Fumo
negli occhi.
Un rombo
d’intensità crescente infrange il silenzio: le
costruzioni esplodono, i vetri si frantumano, i muri crollano, la gente
urla, si perde il senso dello spazio e del tempo.
Fumo. Polvere.
Lacrime.
Il volto pallido
e fragile di una madre che stringe al petto il proprio bambino.
Davanti ai miei
occhi c’è l’inferno,
c’è la morte; un fumo denso che riempie i polmoni,
un fumo che si leva dalle lingue devastanti delle fiamme e poi
discende, per posarsi come un sottile velo su quello scempio, che fa
sembrare tutto irreale, confuso, soffocato.
Che fa sembrare
tutto senza vita.
Un uomo continua
a gridare, un'unica voce in quel silenzio: grida anche quando quel fumo
gli penetra nel naso e nella gola; barcolla, ma continua a gridare,
anche se l’odore è acre, anche se la sua pelle ha
odore di bruciato, anche se sa che è la fine; lui continua a
gridare.
Non voglio
morire. Non voglio.
Rimango a
guardarlo senza emozione: fermo, immobile, guardo lo scintillio delle
fiamme che riflette nei miei occhi senza luce; rivolgo
l’attenzione a quel fumo, a quell’uomo che
paralizzato dalla paura ora mi fissa, mi guarda con quella faccia
ossuta, paonazza, annerita,
con quello sguardo di chi sa che deve morire.
Fumo. Orrore.
Desolazione.
È
morto.
E’
morto. Quell’uomo è caduto in ginocchio, ed
è morto mentre mi guardava: crepando di dolore, di un caldo
infernale, crepando con quel fumo nei polmoni, mentre va in fiamme.
Quell’uomo non assomiglia più ad un uomo: è una palla informe di fuoco; lui stesso è fumo adesso, quello stesso fumo soffocante che aveva respirato prima di morire.
Quello stesso
fumo che io respiro, e che non mi provoca alcun fastidio, quello stesso
fumo che ha oscurato il paesaggio.
Non riesco a vedere bene, adesso il fumo è troppo denso, ma so che non è rimasta traccia di quelle case, di quella gente.
E’ crollato tutto: ci sono solo macerie e, sotto a quella coltre grigia, centinaia di cadaveri bruciano, alimentano quel fumo che, sospinto dal vento, arriva a sfiorare il cielo e a toccarne quell’azzurro limpido, sporcandolo di nero.
Non ricordo
niente di me: il mio passato è stato allontanato con forza
dalla mia mente; nuovi pensieri hanno preso il posto di altri pensieri,
sono stato privato di ricordi, nozioni, parole.
Sono stato
privato d’ogni emozione: mi hanno reso superiore, non sento
fame e freddo, non sento l’odore del fumo, provo
un’unica sensazione, una voglia incontrollata di distruggere.
La mia
espressione è brutale: non mi importa di quello che ho
fatto, del mio essere spaventosamente crudele, del mio essere stato
solo un ragazzo qualunque, di essere stato privato
dell’anima.
La
città è grande, abbiamo appena cominciato.
Afferro una pietra e la chiudo nella mano, la sbriciolo con
facilità: diventa polvere, e granello dopo granello sfugge
dal mio pugno chiuso; incapace di qualsiasi umanità respiro
quel fumo, quel dolore, quel vento che alza la cenere e la fa vorticare
tenendola prigioniera.
Respiro
per inerzia, non mi serve respirare.
Sono libero di
sorridere alla sofferenza, libero di continuare a distruggere, libero
di essere crudele, di essere bastardo, libero dalle lacrime che rendono
l’uomo fragile.
Non ci sono
rughe sulla mia pelle, non ci sono lacrime sulle mie guance, non
c’è altro che ghiaccio nel mio sguardo; non
c’è altro che questo.
Il dottor Gelo
non voleva che provassi paura, che provassi pietà e rimorso,
che provassi debolezza. Quel fottuto bastardo non voleva; le sue mani
fredde e avide mi hanno strappato il cuore, hanno ridotto a brandelli
la mia anima, hanno fatto dissolvere ogni mio sentimento, ogni briciolo
d’amore.
Mi
hanno reso una macchina.
Inghiotto il mio
disappunto, ogni tanto è come se qualcosa in me non fosse
spento, che tornasse per reclamare ciò che ero, che
pretendesse la mia ribellione e quella di mia sorella, che ora mi
osserva soddisfatta da questa desolazione, dal fumo che lascia
intravedere appena le alte fiamme.
Cosa mi hai
fatto, lurido schifoso? Non trovo risposte, non trovo speranze, non
trovo via di fuga da questa vita non vita, da questo mio corpo che hai
riplasmato a tuo piacere.
La cattiveria mi
consuma: scorre nel mio corpo, guida ogni mio gesto, ogni mia parola,
si è impossessata di me.
C 18 emerge da
quel fumo; in piedi, silenziosa, mi guarda: aspetta un mio cenno per
ricominciare, non siamo mai stanchi, non abbiamo bisogno di riposare,
di dormire, non abbiamo bisogno di niente di umano.
Avanzo verso di lei, sono trascinato dal mio destino, trascinato verso nuovo dolore, verso nuove vittime.
Il tempo passato
non esiste più, conta solo il futuro; la sfioro appena senza
sorriso, le mie dite incontrano il suo viso, è
così bella mia sorella, così insensibile, anche
la sua testa è piena di nebbia, di confusione, di rabbia.
Frastuono e fumo
turbinano attorno alle nostre figure: adesso possiamo andare, adesso
quel fumo denso blocca i raggi del sole, ma non importa, noi
cyborg non abbiamo bisogno di calore.
Fine.
Ciao a tutti,
è la prima volta che scrivo qualcosa sui cyborg , spero che
il risultato non sia deludente, mi farebbe piacere un commento, il
vostro parere è sempre bene accetto.
Un bacio grande
da
LORIGETA ^^