Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: Silver Shadow    18/04/2014    0 recensioni
Okay questa è la mia seconda fanfiction e io sono tipo "aiuto" (?) La scrivo per tutti gli appassionati di Percy Jackson che è un pezzo della mia vita. E' ambientata fra La maledizione del titano e La battaglia del labirinto, ed è incentrato sul dolore dei ragazzi dopo ciò che è successo in quella vecchia discarica degli dei. In quanto a Percabeth non attiene del tutto alla storia del libro ma a me piaceva così; spero piaccia anche a voi. Chu! >
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Nico di Angelo, Percy Jackson, Talia Grace
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il mio cuore perse almeno 52 battiti, recuperando quelli troppo accelerati fatti fino a prima, mentre i miei occhi incontravano i suoi, di un grigio spento, colmi di dolore ma asciutti, non un solo residuo di lacrime.
Talia, vicino a me e al contrario di me, era riuscita a muoversi e, con voce rotta, chiamava in nome di Annabeth e la rassicurava dicendo che sarebbe andato tutto bene, tentando nel frattempo di slegarla. Guardandola, mi resi conto che sotto la corda che la teneva inchiodata a quel legno scuro, aveva dei segni rossi, come se avesse provato a liberarsi senza risultato.
Quando finalmente riuscii a muovere i muscoli, scattai verso di lei e, ricordandomi solo in quel momento – tanto ero intontito – di avere Vortice in tasca, sfilai il cappuccio e tagliai le corde con un unico movimento. Ansimavo e il respiro mi bruciava i polmoni, un sentore come di lava raffreddata nei muscoli, ma il sollievo di rivedere Annabeth, seppur conciata male in quel modo, mi diede la forza di slanciarmi avanti e abbracciarla, senza curarmi del sangue che mi macchiava i vestiti.
- Percy.. Percy, mi dispiace.. – la sua voce era bassa e spezzata dalle lacrime che minacciavano di uscire, mentre mi stringeva come se potessi scivolarle dalle mani.
- Percy.. E’ una trappola, loro vogliono te.. Ti prego.. – ma era troppo tardi. Una mano viscida mi afferrò dalla felpa e mi scagliò indietro, facendomi finire conto il muro con una forza tale da mozzarmi il fiato.
Quando i miei occhi misero di nuovo a fuoco la scena, vidi di fronte a me un telchino, mezzo foca e mezzo cane, con un ghigno spaventoso quanto disgustoso stampato sul volto. Notai, con orrore, che dietro di lui ce n’erano almeno altri 10 che stavano attaccando Talia e la già esausta Annabeth.
Avevo lasciato cadere Vortice vicino al palo dopo aver liberato Annabeth e ora era troppo lontana per prenderla ma troppo vicina a me perché potessi sperare che mi riapparisse in tasca. In fondo, non l’avevo persa.
Mi scagliai in avanti con tutta la forza che avevo, travolgendo il telchino che mi aveva attaccato poco prima e facendolo finire con la schiena a terra, il ghigno divertito rimpiazzato da un’espressione di stupore. Talia, che aveva notato la cosa, lanciò uno sguardo a terra e capì. Si chinò per prendere Vortice subito dopo aver ucciso un telchino e me la lanciò dritta nella mano che tenevo aperta per afferrarla. Non appena impugnai la mia spada,l’adrenalina tornò a scorrermi nelle vene e senza pensarci troppo affondai la lama nel collo del mostro, che prima rantolò, iniziando a coprirsi di sangue nero, e poi non si mosse più.
Corsi immediatamente ad aiutare Talia, posizionandomi di fronte ad Annabeth che cercava di nascondersi dietro la trave, totalmente incapace di combattere vista la condizione in cui si trovava. Colpii uno dei mostri che si avventò verso di me con l’elsa della spada in mezzo agli occhi per destabilizzarlo. Quello barcollò indietro e si distrasse il tempo necessario da consentirmi di infilargli Anaklusmos nello stomaco fino all’impugnatura. La estrassi soddisfatto dopo aver visto la vita abbandonare i suoi occhi e continuai a combattere finché tutti i telchini che si erano riversati nella stanza vennero uccisi.
- Bella battaglia – concluse Talia, mettendo da parte l’Egida e avvicinandosi ad Annabeth per aiutarla ad alzarsi.
Il ritorno al mare non fu, come pensavo, tranquillo. Altri mostri si erano riversati sul ponte, probabilmente sentendo i rumori della battaglia, ma io ero troppo deciso ad aprirmi un varco e saltare in acqua. E se c’è una cosa al mondo che si deve temere, è un semidio troppo deciso.
Mi fiondai urlando verso i mostri, tenendo Anaklusmos in mano, abbattendo qualsiasi cosa mi capitasse a tiro o entrasse nel mio campo visivo, quando una figura decisamente troppo umana mi si parò davanti arrivando dall’alto, come se fosse saltata giù dal cielo. E io non ci credetti, semplicemente.
Era esattamente come l’avevo visto l’ultima volta. Jeans e maglietta bianca a maniche corte che gli mettevano in mostra i bicipiti, occhi talmente scuri che le iridi inghiottivano la pupilla, fondendosi, i capelli biondi a contrasto con quell’oscurità, e un mezzo sorriso odioso stampato in faccia.
- Alexander?! – la mia voce rimbombò sul ponte, dal momento che, al suo arrivo, tutti i mostri si erano zittiti e fermati. Il suo sorriso trapelava scherno e divertimento, ma la spada che aveva in mano, l’elsa rossa e ruvida come squame di drago e la lama lunga che curvava verso sinistra in punta, non divertiva altrettanto me.
- Incredibile come siano ovunque i figli di Ares, vero, Percy? – mi sputò quelle parole in faccia non senza un secondo fine, dal momento che, sfruttando il fattore sorpresa, mi si scagliò contro con rabbia e velocità, la spada che mirava al mio cuore.
Ebbi meno di mezzo secondo per rendermi conto di quanto stava succedendo, ed ebbi lo stesso tempo per spostarmi prima che quella lama mi trafiggesse, non prima, però, che mi tagliasse la maglietta e mi lasciasse un graffio superficiale sul petto.
- Che c’è, il tuo paparino non è abbastanza dio per curarti quella ferita? – mi schernì indicando col mento il taglio che mi aveva fatto, per poi assumere un’espressione corrugata e arrabbiata.
- Gli dei non hanno mai fatto nulla per noi, Percy. Non te ne rendi conto? Sei così cieco o così bambino da credere ancora che un giorno godrai della presenza di un vero padre nella tua vita? – quelle parole mi colpirono come veleno che mi corrose il sangue facendolo sfrigolare contro le vene. Alzai Vortice.
- Sei tu quello cieco, Alexander, perché non vedi la presenza di tuo padre nella tua vita nelle piccole cose di tutti i giorni – gli risposi ringhiando, per poi avventarmi contro di lui, che non si lasciò prendere alla sprovvista. Si lanciò contemporaneamente verso di me e ci scontrammo a mezz’aria, le lame tintinnarono toccandosi l’una con l’altra. Tentai di rifilargli un calcio nello stomaco,ma lui fu più veloce e saltò, atterrando dietro di me e spingendomi con abbastanza forza da farmi finire con la faccia a terra. Mi rialzai più velocemente possibile, ma non abbastanza, permettendogli così di tirarmi una gomitata in faccia che mi fece sanguinare il naso. Quando mi rialzai, incurante del sapore del sangue che scendeva nella bocca, mi resi conto che non era più vicino a me, ma poco più in là, dove Talia e Annabeth guardavano la scena inorridite. Anzi, dove Annabeth guardava Alexander inorridita, quando lui le toccò i capelli sporchi.
- Mi dispiace tanto Annie, ma era per una causa maggiore.. Ti prometto che se accetterai di restare qui con noi potremmo restare insieme. – le sorrise languidamente, un sorriso che mi fece salire un conato di vomito accompagnato da una rabbia indicibile che saliva dallo stomaco e mi bruciava la trachea fino a esplodere nella bocca.
- STA’ LONTANO DA LEI ! – gli urlai, quando lo vidi alzarle la testa facendo leva con due dita sotto il suo mento, vicino, troppo vicino al suo viso.
In quel momento esplose.
Un’onda alta almeno 50 metri comparve con un boato dietro al punto della nave dove si trovata Alexander, che alzò lo sguardo sbigottito, allontanando le mani da Annabeth. Quando si girò per guardarmi, il suo viso era divertito.
- Beh, un bel lavoro Jackson, non c’è che dire. Ma non lo farai. – mi sorrise amichevolmente e a quel punto non resistetti più. Corsi avanti così velocemente da non capire neppure io come, troppo poco tempo dopo mi ritrovai di fronte al suo viso. Caricai il braccio destro e gli mollai un pugno sul naso talmente forte da farlo cadere con la schiena a terra, il naso sanguinante e gonfio più del mio, probabilmente rotto.
- Penso che ti sbagli, amico – gli dissi solamente, avvicinandomi al bordo della nave e portando le ragazze con me, facendo alzare un’altra onda più bassa dove poter viaggiare per tornare alla riva.
Quando saltammo su, la morsa che avevo allo stomaco si sciolse nel momento esatto in cui l’onda gigantesca si abbatteva sulla nave, inondandola, ma nel frattempo noi eravamo abbastanza lontani da bagnarci soltanto i vestiti senza essere sommersi. Non mi voltai a guardare.
 Quando arrivammo tutti e tre, esausti e feriti, sulla spiaggia, cercai di regolarizzare il respiro e di non pensare alla fastidiosa sensazione dei vestiti appiccicati alla pelle – non avevo avuto abbastanza tempo per chiedere all’acqua di evitare di bagnarmi – e il naso pulsante e dolorante. Quando alzai lo sguardo, involontariamente questo si posò su Annabeth. Era ridotta abbastanza male. Il sangue incrostato era stato lavato via dal mare, ma gli ematomi erano evidenti e il combattimento, sebbene non partecipato, aveva lasciato i segni su di lei – graffi, lividi –, e quando notai le sue occhiaie, semicerchi profondi e bluastri sotto i suoi occhi, capii che era stata in quella nave per troppo tempo. Sentii una sensazione sgradevole e amara in fondo alla bocca, un senso di colpa per non essermene accorto prima e non essere andata a salvarla in tempo. Potevo evitare tutte quelle ferite, quelle botte, quel sangue, quegli occhi colmi di lacrime e quel tremore che aveva poco a che fare con il freddo dell’acqua. Pensai a come ero stato ingiustamente arrabbiato con lei per tutto quel tempo e mi resi conto di come non avessimo tempo per  essere gelosi perché ogni giorno e ogni ora rischiamo di perdere le persone che amiamo per un motivo o per un altro. Pensai agli occhi luminosi di Annabeth quando le tenevo il viso vicino al mio, quella sera in albergo, e al rossore che si era allargato sulle sue guance quando Talia era entrata in camera. Pensai alle sue labbra, rosee e carnose, ora gonfie e rosse di sangue. Poi crollai.
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: Silver Shadow