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Autore: AHARU_    20/04/2014    1 recensioni
Dean si riscosse all'improvviso, percependo il peso di quel neonato tra le sue braccia. Lo strinse a sé fino a sentirne il battito del cuore, fino a sentire il respiro tranquillo sul suo pigiama.
Lo cullò delicatamente, avvicinando il suo volto alla propria guancia. E, in quel preciso momento, Dean Winchester giurò a se stesso che lo avrebbe protetto, sempre. A costo della sua vita.
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Il due novembre 1983 Dean Winchester perse la madre in un incendio.
Quello che ancora non aveva capito era che, in quell' incendio, Dean Winchester aveva perso tutto.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Più stagioni
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Autrice: AHARU_

Pairing: Winchest (senza chest)

Fandom: Supernatural

Avvertimenti: Tematiche delicate (sempre meglio avvertire; poi magari sono solo mie paranoie)

NdA: Okay; sì mi rendo conto che non sto molto bene (?).

E' un'idea che mi è venuta in mente leggendo teorie assurde sparse per internet e beh, ho voluto provare.

La storia ha due luoghi principali: la stanza bianca e i ricordi di Dean.

Ne ho scelti tre, quelli che definirei i momenti topici di Supernatural. Quelli in cui, secondo me, si vede meglio il rapporto che c'è tra Sam e Dean.

Sono bene accette critiche e ringrazio chiunque leggerà. Ma se avete due minuti da sprecare per lasciare una recensione a me non dispiace (<3)

Have a nice Easter! <3

Disclaimer: I personaggi non mi appartengono (purtroppo) e non ci guadagno nulla.

Il titolo è un verso dell'omonima canzone di Jon Bon Jovi.



Every road leads home to you



«Dean porta tuo fratello fuori!» la voce profonda di John Winchester, spezzata dalla paura, risuonò nelle orecchie del bambino con gli occhi verdi, scuotendolo in ogni fibra del suo essere.

Dean non aveva capito cosa era successo: l'ultima cosa che ricordava era il suo letto caldo, la coperta rimboccata fino al nasino costellato di lentiggini dalla mamma e un bacio leggero, appena soffiato sulla fronte, tra le note di Hey Jude.

Ma quella sera qualcosa, un misto tra urla e una tremenda sensazione di calore, lo svegliò terrorizzandolo.

Scese dal letto e si ritrovò suo padre, in preda al panico, che gli ordinava di uscire dalla loro casa. In piena notte.

Dean aveva paura di guardare il punto in cui il fuoco, spietato e indomabile, ancora stava divorando la sua vecchia casa. Aveva paura di pensare a cosa era appena successo, a cosa stava perdendo: in un attimo, nella sua testa, passarono veloci le immagini di tutti i suoi vestiti preferiti, di tutti i suoi giocattoli.

Di quel trenino che aveva ricevuto la mattina del Natale scorso, tra le luci dell'enorme albero in mezzo alla stanza, tra l'odore di cannella dei biscotti appena sfornati da Mary.

Il bambino voltò lo sguardo, cercando tra la folla l'unico volto che avrebbe voluto vedere: e una consapevolezza, silenziosa e letale, lo colpì in pieno petto.

La sua mamma non era lì. La sua mamma non sembrava essere da nessuna parte.

«Dov'è la mamma, Papà?» Dean lo chiamò piano, strattonandolo per l'orlo della maglia scura. «Papà?»

«Non ora Dean, ti prego»

Non dimenticò mai lo sguardo che gli rivolse suo padre, in quel momento. Stringendo tra le braccia sporche di cenere il piccolo Sammy, John osservò la casa bruciare: gli occhi svuotati, velati da un sottile strato di lacrime a cui mai avrebbe dato il permesso di scendere - John non avrebbe mai pianto davanti a Dean.

Per questo si voltò, vagando con gli occhi per tutti i curiosi radunatisi dietro le barricate dei pompieri.

«Dean, per favore, prendi Sam»

Dean si riscosse all'improvviso, percependo il peso di quel neonato tra le sue braccia. Lo strinse a sé fino a sentirne il battito del cuore, fino a sentire il respiro tranquillo sul suo pigiama.

Lo cullò delicatamente, avvicinando il suo volto alla propria guancia. E, in quel preciso momento, Dean Winchester giurò a se stesso che lo avrebbe protetto, sempre. A costo della sua vita.







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Le stanze del motel a cui erano abituati i Winchester erano tutte incredibilmente simili. Non solo la disposizione dei mobili o i letti morbidi, ma anche l’odore – un insolito miscuglio di sporco e prodotti chimici - era sempre lo stesso. Ci erano voluti anni per abituarsi ma, ora, quasi non riuscivano a sentirsi a casa senza.

Anche quella sera, dopo aver sconfitto un gruppo di vampiri nel Minnesota, ne avevano affittata una: i due letti vicini, la debole luce dell'abat-jour e la lista dei film di Casa erotica perfettamente rilegata e sistemata sul comodino.

Tutto sembrava essere nella normalità.

Per questo motivo, quando la mattina dopo Dean aprì gli occhi, venne assalito dalla paura, dal timore di non essere nel posto giusto.

Istintivamente, il ragazzo cercò nell'elastico dei jeans la pistola, elaborando nella sua mente tutte le possibili spiegazioni per il fatto che si trovasse in una stanza dalle pareti imbottite e non nel letto di un motel, accanto al fratello.

Djinn.

La sua mente collocò quel mostro al primo posto sulla lista dei sospetti; quindi, teoricamente, non avrebbe dovuto fare altro che svegliarsi da quel mondo creato appositamente per esaudire i suoi più profondi desideri.

Il ragazzo, facendo la massima attenzione, percorse la piccola stanza in tutta la sua grandezza, facendo scivolare la mano sulle pareti. Una porta metallica svettava su uno dei muri: provò a girare la maniglia, ma un cigolio sinistro avvertì il cacciatore di essere bloccato.

Senza pensarci due volte, prese la rincorsa andando a colpire con la spalla l'esatto centro della porta. Evitò di pensare al dolore, massaggiando i muscoli indolenziti.

«Ma che cazzo» Dean imprecò qualcosa verso Dio,rintanandosi in un angolo della stanza. Almeno avrebbe potuto tenere d'occhio la situazione.

Chiuse gli occhi, deglutendo quel poco di saliva rimasta in gola: un rumore improvviso e rauco gli ricordò di avere fame.

Fame che aumentò all'odore di qualcosa che, la sua mente, subito identificò come cibo.

Dean scattò in piedi, aspettando che i rumori fuori dalla porta arrivassero fino a lui: la maniglia si mosse lentamente e una donna dal camice verde, giovane e stranamente familiare, entrò seguita da due omoni in bianco che si sistemarono come protezione alla porta.

«Svegliato bene Dean?» la ragazza sorrise dolcemente, le labbra perfettamente truccate erano carnose e di una tonalità sfumata di rosso. Il Winchester la squadrò dall'alto in basso, notando ogni particolare del suo volto, perdendosi in due gambe lunghe un chilometro.

«Non proprio»

«Mi dispiace»

«Chi sei tu?»

La donna sospirò, alzando gli occhi al cielo. «Skye, mi chiamo Skye.»





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Guardò la scatola che teneva tra le mani, controllando distrattamente tutto ciò che vi aveva messo dentro.

L’aria gelida accarezzò la sua schiena, intrufolandosi tra gli spiragli di pelle umida: gli occhi verdi del ragazzo studiarono il paesaggio che lo circondava, enumerando nella sua mente le possibili via di fuga.

Chiuse le palpebre, facendo sfiorare le ciglia bionde e folte, e rabbrividì, sentendo ancora la vita che scivolava via dal corpo di suo fratello. Percependo il calore del sangue colare giù per la sua schiena.

«Dean Winchester » una voce femminile lo fece ripiombare nella realtà. Il cacciatore respirò piano, tentando in tutti i modi di riprendere il controllo delle sue emozioni. «A cosa devo il piacere?»

«Voglio fare un patto.»

Il cacciatore trattenne il respiro, attese per una manciata di secondi una risposta ma una risata lo schiaffeggiò in pieno volto, distrusse l'orgoglio e la speranza.

«E per cosa?»

«Dieci anni. La mia anima per la vita di Sam»

«Dieci anni? Tu sei un Winchester, Dean. Le regole che usiamo solitamente non valgono per uno come te. »

«Cinque anni?»

«Un anno. E' la migliore offerta che posso farti.»

Un anno. 365 giorni da passare sulla terra: in fondo ne valeva la pena se il premio era la vita di suo fratello.

La vita che quel demone dagli occhi gialli gli aveva strappato via, come aveva strappato via la vita di sua madre.

Il ragazzo strinse i pugni, forte. Talmente forte da sentire le ossa incrinarsi e il sangue accarezzare il profilo delle sue dita: aveva immaginato milioni di volte quel giallo paglierino spegnersi per mano sua, vedere la vita che lo abbandonava in un espressione di stupore e terrore.

Ma, ora, non era più una sfida contro il suo futuro.

Ora che aveva provocato anche la morte di suo fratello, era diventata una promessa. Una promessa per cui avrebbe dato anche l’anima.

«Un anno» ripeté Dean, cercando di convincersi che quella fosse davvero la scelta giusta.

«Pronto?» la voce della donna sembrò divertita, sincera a tal punto da colpirlo in volto.

I suoi occhi neri, vacui e privi di vita, lo fissarono per un secondo ancora: poi due labbra carnose, pericolosamente dolci, lo rapirono in quel bacio che avrebbe decretato la sua fine.

E nello stesso istante in cui il demone degli incroci svanì nella notte, Sam Winchester ricominciò a respirare.







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«Skye» Dean lo ripeté un paio di volte, trovando in quel nome qualcosa in cui rannicchiarsi, in cui sentirsi al sicuro. «Strano nome» asserì infine, guardando la donna seduta davanti a lui.

«I miei genitori pensavano esistessero gli alieni» la donna parlò tranquilla, ridendo nostalgicamente di quel ricordo.

«Gli alieni non esistono»

«E tu come fai a saperlo?» Skye tirò fuori dalla borsa una cartellina nera, pescando anche una penna.

Con grazia stappò la biro, puntandola contro il foglio bianco; puntò lo sguardo nei suoi occhi, aspettando che il ragazzo raccontasse la sua storia.

Cosa che, Dean, si rifiutò di fare finendo il discorso con un serio “E' così e basta”.



Rimasero in silenzio per un tempo che , per quanto ci avesse provato, non riuscì a quantificare. La donna dagli occhi blu lo fissava, studiando ogni movimento del suo corpo, ogni tremito, ogni smorfia di dolore dovuta alle ferite del braccio.

«Non vuoi raccontarmi niente oggi?»

Quando la sua voce ruppe il silenzio, Dean si ritrovò stranamente grato.

«No» scosse la testa e non disse più nulla.

Aveva tante domande da porre, tanti interrogativi che pretendevano una risposta. Come lo avevano portato lì senza che lui se ne accorgesse? E Sam, come aveva potuto permetterlo?

Per un istante si immaginò suo fratello in preda al panico, magari ferito dalla lotta intento in una ricerca disperata...

«Voglio vedere mio fratello, posso andare?»

La donna fece una smorfia, dirigendo il suo sguardo verso le due guardie davanti alle porta. Incrociò le braccia al petto, alzando gli occhi al cielo; e Dean ebbe l’impressione di aver già posto quella domanda innumerevoli volte.







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Quel giorno faceva caldo. Non quel caldo estivo, quasi piacevole e intriso di ricordi. Ma un caldo soffocante, peggiorato dal cielo coperto da una coltre spessa di nuvole grigie.

Nuvole che sembravano imporre il silenzio, che imploravano la natura di quietarsi, di osservare la scena a cui aveva l'onore di assistere.

Tra le tombe trascurate, ricoperte di muschi verdastri, due uomini, l'uno davanti all'altro, si fissavano in attesa di un qualcosa – una parola, un movimento, una scelta...

«Non siamo obbligati a farlo, Ma-Ha-El.» la voce di Lucifero era totalmente diversa da quella che, un tempo, era stata quella di Sam.

Era strano notare quanto risultassero diversi, nonostante condividessero un unico corpo: il portatore di luce, satana, sembrava donare a quel volto giovane un immensa tristezza. Miliardi di anni di vendette, bestemmie e eresie in nome di Dio, contro colui che fu suo padre.

«Helel è ovvio che preferirei non doverti combattere!» il ragazzo biondo – nonostante il tono vissuto della sua voce, sembrava appena uscito dalla pubertà – rispose dolcemente, stringendo i pugni.

I loro sguardi si rincorrevano, lottavano in una battaglia irreale che, di lì a poco, avrebbe spazzato via metà del pianeta.

«Allora ti prego, fratello. Smettiamo questa inutile farsa»

«E tu credi che questo basti? Dopo tutto quello che hai fatto, dopo tutte le persone che hai ucciso, i tuoi fratelli! Io non posso lasciarti andare come se nulla fosse… »

«Dopo quello che ho fatto? E se non fosse stata colpa mia? Pensaci Ma-Ha-El. Nostro padre ha creato questo mondo. Ha creato tutto. Questo significa che lui mi ha fatto come sono: Dio voleva il diavolo.»

«Allora?»

«Allora perché? Perché farci combattere. Non riesco proprio a capire. Siamo fratelli, usciamo da questa situazione»

Il principe la sentiva quella spiacevole sensazione che saliva su per la spina dorsale, che prendeva possesso di ogni centimetro della sua grazia: davvero avrebbe voluto smettere, perdonare suo fratello per ridare vita al paradiso e alla terra. Per riavere accanto la sfolgorante luce dell’angelo più bello, per rivedere le sue ali imponenti: anche se non erano gli ordini, Michael avrebbe solo voluto riprendersi la sua stella del mattino, abbracciarla, stringerla a sé come faceva prima della caduta, prima di tutte le sofferenze… «Mi dispiace. – la voce tremò.- Non posso farlo. Sono un bravo figlio e ho i miei ordini»

Avrebbe voluto, ma non poteva.

Lui era stato creato per seguire gli ordini, per incastrare i pezzi del puzzle di un destino che era già stato programmato.

«Non sei obbligato a obbedire»

«Credi che mi ribellerò? Proprio ora? Io non sono come te Helel. Dai la colpa a tutti eccetto che a te stesso. Eravamo uniti, eravamo felici. E poi tu hai tradito. Tu hai fatto costretto nostro padre ad andarsene»

«Allora non vedo altra via d'uscita»

«Dovrò ucciderti»

«Ti sfido a provarc-»

Non ebbe tempo di finire la frase che un suono lontano attirò l'attenzione di entrambi.

Una macchina nera, dolorosamente familiare, si avvicinava lentamente, divorando il silenzio che regnava con una canzone - una di quelle che Dean amava sentire all'interno della sua bambina.

Con lo stupore dei due angeli, l'ultimo Winchester aprì la portiera salutandoli come fosse una rimpatriata di famiglia.

«Voglio cinque minuti con Sam» Dean puntò gli occhi in quello di suo fratello: un brivido lo attraversò quando non li riconobbe.

«Solo cinque minuti»

I due fratelli si scambiarono un'occhiata d'intesa: avevano deciso di lasciarlo in vita, per il bene dei loro tramiti, ma quel figlio di puttana sembrava provare gusto a cacciarsi nei guai.

E dopo un'eternità Lucipher e Michael furono d'accordo su una cosa.

«Tu, bastardo. Non fai più parte del piano.»

Michael fece un passo nella sua direzione, quando una bottiglia infuocata lo colpì in pieno petto, bruciandolo il un fischio disperato.

Dean voltò lo sguardo, trovando Bobby e Castiel che gli sorridevano preoccupati.

Castiel gli fece un cenno, dicendo senza nessuna parola detta tutto ciò che c'era da dire: sarebbero morti comunque. Con tutte le probabilità sarebbero stati gli ultimi momenti.

E, per un guerriero, non c'era morte migliore di una in battaglia.

«Solo io posso giocare con nostro fratello, Castiel.»

Con uno schiocco di dita li uccise entrambi: Dean provò a soffocare il dolore, le lacrime. Quello non era il momento ma non riusciva a distogliere lo sguardo dal corpo di Bobby e da ciò che rimaneva di quello di Castiel.

Ma Lucifero colpì il suo volto con un pugno preciso, lasciando la pelle color miele gonfia e livida, facendo risuonare nell'aria le ossa frantumate.

Un colpo, due, tre.

Poi arrivò anche il quarto.

Il volto del cacciatore perse ogni accenno di umanità; anche gli occhi verdi, ancora così limpidi, erano rigonfi e quasi interamente coperti da ematomi talmente estesi da rendere difficile guardarlo.

«Sam» Dean si accasciò senza forze sulla portiera scura della sua amata Impala. Sentì ogni ammaccatura contro la sua nuca, contro il suo collo.

Con i muscoli doloranti e tesi, alzò delicatamente il volto cercando contro luce il viso familiare di suo fratello. «Sammy» ripeté ancora, piano.

Sentiva dolore a muscoli che non si era mai accorto di avere, ma sapeva che, se non fosse riuscito a fermarlo, quello sarebbe stato solo l'inizio. Per questo, con le ultime forze rimastegli in corpo, avvicinò il braccio sporco di sangue alla sua mano, aggrappandosi alla giacca verde di suo fratello.

«Sammy, va tutto bene» E davvero ci credeva.

Perché suo fratello, il suo Sam, era l'uomo più forte che avesse mai conosciuto.

Poteva quasi vederlo dietro quello sguardo glaciale, nel profondo di quegli occhi ardenti e multicolore, lottare con tutte le forze per riprendere il controllo del suo corpo.

Se una persona poteva sconfiggere il diavolo, Dean era certo che sarebbe potuto essere solo Sam. «Sono qui. Sarò sempre qui per te. Io…»

Strinse il lembo di stoffa che teneva nel palmo, costringendo la stella del mattino a guardarlo tra gli affondi, tra il dolore.

«…non ti abbandonerò.»

E, nel suo sguardo, qualcosa cambiò: fissava un punto lontano, attraverso il finestrino di quella che era sempre stata la loro casa.

Un soldatino, appena sopra le loro iniziali incise, era incastrato nella portiera. Un ricordo sbiadito accarezzò la sua memoria e, all'improvviso, milioni di immagini lo assalirono in un'ondata di emozioni: la prima volta che Dean era venuto a Stanford, la morte di Jessica, il loro primo caso, tutti gli scherzi, le risate e le canzoni stonate nell'abitacolo.

Tutte le urla, gli sbagli e le lacrime.

E tutte le volte che Dean era lì per proteggerlo dai mostri, fin da quando erano piccoli, tutte le volte che lo aveva difeso... e quell'ultimo abbraccio della sera prima, dopo la decisione di sacrificarsi, di reggere il peso del mondo sulle proprie spalle.

Un abbraccio così stretto e intenso da riuscire a infrangere ogni piano di Lucifero, così pieno d'amore da riuscire a distruggere la gabbia che imprigionava Sam.

«Andrà tutto bene Dean»

Il ragazzo riprese il controllo.

Contro ogni scommessa, contro ogni previsione; il suo viso si addolcì, gli occhi multicolore emettevano un senso di orgoglio, di felicità. Aveva sconfitto il diavolo. Avevano sconfitto il diavolo. «Ce l’ho in pugno» un sorriso appena accennato nacque sul suo viso. Frugò nella tasca, prese gli anelli e li gettò a terra pronunciando l'incantesimo.

In una folata di vento, la terra sprofondò davanti ai loro occhi.

Sam fece un passo in direzione della voragine: vi guardò dentro, scorgendo in profondità le fiamme dell'inferno.

Si voltò a guardare il fratello; per una manciata di secondi, sull'orlo del burrone, rimasero in silenzio fissandosi. Studiando ogni particolare dei loro volti.

Se tutto fosse andato nel verso giusto, quella sarebbe stata l'ultima volta in cui si sarebbero visti.

Sam chiuse gli occhi, un espressione confusa - un misto tra rassegnazione e pura beatitudine – si dipinse sul suo volto.

«Sammy» Dean fece per alzarsi, raggiungerlo per un ultimo abbraccio. Per un secondo prese anche in considerazione di cadere con lui. Ma la voce di Michael lo precedette.

Dopo, successe tutto troppo in fretta: l'arcangelo e suo fratello caddero nella voragine, inglobati dal nulla.

Stretti in una morsa, l'unica famiglia che gli era rimasta scomparì velocemente davanti ai suoi occhi impotenti.

E Dean rimase solo.

Completamente solo.







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Skye inclinò la testa d'un lato, giocando con la penna tra le dita affusolate. Diede un occhiata al foglio che teneva sulle gambe, leggendo di sfuggita gli appunti che aveva preso. «Chi è Castiel?» Dean sorrise. Non un sorriso come gli altri, falso e pieno di sfaccettature: uno di quelli veri, che influenzavano anche gli occhi smeraldini.

«E' un angelo. Un soldato, in realtà. All'inizio era una vera spina nel fianco... ma, ora, è una delle persone che amo di più. E' parte della mia famiglia.»

«Un angelo? Ali bianche, aureola e veste lunga? »

«Ha le ali, ma non si vedono. O almeno noi non riusciamo a vederle: si scioglierebbero gli occhi o cose del genere. E no, niente aureola e niente veste lunga... beh, indossa un trench beige.»

«Dean»

«I suoi occhi assomigliavano molto ai tuoi» Due occhi grandi, di un blu quasi irreale, che sembravano aver visto tutte le sofferenze del mondo. In qualche modo, quella donna, gli ricordava Castiel: i capelli corti e corvini, quella buffa mania di inclinare la testa e ridurre gli occhi a due fessure…

«E dov’è questo angelo ora?»

«E’ tornato in paradiso dopo l’apocalisse. Ora è il nuovo sceriffo.» Non poté fare a meno di sorridere, a quel pensiero.

Dopo tutto quello che aveva sacrificato, finalmente, stava ricevendo un po’ di meritata ricompensa. Quella figura impettita , dal volto sporcato da un velo leggero di barba, se lo meritava; anche se gli mancava.

«Dean, va tutto bene?» il ragazzo inghiottì quel pensiero a fatica, trattenendo a stento le lacrime.

Stare in quella stanza, lontano da tutti e tutto, era molto peggio di qualunque cosa avesse affrontato in passato.

«S-sì» con il polpastrello, percorse ogni cicatrice che svettava sul suo braccio scoperto, sentendone i contorni e il leggero fastidio che ancora gli provocavano, percependo il calore di ogni ferita ancora aperta, appena coperta dalla crosta. «Ma sono sicuro che mio fratello mi sta cercando. Ve lo chiedo per un ultima volta: lasciatemi andare.»

«Non possiamo» la donna arrotolò le maniche del camice verde, facendole scivolare su per le braccia sottili. «E tu sai il perché Dean.» con un movimento gli si avvicinò, posizionandosi esattamente davanti a lui: allungò una mano, andando ad accarezzare quel volto stanco dalle mille lentiggini, quegli zigomi color miele segnati dalle cicatrici.

«Hai ucciso un uomo.»

Dean scattò in avanti, allontanando Skye dalla sua vista; tese i muscoli, contrasse la mascella.

«Era Azazel! Il figlio di puttana che ha ucciso mia madre.»

«Ne abbiamo già parlato. I demoni, i mostri che tu credi di combattere... non esistono. Non sono mai esistiti.»

«E cosa mi dici dei vampiri di ieri sera? Li ho uccisi, li abbiamo uccisi.»

Era certo di quello che stava dicendo, certo della sensazione – Dean non era sicuro che fosse spiacevole o no – degli schizzi di sangue sul volto dopo aver tagliato la testa a quel mostro.

Della felicità che provava al contatto di quel materasso sporco, della vista di suo fratello sorridente appoggiato alle pareti sc-.

Di che colore erano le pareti?

Dean cercò in ogni angolo della sua mente la risposta, notando con orrore di star dimenticando vari particolari della sua vita, come il colore delle pareti, l'espressione terrorizzata e affamata del vampiro.

O il colore degli occhi di Sam.

Una scia di malessere nacque nel suo petto, attraversando ogni terminazione nervosa, portandolo ad un passo dal perdere i sensi. Le ginocchia cedettero: si trattenne a fatica, aggrappandosi con le unghie alle pareti, facendosi violenza per non cadere davanti a quelle persone che a malapena conosceva.

«Dean tu sei qui da dieci anni. - Poi, in un secondo, ricordò il tempo passato in quella gabbia candida che, in qualche modo, riprendeva le nuvole soffici del paradiso della fiaba che sua madre gli raccontava prima di metterlo a dormire. - Tuo padre ti ha fatto internare: eri violento, continuavi a tagliarti le braccia per dimostrare di non essere un mostro e un giorno hai attaccato anche lui.»

Ricordò quelle guardie che prendeva a pugni ogni sera per tentare di scappare; le stesse che lo trascinavano in qualche strana stanza subito dopo ... e ricordò il motivo per cui suo padre, in un'ultima e disperata decisione, lo fece rinchiudere in quel dannatissimo manicomio.

«No» la sua voce uscì a malapena dalle sue labbra pallide.

Nella sua mente ricreò l'immagine di quella notte del due novembre: del suo letto caldo – l'ultimo posto in cui davvero si sentì al sicuro -, del bacio soffiato di sua madre tra le note di Hey Jude, di quella carezza al suo fratellino prima di andare a dormire... Dean spalancò gli occhi, portò una mano davanti alla bocca sentendo l'impellente necessità di vomitare.

«No»

Tutti i demoni che aveva ucciso.

Tutte le persone che aveva salvato... erano solo frutto della sua immaginazione. Frutto di un mondo che aveva creato la sua testa per non sopportare il peso della verità.

Ma non fu la consapevolezza di non essere un eroe a farlo tremare. Ne' il peso della sua ritrovata pazzia a fargli cedere le ginocchia.

«Sam» gli occhi si riempirono di lacrime. Vagarono per le pareti cercando un qualcosa che nemmeno lui sapeva, e finì lì: negli occhi della donna dal camice verde davanti a lui. In quelle due pozze blu notte in cui, subito, si pentì di essere entrato.

Se tutto quello che aveva sempre creduto reale si era rivelato solo una sua creazione...

Dean si lasciò cadere su una delle pareti imbottite della stanza: i tagli bruciavano ad ogni movimento, si riaprivano macchiando il pavimento di qualche goccia scura. Con mani tremanti, il ragazzo si aggrappò con forza alle propria braccia e strinse, strinse ancora, come se quel contatto fosse l'unica cosa che riusciva a farlo rimanere lucido.

«Era il mio Sammy. Avrei dovuto essere suo fratello maggiore, avrei dovuto...»

«Dean! Tutto questo non è reale. Riesci a capirlo? Sam è morto nell'incendio che uccise anche tua madre. Un incendio, Dean. Non un demone dagli occhi gialli: un semplice incendio.»

Lentamente, il ragazzo si lasciò scivolare giù per la parete morbida; le gambe stringevano contro il petto, impedendogli quasi di respirare e le braccia, così lisce e muscolose, lambivano appena la testa coperta di capelli biondo scuro.

«Lui... » quando gli occhi appannati dalle lacrime gli permisero di nuovo di vedere la donna, il suo sguardo, Dean riannodò i fili della ragione. «E' morto. »

Ed un urlo disperato si perse nell'edificio.







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Dean aveva paura di guardare il punto in cui il fuoco, spietato e indomabile, ancora stava divorando la sua vecchia casa. Aveva paura di pensare a cosa era appena successo, a cosa stava perdendo: in un attimo, nella sua testa, passarono veloci le immagini di tutti i suoi vestiti preferiti, di tutti i suoi giocattoli.

Di quel trenino che aveva ricevuto la mattina del Natale scorso, tra le luci dell'enorme albero in mezzo alla stanza, tra le risate di una Mary incinta, radiosa e felice.

Dean, avvolto nella coperta datagli da un pompiere, osservò con attenzione il volto del padre.

Con le dita giocava con la fede, stringendo nel grosso palmo un piccolo peluche a forma di alce.

«Papà?» la voce innocente tremò leggermente, alla vista di quelle lacrime che rigavano le guance sporche di cenere.

Ma il silenzio che seguì lo colpì in piena faccia, dicendo tutto quello che aveva paura di sentire.

Il bambino raccolse tutto il coraggio che aveva e puntò gli occhi sulla finestra che un tempo apparteneva alla camera di suo fratello, mentre il fuoco dava alla culla e a sua madre un ultimo e spietato abbraccio.























   
 
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