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Autore: Silver Shadow    17/04/2014    0 recensioni
Okay questa è la mia seconda fanfiction e io sono tipo "aiuto" (?) La scrivo per tutti gli appassionati di Percy Jackson che è un pezzo della mia vita. E' ambientata fra La maledizione del titano e La battaglia del labirinto, ed è incentrato sul dolore dei ragazzi dopo ciò che è successo in quella vecchia discarica degli dei. In quanto a Percabeth non attiene del tutto alla storia del libro ma a me piaceva così; spero piaccia anche a voi. Chu! >
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Nico di Angelo, Percy Jackson, Talia Grace
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La mattina dopo mi sentivo distrutto, il che era abbastanza strano visto che non avevo sognato assolutamente nulla. Mi sembrava di aver dormito solo 10 minuti e invece erano già le 8:30 quando sentii i pugni di Talia battere sulla mia porta e urlarmi contro che era tardissimo e dovevo sbrigarmi. Mi rifiutai di andarle ad aprire e mi lavai e cambiai più in fretta che potevo, ma sfortunatamente quando aprii la porta la sua faccia rossa e imbestialita era ancora lì, un’Annabeth piccola e spaventata al suo fianco che cercava di placare la sua ira.
- MI AUGURO CHE TU ABBIA UNA SPIEGAZIONE VALIDA PER QUESTO ASSURDO RITARDO, JACKSON! -
Non mi sentii i timpani per qualche secondo, e quando mi ripresi riuscii a dire solo qualcosa di assolutamente idiota.
- Avevo sonno -
Giurai che stesse per esplodere, ma quando Annabeth le sussurrò qualcosa all’orecchio si rilassò improvvisamente sospirando nervosamente.
- Che non succeda mai più! – e si allontanò a grandi passi lungo il corridoio, lasciandomi confuso.
- Che cosa le hai detto per farla calmare così? – Chiesi ad Annabeth, sconvolto. Lei mi sorrise con una dolcezza spaventosa, come se tutto quello che era successo da due giorni a questa parte.. Bhe, non fosse mai successo.
- Voi uomini non potete capire – mi rispose semplicemente, afferrandomi per un braccio e trascinandomi giù per le scale.
Giunti nell’atrio principale dove si era riunita tutta la mia classe, ci incamminammo per visitare i soliti posti noiosi delle gite dei quali non importa niente a nessuno. Talia si tenne a mia debita distanza e per mia fortuna e sfortuna dovetti stare tutto il tempo con Annabeth.
- L’hai fatta arrabbiare parecchio – esordì improvvisamente lei dopo un lungo silenzio, mentre entravamo in un museo.
- Talia è l’ultimo dei miei problemi per ora – risposi, freddamente. Non era mio intento ferirla, ma notai che Annabeth ci rimase piuttosto male, forse molto più di quello che una risposta come la mia avrebbe richiesto.
Il resto del giorno ci tenemmo a debita distanza e le nostre conversazioni si limitarono a “Mi passi il sale?” a pranzo. La situazione mi disturbava ed ero assolutamente sicuro che quel silenzio non fosse dovuto solo alla rabbia di Talia quella mattina, c’era qualcosa di più profondo e oscuro che temevo di conoscere sotto quelle parole non dette. Mi chiesi se quelle ferite si sarebbero mai rimarginate.
La sera, una volta tornati in albergo, mi chiusi nella mia camera e sbattei la porta alle mie spalle,lasciando malamente cadere lo zaino per terra senza curarmi di dove l’avevo lanciato. Mi piegai in ginocchio sulla valigia e cominciai a frugare per trovare il pigiama, quando notai un oggetto rettangolare decorato con motivi colorati. Sgranai gli occhi. Non ricordavo di averlo messo in valigia, ma a quanto pare..
Eccolo lì. Il mazzo di carte di Mitomagia che avevo trovato nel Campo dopo la sparizione di Nico. L’unico pezzo del vecchio Nico che mi era rimasto. Lo strinsi forte nel pugno tenendo la testa bassa, restando in quel modo per un tempo indeterminato, e avrei continuato se non avessi sentito una mano piccola e calda posarsi sulla mia spalla. Mi girai e la vidi, stretta nel suo pigiama grigio di una taglia decisamente più grande che richiamava i suoi grandi occhi color tempesta, i lunghi capelli biondi e ricci legati in una coda improvvisata e i piedi nudi che aderivano al pavimento. Sembrava esausta, e non solo per la lunga camminata di quella giornata.
- Annabeth – mormorai, senza riuscire ad aggiungere altro. Lei scrutò oltre la mia spalla, distogliendo il suo sguardo dal mio, e vide cosa tenevo in mano. Sgranò gli occhi e la sua presa sulla mia spalla aumentò, mentre lentamente si metteva a sedere in ginocchio appena dietro di me, come se la vista di quell’oggetto l’avesse destabilizzata tanto da non riuscire a farla stare in piedi. Mi girai verso di lei e le lessi negli occhi lo stesso dolore che provavo io, allora mi resi conto che ero stato tanto egoista da non prendermi cura di lei..
L’abbracciai, tenendo le mani ben salde dietro la sua schiena e affondando il viso nella morbida coda che le cadeva sulla spalla, inspirando l’inebriante profumo dei suoi capelli. La sentii trasalire poco prima di avvertire la sua stretta sulla mia felpa, come se stesse provando ad aggrapparsi a me, e sentii le sue lacrime calde e silenziose sulla mia spalla. Era possibile che quello era tutto ciò che ci rimaneva? Dolore e disperazione? E la pretesa da parte di forze superiori di continuare a combattere ignorando i nostri cuori feriti? La rabbia che mi montò dentro non era paragonabile a nessun altra emozione che avessi mai provato in vita mia.
- I suoi occhi, Percy.. – la rabbia un po’ si sciolse, sentendo la voce rotta dai singhiozzi di Annabeth, e rilassai i muscoli senza essermi prima davvero reso conto di quanto fossi teso. – I suoi occhi erano così neri.. Vi si leggeva dentro una lotta che minacciava di non finire tanto presto.. Le stesse fiamme negli occhi di Ares.. Lo stesso strazio dei volti che ondeggiano sulla veste di Ade.. – se voleva dire qualcos’altro, un ennesimo spasmo di pianto le impedì di continuare, e il mio cuore si frantumò definitivamente. La allontanai quel poco che bastava per guardarla negli occhi, quegli occhi gonfi e rossi ancora lucidi e pieni di lacrime, e le presi il viso tra le mani tenendola più vicina possibile.
- Il dolore plasma le persone, Annabeth. E’ possibile che sia solo questo periodo iniziale.. Che poi magari le cose vadano meglio. Devi dargli il tempo di assimilare, e un giorno questa sofferenza darà i suoi frutti, lo aiuterà, forse gli insegnerà a perdonare invece che a condannare, ma.. Nel frattempo noi non possiamo fare nulla. Possiamo solo aspettare. Aspettare che le cose migliorino perché lo faranno.. Annabeth, guardami. Andrà tutto bene. Finché siamo insieme, va tutto bene. Okay? – puntai il mio sguardo nel suo, anche se non ero proprio  sicuro che quelle parole l’avrebbero aiutata. Con mio sommo stupore, la vidi asciugarsi le lacrime con la manica del pigiama e assumere la sua solita espressione fiera e forte, e le avrei anche creduto se non fosse stato per gli occhi e le guance ancora gonfi per il pianto.
- Lo so, hai ragione. Piangere non serve a nulla. Dobbiamo continuare a combattere perché solo così.. La morte di Bianca avrà un senso. – La sua voce s’incrinò quando pronunciò il nome della sorella di Nico, ma la sua espressione non cambiò e nessuna lacrima minacciò di voler sgorgare ancora dai suoi occhi che, ancora un po’ lucidi, sembravano ancora più grandi. Fu allora che mi accorsi di quanto eravamo vicini. Eravamo in ginocchio, uno accanto all’altra, le ginocchia che si toccavano. Le tenevo ancora saldamente le mani sulle guance quasi temendo che se le avessi lasciate il suo viso si sarebbe sgretolato fra le mie mani.. Era talmente, pericolosamente vicina al mio viso che sentivo il suo respiro solleticarmi le labbra, e probabilmente anche il mio stava facendo lo stesso sulle sue, semichiuse, che mi scoprii a guardare fissamente. Non avevo il coraggio di muovere un muscolo, non ci riuscivo, e mi tenni a bada perché sapevo che se mi fossi mosso sarebbe stato per baciarla..
- Ma che bel quadretto – affermò allegra una voce proveniente dall’ingresso della mia stanza. Sussultai e Annabeth fece lo stesso, allontanandosi di scatto da me e toccandosi i capelli biondi nonostante fossero perfettamente fuori posto. Portai le mani lungo i fianchi e girai la testa per capire chi era stato a meritarsi la più profonda occhiata fulminante della storia.
Appoggiata allo stipite della porta, con un pigiama nero a strisce bianche (o bianco a strisce nere? Bah) con un sorriso divertito sulle labbra e gli occhi vispi, c’era Talia.
- Oh andiamo, non fare quella faccia Jackson, non puoi fulminarmi con lo sguardo! Sono la figlia di Zeus, è più probabile che sia io a lanciarti un fulmine in testa! – esordì, entrando nella stanza e facendo ridere Annabeth, che intanto si era alzata e si era avvicinata a lei.
- I barbagianni hanno un senso dell’umorismo migliore del tuo, Talia – ribattei scocciato, issandomi sulle braccia per alzarmi e cercando di ripulirmi i pantaloni dalla polvere.
- Sei solo invidioso – concluse, alzando le spalle –ma noi ti perdoniamo. – mi sorrise con fare sarcastico, prendendo Annabeth per un braccio e portandola via. – Buonanotte! – la sentii dire dal corridoio, con un tono di voce ancora visibilmente divertito. Io avevo il fumo che mi usciva dalle orecchie e chiusi la porta con un calcio talmente forte da far tremare lo specchio del bagno.
Quando mi misi a letto dopo essermi infilato il pigiama con una tale violenza da strappare il tessuto del pantalone appena sotto il ginocchio, imprecai e mi addormentai più nervoso che mai.
 
  
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