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Autore: Valentina_1D_98    19/04/2014    15 recensioni
Ebbene sì, questa storia inizierà con “C’era una volta”
Inizierà come una vere e propria favola, anche se di favola non avrà nulla.
Non ci sarò nessuna principessa, nessun castello, nessuna carrozza e nemmeno il cavallo bianco. Ci sarà però un principe.
Un principe un po’ come quello de “La Bella e la Bestia”, tutto da scoprire.
All’apparenza non brutto, quanto antipatico, irritante, suscettibile, prepotente e con manie di protagonismo, dietro alla quale si nascondono un cuore buono e un animo dolce.
Inizierà con due sconosciuti, finirà con un amore incondizionato.
Inizierà con tante, troppe incomprensioni, finirà con un “Ti capisco”.
Inizierà con le urla e con la rabbia e finirà con sussurri e dolcezza.
Questo è l’amore tormentato e strappa sospiri di Madison e Sean, due ragazzi così diversi ma allo stesso tempo così uguali.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Silently in my heart.  


C’era una volta una ragazza, che tanto ragazza non sembrava.
Era sempre vestita di jeans larghi e magliette lunghe. Non si curava le unghie, ma anzi, aveva il maledetto vizio di mangiarsele e, tutti lo sapevano, lo faceva in continuazione quando era nervosa.
Il suo hobby non era la danza classica, lei amava lo skate.
Non era dolce e graziosa, era strafottente e irascibile.
Mettersi contro di lei era come istigare un leone, per questo la chiamavano tutti “Lioness”, ovvero “leonessa”.
Non andava d’accordo con le ragazze, non poteva proprio vederle, quelle.
Lei stava bene con i maschi, si divertiva, con i maschi.
Ma non quel divertimenti a cui tutte le “vere ragazze” pensano, lei si divertiva davvero.
E quella ragazza si chiamava Madison Carter, e quella ragazza ero io.


 
E come sempre, qui a Detroit, l’estate arriva prima, portando con se un’aria soffocante, insopportabile, che ti vien voglia di strapparti via pure la pelle.
E io sono qui, in giro per le strade di questo quartiere malsano e abbandonato dallo stato.
Non penso ci sia più una considerazione, anche minima, di questo posto.
Non ci sono i camion che portano via la spazzatura, non ci sono i giardinieri, nessuno annaffia le piante di quelli che una volta dovevano essere parchi pubblici, ma che ora sono praticamente divenuti dei boschi.
Nessuno controlla nulla.
Ma a noi va bene così, non adoriamo particolarmente le visite.
Ogni tanto però qualche pattuglia gira, ma potrebbe pure esserci contrabbando di stupefacenti in mezzo alla strada, cosa molto frequente, che non si fermerebbero.
Sono nata e vissuta in questo posto, da cui probabilmente mai uscirò. Non ho paura di nulla.
 
- Ehi Lie! –
Chris, Chris Morrison.
E’ il mio migliore amico, ci conosciamo dalla nascita ed è da quando avevamo circa sei o sette anni che ci facciamo spazio a testa alta nelle strade di quel posto.
Da lui e con lui ho imparato tante cose, come rollare una sigaretta, come nascondere i sentimenti, come andare sullo skate, come essere la persona che sono oggi, diffidente e istintiva.
“Lie”, così mi chiamano un po’ tutti qui, da un bel po’ di anni.
E’ l’abbreviazione di “lioness”.
Non è un soprannome scelto così, alla rinfusa, in un pomeriggio in cui non hai nulla da fare, perché qui si è sempre impegnati a far qualcosa.
Ha un significato preciso, il mio soprannome.  

- Chris! –

Mi spingo con lo skate nella sua direzione, devio un enorme ed insolito masso e freno proprio di fianco a lui.
Ho imparato da poco a frenare decentemente, me lo ha insegnato lui, e da come mi guarda sembrerebbe contento dei progressi che ho fatto.
Il cinque e il pugno, il saluto di tutti, qui.

- Cos’è quello? –

Mi appoggio al muretto e gli rubo una sigaretta.

- Dicono sia stato Peth. Ieri sera ha avuto l’ennesima crisi, forse un po’ più grave del solito. Ha rotto un muro e ha buttato per strada le macerie, urlando, nel cuore della notte. –

Soffio via il fumo e guardo il mio respiro colorato dissolversi pian piano nell'aria.
E’ così carino, sembra un pezzo di nuvola. Eppure mi ucciderà, prima o poi, se non sarà preceduto da qualcun altro.
Peth è conosciuto un po’ da tutti. Magari non benevolmente, ma pur sempre conosciuto.
E’ malato, non so perfettamente di cosa, ma è malato.
Un momento prima ti parla tranquillamente, ride anche, magari. Un momento dopo potrebbe impazzire e puntarti una pistola nelle tempie.

- Solito insomma. – continuiamo a fumare per un po’, finché non arriva anche il resto della compagnia. Tutti eccitati ed esaltati.

- Chris, Lie! –

Jim, il solito sfigatello con gli occhiali, un po’ balbuziente.
Arriva di corsa di fianco a noi, seguito a ruota dagli altri.

- A-avete sentito l-la notiz-zia? –

- Che notizia Jim? – Chris ridacchia sotto i baffi.

- C’è u-un n-nuovo … -

- Jim, Jim, Jim. – lo interrompo alzandomi di scatto dal muretto. – E’ la quinta volta che te ne vieni fuori con la storia del nuovo arrivato. Sempre la stessa poi! Non ti sei stufato? –

- S-stavolta è v-vero!  Lie … C-credimi! –

- Senti Jim, devi capire che in questa Detroit abbandonata nessuno ci viene più. Guarda in che razza di paese viviamo Jim, l’America. L’ambizione di tutti. Ma l’America si è dimenticata di questa piccola cittadina, la nostra. Los Angeles, Hollywood, Las Vegas, New York, Jim; non Detroit, capisci? –

 
[…]
 

E più i giorni passavano, più ero sicura di me stessa, sicura che non sarebbe arrivato nessuno, che avremo continuato a vivere nella vivace monotonia di quel posto.
Fino a quel giorno.


- Mad, Mad. Madison! –

- Cazzo mamma, cosa vuoi? –

- Abbiamo finito il latte! Alzati da quel letto e fai qualcosa, santo cielo! – si asciuga le mani sul grembiule.

- Non può farlo papà? – affondo la faccia nel cuscino.

- Papà non c’è, ma grazie lo stesso, ci andrò io. –

- Lascia qualche spicciolo sulla mensola e torna in cucina, ci penso io. –

Con svogliatezza mi alzo dal letto.
Un paio di pantaloncini e una canotta bianca a coprirli vanno più che bene.
Cerco di raccogliere i capelli in una coda decente, ma tutto ciò che mi viene fuori è una sottospecie di chignon mezzo slegato.
Mi hanno sempre detto che un rosso acceso, in contrasto con la mia pelle chiara e i miei occhi color ghiaccio, ci starebbe stato a meraviglia. Ma io adoravo i miei capelli scuri, neri come la pece.
Il sole mi scalda la schiena durante il tragitto e trovo sollievo solo tra i banchi freezer del discount, dove c’è tutto tranne che il latte.
Qui un po’ tutti usiamo questo posto durante le giornate troppo afose, quelle in cui siamo chiusi in una cappa di calore che, vaffanculo i ventagli o i volantini piegati, non ti togli di dosso.

- Buongiorno Mad. –

- Ciao Katerine. – rispondo, sbadigliando, alla proprietaria del discount.

 
Devono aver fatto qualche cambiamento ultimamente, dato che è mezz'ora che giro ovunque e del latte nemmeno l’ombra. 

- Che coglioni … - sussurro.

- Cercavi forse questo? –

Mi giro e, d’un tratto, tutto intorno a me si ferma.
Mi sposto un ciuffo da davanti agli occhi e sussulto.
Avete presente quando nei film la scena viene rallentata e inizia quell'adorabile canzoncina di sottofondo ad accompagnare gli sguardi intensi dei due protagonisti?
Un ragazzo mai visto prima. E c’è da dire che qui conosco praticamente tutti, come tutti conoscono me.  
Capelli arruffati color oro, occhi marroni, contornati da lunghe ciglia; scuote una busta di latte.
Cerco di riprendermi.

- Si, in realtà cercavo il latte. –

Me lo porge continuando a fissarmi negli occhi, con un mezzo sorriso stampato in faccia. Mi allungo per prenderlo, ma …

- Eh no bellezza. Questo serve a me. – lo ritira indietro.

- Ma .. –

- Infondo alla corsia – mi viene incontro – A destra. – mi sussurra all'orecchio, prima di darmi una spallata e sorpassarmi.

Rimango immobile, con la bocca leggermente socchiusa.
Mi giro di scatto, dopo un attimo, e lo sorprendo a fissarmi il culo. Quando finalmente il suo sguardo, dopo aver percorso ogni centimetro del mio corpo, arriva nuovamente sui miei occhi, mi fa l’occhiolino.
Una sfilza di pensieri  mi invadono la mente: corrergli addosso e prendergli dalle mani quella maledetta busta di latte, o urlargli dietro un semplice “stronzo”?
No, gli darei solo troppa importanza.
Inizio a camminare decisa e sicura di me nella direzione opposta alla sua, nella corsia da lui indicata.

- Madison, cosa ci fai da questa parte del negozio? –

Il signor Roger, 89 anni.

- Sto cercando il … latte. –

Profilattici, profilattici ovunque. Di tutti i colori, tipi, misure possibili e immaginabili.
Mi ha pure preso per il culo quello stronzo?
La rabbia prende a bollirmi nelle vene.
Devo solo trovarlo, poi avrò un omicidio alle spalle.

- Vai via da qui, altrimenti mi tocca dirlo a tuo padre! – cerca di assumere un’aria cattiva minacciandomi col bastone.

- E lei, signor Roger? – lo prendo sotto braccio - Cosa ci fa da questa parte del negozio? Non avrà forse incontrato qualche giovine donzella? – un pizzico di malizia fa capolino nella mia voce.

- Aah Madison, Madison … -

Lascio il signor Roger nella zone “Divertiti, ma con sicurezza” e, finalmente, riesco a trovare il latte.
Andrei a sbatterglielo in faccia, ma evidentemente ha finito di fare la spesa prima di me quello stronzo.
 

Quel pomeriggio fu caldissimo, l’aria irrespirabile talmente era soffocante mi uccideva, così decisi di scendere al bar dei genitori di Chris.

- Ehilà, moracciona! Sei ancora viva? –

- Si Lauren, ci sono ancora. –

Accenno un sorriso.
Quella donna l’adoravo, mi voleva un bene dell’anima.

- Ehi Lie, che ci fai qui. –

Chris viene fuori dal retro, con la maglietta tra le mani.

- Ma il tuo fisicaccio? –

- Bello vero? Stavo mettendo a posto il lavabo, ha delle perdite d’acqua. Ti faccio vedere vieni. –

Seguo Chris nella stanza adiacente, ed in effetti ha ragione, il pavimento è praticamente allagato.
Mi guarda un attimo negli occhi e non gli serve molto prima di capire che ho qualcosa da dirgli.

- Allora, come mai sei qui? –

Ci penso un attimo.
Non so se dirgli la verità, o se inventarmi una scusa.

- Chris … Ti è mai capitato di odiare una persona, ma talmente tanto da sperare di rivederla? –

- No, in realtà no. –

Guardo per terra.
Speravo in qualche consiglio, ma a quanto pare non me ne può dare.

- Madison, cosa succede? –

Poche volte Chris mi chiamava per nome, e quando lo faceva significava “Discorso serio in arrivo”.
Ma stavolta proprio non ne avevo voglia.
Infondo io quel belloccio lo odiavo, non lo sopportavo. Giusto? Perché parlarne?


 
[…]

 
I giorni passarono e quel tipo non lo vidi per un bel po’.
Non che la cosa mi desse fastidio, anzi. L’unica cosa che mi veniva in mente pensando a quell'essere, erano i miei pugni sulla sua faccia.
Nessuno si era mai comportato così con me, nessuno aveva mai osato sfidarmi.
Almeno non dopo quell'ultima volta, quando mi assegnarono il soprannome che ho ora.

Nella nostra Detroit abbandonata non c’erano piscine, o, se c’erano, nessuno di noi, di quelli che conoscevo, ne aveva mai vista una.
Costavano troppo.
E così, quando il caldo diventava troppo insopportabile, simulavamo piogge improvvise.
Come successe quella volta, come accadeva tutti gli anni.


- Lie! –

Mi affaccio dalla finestra.

- Chris? –

- Mettiti un costume, un paio di pantaloncini, quello che ti capita. Ma scendi giù in fretta! –

Senza fare domande obbedisco e, nel giro di due minuti, scendo.
Chris  mi prende per mano ed inizia a correre.
Lo seguo a ruota, dato che mi trascina praticamente via.
Adoravo quel suo carattere impulsivo e spontaneo; non era mai  prevedibile.
In realtà so dove stiamo andando, ma adoro far finta che sia sempre la prima volta.
Arriviamo in uno spiazzo un po’ più appartato rispetto all'ordinario quartiere, il solito posto, ogni anno lo stesso.

- Sei pronta per divertirti un po’? –

- Io sono sempre pronta! –

Dopo uno sguardo di sfida ci lanciammo in mezzo alla gente, in mezzo agli altri ragazzi che, come noi, la piscina non se la potevano permettere e che, sempre come noi, cercavano modi alternativi per divertirsi. E questo sembrava funzionare alla grande.
Lancio la canotta, lasciandola cadere sull'asfalto, già pieno d’acqua ad inzupparla.
Le pompe industriali a lanciare ovunque quell'acqua fresca che m’imperla la pelle e m’inumidisce i capelli, mentre qualcuno attacca lo stereo.
Salto all'improvviso sulla schiena del mio migliore amico e, insieme, iniziamo a cantare a squarciagola, ma col caos che ci circonda le nostre voci si disperdono.
Arrivano anche gli altri e iniziamo a ballare nei modi più strani e imbarazzanti.
Ma infondo che ci importa?
Di eventi così belli ne capitano uno ogni cent’anni, perché contenersi? Non abbiamo nulla da perdere alla fine.
Qualcuno mi prende dai fianchi e mi tira indietro.
Mi giro di scatto e il mio corpo si trova contro il petto perfetto di qualcuno.
Mi ritrovo a fissare quella pelle così liscia per qualcosa come dieci interminabili secondi.
Non avevo mai provato nulla di simile, quest’attrazione verso qualcuno di sesso opposto al mio mi era totalmente sconosciuta.
Sollevo lo sguardo e quel sorriso da stronzo e quegli occhi marroni mi fanno salire il livello di rabbia e fungono da insetticida alle farfalle annidate tempestivamente nel mio stomaco.
Gli tiro via le mani dai miei fianchi nudi e mi allontano.

- Che cazzo vuoi?! – urlo, in modo da farmi sentire.

- Cosa? – si avvicina vertiginosamente a me.

Sono quasi del tutto sicuro che lo faccia apposta, ‘sto stronzo.

- Vattene! Ho detto vattene! – lo respingo nuovamente, ma non appena le mie mani prendono il contatto con la pelle perfetta del suo petto, mi ritrovo inconsciamente a tirarmelo contro.

- Sei un po’ contorta, piccola … - mi tira su il mento con un dito e i nostri nasi si sfiorano.

Un brivido mi percorre la schiena e, per un attimo, mi perdo in quei cazzo di occhi, in quei capelli bagnati e attaccati alla fronte, in quella goccia d’acqua sul suo labbro inferiore.
E’ così dannatamente attraente, e mi irrita alquanto.

- Al diavolo! – stavolta riesco a recuperare il controllo e le mie mani lo spingono via.

Torno dagli altri, che non sembrano essersi accorti di nulla.

 
[…]

 
Quel party improvviso terminò non appena le prime stelle iniziarono a costellare il cielo della nostra Detroit.
Molti ragazzi rimasero allo spiazzo, come me e la mia compagnia.
Jim era andato a prendere delle birre, ce le saremo fatte bastare.


- Aah Lie, come muovi tu il culo, Dio, non lo muove nessuno. –

Max si tracanna giù un lungo sorso di birra.

- Eh, Max, caro Max … Ci sarà un motivo se sono la mascotte di questa fantastica compagnia, o no? –

- E non potevamo chiederne un migliore! – esordisce Chris, provocando una risata generale.

Il bene che mi volevano quei ragazzi è indescrivibile. Sapere che il fatto che io fossi sempre con loro rendesse le altre ragazze gelose di me, mi faceva sentire superiore a loro.
Potevano essere tirate quanto volevano, io ero sempre una spanna sopra.


- C-comunque a-a-vevo rag-ione! – se ne viene fuori Jim.

- Cosa? –

Chris sorseggia l’ultimo sorso di birra.

- C’è u-un nuov-vo a-arrivato! –

In quel preciso istante, manco a farlo a posta, se ne spunta fuori quel ragazzo, quello senza nome, lo stronzo del supermercato, quello che aveva appena approfittato del casino di una festa per mettermi le mani addosso.
Ammetto che esagerai un po’, un bel po’, ma non ero abituata ad essere trattata, guardata, toccata in quel modo, nel modo in cui faceva lui.
Col tempo diventò piacevole.

Era con tre ragazze. Due bionde ossigenate una nera, come me, solo più troia.
‘Che puttane’
Mi rimbombano nella testa ‘ste due parole, così dannatamente appropriate.

- Sean! –urla Max, per attirare la sua attenzione.

A quanto pare si conoscono quei sei ragazzacci. L’unico preso alla sprovvista sembra essere Chris, che, nell'ombra, cerca di dare un volto a quel nuovo tipo.
Maledico mentalmente Max per averlo chiamato.
Quel ragazzo non solo è uno stronzo assurdo, non solo mi fa fare figure di merda con persone che mi conoscono da praticamente quando sono nata, non solo. Viene anche a rompere i coglioni mentre sono beatamente tranquilla con la mia compagnia. E quell'aria da “sono tutto io”, Dio, gli darei una sberla.

- Max! – alza la mano in segno di saluto e si avvicina a noi, lasciando quelle tre,  che, si vede lontano un miglio, se lo scoperebbero anche qui, in mezzo allo spiazzo, davanti a tutti.

- Ragazzi, questo è Sean. Si è trasferito qui da poco. – inizia Jack, rivolgendosi a me e Chris, seduti uno di fianco all'altro.

Gli sono praticamente in braccio, ma per me è una cosa normale. Insomma, abbiamo perfino fatto il bagno insieme da bambini, l’ho visto svestito una dozzina di volte. Il fatto di stare seduta in braccio a lui, qui, non scandalizza nessuno.
Nessuno tranne lui.

- Io ti conosco già … - mi guarda, fisso negli occhi.

Perché non riesco a sostenere il suo sguardo? Cazzo.

- Lie, lei è Lie. – mi presenta Jack.

- Lie, che nome strano. –

- E’ un’abbreviazione. – dico, seccata.

- Immagino te l’abbia dato il tuo ragazzo, questo nomignolo. – sposta lo sguardo su Chris.

- Non è il mio ragazzo. –

Questo Sean sta mettendo a dura prova la mia pazienza.

- Il nome intero sarebbe Lioness. – spiega Chris.

- Addirittura … - sembra sfottermi.

Non so cosa mi passi per la testa, non so nemmeno cos’abbia ‘sto ragazzo. L’unica cosa che so è che mi fa salire il livello di rabbia fino al limite, fino a fare straboccare il tutto.
Chris mi guarda. Sembra aver capito la situazione.

- Lie, no! –

Cerca di afferrarmi per il braccio, troppo tardi.
Mi alzo di scatto dalla gradinata, tenendo i miei occhi color ghiaccio puntati nei suoi. Mi avvento sul suo petto a pugni stretti. Cerco di sganciare un colpo, forte e deciso, ma mi sorprende bloccandomi.
Tutti, compresa me, rimangono a bocca aperta.

- Lioness, sei così … Aggressiva. – poggia la fronte sulla mia.

Ho il fiatone per la rabbia, e tutto ciò che riceve è solo uno sguardo incazzato.

- Tu non hai capito nulla di me, stronzo! – lo spingo via.

Fa un passo indietro, ma in pochi istanti ritorna nella sua posizione.

- So di piacerti. –

- Sbagli persona. –

- Non fare la stupida. L’ho visto il tuo sguardo al supermercato, sai? So che qui nessuno si mette contro una tale arrogante bellezza come te. Ebbene io non sono gli altri. Io se voglio una cosa, la ottengo. Io contro di te mi ci metto eccome. –

Mi guardo intorno, staccandogli disperata gli occhi di dosso.
Tutto lo spiazzo ci guarda.
Nonostante il buio, la luce sfocata dei lampioni mezzi rotti, tutti ci guardano.
Non posso sopportare questa situazione ancora per molto, odio essere al centro dell’attenzione.

- Seguimi.-

Salgo i gradini dello spiazzo a due a due.
Sento i suoi passi, ma non mi fermo. Non posso.
Se mi fermassi adesso scaricherei tutta questa rabbia su di lui, e anche se non ci sarebbe nulla di sbagliato, dato che è per colpa sua se sono così ora, voglio evitare.
Attraverso la strada e sorpasso il bar dei genitori di Chris, le cui luci illuminano tutto il vicinato.
Arrivo col fiatone, non per la stanchezza, ma per la rabbia, al cavalcavia abbandonato.
Li avevano iniziati i lavori, lì. In realtà li avevano anche terminati, ma non era mai stato aperto e utilizzato, quel cavalcavia.
E così quel posto era diventato angolo di sfogo degli artisti di strada. Un muro in più da ‘sporcare’, come lo stato diceva, con le bombolette. Era diventato il posto in cui mi rifugiavo, il posto in cui andavo a pensare. I ragazzi normali, qui in America, avevano la casetta sull'albero; io avevo quel cavalcavia.

Appoggio le spalle al cemento freddo e umido.
Sento i passi frettolosi, li stessi che prima mi seguivano, ed ecco Sean apparire dall'angolo.

- Senti, scusa okay? –

- Non mi conosci, non puoi venire a fare ‘ste scenate, davanti a tutti i miei amici. Non sai nulla di me! – incalzo, ma mi blocca subito.

- So che ti chiami Madison, ma che tutti ti chiamano Lie per qualche motivazione a me sconosciuta, ma sicuramente valida. So che hai diciassette anni, che non sopporti le ragazze, il solletico e le persone ficcanaso. So che Chris è il tuo migliore amico e so anche che quei ragazzi sono la tua seconda famiglia. –

- Ma com … -

- So anche che adoro i tuoi capelli scompigliati, il tuo spirito libero. Adoro il fatto che a te non freghi nulla delle unghie o del trucco, come a quelle ochette insopportabili che mi girano intorno. So che sei bella lo stesso, anche con un paio di pantaloncini e una maglietta più grande di te, anche con il sorriso come unico accessorio. Perché fidati di me, è stupendo. –

Non so cosa mi passi per la testa. Non sto pensando a niente.
Anche gli insulti sembrano magicamente svaniti.
L’unica cosa che sento è lo stranissimo bisogno di mettere fine a quelle parole.
Mi fiondo sulle sue labbra.
Ma doveva essere solo un bacio per zittirlo.
Non dovevano tornare quelle dannate farfalle. Non ci dovevano essere le mie mani tra i suoi capelli. Le nostre lingue non dovevano danzare e i nostri corpi non dovevano essere così dannatamente vicini.

- L’ho detto che ti piaccio. – dice contro le mie labbra.

- Non mi piaci, stronzo. – cerco di pronunciare bene le parole – Ma se provi a fermarti ti tiro un pugno! –

Lo sento sorridere, e così di conseguenza lo faccio anche io.
Oramai senza fiato, stacco le mie labbra dalle sue, e rimango a pochi centimetri da esse, con gli occhi ancora chiusi.
Li apro, lo guardo negli occhi.
Mi morde il labbro.
Mi adagio tra le sue gambe, con la schiena contro il suo petto.
E’ così rilassante sentire il suo cuore battere, in quel silenzio assordante, in un posto dove il caldo non arriva perché ammazzato dall’umidità.
E’ così rilassante.

- Tu sai tutto, o quasi, di me. Non riesco nemmeno a spiegarmene il motivo, ma non importa. Avrai tempo per dirmelo. Ma ora voglio sapere qualcosa di te, Sean. –

- Mi chiamo Sean Brown, ho diciannove anni e mi sono trasferito qui con mia madre da poco. Siamo arrivati il giorno in cui ti ho vista al discount. –

- Perché proprio Detroit? Insomma, c’è di meglio. –

- L’unico posto in cui siamo riusciti ad occupare una casa senza essere scaraventati fuori poche ore più tardi. –

Iniziava ad interessarmi la sua storia. Ma non lo davo a vedere, guardavo dritto davanti a me, mi perdevo in quei murales infiniti, mentre le sue parole arrivavano alle mie orecchie.

- In ogni caso, quel giorno al discount ti avrei ucciso. –

- Ne sono consapevole. – mi soffia sul collo e un brivido mi percorre velocemente la schiena.

Inizio seriamente a chiedermi come in diciassette anni io non abbia mai potuto provare sensazioni del genere, questa improvvisa leggerezza che ti prende da dentro, e non ti lascia più.
Forse perché non ne ho mai dato l’opportunità a nessuno? Probabile, ma in fondo nemmeno a lui l’ho mai data.

- Abitavo a Miami, una volta. Era bella la mia vita, una volta. Finché due anni fa ci fu una sparatoria in cui venne coinvolto mio padre. Rimase ucciso da un proiettile. Gli perforò il cuore. Entrò e uscì senza problemi, quel pezzo di metallo. Me lo ricordo il corpo di mio padre, a terra in mezzo al sangue. Me lo ricordo fin troppo bene. –

Si ferma un attimo, si sente il groppo che ha in gola.
Ma lo capisco, capisco queste situazioni. E non servono parole, lo accarezzo col mio silenzio, perché nessuna inutile consolazione servirebbe, ora.

- Insomma, io e mia madre siamo stati costretti ad andarcene, se non volevamo rischiare di finire anche noi in mezzo al sangue su un pezzo d’asfalto. Così, tre anni fa lasciammo Miami. Ne abbiamo girato di posti, case cambiate. Ogni volta che pensavamo di aver trovato la pace, beh, la perdevamo, insieme alle nuove conoscenze. E ora siamo qui. E’ la sosta più lunga, per ora. Ma chissà, il pericolo è sempre dietro l’angolo. –

- Hai visto il mare, quindi? –

Amavo il mare, pur non avendolo mai visto.

- Ti ho appena detto che rischio ogni giorno di lasciarci le penne, e tu pensi al mare? –

- Qui rischiamo tutti di essere presi, uccisi. Tutti i giorni. Il mare è più bello della morte e del sangue.  –

Continuo a guardare davanti a me.
Sento il suo respiro sempre più vicino al collo, ma non me ne curo. Sento le sue labbra indugiare sulla mia pelle.

- Sai cosa mi ha colpito di più di te, Madison? –

Era molto strano essere chiamata così, con il mio vero nome, da qualcuno che non fosse mia madre.
Era veramente strano.

Mi giro a guardarlo, negli occhi.

- Tu sei … Cazzo, tu sei tu. Non ti preoccupi di apparire in un altro modo, tu come sei dentro sei fuori. Non hai bisogno di nessuna maschera. E io non ho mai incontrato persona più sincera di te. –

- E io nessuno che mi facesse presente tutti questi lati positivi dell’essere me. Diamo sempre tutto per scontato, ma qualche volte le cose che pensiamo ci farebbe bene dirle. E Dio solo sa quanto io stia apprezzando il fatto che tu, ora, lo stia facendo con me. –

Mi stringe in vita con le braccia, stritolandomi dolcemente contro il suo petto.

- Sei così profumata, senza profumo. –

- Di Madison Carter ce ne una, ricordalo. –

- E guarda un po’, ce l’ho io tra le braccia. –

Sorrido, e anche lui.
Non potevo desiderare momento più bello.
Non avrei mai pensato che sarebbe stato con lui, ma il detto “L’apparenza inganna” beh, penso sia il più vero di tutti.
Non possiamo dire nulla di una persona, senza conoscere la sua storia.
Io adesso conosco la storia di Sean, e lui fa parte della mia. 


 
Buongiorno ragazze <3
Eccomi tornata con una OS nuova di zecca.
Volevo scusarmi per l'assenza, ma per svariati motivi non sono riuscita proprio a pubblicare nulla. :C
Passiamo alla storia!
Com'è? Vi è piaciuta?
Come sono i personaggi?
E il finale? 

Spero vivamente sia stata di vostro gradimento, dato che c'ho messo un pochetto a scriverla e mi sono anche impegnata :')


QUESTI SONO I PERSONAGGI 

Image and video hosting by TinyPic Madison/Lioness

Image and video hosting by TinyPic Sean
 
 
Lasciatemi una piccola recensione e fatemi sapere i vostri pareri, che sono sempre importantissimi :')
Un bacione, Vale xx

 
   
 
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