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Autore: Melanto    18/04/2014    5 recensioni
Le scelte che compiamo e le loro conseguenze tracciano la storia, disegnano la realtà così come la conosciamo. Costruiscono il mondo che ci circonda.
Ma cosa sarebbe successo se una scelta fosse stata diversa? Come sarebbero cambiate le conseguenze? Che mondo avrebbero costruito?
Mamoru e Yuzo non avrebbero mai pensato che potessero segnarne addirittura la fine.
Genere: Introspettivo, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Altri, Mamoru Izawa/Paul Diamond, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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The Bug - cap 7, parte III

Nota Iniziale: anche stavolta ho pubblicato con un giorno di anticipo perché domani credo starò via tutta la giornata! :*

 

The Bug
- VII: fixing the bug -
(parte III)

 

La mattina seguente si alzarono davvero come i protagonisti di un film o di un libro. Il sole era sorto da poco, dovevano essere le otto, e Yuzo sapeva che Mamoru aveva imbrogliato con i turni di guardia – avevano deciso di alternarsi per non farsi sorprendere durante la notte – perché aveva la sensazione che l’altro l’avesse lasciato dormire di più di proposito. Apprezzava la protezione che aveva verso le persone che considerava amiche, ma questo lo faceva sentire a disagio.
Come previsto la sera prima, si sentiva a pezzi, nel vero senso della parola. Si era aspettato che, guardandosi, avesse potuto trovare un braccio qui e uno lì, una gamba sul tavolo, una a terra perché gli faceva male ovunque, tutte le giunture e le articolazioni. Eppure, con incredibile forza di volontà e anche fisica, era riuscito ad alzarsi e forzare il dolore per portarlo a un punto in cui non facesse più così male, ma rimanesse sordo e omogeneo, tanto da abituarcisi. Aveva spento il camino, messo ordine sul tavolinetto e preparato uno zaino, reperito nella stanza di uno dei figli dei proprietari. Ci aveva infilato qualcosa da mangiare e dell’acqua, disinfettante, garze e cerotti, che con le crepe che li rincorrevano non si poteva mai sapere, ed era uscito.
La prima cosa che fece una volta fuori fu di girarsi in direzione del Muro e lo trovò lì, vicinissimo di nuovo e così bianco nella luce del giorno che si faticava a tenergli gli occhi addosso. Nella notte li aveva ripresi e dove un tempo c’era stata la boscaglia che aveva attraversato, ormai non c’era più nulla; quel pezzo di mondo non esisteva più.
- E’ più veloce o è solo la mia impressione? -
Mamoru gracchiò le sue perplessità attraverso la trasmittente e Yuzo si girò a guardare dall’altra parte del baratro; scorse la sua figura che si muoveva, piccolissima, all’esterno della casa in stile tradizionale. Si era incamminato per raggiungere il bordo della voragine, proprio come lui, ed essere di nuovo più vicini, tanto da potersi vedere con maggiore chiarezza, lo fece sentire più sicuro e tranquillo, nonostante tutto.
«Sembrerebbe anche a me.»
- Non è un buon segno. -
«Per niente.»
- Muoviamoci, dovremmo riuscire ad arrivare in città prima di lui. Sfruttiamo il nostro vantaggio. -
Altre due o tre ore di marcia e sarebbero finalmente arrivati a Nankatsu. Quel pensiero sembrò ricaricare, meglio della notte di riposo, le energie del portiere, che affrettò il passo.
«Perché hai lasciato che dormissi di più?» chiese, in modo un po’ duro, quando ormai erano entrambi di nuovo sulle sponde opposte di quel vuoto universale.
- Non so di che parli. -
«Non fare il finto tonto, Mamoru. C’era un orologio da parete in quella casa, e l’ho tenuto d’occhio. So contare molto bene.»
Anche se non poteva vederlo, lo immaginò stringersi nelle spalle. - Avevi bisogno di riposarti più di me. Non ci vedo nulla di strano. -
«Dannazione, Mamoru! Se c’è una cosa che non sopporto è che la gente mi favorisca in qualche modo! Davvero, non lo reggo!»
Il centrocampista gli lanciava di tanto in tanto delle occhiate e si accorse esserci qualcosa di nervoso nei suoi movimenti. Stavolta era irritato sul serio.
- Non capisco perché la fai così lunga se le persone vogliono aiutarti. -
«Perché mi fa sentire debole! E io non lo sono!» Yuzo sbuffò e si passò una mano nei capelli corti. «Non lo sono affatto. Non sono un bambino, accidenti!»
- Io non credo che tu lo sia… -
«Beh, il tuo atteggiamento diceva il contrario, ok?!»
Mamoru abbassò la trasmittente e stavolta si girò con palese sorpresa. Dall’altra parte, Yuzo lo guardò di rimando e allargò le braccia mimando un seccato ‘che c’è?!’.
Il centrocampista lo trovò interessante, perché quello era un aspetto che non gli sembrava di aver visto nei ricordi vissuti di sfuggita e quindi era una cosa tutta nuova, che stava scoprendo adesso.
- Deve essere un atteggiamento che gli altri hanno spesso verso di te, mi sbaglio? -
Lo vide sospirare e pensò d’averci preso.
«Non lo so, è che… non so che diavolo vedano gli altri in me, ma è come se tentassero di tenermi tutti in una specie di sfera di vetro. Anche Kenta e Theo. Cercano sempre di favorirmi, ma non ne ho bisogno!»
- Non prenderla sul personale. - Mamoru sorrise. - Lo fanno perché sono tuoi amici; anche io tendo a favorire i miei, a proteggerli. È normale. -
«A volte è troppo! Sembra quasi che non si fidino delle mie capacità… come se non ne fossi in grado… Credo che l’unico a non trattarmi in questo modo sia mio padre. Per fortuna.» E Yuzo, sotto sotto, gliene era davvero grado. «Lui tende a spingermi nella fossa con i leoni.»
- E allora tu segui il suo esempio, ma non aspettare che siano lui o gli altri a spingerti: buttatici da solo. Sii più intraprendente, prendi l’iniziativa, sporcati le mani. È come con la selezione per la Nankatsu. -
«Ancora con quella storia? Guarda che è pesato anche a me rinunciare!»
- Non avresti dovuto. - Mamoru lo disse senza mezzi termini. - Anche se eri convinto di non avere speranze, saresti dovuto scendere in campo e dimostrare che eri pronto a provarci, a buttarti. Se lo avessi fatto, magari i tuoi compagni avrebbero potuto pensare un ‘ehi! Ha fegato!’. Restando sulle gradinate, per una scelta dettata dalla riflessione, hai dato un’immagine più debole di te. -
Yuzo non rispose, perché a questo non aveva pensato. Non l’aveva mai figurata in questo modo. Lui tendeva sempre a riflettere molto sulle cose, a prendere la decisione secondo una scelta razionale ed equilibrata. E forse in certi casi era un atteggiamento sbagliato.
- Per questo loro credono di doverti ‘difendere’ più che con gli altri. Il coraggio è una qualità che va dimostrata, non si può dire di averla solo a voce perché se ne è convinti; per esistere davvero ha bisogno di prove. Dimostra di non aver paura, di potercela fare. Provaci. E vedrai che gli altri capiranno che non sei la principessa nella torre ma il cavaliere. -
«Anche tu?» Yuzo lo domandò con una leggera titubanza che a Mamoru non passò inosservata.
- Anch’io - confermò. - E comunque non ho mai pensato tu fossi una principessa. Le principesse non hanno i capelli corti. -
Anche se lontani e non distintamente, vide che stava ridendo.

Camminarono per un’altra ora prima che la città fosse visibile, oltre l’ultima macchia boschiva.
Vedendola stagliarsi in lontananza, troppo perché si potesse percepirne la vita, a loro sembrò miracolosamente come prima. La loro Nankatsu. Si convinsero che se fossero tornati a casa, avrebbero trovato i genitori ad attenderli, la vita che scorreva di nuovo come sempre era stata. Ci si poteva illudere così bene da crederci. Poi però bastava guardare meglio, un po’ più a destra – o a sinistra, a seconda del punto di vista scelto – e la realtà tornava a prendere corpo e a far sbiadire il sogno.
La voragine correva, lunghissima, dal loro fianco fino alla città, si immergeva in essa e chissà dove aveva la sua origine, il punto ‘X’ in cui la terra sarebbe tornata a essere unita e attraversabile.
Avevano ancora molta strada prima di raggiungerlo e molti altri ostacoli da affrontare, perché in città le case erano crollate, i palazzi sradicati e spaccati a metà, riversi sui fianchi, gli uni sugli altri, e le strade interrotte. Avrebbero dovuto deviare per percorsi alternativi che avrebbero finito per allungare la via da percorrere e dilatare il tempo; avrebbero finito col perdersi di vista tra lamiere e cemento e avrebbero dovuto fare affidamento solo sulle loro radio, nient’altro. Ciechi l’uno verso l’altro.
- Il Muro la raggiungerà entro oggi, vero? -
Mamoru non rallentò il passo a quella domanda, anzi, si mosse più veloce. Diede una rapida occhiata alle sue spalle e gli parve che la parete bianca non si fosse distanziata di quanto avrebbe immaginato. Era chiaro che si stesse muovendo più velocemente.
- La circonderà - continuò Yuzo. - Il cerchio si farà sempre più piccolo-… -
«L’ha già circondata» disse bruscamente. «Guarda bene la curvatura della parete e dove si abbassano le nuvole.»
Yuzo non ebbe bisogno di farlo.
- Me n’ero accorto questa mattina - ammise, mesto. - Ma volevo credere ancora un po’ che la circonferenza fosse più larga di quanto apparisse. -
«Appena le nuvole si solleveranno, riusciremo a vederlo meglio anche davanti e intorno a noi. Vedremo i confini dello spazio che ci rimane.»
Yuzo avvertì una fermezza severa nella voce di Mamoru. Voleva mantenere una rigidità di comportamento per affrontare a testa alta quello che stava accadendo. Lui era più malinconico, quasi rassegnato a un’eventualità che ormai stava prendendo i connotati della certezza.
- Ecco spiegata l’assenza di elettricità e gas. -
«Non esistono più centrali, attorno a noi… e forse anche sotto di noi, non esistono fonti, non esiste più niente. Ci siamo solo io e te.»
Mamoru odiava tutto quello. Odiava trovarsi in situazioni dove le forze erano sbilanciate fin dall’inizio, dove non avrebbe potuto fare altro che perdere. Lo odiava perché non c’era possibilità di scelta e tutto quello che avrebbe fatto, il modo in cui avrebbe lottato fino alla fine, sarebbero state solo fatica sprecata per il sollazzo di non sapeva chi. Era una situazione insostenibile, per questo cercava di non far trapelare nessuna emozione che non fosse di durezza, perché lui non avrebbe dato soddisfazioni a chicchessia e non avrebbe chinato la testa davanti e per nessuno.
- E quindi siamo in trappola. - Yuzo non sembrava aver paura di dire certe verità, Mamoru si girò appena a guardarlo e vide il suo profilo che puntava sempre dritto. Incredibilmente gli uscì un sorriso nel pensare che, dopotutto, era davvero già un cavaliere, a modo suo.
«Non smetteremo di farci valere solo perché credono di non averci lasciato più vie libere, ok, Yuzo?» Lui continuò a essere fermo e ad alimentare il coraggio del compagno come fosse una brace che non voleva si spegnesse. «Continueremo a lottare.»
- E a scappare… -
Mamoru inarcò un sopracciglio e notò che Yuzo continuava a guardarsi indietro. Lo imitò di riflesso ma gli parve che il Muro fosse più o meno dove lo aveva lasciato l’ultima volta che l’aveva adocchiato.
«Qualcosa non va?»
- Non lo so… - Il portiere si voltava in continuazione, guardava la terra e poi la voragine lì accanto. - Non lo senti? -
«Sentire cosa?»
- Questo rumore… -
Yuzo l’aveva avvertito già da qualche metro, ma non vi aveva dato moltissimo peso, convinto che fossero i bordi della voragine che ogni tanto franavano sotto il peso della roccia smossa. Eppure d’un tratto gli era sembrato essere troppo continuo.
- Sembra… qualcosa che si sbriciola. È vicino… -
Il portiere aumentò inconsciamente l’andatura e Mamoru lo imitò per riflesso, anche lui in allarme. Qualcosa sarebbe accaduto, bisognava solo capire quando e da dove sarebbe venuta.
D’un tratto, Yuzo si fermò. Mamoru lo guardò, alcuni passi più avanti, con gli occhi spalancati.
«Non è sicuro fermarsi! Continua a camminare!» incitò con urgenza.
- Devo capire… non posso muovermi alla-… - ma quel ‘cieca’ Yuzo non lo pronunciò mai. Si immobilizzò di colpo quando gli parve che il crepitio fosse ormai troppo vicino e stabile. Piano, si girò su sé stesso, gli occhi a terra perché aveva capito che era lì che avrebbe dovuto cercare.
E le vide.
Tante. Piccole.
Si aprivano in decine e si diramavano nella sua direzione, quasi lo seguissero come cuccioli fedeli o piccoli anatroccoli che avevano subito l’imprinting.
Yuzo fece un passo indietro, stringendo il walkie-talkie nella mano e quasi trattenendo il respiro.
«Yuzo?! Cosa hai visto?!»
Da quella distanza e con il bordo rialzato della voragine, Mamoru non riusciva a capire bene ma il rumore, adesso, divenne chiaro anche a lui.
- Credo che quelle siano le figlie. - Yuzo lo gracchiò piano, scandendo una parola alla volta.
«Le figlie?! Le figlie di chi?!»
- Della Crepa. -
Mamoru fermò la mano e non rispose, abbassò lo sguardo e di colpo, dalla strada che aveva percorso, le vide arrivare di corsa, crepe più piccole, ma a decine, che sbrindellavano la terra in tunnel da talpa e creavano piccole voragini.
Tutto quello che avrebbe potuto dire risultò ovvio, ma non avrebbe sprecato tempo in altre parole.
«Corri!» gridò! Ed entrambi si volsero, direzione Nankatsu, fuggendo via come se fossero alle gare di atletica della scuola.
Per quanto piccole, le crepe erano ben veloci, come quella grande, e presero assieme a loro la rincorsa, mettendosi nella scia.
Gli sbuffi si iniziarono a innalzare a decine, in un rumore molto più familiare di quanto non fosse stato fino a qualche momento prima, e la polvere si disperdeva nell’aria, assieme a rocce più piccole e frammenti strappati dal sottosuolo che schizzavano come schegge taglienti e pericolose.
Yuzo e Mamoru corsero veloci, favoriti dalla pendenza che vedeva la strada in discesa rispetto all’andata.
«Muoviti a zig-zag!» Mamoru urlava nel ricevitore. «Non gli renderemo facile il lavoro a queste figlie di puttana!»
- Ricevuto! -
E alle loro spalle sembrava che una sventagliata di mitra andasse a casaccio, mancandoli ogni volta per un soffio. Data la loro piccola dimensione, le crepe erano molto più svelte di quella madre e distanziarle diventava difficile, figurarsi depistarle. Ma quando la città comparve davanti a loro con le prime case, l’idea di avere più nascondigli o ostacoli da poter frapporre tra loro si rivelò quasi provvidenziale. E poco importava se era tutto un mondo fantasma, quello in cui cercavano un qualsiasi riparo; solo case e oggetti, e l’unica vita era la loro e forse per questo era la cosa più preziosa che potesse esistere.
Yuzo si trovò davanti al primo ostacolo.
- Casa abbattuta dalle crepe precedenti! Dovrò deviare il percorso, Mamoru! Non ci riusciremo a vedere per un po’! -
Il ‘punto cieco’ sarebbe iniziato da lì e nessuno dei due aveva idea di quanto sarebbe durato, soprattutto ora che avevano quella roba che li tallonava senza tregua.
«Niente colpi di testa! Pensa solo a correre, ok?!» L’idea di separarsi in maniera totale non piaceva affatto al centrocampista ma al momento la loro priorità era di liberarsi delle crepe che li rincorrevano, e comunque si sarebbero tenuti in contatto tramite le trasmittenti.
- Ti sembro tipo da ‘colpi di testa’?! - ironizzò l’altro, con affanno, e Mamoru ancora non seppe spiegarsi come riuscì addirittura a farsi scappare un mezzo sorriso. - Ci sentiamo via radio! -
Il portiere lo disse l’attimo prima di entrare nel ‘punto cieco’. Mamoru fece solo in tempo a scorgere la sua figura, che il momento successivo era sparita, nascosta dalle macerie che adesso creavano blocchi enormi, accatastati dai lati della voragine e a volte appoggiati innaturalmente tra le due sponde, in bilico sul vuoto: un solo movimento sbagliato, uno squilibrio nei pesi, un banale colpo di vento e sarebbero precipitati.
Mamoru li fissò come mostri finché poté, poi cambiò strada all’ultimo momento.

 

“Mostra a tutti di avere fegato.
È troppo presto per fallire, sei ancora così giovane.
Un colpo, una possibilità.
Non ne avrai una seconda, quindi non sprecarla e ora preparati.
Diavolo, sì! Mettiti in gioco, esci dal tuo guscio, fallo e basta.”

 

Mentre correva, Nankatsu non gli era mai sembrata così conosciuta e straniera come in quegli istanti.
Mamoru cercava di trovare una strategia di depistaggio, un modo per capire come lasciarsi le bastarde alle spalle, ma quelle sembravano conoscere quel posto tanto quanto lui da stargli sempre dietro a ogni deviazione, a ogni scelta più azzardata che compiva.
Non riconosceva Nankatsu negli edifici diroccati, semicrollati o sbriciolati del tutto, ma sapeva individuare, nella parte che continuava a rimanere in piedi, i punti giusti per riuscire a orientarsi e capire da che parte muoversi, per non smettere di correre.
Il problema della lunga marcia del giorno prima, però, gli si presentò evidente, perché le gambe gli facevano male e non avevano la potenza cui erano avvezze. Faticava quasi il doppio per riuscire a correre e il fiatone era un esempio evidente del fatto che non avrebbe potuto continuare all’infinito. Aveva bisogno di riposarsi almeno una decina di minuti. Quindici era meglio.
Dalla parte Nord-Est di Nankatsu si infilò nella strada che portava al Tempio di cui conosceva una sorta di uscita secondaria che l’avrebbe ricondotto di nuovo nei pressi della voragine principale. Ci si stava allontanando troppo e non andava bene, voleva trovarsi nei paraggi per riuscire a scorgere il prima possibile un passaggio per la parte opposta e raggiungere Yuzo.
Salì in fretta le scale, mentre le crepe dietro di lui le mandavano in pezzi; nessuno sarebbe più potuto passare da lì, ormai, e Mamoru lo tenne bene in mente per gli spostamenti successivi.
Con un rombo cupo, vide i torii spezzarsi alla base e crollare; pietra su pietra, e pensò che niente si sarebbe mai salvato, neppure la sacralità del Tempio. Non c’erano divinità che avrebbero potuto vincere contro tutto quello. Forse, semplicemente, non esisteva nessun Dio o forse erano proprio loro a farlo.
Mamoru attraversò il cortile, si lanciò per la discesa in terra battuta quasi a rotta di collo, con il rischio di inciampare e cadere, e uscì dal cancello secondario.
Le crepe gli erano dietro senza la minima intenzione di mollarlo, così come lui non aveva intenzione di fermarsi.
Uscì sulla strada che un tempo aveva ospitato i migliori chioschi della città; quasi poté sentire il profumo invitante del ramen e le risate di Hajime e Teppei che si litigavano sempre la prima porzione. Li rivide, addirittura, e per una volta quello era un frammento di ricordo solo suo, che aveva vissuto sulla propria pelle. Era nato dalla sua mente e non dalla collisione di universi paralleli.
Si rivide con loro e provò un desiderio totale di poterli afferrare e trascinare via con sé, eppure gli passò accanto senza fermarsi né rallentare, perché tanto loro erano già spariti e non era ai ricordi che doveva pensare, quanto a chi ancora era vivo in quella realtà e quel qualcuno erano lui e Yuzo. E lui doveva farcela a uscirne vivo, per ricongiungersi al portiere. Dopo sarebbe potuta arrivare anche questa fottuta fine del mondo, l’importante era che fossero insieme.
«Merda!» sbottò, quando si trovò davanti un vicolo cieco che non ricordava affatto.
Si volse svelto e vide gli sbuffi di polvere segnare l’arrivo delle sue inseguitrici.
Subito riprese a correre e sfruttò delle casse ammassate contro la rete come base d’appoggio, poi si lanciò contro le maglie di ferro che tintinnarono sotto il suo peso e lo sforzo per arrampicarsi in cima.
Le crepe lo raggiunsero quando lasciò la presa sulla rete e cadde dall’altra parte. Il walkie-talkie volò via dalla tasca della felpa nel momento stesso in cui saltò. Scivolò sull’asfalto, ruotando su sé stesso sulla parte piatta.
Mamoru imprecò ancora e in corsa lo raccolse, mettendolo questa volta nella tasca dei jeans. Poi, l’inevitabile gli si presentò davanti e lui seppe che avrebbe dovuto fare una scelta senza smettere di correre perché se l’avesse fatto, sarebbe morto.
Un’altra voragine, probabilmente generata dalle crepe del giorno precedente, gli tagliava la strada. A sinistra aveva gli edifici crollati che si ammassavano a ridosso del baratro principale e a destra altri edifici uno accanto all’altro, senza possibilità di spazio per deviare.
La scelta era lì ed era ora e la morte avrebbe potuto accompagnare entrambe.
Mamoru cercò un qualsiasi appiglio cui aggrapparsi per provare a superare il fosso, ma quando alzò la testa e vide il gancio penzolante di una gru crollata su un fianco, gli venne un’idea: dopotutto, le crepe nascevano dal basso e sempre a terra si muovevano.
Il labbro gli si tese sulla destra, in un atteggiamento di sfida e rivalsa. Forse non le avrebbe fermate, ma sarebbe riuscito almeno a guadagnare tempo.
«Siete pronte a volare?» domandò, ironicamente, prendendo lo scatto finale.
D’improvviso fu come se le gambe avessero ritrovato tutta la loro forza e velocità per compiere quell’ultimo sprint in cui si sarebbe giocato il tutto per tutto. All’ultimo momento saltò e le braccia trovarono il gancio con un tempismo che credeva potesse esistere solo nei film d’azione. Vi si aggrappò con tutta la volontà che ancora aveva di non morire, non adesso, e si tirò su, sollevando le gambe.
Le crepe gli passarono sotto e tirarono dritto, spegnendosi nel vuoto del baratro con quello che parve un coro di lamenti. La polvere degli sbuffi lo investì e lui nascose il viso all’interno della felpa, avvertendo le pietre arrivare a colpirlo alle gambe e al sedere in maniera fastidiosa e leggermente dolorosa, ma non abbastanza da ferirlo.
Quando sollevò di nuovo il volto, le crepe non c’erano più lasciando solo lunghi solchi al loro posto e la sensazione di esserci andato così fottutamente vicino da sapere che, nel momento in cui avrebbe di nuovo messo piede a terra, gli sarebbero tremate le gambe.
- Mamoru? Mamoru, riesci a sentirmi? -
La voce di Yuzo arrivò ovattata e bassa attraverso la trasmittente e per Mamoru quello fu il secondo sospiro sollevato che tirò nel giro pochi secondi.
- Mamoru? -
Con agilità e dopo aver aspettato qualche altro secondo stretto al gancio, si lasciò cadere a terra con un piccolo salto. La voce di Yuzo l’aveva chiamato un altro paio di volte e lui si sbrigò a tirare fuori il walkie-talkie.
«Sì, ti sen-… pronto?» Mamoru premette un paio di volte sul tasto di comunicazione, ma il display non si illuminò di azzurro come avrebbe dovuto né lo sentì leggermente frusciare. «Yuzo?!»
Ecco arrivata la pessima notizia.
«Pronto?! Dannazione, pronto?! Yuzo, io ti sento! Riesci a sentire me?!»
- Mamoru… rispondimi… ti prego… -
Il centrocampista provò e riprovò, accese tutti i tasti possibili, ma la situazione non cambiò e anche se lui era in grado di sentire Yuzo, non era possibile il viceversa.
«Merda!» imprecò, portandosi una mano ai capelli e tirandoli indietro. «Merda! Merda! Merda!»
Il suo walkie-talkie era andato.

 

“Un colpo! Vuoi arrenderti?
Vuoi finire nelle trappole che ti circondano?
Un ultimo colpo!
Non scappare, voltati e affronta le tue sfide.”

 

«Ci sentiamo via radio!» disse e poi mise via la trasmittente, continuando a correre. E ogni passo era un dolore che dalla gamba saliva al fianco e arrivava quasi al petto.
Yuzo sapeva di essere in difficoltà e di perdere terreno rispetto alle crepe dietro di lui, così come sapeva che correre alla cieca non gli sarebbe servito a nulla. Doveva ragionare e trovare un modo per liberarsene; ci erano riusciti una volta, potevano farlo ancora, ma giocandosela d’astuzia.
Una fitta gli partì dal costato e Yuzo digrignò i denti, portandosi una mano al fianco. L’andatura si fece zoppa e perse ancora terreno nel fiato che faticava a entrare, ma usciva subito, quasi volesse scappare anch’esso.
«Dannazione!»
Si guardò indietro, uno sbuffo di polvere per poco non lo accecò e lui si portò una mano al viso per evitare che schegge e frammenti gli finissero negli occhi. Un sassolino, poco più grande di un’arachide e dai bordi affilati, gli tagliò la guancia nello sfiorarlo e poi conficcarsi nel terreno. Yuzo nemmeno se n’accorse, così come non sentì lo scivolare del sangue in una goccia sottile lì dove la carne era stata intaccata quasi con precisione chirurgica.
Corse dritto, almeno dopo il primo ostacolo che aveva trovato diroccato e abbandonato sulla strada. Lastroni d’asfalto erano stati rialzati e ripiegati come tappeti sotto cui bisognava spazzare e mostravano a lui la concavità della piega. Più in alto, gli si addossavano edifici o parti di essi, lamiere divelte, vetrate crepate ma ancora integre che aspettavano la vibrazione più forte per andare in mille pezzi e poi occhi vuoti di edifici che lo guardavano fuggire da una posizione non più verticale ma innaturalmente obliqua.
Davanti a lui la strada subiva una seconda, brusca variazione: il palazzo dell’N-News, il giornale locale, si era coricato prono sul negozio di biancheria di Sonoko-san, schiacciandolo quasi del tutto, sradicato dal terreno con tutte le fondamenta. Solo un piccolo spazio a triangolo scaleno si apriva verso il basso, lasciando quasi una strettoia in cui passare. Ci sarebbe dovuto stare curvato, ma non era male come tentativo: dopotutto, quelle crepe erano piccole rispetto all’altra che l’aveva inseguito all’inizio.
Per una volta non ci stette a pensare troppo e provò: si infilò nel passaggio, saltando scrivanie che avevano sfondato le finestre e strisciando contro pareti di cemento, tra vestaglie di seta ormai da buttare e vetri infranti.
Alle sue spalle, sentì l’impatto delle crepe contro il cemento e per un attimo fu tentato di fermarsi e guardare, ma non lo fece e si costrinse a correre, correre e ancora correre, per quanto lo spazio lo permettesse. Una volta dall’altra parte prese lo scatto per alcuni metri, ma il dolore al fianco lo costrinse a rallentare, fino a fermarsi e, stavolta, guardò cosa si era lasciato alle spalle.
Dall’ammasso crollato udì con chiarezza il rumore della roccia che subiva il passaggio delle crepe. Vibrava e vibrava anche il terreno sotto i suoi piedi; poi, il silenzio. Irreale e tattile. E poiché durò più di cinque secondi, Yuzo si illuse di averle fermate sul serio, di averle costrette a sbattere contro qualcosa di troppo grande per loro. Ma le sue congetture andarono in pezzi, quando dall’edificio del giornale si diramarono dieci tagli perfetti che lo divisero in blocchi netti, quasi il cemento fosse stato burro e le crepe delle lame di coltello roventi.
Yuzo si rese conto di averle sottovalutate, perché erano più forti del previsto.
Mentre tutto crollava, le piccole assassine tornarono alla carica e lui fu costretto a correre di nuovo, anche se stavolta non aveva idea di dove e neppure di come avrebbe dovuto affrontarle, perché sembrava non ci fosse niente in grado di arrestarne l’avanzata.
Il fianco parve dargli un minimo di tregua, mentre si infilava nel negozio di videogames in cui andava sempre con Theo e Kenta. Lo conosceva come le sue tasche; loro tre avevano passato le ore nel retrobottega con Takeshi-kun a parlare delle nuove uscite e a provare giochi in anteprima. E dal retro si poteva uscire da una porta secondaria che lui inforcò più veloce che poté, ma le crepe erano dietro di lui; erano sempre dietro di lui. Come segugi dal fiuto infallibile; sembravano incapaci di perderlo di vista e, ovunque Yuzo fosse andato, loro l’avrebbero seguito; rapaci dalla vista acuta.
Fu quel pensiero a dargli la giusta intuizione per formulare una strategia. Il fatto che le crepe gli stessero sempre in cosa non era dovuto a una visione materiale che avevano della sua figura, quanto percettiva; se nascevano dalla terra allora lo individuavano dalle vibrazioni che produceva correndo, quando i piedi entravano in contatto col suolo, vi battevano sopra. Ma se fosse saltato su qualcosa che non era a diretto contatto col terreno, sarebbero riuscire a percepirlo ugualmente?
Magari avrebbe potuto guadagnare tempo prezioso per riprendere fiato e far calmare un po’ il dolore che continuava a stilettarlo senza pietà. Si disse che valeva la pena tentare anche perché non era più in grado di tenere il ritmo.
Con gli occhi e mentre correva, Yuzo cercò qualcosa su cui saltare, qualcosa che fosse collegato direttamente a un edificio dentro il quale nascondersi, almeno per il momento, e quando scorse la trave a vista della stazione dei vigili del fuoco creare come un ponte che si poggiava all’edificio di fronte senza arrecargli gran danno, ma solo lo sfondamento di un balcone di cui aveva preso il posto, pensò che facesse proprio al caso suo.
Sfruttando la scala involontaria che una Yaris, un fuoristrada della Mitsubishi e un furgone avevano creato, venendo parcheggiati l’uno dietro l’altro, Yuzo si arrampicò sui loro cofani e tettucci, saltando dall’uno all’altro, fino a raggiungere la trave che non parve subire il suo peso; insomma, era spesso cemento e poggiava su altro cemento altrettanto spesso.
Lassù, il portiere si immobilizzò, ginocchio piegato e mani sull’asse; fermo come fosse parte di essa o una statua. Il respiro affannato era l’unico rumore che cercava comunque di tenere sotto controllo, trattenendo il fiato e inspirando con il naso, piuttosto che con la bocca.
Le crepe passarono in corsa sotto di lui e, come aveva immaginato, tirarono dritto. Al bivio successivo le vide diramarsi in tutte le direzioni, senza fermarsi. L’avevano perso. Avevano perso il contatto che avevano con lui e il portiere si ritrovò a inspirare più a fondo, mentre rilassava le spalle e i muscoli. Il suo piano aveva funzionato e lui non se ne faceva ancora capace, ma ringraziò – nemmeno lui seppe chi, forse fu più un riflesso abituale – borbottando poche parole nel fiato che entrava e usciva svelto.
Alzandosi in piedi e facendo il minor rumore possibile, Yuzo camminò sulla trave solida, fino a raggiungere l’edificio che un tempo era stato dei Vigili del Fuoco. Aveva scelto quello e non l’altro, di sicuro più stabile, perché si godeva di un’ottima visuale che dava verso la voragine principale e ciò che si estendeva al lato opposto, quello su cui si trovava Mamoru.
Zoppicando vistosamente, il portiere metteva un piede dietro l’altro in maniera lenta e accorta, si prendeva il tempo di poggiare completamente le suole anche se di tempo ne aveva pochissimo, ma non poteva sprecare quanto fatto con movimenti troppo bruschi.
Raggiunse la vetrata sul fondo del piano leggermente in pendenza. I vetri erano esplosi a causa delle vibrazioni e dell’edificio più vicino alla voragine che gli si era addossato, facendo crollare parte della struttura. L’altra sembrava reggere ancora e, almeno per ciò che serviva a lui, sarebbe andata benissimo.
Prima ancora di guardare l’esterno e vedere quale fosse la situazione, Yuzo si lasciò scivolare a terra, sotto la vetrata, sedendosi su uno schedario ribaltato, e cavò il walkie-talkie dalla tasca.
«Mamoru? Mamoru, riesci a sentirmi?» mormorò, temendo che anche la sua voce producesse vibrazioni troppo forti che potessero farlo localizzare.
Dall’altra parte, il silenzio rispose per troppo tempo e un brivido attraversò la schiena di Yuzo, provocandogli dolore nel fianco ferito. Si sforzò di non farsi prendere dal panico e pensò che magari il centrocampista non avesse ancora trovato un riparo da quelle crepe maledette. Forse avrebbe dovuto aspettare qualche secondo in più, ma non lo fece.
«Mamoru?» chiamò ancora, iniziando a tamburellare leggermente la punta del piede al suolo, dimentico di dover fare il minor rumore possibile.
Quel: «Dai, rispondi!», lo disse solo a sé stesso, non al microfono della trasmittente, mentre nello stomaco si allargava una sensazione orribile che sembrava accartocciargli le viscere e la gola. Aveva artigli, si arrampicava dentro di lui per arrivare agli occhi e farli pungere con insistenza nel pensare, e orrendamente temere, che Mamoru non ce l’avesse fatta.
Non l’aveva mai lasciato così tanto nel silenzio, qualcosa doveva essere andato storto e se ora si metteva ad ascoltare, non riusciva neppure a sentire nessun rumore di edifici che venivano squarciati, di sbuffi d’aria e roccia. Tutto era tornato immobile, in quella città fantasma, e lui affondò il viso in una mano. Le dita scivolarono sulla pelle e arrivarono alla fronte, attraversarono i capelli. La sensazione delle lacrime, il loro sapore salato, era nella gola.
«Mamoru… rispondimi… ti prego…»
Ma nessuno ascoltò le sue preghiere e il silenzio fu ancora con lui, compagno premuroso che avvolgeva tutto in maniera invisibile e pesante.
Yuzo capì che non era come quando erano spariti i suoi genitori, che il dolore era stato improvviso e deflagrante come una mina, qui lo sentiva scendere nel profondo, come uno spillo. Entrare nella carne e dirgli a chiare lettere che Mamoru non era semplicemente sparito ma morto. Morto senza libertà d’appello e lui si sarebbe trovato a combattere e ad affrontare la fine da solo.
Mai gli era pesata la solitudine come in quel momento e gli sembrò così ironico perché si erano sempre odiati fino a due giorni prima. Si erano odiati in maniera profonda allo stesso modo di quel dolore che sentiva dentro. E se la sofferenza era così radicata nell’animo, allora voleva dire che anche il sentimento che lo legava a Mamoru era profondo, più di quanto avesse pensato.
«…non ci credo…» mormorò nel microfono, gli tremava la mano. «… sei lì… da qualche parte… non è così?... non ti hanno preso… dimmi che… che…» Non finì la frase, staccò la comunicazione e nascose il volto tra le ginocchia. «…Maledizione!»
Se solo avesse potuto sentire Mamoru che, quanto lui, imprecava dall’altra parte della voragine, se solo avesse potuto sentire con quanta forza continuava a ripetere a una trasmittente rotta che era vivo, che stava bene, che non doveva… non doveva piangere… allora Yuzo avrebbe di sicuro smesso, si sarebbe asciugato gli occhi e gli avrebbe detto che forse, sotto sotto, non era per niente adatto a fare il cavaliere.
Invece, il portiere smise lo stesso, dando fondo alla sua forza di volontà. Ingoiò le lacrime che avrebbero voluto riversarsi fuori e si passò una mano sul viso alla buona.
«Senti… senti cosa facciamo…» la voce era ancora incerta, ma Yuzo prese un paio di respiri profondi e tenne gli occhi bene aperti per ritrovare fiducia. Si alzò in piedi e guardò fuori. La voragine sembrava non avere una fine e lui non aveva più tempo per cercare il punto da cui era nata, dove la terra tornava a diventare una: doveva esserci un altro modo, più rapido, per saltare il fosso.
Non vide sbuffi alzarsi da nessuno dei due lati e non seppe come interpretarlo, perché gli impediva di localizzare la presenza del ‘nemico’. C’era però il Muro, e quello, santoddio!, era ovunque. Aveva picchettato il perimetro, e tutto ciò che era al suo interno era il mondo che a loro era rimasto. Così poco.
Poi il suo sguardo venne catturato da tre edifici che restavano adagiati tra loro e rimanevano in equilibrio sul vagone della metropolitana che non era stato tranciato dal passaggio della Crepa più grande, ma sostava in bilico, con le estremità poggiate da una parte e dall’altra.
Yuzo vide che poteva entrare nell’edificio dal suo lato di voragine e uscire attraverso una delle finestre per continuare all’esterno, passare alle altre strutture e trovarsi sulla sponda opposta.
Era rischioso, molto. Era giocato tutto sul filo del rasoio, sull’evitare il movimento sbagliato e non far tremare le bacchette dello Shangai o tutto sarebbe potuto crollare e lui con loro. Era da folli e lui non era un debole.
«Attraverserò il baratro, tu aspettami.» La voce aveva di nuovo una nota più ferma. «Se riesci a sentire questo messaggio, ho trovato un modo per saltare il fosso. Entrerò nell’edificio di fronte al ristorante italiano, passerò all’altro che gli resta appoggiato e mi ritroverò nei pressi della salita che porta all’Hikarigaoka. Dovrò stare attento che le crepe non mi sentano o sarà un casino.» Prese una pausa e poi continuò. «Non sarà facile ma tu una volta mi hai detto che il coraggio va dimostrato, che avrei dovuto provarci e visto che non ho più niente da perdere… ci vediamo dall’altra parte, perché sto venendo a prenderti.»

 

“Su questo cammino infinito non si può indietreggiare.
Oooh, oooh, oooh, non temere.
Non posso rimanere intrappolato in un attimo di indecisione.
Oooh, oooh, oooh, c’è solo una possibilità.

Un solo colpo! Un solo colpo!
Stringi forte i denti e affrontali! Un solo colpo!
Un solo colpo! Un solo colpo!
Mostrati al mondo! Un colpo!”

B.A.P.One shot(1)
(la canzone comincia al secondo 00:30)


[1]: il coreano non è tra le (poche) lingue che conosco, quindi non sono stata io a tradurla – no, neppure dall’inglese XD –, ma ho ripreso la traduzione che trovate nel video linkato, ad opera di Ayumi-Zombie. :)


 

Nota Finale: ...*Mel tossicchia*.
L'avevo detto che le cose non sarebbero andate lisce XD Non scherzavo.
Questa è proprio l'ultima corsa contro il tempo per riuscire a ricongiungersi prima che tutto il mondo sparisca e loro due con lui. Ce la farà Yuzo a trovare un modo per passare dall'altra parte e raggiungere Mamoru?
Nel prossimo e ultimo capitolo avrete la risposta!... E non solo quella! ;)))

Poiché il prossimo è il capitolo finale, aggiornerò prima :D Non mi va di lasciarvi troppo a lungo in sospeso, soprattutto a un passo dalla fine ;) L'ultimo aggiornamento è previsto tra Martedì e Mercoledì :D

Grazie mille a tutti coloro che seguono e leggono questa storia! :D Ormai ci siamo! ;)

   
 
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