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Autore: Black_in_Pain    18/04/2014    3 recensioni
Questa storia riprende da dove tutto si è concluso. Dove il libro ci ha lasciati. Semplicemente, una ghiandaia imitatrice che cerca di risanare le proprie ali e recuperare il suo canto, una volta ritrovata la libertà.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo undici!  Visto che sono in vacanza, mi sto impegnando ad aggiornare molto frequentemente. Questo capitolo è un po' una pausa tra tutto quello che è successo nei racconti precedenti. Un piccolo regalo che faccio ai personaggi, che secondo me hanno sofferto già abbastanza. Spero vi piacia. Pain

Pace

Seduta sul divano, con le gambe incrociate e un’espressione interrogativa, osservo Johanna che sta ancora riordinando le sue cose, con una certa foga. E’ addirittura sparita per qualche minuto, per andare a casa di Peeta a prendere ciò che ci aveva lasciato. Non parla molto, svolge le azioni meccanicamente e con una liberà che mi fa sentire fin troppo ristretta. Dopo avermi spiegato che se ne sarebbe andata, non ha più detto nulla al riguardo. Nessuna motivazione, nessun particolare. E’ semplicemente rimasta taciturna, escludendomi dalla sua vita e dalle sue scelte personali. Il che è giusto, ma non mi sta bene comunque. Pare un tantino euforica, con quella luccicanza strana che le ho visto negli occhi mentre parlava con Gale. Sì, perché Gale centra di sicuro.
«E questa improvvisa voglia di partire?» chiedo, restando allerta.
Lei mi guarda innocente e mi si avvicina appoggiando i vestiti che ha in mano su una sedia vicina «Ti avevo detto che avrei fatto come credevo, no?»
Io annuisco, ma non mi basta come risposta «E’ per Gale, vero?»
Il suo viso cambia colore e da roseo diventa cereo. Anche il suo sguardo muta, tornado ad essere freddo e calcolatore «Cosa te lo fa pensare?»
«La vostra chiacchierata.»
Johanna mi si para davanti, inchiodandomi con gli occhi. «Mi hai seguita? Non dovevi andare da Haymitch?»
Scuoto il capo, sospirando  «Ci sono andata, ma prima di arrivarci ho incontrato voi.»
«E hai origliato» sorride lei.
Vorrei controbattere il contrario, ma effettivamente è vero. Ero io a decidere se ascoltare o meno, e ho scelto di rendermi partecipe del loro discorso, senza permesso. Johanna ridacchia e mi pizzica la guancia tanto forte da farmi lacrimare, poi si stacca e mi appoggia una mano sulla testa «Non fa niente.»
Sospiro, sollevata. Fortunatamente, l’ha presa bene. Eppure, percepisco che non ha finito, qualcosa le frulla per la testa, preoccupandola «Vuoi andartene con lui?»
«No» dico, il tono sicuro e deciso. Lei inspira, come sollevata. I mie sospetti si infittiscono e sinceramente non ce la faccio più a starmene da parte, incosciente di ciò che sta per accadere. «Tu invece sì, vero?»
Johanna deglutisce e si mette seduta ai miei piedi, inclinando la testa di lato, come un cane selvatico. Riflette un poco, prima di espormi la verità, ed io attendo paziente. Non ho alcuna fretta.
«Devo trovare un posto a cui appartenere, Katniss. Una famiglia» spiega, le labbra che tremano. «E anche Gale ha bisogno della stessa cosa.»
«E ti offrirai tu di dargliela?» non volevo essere meschina, ma le parole mi sono uscite da sole. Non credo di provare ancora gelosia, ma il fatto che Johanna voglia dare a Gale quello che non è capace di dare nemmeno a se stessa, mi preoccupa. A questo punto potevo rimanere sua e basta. I problemi ce li ho anch’io. Ma lui non ha bisogno di altri grattacapi, e nemmeno la sottoscritta.
«Sei davvero un’ipocrita a  volte» me lo rinfaccia con naturalezza e io non mi offendo. «Comunque, se non è per Gale, sarà per qualcun altro. Non intendo vagare in eterno, senza poter mai tornare a casa.»
Una casa, lei non c’è l’ha. E il suo distretto non ha più nulla di famigliare. Neanche il 12 o il 13 possono farle da abitazione. Mi devo proprio arrendere, e ordinare al cuore di mettersi in pace. Se vuole la mia benedizione, la otterrà.
«D’accordo» mormoro, poco convinta. «Abbi cura di lui, se è questo quello che intendi.»
Johanna ride e mi scompiglia i capelli, sta per immergersi di nuovo nei suoi affari, quando le prendo il braccio, facendola tornare indietro. «Hai davvero un debole per Peeta?»
Lei mi mostra un sorriso furbo e sospira esasperata « Le battute servono solo a renderci più leggeri. Quindi tranquilla, ragazza di fuoco.»
Mi rincuoro di questa sua spiegazione. Restando ancora un po’ sospettosa. Di certo non seguirebbe Gale se volesse Peeta. Credo sia stanco di avere attorno donne innamorate di qualcun altro. Accettare ancora una simile condizione, comporterebbe ad un masochismo che non riesco ad attribuirgli. Perciò, mi fido.
Aiuto Johanna a sistemare le sue cose, escludendo alcuni vestiti che le serviranno per il viaggio di domani. Mi spiace che se ne voglia andare, lo ammetto. Stare con lei mi ha fatto ricordare i giorni nel distretto 13, dove ci spingevamo a resistere vicendevolmente.
«E’ tutto apposto?  Dentro di te, intendo » chiede lei, fermandosi un attimo.
Si riferisce ai miei dubbi, a Peeta. Io annuisco, raccontandole un po’ quello che è successo oggi. Lei pare soddisfatta e naturalmente mi obbliga a saltare la parte della riappacificazione, che non gli avrei descritto ugualmente. Sembra felice che tutto stia andando nel verso giusto, per una volta. Io invece mi sento scombussolata . E’ strano che le cose vadano come dovrebbero. Ho vissuto in un modo al contrario. Sempre in lotta, sempre in perdita. E mai avrei sperato di riuscire a conquistare la normalità, nella mia vita. Assomiglia ad un sogno, e i miei hanno l’abitudine di trasformarsi in incubi.
«Mi spiace,  non potrò rivedere tua madre» sbuffa Johanna. Io alzo le spalle, non ritenendola una perdita così consistente.  «Te la saluterò, promesso» la rassicuro.
Mamma. Devo ancora accennare a Peeta questo fatto. Non so neanche io perche non glielo dico. Forse mi vergogno di volere mia madre qui. Ed è così ridicolo.
Finiamo di riordinare a ci mettiamo anche a sistemare la casa, visto che,  senza qualcuno che se ne prenda cura, è diventata un magazzino. Lavoriamo fino a sera, e siamo più sporche che mai. Entrambe vogliamo farci una doccia, ma Johanna è riluttante. Mi spiega con un po’ di fatica che a volte la paura dell’acqua e il ricordo della prigionia a Capitol City, la ingoia ancora. Di certo non posso permettere che rimanga in queste condizioni. Nel mio letto o in qualsiasi altro letto vorrà coricarsi, non ci entrerà così. Mi vedo costretta a proporle di farla insieme, ma lei mi uccide con lo sguardo. «Allora trova tu un modo!» sibilo arrabbiata.
Lei è indecisa, ma riluttante alla condivisione della vasca «Puoi aiutarmi se vuoi.»
Accetto e prima mi occupo di me, poi lascio che sia il suo turno di lavarsi. Almeno io sono apposto e non perderò tempo dopo. La faccio entrare nella vasca e con delicatezza le passo la spugna umida sulla schiena, lei trema come una foglia e ha gli occhi persi in pensieri passati. Uso più sapone che acqua, e cerco di non guardare frequentemente il suo corpo e le sue cicatrici, tanto per non metterla troppo a disagio. Che situazione strana. Siamo due donne e non ci scandalizziamo. Ma siamo io e lei, è questo il particolare che stona. Mi viene in mente quando ho dovuto ripulire le ferite di Peeta nell’arena. L’imbarazzo di spogliarlo e esaminare il suo corpo martoriato, mi bloccavano i movimenti e il cervello.
Sciacquo lentamente la sua pelle, rimuovendo ogni residuo di schiuma. Non ci incontriamo mai con gli occhi, finche lei non schiude le labbra per parlarmi. «Grazie» sussurra. «Ma se lo dici a qualcuno te ne pentirai.»
Io sorrido e le giuro di essere una tomba per il resto dei miei giorni. Le concedo un po’ di privacy mentre si asciuga e intanto torno in cucina per apparecchiare il tavolo. Lo preparo per tre.
Lancio un’occhiata all’orologio e,  puntuale come sempre,  la porta d’ingresso si apre e Ranuncolo va a salutare Peeta con cautela. E’ ancora offeso per com’è stato trattato l’ultima volta, ma le carezze lo riconquisteranno sicuramente.
«Hei» balbetto.
«Hei » mi si avvicina, baciandomi la guancia e cingendomi il fianco «Questa casa è irriconoscibile.»
«Io e Johanna ci siamo date da fare» scherzo.
«Già, anche se le pulizie di primavera sono passate da un pezzo» aggiunge Johanna, che è appena arrivata.
Ci guardiamo e la situazione è così ironica che ci insultiamo amichevolmente l’un l’altro.
Alla fine, ci sediamo e consumiamo forse il pasto  più animato di tutta lo nostra vita. Parliamo di tutto, evitando ciò che ci può far male, e la serata trascorre talmente pulita da darmi alla testa. Ho paura di non meritarmi tutto questo. Di non meritarmi la felicità. Perche temo proprio di esserlo adesso.
Ringrazio mentalmente tutte le persone che ho conosciuto e che si sono sacrificate per permettermi di vivere questo momento, atteso da anni.
Quando finiamo, salutiamo Johanna e le assicuriamo che domani saremo in stazione per dirle addio. Questo comporta vedere anche Gale, ma Peeta è d’accordo, convito che per concludere questa storia sia necessario che ci parliamo per un’ultima volta. La guadiamo allontanarsi e ci richiudiamo la porta alle spalle, bloccando il mondo fuori.
«Ti sta bene?» gli domando.
Lui fa cenno di sì con la testa. «E a te?»
So a chi si riferisce «Non sono io a decidere, ma sì.»
Ci mettiamo vicini l’un l’altro, assaporando un futuro non molto lontano, che finalmente ci possiamo godere. Mi è mancato così tanto, manco fossero passati anni. Sono distrutta e voglio solo stendermi accanto a lui e dormire un sonno senza incubi. Lui lo stesso e così facciamo.
Ci corichiamo a letto, stretti l’uno all’altro e rimaniamo svegli a chiacchierare un po’. Siamo rilassati e decido che è ora di rivelargli che la prossima persona che ospiteremo, sarà mia madre.
«Vuole davvero venire qui?» Peeta e scettico, e io più di lui, ma non so che dirgli.
«Se  vuole farsi del male, non posso fermarla» concludo.
Lui riflette e mi da torto «E se invece la facesse stare meglio?»
Sbuffo e allontano il discorso. Termino abbozzando alcune frasi sul giorno in cui organizzeremo la cosa e decidiamo che dopo la partenza di Johanna va bene. L’indomani telefonerò al suo ospedale, chiedendo di lei. Mi auguro sia contenta e che non porti nella mia vita, che si è appena sistemata, altra sofferenza.
Io e Peeta ci addormentiamo quasi subito, stanchi di tutto e niente. Questa notte non ho incubi, ma solo sogni distratti, dove vedo Prim e Rue giocare insieme, chiamandomi per nome. Mi pare di scorgere anche il figlio di Annie, che ride e fa nodi semplici con i capelli di sua madre. Un senso di calore mi avvolge il cuore, sollevandomi, e capisco che tra tutti questi bambini, sono ritornata piccola e ingenua anch’io.



Mamma mia che felicità essere arrivata fin qui, i capitoli che rimangono si contano sulle dita di una mano, quindi abbiate pazienza tra poco la tortura è finita XD Probabilmente di interessante o particolarmente utile alla storia, questo capitolo non ha niente, ma credo ci volesse uno stacco così, dopo aver fatto soffrire tutti per tanto tempo. Spero siate d'accordo con me. Adesso vi lascio, spero vi possa piacere e mi fatemi sapere cosa ne pensate. Aspetto con ansia i pareri, un bacio e grazie! 
Pain.
  
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