Libri > I Regni di Nashira
Ricorda la storia  |      
Autore: itsrigel    20/04/2014    5 recensioni
// Dal testo //
Cal non l'avrebbe mai pensato, ma annullarsi tra le braccia forti di Varda era una cosa di gran lunga più piacevole che annullarsi grazie ai movimenti secchi e decisi delle sue armi.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '“Perché dividere un amore come il nostro?„'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Per Antonio,
perché senza di lui sarei davvero più che persa.

 

Cal aprì gli occhi lentamente. La luce dei due soli filtrava dalle foglie del piccolo Talareth sotto il quale lei e Varda si erano riparati quella notte, dopo aver scoperto che i soldi che erano rimasti loro non sarebbero bastati per risiedere una notte in un qualsiasi ostello. Nonostante la loro vicinanza al tronco, l'aria era comunque rarefatta rispetto a quella che si respirava nelle grandi città, e Cal faticava a mantenere il respiro costante.
Si alzò a sedere lentamente, la schiena che le inviava stilettate di dolore dopo la notte passata a dormire sulla terra nuda.
La prima cosa che notò fu l'assenza di Varda. Si rassicurò dicendosi che con ogni probabilità era andato a cercare qualcosa da mangiare: il viaggio era durato molto più del previsto, date le norme di sicurezza ampliate ai confini dei vari Regni dopo la fuga della contessina di Messe e del suo schiavo.
Poggiò le palme delle mani a terra e iniziò a disegnare con le dita dei cerchietti nella polvere.
Si guardò intorno. Se volgeva lo sguardo a sud ancora riusciva a vedere le terre del Regno d'Autunno. A nord invece c'era quel bianco accecante della neve, quel bianco che aveva visto il giorno precedente per la prima volta e che già non sopportava.
Si alzò in piedi, stiracchiandosi. Quanto avrebbe voluto essere nel monastero di Larea, riscaldata dall'aria tiepida del Regno di Primavera... E invece era lì, a congelarsi tra vento e ghiaccio.
Fece un passo avanti, e un altro e un altro ancora, fino ad arrivare al tronco dell'albero. Si appoggiò con la schiena al legno e cercò di distrarsi guardando il panorama.
Da dove si erano posizionati la notte precedente si poteva ancora vedere l'Arteria, quell'immensa distesa di Talareth che da Messe arrivava fino a Galata, dopo aver attraversato tutti e quattro i regni di Talaria e toccato le principali città. Era uno spettacolo a dir poco mozzafiato; senza contare il fatto che se Cal avesse alzato lo sguardo sarebbe riuscita ad intravedere, tra le foglie aghiformi del piccolo Talareth, uno scorcio di cielo terso, di quell'azzurro che amava tanto.
Eppure non lo fece. Rimase lì, a fissare con lo sguardo vuoto il panorama che si stendeva davanti a lei.
Il pensiero continuava a tornare a Varda. Più il tempo scorreva, più Cal si preoccupava. Varda ancora non tornava.
Dalla posizione dei soli, Cal dedusse che doveva essere la sesta ora.
«Dove sei, dove sei» continuava a mormorare la Talarita, mordendosi l'interno della guancia destra per l'agitazione. Si bloccò solo quando si accorse di sentire il sapore metallico del sangue in bocca.
“Calmati Cal” si disse. “Avrà trovato qualche difficoltà a tornare per via delle Guardie, tutto qui”. 
Dopo un tempo infinito Cal decretò di non riuscire a star lì con le mani in mano. Con un colpo secco di reni si tirò sù. Con un solo movimento fluido si chinò in avanti e tirò fuori dallo stivale destro uno stiletto.
Se non poteva andare a cercare Varda, visto che non aveva la più pallida idea di dove fosse potuto andare, almeno avrebbe ammazzato il tempo.
Tirò il primo affondo senza nemmeno pensarci, in automatico. Il resto dei movimenti vennero da soli. Uno dietro l'altro, semplici e letali.
Allenarsi era una delle cose che a Cal piaceva di più. Annullarsi della foga della battaglia, scomparire dietro le vesti di una danzatrice mortale. Era anche per questo che alla morte di suo padre aveva deciso di entrare nel monastero di Larea: da subito aveva provato un certo interesse per le arti delle Combattenti, e non appena se n'era presentata l'occasione ne era entrata a far parte. Nonostante il suo corpo stesso fosse un'arma, Cal amava tenere quello stiletto con sé. Le dava una sicurezza che da sola sapeva di non poter avere, quell'asso nella manica grazie al quale sapeva di poter vincere qualsiasi battaglia.
Si ritrovò ben presto impregnata di sudore, con il corpo pieno di piccoli graffi che brillavano rossi sotto i raggi di Cetus e Miraval. Le vesti da sacerdotessa ormai erano praticamente appiccicate alla sua pelle ambrata, e il freddo iniziava a diventare insopportabile.
Ma quella era l'unica cosa che le impedisse di pensare, e soprattutto che le impedisse di pensare a Lui.

*

Varda era sceso al villaggio più vicino di mattina presto. Quando si svegliò gli fu impossibile non notare Cal, rannicchiata al suo fianco sotto un mantello pesante. Quella ragazzina era proprio impossibile da capire: il giorno prima stavano litigando ed ora eccola lì, infreddolita e appiccicata a lui.
Ora, quando entrambi i soli erano già alti nel cielo, stava tornando da Cal. Nella sacca che aveva legata alla vita tintinnavano due bottigliette di vetro, buttate lì insieme a del cibo per entrambi.
Gli ci volle un po' per tornare al Talareth dove sapeva - o almeno sperava - Cal lo aspettasse.
In realtà non riusciva a figurarsela neppure lui, Cal che lo aspettava buona buona senza far nulla. Non era proprio nella sua indole.
Infatti non si stupì quando, svoltato l'angolo, trovò la ragazza che si allenava. Si spaventò, piuttosto, che fosse sudata in un luogo dal clima così rigido. Affrettò il passo per arrivare da lei.
La chiamò e lei si voltò subito. Le guance erano leggermente arrossate per lo sforzo e il petto si alzava e abbassava a intervalli piuttosto irregolari.
Varda si stava già immaginando cosa avrebbe potuto fare Cal non appena si fosse avvicinato. Le opzioni più plausibili erano due: o gli sarebbe saltata al collo per abbracciarlo e non mollarlo più per il resto della giornata, o gli avrebbe rifilato un pugno.
Vinse la sfida la seconda opzione. Il Femtita non fece nemmeno in tempo ad avvicinarsi che l'altra l'aveva già colpito alla spalla. Lui lasciò che si sfogasse, che gli urlasse contro quanto era stupido e quanto l'aveva fatta preoccupare.
Quando ebbe finito, Varda ti sfilò il mantello e lo posò sulle spalle di lei. Cal non provò nemmeno a protestare: ormai stava tremando dal freddo.
«Scusami, non ti lascio più. Va bene?»
Cal annuì. «Non ci devi neanche pensare» rispose. Sul suo viso si leggeva a caratteri cubitali che era offesa.
Varda si permise un sorriso. Cinse le spalle della ragazza con un braccio e la strinse a sé.
«Scusa» le sussurrò in un orecchio. «Ma al contrario tuo ho una buona memoria, e stamattina mi sono ricordato che oggi è il tuo compleanno, piccoletta.»
Cal alzò lo sguardo verso di lui e fissò i suoi occhi in quelli del ragazzo. Da tempo ormai quando erano soli si era abituata a non portare la consueta fascia che nascondeva le sue origini Femtite.
«È... O miei dei, potevi almeno avvertirmi! Sarei venuta con te!»
«E rovinarti la sorpresa?» Varda si scostò da lei quel tanto che gli bastava per tirare fuori dalla sacca due boccette di succo porporino. Gli occhi di Cal si illuminarono.
«Non ci credo» mormorò. «E l'hanno date a un Femtita?»
Varda sorrise furbo. Cal si sentì persa in quel sorriso. «Sono tempi duri questi, Cal. I mercanti venderebbero questa roba anche a dei bambini.»
La ragazza scoppiò improvvisamente a ridere. Si scostò delle ciocche di capelli rossi dalla fronte, poi abbracciò forte Varda. Anche lui rise, contagiato dall'ilarità dell'amica.
«Sei il migliore, scemo.»

*

La risata cristallina di Cal risuonò nel buio. Lei si coprì la bocca con una mano e si piegò con il busto in avanti. Le chiazze rosse sulle sue guance erano solo la conferma del fatto che aveva esagerato con il succo porporino quella sera.
«Hai ragione tu» riuscì a dire a Varda tra le risate. Nemmeno sapeva più di cosa stesse parlando, e in realtà nemmeno le interessava più di tanto.
Varda, da parte sua, riusciva a sopportare meglio l'alcool. O almeno quel tanto che gli consentiva di rimanere più lucido della ragazza, ma non abbastanza da non scoppiare a ridere.
Lanciò un occhiata a Cal, ancora intenta a ricordarsi il giusto modo per respirare. Per la prima volta da quando si conoscevano, ed era davvero moltissimo tempo, pensò che Cal fosse bella. Non bella come il normale canone di bellezza diffuso a Talaria, ma bella come qualcuno che non sa di esserlo. Quella bellezza pura, infantile, spesso propria dei Femtiti. Sorrise, senza smettere di fissarla.
«Che guardi, scemo.»
La voce di Cal lo riscosse dai suoi pensieri. Nemmeno si era accorto del fatto che lei stesse ricambiando il suo sguardo. Anche lei sorrideva ora.
«So di essere proprio bella, ma non c'è bisogno di guardarmi così!»
«Ecco, hai rovinato tutto» rispose lui ridendo. «Stavo pensando a quanto fossi bella anche senza saperlo e tu te n'esci così.»
Cal arrossì sensibilmente. «Io scherzavo, eh» si affrettò a precisare, balbettando.
«Io no» ribatté lui. «Sei bellissima.»
Cal si sforzò di guardarlo negli occhi. Varda cercò di sorriderle incoraggiante, mentre le porgeva un nuovo bicchiere di succo porporino, ma quel sorriso ebbe l'effetto contrario su di lei.
«Lo pensi davvero?» domandò prendendo tra le mani il bicchiere. Varda annuì.
«Sono sicurissimo che anche Cetus e Miraval vorrebbero portare il tuo nome.»
A questo punto Cal non riuscì a trattenersi. Gettò le braccia al collo del Femtita e scoppiò in lacrime. L'alcool le faceva davvero un brutto effetto.
Varda le picchiettò con la mano sulla schiena. Le stava dicendo qualcosa, ma le parole ormai si erano perse nel tono dolce della sua voce. Le prese il viso tra le mani e le asciugò le lacrime. Erano così vicini...
Fu un gesto quasi automatico per lei, dettato dalla natura, spingersi in avanti e posare le sue labbra su quelle del ragazzo.
Quante volte aveva sognato quel momento, quante volte aveva sognato di poter vivere in un mondo dove gente come Varda fosse stata giudicata come persona e non come razza. E in ogni suo sogno era tutto completamente diverso. Ma comunque, cosa le importava? Stava succedendo lo stesso, questo era l'importante.
Cal si accorse con piacere che la realtà era molto meglio dei sogni. Sentire le braccia di lui stringerla a sé, sentire il sapore di miele della sua bocca era un qualcosa che non si poteva descriver con le parole. 
Varda semplicemente dischiuse le labbra a quel bacio. Non fu tanto un gesto desiderato quanto automatico, ma ci fu comunque. Le accarezzò il viso con una mano, mentre con l'altra spingeva delicatamente la ragazza verso il terreno.

Cal non l'avrebbe mai pensato, ma annullarsi tra le braccia forti di Varda era una cosa di gran lunga più piacevole che annullarsi grazie ai movimenti secchi e decisi delle sue armi.
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > I Regni di Nashira / Vai alla pagina dell'autore: itsrigel