Allora, su questa
One-Shot non ho molto da
dire: solo che è diversa dalle mie solite storie...
Niente morti, niente sesso, niente sangue o parole forti: solo l’amore
o la
forte amicizia di due giovani…
Ah, il titolo ha a che vedere poco o nulla con l’intera shot: è
semplicemente
il titolo della canzone che ascoltavo mentre la scrivevo ^^!
Starlight, dei Muse ^^!
Poi, credo che la dedica di questa shot credo sia doveroso dividerla in
tre
parti:
A Syb, che
l’ha letta dalle prime righe.
A Pad, che
avuto fiducia in me.
A DarkHiwatari, con
la speranza di aver distrutto il suo scetticismo e di essere riuscita
in una
Fics romantica ;D
Ci si vede a fine
fic ^^!
Starlight
“Avevo un ricordo
sfocato del tuo sorriso,
delle tue labbra…
Il volto impresso nella mia mente era quello di un bambino.
Un bambino dai morbidi capelli scomposti, dai grandi occhi di
cristallo, dalle
guance tonde, morbide, rosate…
Solo adesso nella confusione e nei movimenti impazziti dei miei ricordi
ti
rivedo chiaramente.
Affiancavo mio nonno, avevo forse cinque anni…
Tu, più grande di me di un anno o giù di lì, eri con quell’uomo
disgustoso.
Eri con lui perché… Perché dovevi accogliere la nuova recluta.
Saremmo stati nella stessa camera, avremmo sofferto insieme.
«Da questo momento in poi,
dimenticherai quello che c’è stato: la tua vita ricomincia da qui».
Quella frase…
Quella frase era stata sussurrata anche al tuo orecchio..?
Scusami.
Dimenticavo.
Come sempre, del resto…
Tu non avevi avuto nulla prima del monastero; solo la compagnia della
neve, forse.
Quindi, perché scomodarsi a cancellare quella delicata vita mai
disegnata o
colorata dal leggero colore a pastello dell’amore..?
L’amore…
Mia madre mi aveva parlato spesso di questo sentimento, sai?
«Non puoi sottrarti all’amore…
ovunque ti nasconderai ti troverà, travolgendoti in un turbine di gioie
e sofferenze..!
Tante e troppe sofferenze per i deboli cuori umani».
Riesco a rivivere
chiaramente, adesso, il
momento in cui ti avvicinasti a me sorridendomi gentilmente.
Non nego che…Avevo paura.
Mi aggrappai al lungo cappotto di mio nonno, pregandolo di non
lasciarmi in
quel luogo, supplicandolo di portarmi ancora una volta, un’ultima
volta, dalla mamma…
Piansi quella notte.
Piansi su quella sudicia brandina, così diversa dal mio morbido e
grande letto.
Tu non dormivi.
Ascoltavi i miei singhiozzi, rimanendo in silenzio.
Sollevai il capo, soffermandomi ad osservare il tuo profilo
fanciullesco.
Odiavo i tuoi occhi.
Non brillavano come i miei: erano certamente bellissimi e profondi come
solo gli
occhi di un bambino potevano essere…
Ma non splendevano.
Puri, ma tremendamente opachi.
Quando ti voltasti a fissarmi, tremai.
«Se
piangi, domattina sarai
troppo stanco per riuscire negli allenamenti». Rimasi sorpreso
nell’udire la tua voce.
Mi aspettavo una nota tagliente, cattiva ed invece era solo il dolce
suono di
uno strumento dimenticato.
Presto quel bambino
ebbe la mia amicizia, la
mia fiducia e le mie risate sempre più rare.
Ti parlavo spesso dei miei genitori: della mia bellissima mamma e del
mio
serio, ma dolce papà.
Mi ascoltavi in silenzio, fissandomi con interesse.
Non avevo mai provato a chiederti dei tuoi genitori e quando lo feci,la
tua
risposta non mi piacque.
«Non
li ricordo…»
Il mio piccolo cuore parve fermarsi.
E mi sentii così cattivo…
Non avevo fatto altro che parlarti di quando amassi i miei genitori e
di quanto
loro mi amassero.
Non volevo piangere ancora ed allora mi sorridesti con dolcezza,
abbracciandomi.
«Non
li pensi mai..?» Ti chiesi.
«Non
ne ho motivo». Dicesti
semplicemente.
Mi bastò come
risposta…
Non mi importava perché non vi fosse una ragione.
Ero solo sollevato dal fatto che tu non soffrissi.
Ricordo anche lo strano rapporto che avevi con Boris…
Lui ti voleva davvero bene.
Quando tornavi nella nostra camera la sera, dopo i tuoi allenamenti,
alle volte
tremavi.
Per il freddo forse, o per la paura, mi dicevo.
E ti lasciavi stringere da Boris.
Ti avvolgeva completamente nelle sue braccia…
Nonostante fossi più grande di me, eri sempre stato molto esile e
delicato.
In quei momenti, vedevo nascere e morire nei tuoi occhi delle gemme
bellissime
e sofferte, ma non piangevi, non versavi lacrime, non lo avresti mai fatto.
E quando i tremiti abbandonavano il tuo corpo, ti sollevavi e,
drizzandoti,
sorridevi a Boris ringraziandolo, poi ti voltavi verso di me ed il
sorriso non
abbandonava le tue labbra da bambino; mi chiedevi se stavo bene,
com’erano
andati gli allenamenti, se mi avevano punito ed il motivo della mia
punizione se
vi era stata.
Non sapevo degli esperimenti sul tuo
corpo…
Avevo provato sulla
pelle torture
terribili, avevo ascoltato innumerevoli volte il suono di una frusta
che si
abbatte sulla schiena di una vittima, ma non sapevo dei laboratori.
In quegli anni
crescemmo…
E non capivo cosa ti accadeva, amico mio.
Non mi sorridevi più ed i tuoi occhi, già opachi quando ti conobbi,
divennero
vuoti.
Un oceano di cristallo che ti affogava avvolgendoti con disperazione…
I lineamenti del tuo viso si erano assottigliati e ciò che era un
bellissimo
abbozzo divenne un ritratto perfetto e meraviglioso.
Ma non capivo quel distacco, non lo comprendevo e ne soffrivo.
Era tremendo quando mi voltavi le spalle piantandomi con parole di
circostanza
che sapevo non avresti mai usato con me.
Ti confessavo queste cose e tu ridevi.
Ridevi malvagio, dandomi dell’egocentrico.
Poi anche io venni condotto nei laboratori e Dio solo sa cosa provai
quando ti
vidi.
L’elettricità di filamenti di rame alimentava il tuo cuore ed in quei
legamenti
vedevo il tuo corpo immobile e i tuoi occhi tristi.
Tanto tristi.
Eri solo un Cyborg.
Nulla di più
Io scampai la ‘trasformazione’: gioco del destino, il mio fisico forse
un po’
più robusto e forte del tuo ed il mio corpo martoriato non erano adatti
ad
ospitare i circuiti che in parte sostituivano i tuoi vasi sanguigni.
Odiavo vedere quegli uomini
armeggiare intorno al tuo corpo, odiavo
vedere quelle mani che sfioravano la tua pelle, lavorando con essa.
Ma tu restavi immobile sotto quei tocchi, mentre l’alimentazione al tuo
cuore e
a ciò che restava del tuo corpo veniva sottratta.
Chiudevi gli occhi, ma io lo vidi sai? Vidi il dolce sorriso che ti
incorniciò
per un muto istante le labbra, quando gli scienziati comunicarono che
con me non avrebbero concluso nulla.
Non seppi cosa ti fecero…
Non ne ebbi la possibilità.
«Yurij non tornerà stanotte…o,
perlomeno, ciò che è rimasto di umano in lui non metterà piede in
questa camera».
Al lieve sussurro
di Boris chinai il capo.
Non lo accettavo.
E mentre la rabbia divorava ogni fibra del mio corpo, lasciandomi in
preda a
tremori frustrati, ti vidi sulla soglia.
Di quel volto che ormai per me rappresentava il calore di una famiglia,
di
quelle labbra che si distendevano in sorrisi rassicuranti e gentili, di
quegli
occhi opachi dal principio, ma sempre sinceri non vi era più nulla.
Persino quel delicato colorito roseo che caratterizzava le tue gote era
scomparso…
Ricordo che una
volta ti rifugiasti tra le
mie braccia, piuttosto che tra quelle di Boris.
Era raro che accadesse, di solito eri tu quello che si premurava delle
mie
condizioni..!
Il tuo corpo era così fragile, ed il respiro caldo e violento pareva
volesse
distruggere il tuo torace…
I tuoi occhi di cristallo erano socchiusi e Boris ci osservava
sorridendo
lievemente.
«Non ho sonno. Questa notte
voglio osservare le stelle..!» Bisbigliasti e ti
fissai sorpreso, incapace di dare una risposta.
«Non ho mai visto le stelle; e se
l’ho fatto… non lo ricordo più». Aggiungesti con uno
di quei sorrisi
gentili.
Quell’affermazione
mi sorprese più della
prima.
Non avevo mai badato alla mancanza di una finestra nella nostra camera.
Per me era sempre stato così normale pensare alla luna e alle stelle di
notte
che non vi avevo mai dato alcun valore.
Un valore che scoprii solo quando, sulla terrazza di quel luogo
squallido, vidi
il tuo volto sorridere al firmamento.
Boris ci aveva condotto sul tetto e lì i tuoi occhi incontrarono forse
per la
prima volta il meraviglioso cielo notturno di Mosca.
La luna piena creava ombre meravigliose ed illusioni perfette sui
nostri volti,
il cielo era sereno come non lo avevo mai visto e le stelle lassù
splendevano
magnifiche.
Sembravano aver atteso per anni che tu alzassi il tuo viso verso di
loro, amico
mio, per mostrarsi alla Russia ed al mondo intero nella loro massima
bellezza, nella
loro brillantezza più seducente e romantica, nella loro purezza e luce
primordiale.
Poi la vidi, quella scia luminosa…
«Una
stella cadente! Una stella
cadente! Esprimete un desiderio!» Esclamai
saltellando, per poi serrare gli occhi e formulare
la mia richiesta a quel lume che si era spento nel cielo.
‘La libertà… dacci la libertà.’ pensai intensamente,
per poi riaprire gli
occhi.
Tu continuavi ad osservare silenzioso la notte.
Capii subito che l’amavi, o che perlomeno ti piaceva… e
tanto.
Avevi lo sguardo perso oltre le distese di neve; inspiravi l’aria
gelida;
sorridevi.
Guardavi ancora le stelle brillare e corteggiavi con passione la luna.
«Avete
espresso un desiderio..?» Chiesi curioso a
te e a Boris, che ti
aveva abbracciato di nuovo.
Avevi ripreso a tremare.
Scuotesti il capo.
«Ho
tutto quello che desidero, adesso…» Mormorasti,
separandoti piano dal tuo
amico.
Mi sorprendesti ancora.
Ma non chiesi spiegazioni! Me le avresti date tu stesso se avessi
voluto, di
questo ero convinto.
Lanciasti un ultimo sguardo al cielo che ci sovrastava infinito.
Gli stavi dicendo addio.
Lo leggevo sul tuo volto, nei tuoi occhi.
Tornammo nella nostra camera, dove la luce delle stelle era proibita, e
l’espressione serena che quella notte avevi mentre dormivi fu uno
spettacolo
unico: molte volte il tuo sonno era stato una maschera di sofferenza.
Ed in quel momento,
mentre ti vedevo
entrare nella nostra cella fiero, austero ed intoccabile, seppi che avevo
perso
tutto.
Eri pallido, ed il biancore conferiva ai tuoi lineamenti un aspetto
quasi
marmoreo.
La durezza di quel volto e l’inespressività di quelle iridi turchesi -che non riconoscevo più come tue- avevano
sostituito la dolcezza che sempre aveva dominato i tuoi occhi.
La tua voce incolore stonava con le note che avevo imparato a conoscere
e ad
amare.
Ghigni di vuota malvagità spodestarono i tuoi caldi sorrisi.
Nessuna parola nei miei confronti o nei confronti di chi, sempre,
ti
aveva accolto tra le braccia.
Boris avrebbe voluto stringerti, lo
sentivo, lo percepivo.
Io volevo semplicemente che mi parlassi con premura e dolcezza.
Non accadde nulla.
Abbandonasti la nostra camera.
Ad essa si sostituirono prigioni di fili.
Abbandonasti il tuo cuore nelle nostre mani.
Ad esso si sostituirono tempeste elettroniche
nel tuo delicato torace.
Abbandonasti i tuoi sentimenti.
Ad essi si sostituirono gli ordini
impartiti alla macchina che eri diventato.
Non ricordo nulla
dell’incedente che mi
cancellò la memoria.
Credo che sia una fortuna essere riuscito a recuperare questi ricordi
precedenti...
Sai, solo da poco, ripensando al tuo volto da bambino e ai tuoi occhi
opachi, capisco
quell’opacità a cos’era dovuta.
Le stelle, Yurij…
Non avevi bisogno di alzare il volto e rimirare le stelle, perché esse
erano
nei tuoi occhi e velavano il cielo terso delle tue iridi rendendolo
magnifico.
Da bambino non potevo capirlo, da ragazzo non ne avevo ricordo, da uomo
non
posso far altro che rimanerne affascinato.
Sono un muto spettatore che guardando in alto nel firmamento attende la
scia di
una stella cadente.
Apri gli occhi, ti
prego, permettimi di
guardare le stelle, stanotte…
Non mollare, amico mio.
Mio Cyborg.
Mio Cielo.
Con
affetto,
Kai
Hiwatari ”
Yurij Ivanov
ripiegò la lettera sospirando
sommessamente.
Aveva ritrovato quel semplice foglio di carta sotto il cuscino del suo
letto
d’ospedale ed il primo impulso era stato quello di distruggerlo.
Troppe sensazioni racchiuse in quelle parole e non riusciva a
sopportarle..!
Per Kai aveva pianto.
Aveva sentito la scia umida di una lacrima solcargli le guance e,
mentre era
incosciente, aveva percepito la Fenice morire.
Ed adesso tremava.
Tremava, lottando contro quelle
lacrime che si ripresentavano, ancora, agli angoli dei suoi occhi di
cristallo.
Distrutto ciò che di meccanico gli inibiva i sensi, costringendolo alla
cieca
obbedienza, cosa rimaneva?
Era solo un ragazzo a cui, ad un parte del suo corpo e del suo cuore,
si erano
sostituiti fili di metallo e meccanismi di avanzata tecnologia.
Quando si era svegliato dal coma, Boris lo aveva stretto.
Lo aveva abbracciato come non accadeva da tempo.
Prima di giacere incosciente su quel letto, gli aveva detto, lo avevano
operato: dei tecnici avevano collaborato coi medici dell’ospedale per
riparare
le lesioni dei suoi delicati meccanismi.
“Ora devi solo piantarla di fare cose troppo
pericolose, robottino!” Lo aveva
rimproverato giocosamente il Falborgblader.
Yurij aveva sorriso in quell’abbraccio, poi separatosi aveva guardato
Boris
negli occhi e gli aveva mostrato la lettera.
Il giovane dalle iridi smeraldine aveva letto con attenzione,
interpretando la
sottile grafia di Kai con un lieve sorriso.
“Bhé, è scritto tutto qui quello che devi fare, Yu!” Aveva detto il
platinato, dopo
aver distolto gli occhi dalla lettera.
“Ho paura…” confessò Ivanov.
“Non ho
ancora imparato a riconoscere i sentimenti, Boris.” Aggiunse tremante.
Hustnezov, sospirando pazientemente, si era affiancato a lui
circondandogli le
spalle con un braccio.
“Sarebbe un modo per… apprendere, non trovi?” Disse pacato.
“E se non ci riuscissi? E se lo facessi soffrire?” Insistette il rosso.
“Così sembra che tu voglia trovare una scusa per fuggire.” Affermò con
una
certa durezza Boris.
“Io sono una macchina. Non fuggo. Obbedivo agli ordini che mi
venivano impartiti. Una
volta ho tentato di ucciderti.”
Ribatté freddo Ivanov, elencando ciò che nella sua vita, fino a quel
momento, era
stato fondamentale.
Boris rise divertito all’ultima, telegrafica affermazione.
“Ma per tua sfortuna o, forse, per tua fortuna non ci sei riuscito…”
Gli baciò
la fronte.
“Rifletti su ciò che fare, Yurij. E credimi:
hai acquisito una conoscenza dei sentimenti che un qualsiasi umano ti
invidierebbe.” Aveva concluso Huznestov, lasciando il giovane dai
capelli
ramati solo coi suoi dubbi.
E così si era
rifugiato sulla terrazza
dell’ospedale con la lettera di Kai stretta al petto.
Era notte e le stelle splendevano.
Il suo cuore palpitava: li sentiva, i battiti incessanti e frenetici.
Rievocava le emozioni provate nel leggere quelle parole gettate nero su
bianco
e temeva un corto circuito improvviso: erano
tanto forti...
“Sapevo che ti avrei trovato qui.”
Sussultò: la voce calda di Kai aveva raggiunto il suo udito.
Deglutì leggermente, mentre il giovane guardiano della Fenice si sedeva
al suo
fianco alzando il volto al cielo.
Yurij lo fissò per un istante, poi i lineamenti del suo viso si
rilassarono in
un dolce sorriso e Kai lo vide; e ricambiò lo sguardo del rosso, per
godere
della meravigliosa espressione assunta da Ivanov.
Il Wolborgblader si posò una mano all’altezza del cuore, senza
annullare il
contatto visivo con il ragazzo che lo osservava silenzioso.
“Non so se potrei amarti come desideri tu, Kai…” Cominciò, chinando gli
occhi.
Hiwatari lo ascoltava e non distoglieva lo sguardo dalla sua figura.
“Non ho quasi più nulla di umano: nel mio cuore il tessuto cellulare si
alterna
a cip e fili di rame. Ma se amore è…è sentire il proprio cuore battere
frenetico allora forse credo di provarlo per te, Kai…” Bisbigliò, e per
un attimo
la sua voce suonò timorosa.
Timore che si spense quando, sollevando gli occhi, incontrò le iridi di
Kai che
gli sorridevano.
“Promettimi una sola cosa.” Disse a quel punto Hiwatari.
“Cosa..?”Chiese curioso il russo.
“Promettimi che se non riuscirai ad imparare ad amare con me non
permetterai al
Cyborg che c’è in te di consumarti, ma, anzi, che farai di tutto per
poter
riconoscere liberamente i tuoi sentimenti… Ci stai?” Domandò seriamente
Hiwatari, posando la sua mano su quella di Yurij che ancora si
stringeva al
petto.
E a quel punto Kai lo rivide, quel sorriso gentile che solcava il volto
niveo
di Ivanov.
“Sì, te lo prometto.” Acconsentì il giovane dai capelli di rame.
E sigillarono quella promessa, lo
fecero con un delicato bacio nella notte, mentre una stella nel cielo
cadeva, illuminando
con la sua scia quel frammento di firmamento che fu il muto testimone
del loro
giuramento.
«Luce
di Stelle, cullaci e riscaldaci nella tua dolce scia.
Oh, ti preghiamo: concedi al nostro amore di crescere lontano dalla
cattiveria
del mondo...
Ne siamo stati vittime troppo a lungo».
*Owari*
Ivanov, con
Block Notes: Allora, vediamo…Puttana, suicida, demone,
angelo, psicopatico -scribacchia
furiosamente-
Autrice: Ma che combini O.o?
Ivanov: Non mi distrarre! Sto
tentando di appuntare tutti i ruoli che mi hai dato U_U! Dov’ero
rimasto? Ah
si! Psicopatico, autolesionista e adesso anche Cyborg…Credo di non aver
scordato nulla O.o…
Autrice: Sì, lo credo anch’io o.O…
naturalmente
alcune delle parti già dateti verranno approfondite U_U!
Ivanov, scocciato,
lancia block notes: Okay,ci rinuncio. -_-
Autrice: Bravo cane e adesso va a
cuccia che devo fare le ultime noticine!
-Ivanov si ritira in un angolo-
Che dire?
Spero che la
fics non sia risultata troppo melensa…
E come avrete
potuto notare non vi è un vero e proprio Happy Ending! Diciamo che
le cose sono rimaste ‘in sospeso’ e sta alla vostra fantasia, adesso,
immaginare
se la loro storia sia andata avanti o meno U_U!
Ammetto di
essere stata tentata, un paio di volte, di dar retta alla mia vena
sadica e di tramutare tutto in un qualcosa di estremamente contorto e
disperato,
ma alla fine… ho vinto una battaglia =^__^=!
E credo di
essere riuscita a dimostrare, più o meno, di saper scrivere robe
dolci X°°°D!
Bhè che dire?
Un bacio,
spero che lascerete un commento a questo piccolo lavoro =)!
Iria