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Autore: Ranyadel    17/04/2014    3 recensioni
Quando incrociò il mio sguardo, sembrò incassare leggermente la testa nelle spalle e sollevò un angolo della bocca in un minuscolo sorriso. Quanto poteva essere… cucciolo?!
Ecco, era un cucciolo. Avevo deciso.
***
“Oh, Coralie ha una capacità particolare. Sa leggere gli occhi come nessuno” disse Carol.
***
“So… so capire come sono fatte le persone solo guardandole negli occhi e osservando come si muovono” dissi a bassa voce. “Ti psicanalizza con uno sguardo” Fece Manuela ridacchiando. Luke mi guardò sorpreso. “Sarei curioso di provare.”
***
"Di solito le persone hanno paura."
"Di cosa?"
"Di sé stesse."
***
"Vieni con me."
"Eh?"
"Coco, vieni con me. Venite con me, tutte quante."
"Ma io non..."
"Ti ho promesso che ti sarei stato vicino, e ormai dovresti aver capito che mantengo sempre le mie promesse."
***
"È che ho troppi fantasmi alle mie spalle e mostri nella mia testa per poter essere davvero felice."
"Oh, ma li vedo."
***
Una ragazza particolare, che sa leggere gli occhi.
Coralie.
Un ragazzo speciale, con occhi che la catturano e la intrigano, così semplici da leggere e allo stesso tempo così complessi da capire.
Luke.
Un amore nato da sguardi e gesti.
***
trailer: https://www.youtube.com/watch?v=nPR1CdGLUV8
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Smile.

Dopo il concerto, andammo a casa dei ragazzi. Faceva freddo, e rimpiansi subito i miei collant di lana, a cui avevo preferito un paio di parigine più leggere. Anche Carol e Manuela sembravano patire il freddo. Ashton se ne accorse e si tolse la giacca per metterla sulle spalle di Carol. Che tenero. Peccato che non ci fossero altri due disposti a fare lo stesso con me e Manuela. In macchina, rimasi sola con Carol e Manuela, e iniziammo a parlare di quella serata. “Da quanto ti vedi con Ashton?!”

“Da quando ho iniziato a mobilitare la Rete, più o meno. Diciamo che mi arrivavano informazioni su ognuno di loro, non solo su Luke. Mi interessava, così ci ho organizzato un’uscita… e poi siamo finiti così.”

“No, aspetta un secondo. Ti arrivavano informazioni su Michael, e non me l’hai mai detto?!” fece Manuela scandalizzata. Carol incassò la testa nelle spalle, continuando a tenere lo sguardo sulla strada. Era l’unica con la patente. “Ehm, può darsi?” tentò. Manuela si lasciò andare ad una sfilza di insulti talmente variegati e strani che ci mettemmo a ridere. “Alcune parole nemmeno esistono!” esclamò Carol. “Sì, ma le sto inventando io per descriverti!”

“Il dizionario degli insulti ringrazia per averlo triplicato di volume.”

“E ne vado fiera!” rispose Manuela con sussiego. Io mi sentivo male dalle fitte all’addome che mi causava il ridere. “Povero Calum, lo stiamo ignorando” dissi, ridacchiando. Manuela mi guardò scettica. “Tu volere che io insulto lui?” mi chiese con accento straniero, imitando un qualche giudice che avevo visto in tv, storpiando apposta le parole. “Siamo qui riuniti per celebrare la morte dell’italiano” commentai. Non avevo mai sopportato tutte quelle persone che consideravano la loro lingua un’opinione. Manuela e Carol lo sapevano ed erano d’accordo con me, fortunatamente. Mi venne in mente un episodio marchiato a fuoco nella mia mente. Eravamo in prima liceo, reduci dai voti della verifica sui verbi. Facile, per chi legge. Impossibile, per gli sgrammaticati. Un mio amico, che aveva preso 6, si stava lamentando. “Se io avrei avuto più tempo, l’avrei finita” aveva detto. Tutti gli sgrammaticati si erano voltati inorriditi ed era partito il coro: “Se io ebbi!”

Stavo per avere un infarto, è dire poco.

E avevano avuto anche il coraggio di sorprendersi delle insufficienze.

Non ero perfetta, ma almeno provavo a non sbagliare, al contrario di altri.

 

Quando arrivammo a casa dei ragazzi, io, Manuela e Carol schizzammo dentro, trovando ad accoglierci il calorifero. I quattro ci guardarono straniti. “Ho le mani gelate!” mi lamentai. “Non ci credo” disse Luke subito. Io inarcai un sopracciglio e gli misi una mano sulla nuca. Lui rabbrividì. “Fatemi spazio” disse poi, appoggiando il collo al calorifero. Ridacchiammo tutti. “Volete una cioccolata calda?” chiese Ashton. Carol e Manuela annuirono vigorosamente, io rimasi in silenzio. Come potevo dirlo, che la cioccolata calda mi faceva schifo??

“Preferisco una camomilla. Coralie?” mi chiese invece Luke. Qualcuno, lassù in cielo, mi voleva tanto bene. “Grazie, anche io” dissi riconoscente. Ci sedemmo attorno al tavolo in cucina, continuando a parlare di mille cose. Ad un certo punto, partì la suoneria di un cellulare. Il mio cuore si fermò, mentre riconoscevo quelle note al primo secondo. Chiusi gli occhi, ascoltando. Purtroppo, Calum rispose al cellulare. Si alzò e andò nella camera accanto, vicino alla finestra. “Qui non c’è molto campo” spiegò Michael. Io presi la mia borsa e ne tirai fuori una penna e il mio taccuino. Quando mi venivano quegli attacchi di “canzonite acuta”, dovevo scrivere i versi che avevo in mente, altrimenti mi rimanevano in testa.

It’s nice to know that you were there

Thanks for acting like you cared

And making me feel like I was the only one.

It’s nice to know we had it all

Thanks for watching as I fall

And letting me know we were done.

Luke si sporse verso di me e, quando misi giù la penna, la prese in mano, sfilando il taccuino dalle mie dita.

He was everything, everything that I wanted.

Scrisse solo. Io lo guardai sorpresa. “Wow, anche tu ascolti Avril?” chiesi. Lui annuì sorridendo. Oh, no, perché doveva sorridere ogni volta?! Quando si voltò di nuovo verso gli altri, aggiunsi l’ultimo verso.

So much for my happy ending.

 

Una ventina di minuti dopo, Calum mi chiese di provare a leggere gli occhi di Luke. Io arrossii. Perché, quando si parlava dei suoi occhi, mi sembrava qualcosa di… privato? Era come leggere un diario segreto. Si scopriva tutto, gli aspetti più profondi, e in qualche modo mi pareva che stessi invadendo il suo spazio. Luke, però, sembrava d’accordo. Acconsentii e tirai di nuovo fuori il taccuino. “Adesso ti farò delle domande. Non rispondermi, pensa solo a cosa vorresti dirmi. Continua a guardarmi negli occhi” dissi. “Sembra un gioco di magia” sussurrò lui, che però obbedì. Mano a mano che chiedevo, i suoi occhi cambiavano.

Leggere gli occhi è come suonare un pianoforte. Ci sono tasti bianchi e tasti neri. Gli occhi mostrano solo i tasti bianchi, normalmente. Sta a me riuscire a premere i tasti neri per ascoltare altre note. Se voglio avere un quadro completo, devo riuscire a premere tutti i tasti, anche quelli più nascosti. Anche per questo scrivevo quello che vedevo, anziché dirlo subito. Se gli avessi detto subito tutto, si sarebbe sorpreso. Avrebbe nascosto tutti i tasti neri e mostrato solo alcuni di quelli bianchi, senza nemmeno saperlo. Le emozioni nascondono o esaltano, sta a me capire come funziona.

Non c’è niente di magico in quello che faccio. Sono solo i miei occhi che vedono cose che pochi altri riescono a cogliere.

Ci misi quasi mezz’ora, in cui tutti rimasero in silenzio. Si sentiva solo la mia voce. Ogni volta era come scoprire uno strato nuovo di Luke, era pazzesco. Quegli occhi erano così trasparenti, e allo stesso tempo così complessi, che mi misero a dura prova. Non ero sicura di essere riuscita a cogliere tutto di lui. Era davvero troppo. Quando gli consegnai il foglio, dovetti strizzare gli occhi: mi ero concentrata tanto che si erano affaticati.

Lui iniziò a leggere ad alta voce.

“Hai degli occhi complicati, se devo dirla tutta. Probabilmente, ho sbagliato sotto molti aspetti. Spero solo di non dire niente che ti possa offendere.

Sei solare, allegro, ti piace vivere nel tuo mondo ideale, poi quando sei costretto a tornare qui sei spaesato. Ti senti indietro rispetto al mondo, e vuoi solo tornare in quello che ti sei costruito. Per quanto pericoloso, pieno di mostri e creature inimmaginabili, pieno di pericoli che solo la fantasia può dipingere, per te è sicuro. Perché lo conosci.

Sei molto attaccato ai ricordi della tua infanzia e alla tua famiglia. A volte sei infantile, perché ti trovavi bene nel tuo mondo da bambino, e vorresti ricreare quelle sensazioni.

Sei dolce, romantico, a vecchio stampo, diciamo. Metti sempre il bene degli altri prima del tuo e ti fidi ciecamente degli amici. Affideresti loro la tua vita senza nessun timore.

A volte sei insicuro, cerchi di compiacere le altre persone per sapere se stai facendo la cosa giusta.

Sai di aver bisogno di attenzioni, ma non le richiedi mai, aspettando di riceverle per paura di sembrare ridicolo.

Sei malinconico e sognatore, impaziente e curioso.”

Mano a mano che leggeva, sul suo volto si dipingeva un’espressione sbalordita. Anche Calum, Ashton e Michael erano a bocca aperta. “Tutto questo, solo guardandolo negli occhi?!” chiese Calum alla fine. Io annuii. “Oddio, hai indovinato. Su tutto!” disse Luke strabiliato. Mi accorsi che, grazie al cielo, aveva saltato l’ultima frase, e gliene fui grata. Sorrisi imbarazzata. “Io ve l’avevo detto, che vi psicanalizza” sostenne Manuela. Calum si coprì gli occhi con le mani. “Prima che possa leggermi nel pensiero” spiegò. Ci mettemmo a ridere. Io li guardai tutti, uno per uno, pensando a quanto fosse stata bella quella serata. Fui interrotta, quando qualcosa saltò sulle mie gambe. Trasalii e lanciai un urlo, spaventata, mentre il mio cuore saltava un battito, e guardai verso il basso: un gatto bianco, a pelo lungo, con il muso spruzzato di color cioccolato, la coda grigio-marrone e le zampe scure, con i guanti bianchi. Lo riconobbi subito: un birmano. “Pericle, non farla spaventare!” fece Luke ridendo e carezzando il gatto sulla testa. Lui iniziò a fare le fusa, tanto forti che le sentivo io. Ridacchiai. Luke mi prese una mano e la portò sul dorso del gatto. “Non mi morde, vero?” chiesi intimorita. “Pericle che morde? Questa devo ancora vederla. È un peluche, non saprebbe nemmeno come morderti” fece Ashton. “Dov’è l’altro gatto?” chiese invece Carol. Manuela sorrise. “E come si chiama, poi? Aristotele? Un altro nome greco?”

“No, Nemo” rispose Michael, sbucando da dietro la porta con in braccio un altro gatto, sempre un birmano, ma stavolta bianco e arancione. La sua coda formava un curioso punto di domanda, probabilmente era rotta e saldata male. Aveva grandi occhi azzurri che lo facevano sembrare un cucciolo. Chissà chi mi ricordava…

Manuela guardò adorante il gatto e chiese di poterlo prendere in braccio. Adorava gli animali. Forse fu per il fatto che ero troppo concentrata su di lei, che non mi accorsi che Pericle mi aveva preso un bracciale dalla borsa aperta. Me ne resi conto solo quando iniziò a inseguirlo per tutta la casa, dandogli zampate per farlo muovere e poi sorprendendosi se non stava fermo. Con tutto il rispetto possibile, mi sembrava abbastanza fumato.

Cercai di placcarlo a mo’ di giocatrice di football, col solo risultato di farlo scappare col mio bracciale verso il piano di sopra. “No, Pericle, torna indietro!” fece Luke ridendo e tentando di inseguirlo. Io mi accodai, mentre gli altri ci guardavano senza fare niente, godendosi la scena. Quando arrivai al piano di sopra, vidi una scena che mi fece rimanere basita e divertita al tempo stesso: Luke era seduto su un letto, probabilmente il suo, con Pericle sulle gambe, a pancia in su. Gli teneva le zampe anteriori con entrambe le mani per farlo stare fermo e cercava di sfilargli, senza successo, il bracciale dalla bocca. Intanto gli parlava, dicendo cose del tipo: “Su, Pericle,dammi il bracciale! Ti tengo a dieta per un anno, eh?!” La scena era troppo comica per rimanere seri. Mi avvicinai ai due. “Meno male che sei qui. Ce la fai a riprendere il bracciale? È completamente ammattito” disse lui. “Può darsi che senta l’odore di Tabitha, la mia gatta.”

“Si spiega tutto, allora. Dongiovanni, ricordati che sei castrato” disse poi rivolto al gatto. Lui lo ignorò, rifiutandosi di darmi il bracciale. Ad un certo punto, stanca, gli misi le mani attorno al collo e iniziai a carezzarlo dietro le orecchie. “Tabitha impazzisce per questo. Forse funziona anche con lui” spiegai. Come previsto, Pericle si arrese subito e io potei riavere il mio bracciale, che alla fine usavo come elastico. “Mi sa che si farà un bel giro in lavatrice, questo” commentai. “Mi dispiace” disse lui, lasciando finalmente libero Pericle. Io feci spallucce. “Sii ottimista, almeno non l’ha ingoiato” feci poi. Lui sorrise e si passò una mano fra i capelli. “Che razza è Tabitha?”

“Bengala. È ancora piccola.”

“Non ne ho mai sentito parlare, non ho idea di come siano fatti.”

“Non sono gatti pezza come i birmani. Sono molto più selvatici. Ho la schiena piena di graffi.”

“La schiena?!”

“A Tabitha piace riposarsi sulle mie spalle.”

“Molto normale, mi dicono.”

“Già.” Ci mettemmo a ridere. Dopo un po’, lui disse: “Grazie per avermi… letto gli occhi, prima.”

“Grazie a te per esserteli fatti leggere. Di solito le persone hanno paura.”

“Di cosa?”

“Di loro stessi.” Luke mi guardò confuso. “In che senso?” chiese poi. “I tuoi occhi sono difficili da leggere, per capire tutto di te potrei metterci una vita. Ci sono alcune persone, però, che hanno gli occhi così limpidi che non mi ci vuole niente a svelare lati di loro che nemmeno conoscevano. Sentirsi dire quello che sei da qualcun altro fa riflettere e fa mettere in discussione tutto quello che pensavi di essere. Alcune persone sono troppo attaccate alla loro maschera per accettare di toglierla. Hanno paura perché non conoscono come sono fatti davvero, sarebbe come dover ripartire da zero” spiegai. Lui era sorpreso, sperai di non essermi guadagnata il titolo di pazza. “Non ci avevo mai pensato” disse solo. Io ridacchiai. “Non ci pensa mai nessuno. Siamo tutti troppo occupati nella nostra routine per accorgersi di queste cose, citando Kami Gracia, nascoste in bella vista” dissi con tono divertito e amaro allo stesso tempo. “Tutto ok?” mi chiese lui, notando come il mio umore era cambiato. Io sospirai. “Non è tutto ok. Sono una ragazza da parete. Sono sbagliata, per la nostra società. Chiunque non sia come gli altri è da eliminare. Faccio paura agli altri perché so vedere dentro le persone. Non è tutto ok” dissi, mentre i miei occhi diventavano lucidi. Lui mi guardò qualche secondo, poi si alzò in piedi e mi porse la mano. “Tu osservi le cose da lontano, e le comprendi. Non ti metti in mostra” disse. Mi resi conto con un mezzo sorriso che stava riportando le parole di un film, così lo imitai. “Non credevo che qualcuno potesse notarmi” sussurrai, afferrando la sua mano. “Uh, fan di Noi siamo infinito?”

“È la mia storia. Lui è come me. Chi sono io per non innamorarmi di quel film?” risposi. Luke sorrise, di nuovo. “Tu sai molte cose di me. Raccontami un po’ di te” disse poi, facendomi fare una giravolta. “Che dire, non sono particolarmente interessante.”

“Certo, perché una ragazza che ti sa rivoltare da cima a fondo non è interessante. Mi pare logico.” Io risi piano. “Cosa ti piace?” mi chiese poi. “I libri, i film d’azione e le commedie strappalacrime, le stelle, la musica” risposi. “Molto vaga. Significa che sta a me scoprirlo” decise lui.

Nonostante tutto, sperai che volesse davvero scoprirlo e scoprire me.

 

Quando tornammo di sotto, Manuela e Carol mi guardarono, come a volere spiegazioni. Io, a gesti, feci capire che avrei spiegato tutto a casa. Loro, a quel punto, erano più che curiose. Guardammo l’orologio e ci accorgemmo che era già l’una di notte. Wow, il tempo era volato. “Dobbiamo andare, davvero, domani dobbiamo lavorare al negozio” disse Carol preoccupata. Lavoravamo in un piccolo negozio di libri, musica e film. Ognuna di noi tre gestiva un reparto diverso, ci eravamo costruite l’attività su misura per noi. Io gestivo i libri, Carol i film, Manuela la musica. “Andate a casa, allora, se no domani non reggete” disse Calum. “Domani passo a prenderti, amore” disse Ashton, dando un bacio a Carol. Lei ricambiò e mi venne da sciogliermi davanti a quella scena così tenera. Ok, ero un’inguaribile romantica con le lacrime facili. Non andava bene nemmeno questo. “Domani passiamo tutti, quando finite. Andiamo a prenderci un caffè” propose invece Luke. Partirono molti “ok” e “va bene”. Manuela, Carol ed io li salutammo, ormai sulla soglia di casa, e uscimmo. Le due erano già entrate in macchina e io stavo per fare lo stesso, quando sentii la voce di Luke fermarmi. “Coralie, aspetta, hai dimenticato il taccuino!” mi disse. Io sgranai gli occhi e mi affrettai a raggiungerlo, mentre lui correva verso di me. Mi porse il taccuino e sorrise di nuovo, mentre lo ringraziavo in tutte le lingue del mondo, esistenti o meno. Quel taccuino era la mia vita. “Ci vediamo domani, allora” mi disse, prima di lasciarmi un piccolo bacio sulla guancia e salutarmi, tornando indietro. Io ricambiai il saluto, ancora imbambolata. Rimasi qualche secondo in mezzo al vialetto, poi corsi in macchina, mentre avvampavo. Carol e Manuela mi guardavano con gli occhi a cuoricino. “Oh, no” dissi solo. Chiusi la portiera e mi portai le mani alle orecchie, rannicchiandomi. Tre, due uno.

Le due urlarono, uno di quegli urletti striduli di quando erano elettrizzate. Mi sommersero di domande, mentre io cercavo di non farmi esplodere la testa. Le conoscevo troppo bene. Quando si calmarono riuscimmo a partire e io presi il mio taccuino. Rilessi la descrizione di Luke e sorrisi, ricordando come aveva evitato l’ultima frase. Forse non l’aveva proprio vista, era nella pagina seguente, o forse l’aveva ignorata. Voltai pagina e la rilessi. “Hai un sorriso stupendo.” Mi sentii infiammare, non so nemmeno con che coraggio avevo scritto. Stavo per chiudere il taccuino, quando mi accorsi della frase alla fine della pagina.

Cit. Avril, smile:

Suddenly you’re all I need

the reason why I smile.

Mi sentii morire di felicità a quelle parole. Si può essere così per una persona che si conosce appena? A quanto pareva, sì.








*Angolo autrice*
piccolissimo appunto: ecco Pericle, Nemo e Tabitha.
grazie per essere arrivati fino a qui!! ciaooo
Ranya
  
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