Smile.
Dopo il
concerto, andammo a casa dei ragazzi. Faceva freddo, e rimpiansi subito
i miei
collant di lana, a cui avevo preferito un paio di parigine
più leggere. Anche
Carol e Manuela sembravano patire il freddo. Ashton se ne accorse e si
tolse la
giacca per metterla sulle spalle di Carol. Che tenero. Peccato che non
ci
fossero altri due disposti a fare lo stesso con me e Manuela. In
macchina, rimasi
sola con Carol e Manuela, e iniziammo a parlare di quella serata.
“Da quanto ti
vedi con Ashton?!”
“Da
quando
ho iniziato a mobilitare la Rete, più o meno. Diciamo che mi
arrivavano
informazioni su ognuno di loro, non solo su Luke. Mi interessava,
così ci ho
organizzato un’uscita… e poi siamo finiti
così.”
“No,
aspetta un secondo. Ti arrivavano informazioni su Michael, e non me
l’hai mai
detto?!” fece Manuela scandalizzata. Carol incassò
la testa nelle spalle,
continuando a tenere lo sguardo sulla strada. Era l’unica con
la patente. “Ehm,
può darsi?” tentò. Manuela si
lasciò andare ad una sfilza di insulti talmente
variegati e strani che ci mettemmo a ridere. “Alcune parole
nemmeno esistono!”
esclamò Carol. “Sì, ma le sto
inventando io per descriverti!”
“Il
dizionario degli insulti ringrazia per averlo triplicato di
volume.”
“E ne
vado
fiera!” rispose Manuela con sussiego. Io mi sentivo male
dalle fitte all’addome
che mi causava il ridere. “Povero Calum, lo stiamo
ignorando” dissi,
ridacchiando. Manuela mi guardò scettica. “Tu
volere che io insulto lui?” mi
chiese con accento straniero, imitando un qualche giudice che avevo
visto in
tv, storpiando apposta le parole. “Siamo qui riuniti per
celebrare la morte
dell’italiano” commentai. Non avevo mai sopportato
tutte quelle persone che
consideravano la loro lingua un’opinione. Manuela e Carol lo
sapevano ed erano
d’accordo con me, fortunatamente. Mi venne in mente un
episodio marchiato a
fuoco nella mia mente. Eravamo in prima liceo, reduci dai voti della
verifica
sui verbi. Facile, per chi legge. Impossibile, per gli sgrammaticati.
Un mio
amico, che aveva preso 6, si stava lamentando. “Se io avrei
avuto più tempo,
l’avrei finita” aveva detto. Tutti gli
sgrammaticati si erano voltati
inorriditi ed era partito il coro: “Se io ebbi!”
Stavo per
avere un infarto, è dire poco.
E avevano
avuto anche il coraggio di sorprendersi delle insufficienze.
Non ero
perfetta, ma almeno provavo a non sbagliare, al contrario di altri.
Quando
arrivammo a casa dei ragazzi, io, Manuela e Carol schizzammo dentro,
trovando
ad accoglierci il calorifero. I quattro ci guardarono straniti.
“Ho le mani
gelate!” mi lamentai. “Non ci credo”
disse Luke subito. Io inarcai un
sopracciglio e gli misi una mano sulla nuca. Lui rabbrividì.
“Fatemi spazio” disse
poi, appoggiando il collo al calorifero. Ridacchiammo tutti.
“Volete una
cioccolata calda?” chiese Ashton. Carol e Manuela annuirono
vigorosamente, io
rimasi in silenzio. Come potevo dirlo, che la cioccolata calda mi
faceva
schifo??
“Preferisco
una camomilla. Coralie?” mi chiese invece Luke. Qualcuno,
lassù in cielo, mi
voleva tanto bene. “Grazie, anche io” dissi
riconoscente. Ci sedemmo attorno al
tavolo in cucina, continuando a parlare di mille cose. Ad un certo
punto, partì
la suoneria di un cellulare. Il mio cuore si fermò, mentre
riconoscevo quelle
note al primo secondo. Chiusi gli occhi, ascoltando. Purtroppo, Calum
rispose
al cellulare. Si alzò e andò nella camera
accanto, vicino alla finestra. “Qui
non c’è molto campo” spiegò
Michael. Io presi la mia borsa e ne tirai fuori una
penna e il mio taccuino. Quando mi venivano quegli attacchi di
“canzonite acuta”,
dovevo scrivere i versi che avevo in mente, altrimenti mi rimanevano in
testa.
It’s
nice to
know that you were there
Thanks
for
acting like you cared
And
making
me feel like I was the only one.
It’s
nice to
know we had it all
Thanks
for
watching as I fall
And
letting
me know we were done.
Luke si sporse
verso di me e, quando misi giù la penna, la prese in mano,
sfilando il taccuino
dalle mie dita.
He
was
everything, everything that I wanted.
Scrisse
solo. Io lo guardai sorpresa. “Wow, anche tu ascolti
Avril?” chiesi. Lui annuì
sorridendo. Oh, no, perché doveva sorridere ogni volta?!
Quando si voltò di
nuovo verso gli altri, aggiunsi l’ultimo verso.
So
much for
my happy ending.
Una
ventina di minuti dopo, Calum mi chiese di provare a leggere gli occhi
di Luke.
Io arrossii. Perché, quando si parlava dei suoi occhi, mi
sembrava qualcosa di…
privato? Era come leggere un diario segreto. Si scopriva tutto, gli
aspetti più
profondi, e in qualche modo mi pareva che stessi invadendo il suo
spazio. Luke,
però, sembrava d’accordo. Acconsentii e tirai di
nuovo fuori il taccuino.
“Adesso ti farò delle domande. Non rispondermi,
pensa solo a cosa vorresti
dirmi. Continua a guardarmi negli occhi” dissi.
“Sembra un gioco di magia” sussurrò
lui, che però obbedì. Mano a mano che chiedevo, i
suoi occhi cambiavano.
Leggere
gli occhi è come suonare un pianoforte. Ci sono tasti
bianchi e tasti neri. Gli
occhi mostrano solo i tasti bianchi, normalmente. Sta a me riuscire a
premere i
tasti neri per ascoltare altre note. Se voglio avere un quadro
completo, devo
riuscire a premere tutti i tasti, anche quelli più nascosti.
Anche per questo
scrivevo quello che vedevo, anziché dirlo subito. Se gli
avessi detto subito
tutto, si sarebbe sorpreso. Avrebbe nascosto tutti i tasti neri e
mostrato solo
alcuni di quelli bianchi, senza nemmeno saperlo. Le emozioni nascondono
o
esaltano, sta a me capire come funziona.
Non
c’è
niente di magico in quello che faccio. Sono solo i miei occhi che
vedono cose
che pochi altri riescono a cogliere.
Ci misi
quasi mezz’ora, in cui tutti rimasero in silenzio. Si sentiva
solo la mia voce.
Ogni volta era come scoprire uno strato nuovo di Luke, era pazzesco.
Quegli
occhi erano così trasparenti, e allo stesso tempo
così complessi, che mi misero
a dura prova. Non ero sicura di essere riuscita a cogliere tutto di
lui. Era
davvero troppo. Quando gli consegnai il foglio, dovetti strizzare gli
occhi: mi
ero concentrata tanto che si erano affaticati.
Lui
iniziò
a leggere ad alta voce.
“Hai
degli
occhi complicati, se devo dirla tutta. Probabilmente, ho sbagliato
sotto molti
aspetti. Spero solo di non dire niente che ti possa offendere.
Sei
solare, allegro, ti piace vivere nel tuo mondo ideale, poi quando sei
costretto
a tornare qui sei spaesato. Ti senti indietro rispetto al mondo, e vuoi
solo
tornare in quello che ti sei costruito. Per quanto pericoloso, pieno di
mostri
e creature inimmaginabili, pieno di pericoli che solo la fantasia
può
dipingere, per te è sicuro. Perché lo conosci.
Sei molto
attaccato ai ricordi della tua infanzia e alla tua famiglia. A volte
sei
infantile, perché ti trovavi bene nel tuo mondo da bambino,
e vorresti ricreare
quelle sensazioni.
Sei dolce,
romantico, a vecchio stampo, diciamo. Metti sempre il bene degli altri
prima
del tuo e ti fidi ciecamente degli amici. Affideresti loro la tua vita
senza
nessun timore.
A volte
sei insicuro, cerchi di compiacere le altre persone per sapere se stai
facendo
la cosa giusta.
Sai di
aver bisogno di attenzioni, ma non le richiedi mai, aspettando di
riceverle per
paura di sembrare ridicolo.
Sei
malinconico e sognatore, impaziente e curioso.”
Mano a
mano che leggeva, sul suo volto si dipingeva un’espressione
sbalordita. Anche
Calum, Ashton e Michael erano a bocca aperta. “Tutto questo,
solo guardandolo
negli occhi?!” chiese Calum alla fine. Io annuii.
“Oddio, hai indovinato. Su
tutto!” disse Luke strabiliato. Mi accorsi che, grazie al
cielo, aveva saltato
l’ultima frase, e gliene fui grata. Sorrisi imbarazzata.
“Io ve l’avevo detto,
che vi psicanalizza” sostenne Manuela. Calum si
coprì gli occhi con le mani.
“Prima che possa leggermi nel pensiero”
spiegò. Ci mettemmo a ridere. Io li
guardai tutti, uno per uno, pensando a quanto fosse stata bella quella
serata.
Fui interrotta, quando qualcosa saltò sulle mie gambe.
Trasalii e lanciai un
urlo, spaventata, mentre il mio cuore saltava un battito, e guardai
verso il
basso: un gatto bianco, a pelo lungo, con il muso spruzzato di color
cioccolato, la coda grigio-marrone e le zampe scure, con i guanti
bianchi. Lo riconobbi
subito: un birmano. “Pericle, non farla
spaventare!” fece Luke ridendo e
carezzando il gatto sulla testa. Lui iniziò a fare le fusa,
tanto forti che le
sentivo io. Ridacchiai. Luke mi prese una mano e la portò
sul dorso del gatto.
“Non mi morde, vero?” chiesi intimorita.
“Pericle che morde? Questa devo ancora
vederla. È un peluche, non saprebbe nemmeno come
morderti” fece Ashton. “Dov’è
l’altro gatto?” chiese invece Carol. Manuela
sorrise. “E come si chiama, poi?
Aristotele? Un altro nome greco?”
“No,
Nemo”
rispose Michael, sbucando da dietro la porta con in braccio un altro
gatto,
sempre un birmano, ma stavolta bianco e arancione. La sua coda formava
un
curioso punto di domanda, probabilmente era rotta e saldata male. Aveva
grandi
occhi azzurri che lo facevano sembrare un cucciolo. Chissà
chi mi ricordava…
Manuela
guardò adorante il gatto e chiese di poterlo prendere in
braccio. Adorava gli
animali. Forse fu per il fatto che ero troppo concentrata su di lei,
che non mi
accorsi che Pericle mi aveva preso un bracciale dalla borsa aperta. Me
ne resi
conto solo quando iniziò a inseguirlo per tutta la casa,
dandogli zampate per
farlo muovere e poi sorprendendosi se non stava fermo. Con tutto il
rispetto
possibile, mi sembrava abbastanza fumato.
Cercai di
placcarlo a mo’ di giocatrice di football, col solo risultato
di farlo scappare
col mio bracciale verso il piano di sopra. “No, Pericle,
torna indietro!” fece
Luke ridendo e tentando di inseguirlo. Io mi accodai, mentre gli altri
ci
guardavano senza fare niente, godendosi la scena. Quando arrivai al
piano di
sopra, vidi una scena che mi fece rimanere basita e divertita al tempo
stesso:
Luke era seduto su un letto, probabilmente il suo, con Pericle sulle
gambe, a
pancia in su. Gli teneva le zampe anteriori con entrambe le mani per
farlo
stare fermo e cercava di sfilargli, senza successo, il bracciale dalla
bocca.
Intanto gli parlava, dicendo cose del tipo: “Su,
Pericle,dammi il bracciale! Ti
tengo a dieta per un anno, eh?!” La scena era troppo comica
per rimanere seri.
Mi avvicinai ai due. “Meno male che sei qui. Ce la fai a
riprendere il bracciale?
È completamente ammattito” disse lui.
“Può darsi che senta l’odore di Tabitha,
la mia gatta.”
“Si
spiega
tutto, allora. Dongiovanni, ricordati che sei castrato” disse
poi rivolto al
gatto. Lui lo ignorò, rifiutandosi di darmi il bracciale. Ad
un certo punto,
stanca, gli misi le mani attorno al collo e iniziai a carezzarlo dietro
le
orecchie. “Tabitha impazzisce per questo. Forse funziona
anche con lui” spiegai.
Come previsto, Pericle si arrese subito e io potei riavere il mio
bracciale,
che alla fine usavo come elastico. “Mi sa che si
farà un bel giro in lavatrice,
questo” commentai. “Mi dispiace” disse
lui, lasciando finalmente libero
Pericle. Io feci spallucce. “Sii ottimista, almeno non
l’ha ingoiato” feci poi.
Lui sorrise e si passò una mano fra i capelli.
“Che razza è Tabitha?”
“Bengala.
È ancora piccola.”
“Non
ne ho
mai sentito parlare, non ho idea di come siano fatti.”
“Non
sono
gatti pezza come i birmani. Sono molto più selvatici. Ho la
schiena piena di
graffi.”
“La
schiena?!”
“A
Tabitha
piace riposarsi sulle mie spalle.”
“Molto
normale, mi dicono.”
“Già.”
Ci
mettemmo a ridere. Dopo un po’, lui disse: “Grazie
per avermi… letto gli occhi,
prima.”
“Grazie
a
te per esserteli fatti leggere. Di solito le persone hanno
paura.”
“Di
cosa?”
“Di
loro
stessi.” Luke mi guardò confuso. “In che
senso?” chiese poi. “I tuoi occhi sono
difficili da leggere, per capire tutto di te potrei metterci una vita.
Ci sono
alcune persone, però, che hanno gli occhi così
limpidi che non mi ci vuole
niente a svelare lati di loro che nemmeno conoscevano. Sentirsi dire
quello che
sei da qualcun altro fa riflettere e fa mettere in discussione tutto
quello che
pensavi di essere. Alcune persone sono troppo attaccate alla loro
maschera per
accettare di toglierla. Hanno paura perché non conoscono
come sono fatti
davvero, sarebbe come dover ripartire da zero” spiegai. Lui
era sorpreso,
sperai di non essermi guadagnata il titolo di pazza. “Non ci
avevo mai pensato”
disse solo. Io ridacchiai. “Non ci pensa mai nessuno. Siamo
tutti troppo
occupati nella nostra routine per accorgersi di queste cose, citando
Kami
Gracia, nascoste in bella vista”
dissi
con tono divertito e amaro allo stesso tempo. “Tutto
ok?” mi chiese lui,
notando come il mio umore era cambiato. Io sospirai. “Non
è tutto ok. Sono una
ragazza da parete. Sono sbagliata, per la nostra società.
Chiunque non sia come
gli altri è da eliminare. Faccio paura agli altri
perché so vedere dentro le persone.
Non è tutto ok” dissi, mentre i miei occhi
diventavano lucidi. Lui mi guardò
qualche secondo, poi si alzò in piedi e mi porse la mano.
“Tu osservi le cose da lontano, e le
comprendi. Non ti metti in mostra”
disse. Mi resi conto con un mezzo sorriso che stava riportando le
parole di un
film, così lo imitai. “Non
credevo che
qualcuno potesse notarmi” sussurrai, afferrando la
sua mano. “Uh, fan di Noi siamo
infinito?”
“È
la mia
storia. Lui è come me. Chi sono io per non innamorarmi di
quel film?” risposi. Luke
sorrise, di nuovo. “Tu sai molte cose di me. Raccontami un
po’ di te” disse
poi, facendomi fare una giravolta. “Che dire, non sono
particolarmente
interessante.”
“Certo,
perché una ragazza che ti sa rivoltare da cima a fondo non
è interessante. Mi
pare logico.” Io risi piano. “Cosa ti
piace?” mi chiese poi. “I libri, i film
d’azione e le commedie strappalacrime, le stelle, la
musica” risposi. “Molto
vaga. Significa che sta a me scoprirlo” decise lui.
Nonostante
tutto, sperai che volesse davvero scoprirlo e scoprire me.
Quando
tornammo di sotto, Manuela e Carol mi guardarono, come a volere
spiegazioni.
Io, a gesti, feci capire che avrei spiegato tutto a casa. Loro, a quel
punto,
erano più che curiose. Guardammo l’orologio e ci
accorgemmo che era già l’una
di notte. Wow, il tempo era volato. “Dobbiamo andare,
davvero, domani dobbiamo
lavorare al negozio” disse Carol preoccupata. Lavoravamo in
un piccolo negozio
di libri, musica e film. Ognuna di noi tre gestiva un reparto diverso,
ci
eravamo costruite l’attività su misura per noi. Io
gestivo i libri, Carol i
film, Manuela la musica. “Andate a casa, allora, se no domani
non reggete” disse
Calum. “Domani passo a prenderti, amore” disse
Ashton, dando un bacio a Carol.
Lei ricambiò e mi venne da sciogliermi davanti a quella
scena così tenera. Ok,
ero un’inguaribile romantica con le lacrime facili. Non
andava bene nemmeno
questo. “Domani passiamo tutti, quando finite. Andiamo a
prenderci un caffè” propose
invece Luke. Partirono molti “ok” e “va
bene”. Manuela, Carol ed io li
salutammo, ormai sulla soglia di casa, e uscimmo. Le due erano
già entrate in
macchina e io stavo per fare lo stesso, quando sentii la voce di Luke
fermarmi.
“Coralie, aspetta, hai dimenticato il taccuino!” mi
disse. Io sgranai gli occhi
e mi affrettai a raggiungerlo, mentre lui correva verso di me. Mi porse
il
taccuino e sorrise di nuovo, mentre lo ringraziavo in tutte le lingue
del
mondo, esistenti o meno. Quel taccuino era la mia vita. “Ci
vediamo domani,
allora” mi disse, prima di lasciarmi un piccolo bacio sulla
guancia e
salutarmi, tornando indietro. Io ricambiai il saluto, ancora
imbambolata.
Rimasi qualche secondo in mezzo al vialetto, poi corsi in macchina,
mentre
avvampavo. Carol e Manuela mi guardavano con gli occhi a cuoricino.
“Oh, no” dissi
solo. Chiusi la portiera e mi portai le mani alle orecchie,
rannicchiandomi.
Tre, due uno.
Le due
urlarono, uno di quegli urletti striduli di quando erano elettrizzate.
Mi
sommersero di domande, mentre io cercavo di non farmi esplodere la
testa. Le
conoscevo troppo bene. Quando si calmarono riuscimmo a partire e io
presi il
mio taccuino. Rilessi la descrizione di Luke e sorrisi, ricordando come
aveva
evitato l’ultima frase. Forse non l’aveva proprio
vista, era nella pagina
seguente, o forse l’aveva ignorata. Voltai pagina e la
rilessi. “Hai un sorriso
stupendo.” Mi sentii infiammare, non so nemmeno con che
coraggio avevo scritto.
Stavo per chiudere il taccuino, quando mi accorsi della frase alla fine
della
pagina.
Cit. Avril,
smile:
Suddenly
you’re all I need
the
reason
why I smile.
Mi sentii
morire di felicità a quelle parole. Si può essere
così per una persona che si
conosce appena? A quanto pareva, sì.
*Angolo autrice*
piccolissimo appunto: ecco Pericle, Nemo e Tabitha.
grazie per essere arrivati fino a qui!! ciaooo
Ranya