpatico.”
“Potremmo rivederci?” mi chiese.
“Sì!” mi vergognai del troppo entusiasmo che misi nel rispondergli. Cosa stava accadendo?
“Va bene…” lui rise sotto i baffi “a quando?”
“Non so…” esitai, perché non avevo l’agenda con me… ma al diavolo tutto. “Domani” gli dissi con decisione.
“Potremmo andare al cinema” propose sorridendomi.
“Okay. Il film però lo scelgo io” scherzai.
“Ai suoi ordini! Allora ci vediamo al cinema qui dietro, domani alle quattro.”
Ci salutammo con una stretta di mano, e io m’incamminai verso casa, piena di pensieri.
Non avevo mai creduto nei colpi di fulmine.
Ora però cominciavo a crederci…

NOTE DELL’AUTORE
Ciao a tutti! Io sono Marta, sono iscritta da poco su EFP e questo è la mia prima storia. Mi piacerebbe pubblicarne altri capitoli e scrivere altri racconti, ma ho bisogno di molto incoraggiamento! Quindi, se la storia vi è piaciuta e volete sapere come continua, per favore, lasciate un commento o una recensione… Altrimenti per me non ha senso continuarla!
Ve lo chiedo con il cuore. Mi fareste un regalo immenso!
Marta

  
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