Libri > Divergent
Ricorda la storia  |      
Autore: anonima K Fowl    21/04/2014    4 recensioni
È sera.
In camera propria, un bambino attende alla finestra, conscio dell'orribile piega che prenderà il rientro di suo padre a casa.
Una triste One Shot di paura e lacrime per il piccolo Tobias.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Four/Quattro (Tobias), Marcus Eaton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

SAD MEMORIES

So già che questa fanfiction esaspera forse un po' troppo il momento, ma volevo rendere l'idea. Buona lettura...
AKF







Sbircio ancora una volta dalla finestra che dà sul vialetto di casa.

Oh no.

Un'auto parcheggia proprio davanti al portone.

No. No. No.

Torcendomi le mani, faccio qualche passo indietro e mi sistemo nervosamente contro la parete opposta alla soglia della mia camera. Ho un groppo alla gola, un nodo che rischia di soffocarmi e che non riesco proprio a mandare giù.
Quante volte ancora, quanti giorni e mesi ed anni, dovrò subire nel terrore l'attesa del suo rientro prima di abituarmi? Un tempo speravo che sarei riuscito a mettere l'angoscia da parte. Ma ovviamente ormai non spero più. 
Non spero mai.

Mio padre è tornato a casa.

So cosa succederà, oh lo so. Comincio ad infilzarmi le unghie nei palmi delle mani, incapace di sopportare quest'ansia e con il solo desiderio che la serata sia già finita.
Mi sfugge un singhiozzo.
Porto entrambe le mani alla bocca e mi accorgo di star tremando violentemente, mentre sento il portone di casa sbattere al piano di sotto.
Ogni sera è come la precedente, ogni sera penso che mi scoppierà il cuore.
Gli affannosi battiti nel mio petto accompagnano i passi regolari di mio padre mentre sale le scale, scandendo il tempo che mi rimane come se fossi un condannato che aspetta la propria fine.
Lo sento fermarsi di fronte alla porta di camera mia.
Se possibile, mi schiaccio ancora di più contro la parete, cercando di farmi il più piccolo possibile.

Non esisto. Non esisto.
Me lo ripeto in preda al terrore, come per convincere anche me stesso oltre che mio padre.

Non esisto.

Non sono nessuno.


Apre la porta, Marcus, ed entra.
La paura fortissima che mi stringe le viscere mi impedisce di alzare lo sguardo: temo che quando incontrerò i suoi occhi vedrò orbite vuote, o peggio vedrò la folle crudeltà che si nasconde in fondo all'iride apparentemente pacata. Lo vedrò per chi è realmente.
La gente lo apprezza, la gente lo stima.
Ma non è così come tutti credono ed io lo so. Lo so io e lo sapeva anche la mamma. Solo noi due.
Come sempre mio padre è avvolto in capi grigi da Abnegante e mi si avvicina con il suo solito portamento fermo ma sciolto. Sotto la camicia grigia intravedo la cintura.
Odo un mugolio atterrito e mi accorgo che è il mio.
- Ciao, Tobias.
In preda al terrore stringo i denti, ma è impossibile fermare il fremito che mi scuote da capo a piedi e lo sfregare isterico delle mie mani.
- Non mi rispondi?
Vedo distintamente la sua mano avvicinarsi ai pantaloni.
- Scusa, papà. B-buonasera, papà. - squittisco in tono stridulo. In realtà so benissimo che anche essere accomodante non mi salverà, come non mi ha mai salvato.
Sospira.
Quasi a dire "Sei proprio una delusione, Tobias". Che è esattamente una delle sue frasi preferite, tra l'altro.
Le dita lunghe iniziano ad aprire il gancio di metallo e sfilare la fibbia.
Non riesco a mandare giù la saliva, sento crampi allo stomaco.
Istintivamente, porto la mano al livido violaceo sotto il mio occhio sinistro, regalo di qualche giorno fa. Quella sera dopo avermelo impresso mi aveva picchiato più a lungo, irritato dal segno visibile sulla mia pelle: era stato costretto a inscenare una mia malattia per far sì che stessi a casa, evitando così la possibilità che qualcuno si facesse domande. Che spreco di tempo, per una persona seria e impegnata come lui.
- A-aspetta, papà. A-aspetta un mo-momento.
L'uomo non si ferma un istante, ignorando le mie pietose suppliche che come unico risultato fanno sorgere una smorfia sul suo volto.
Ancora non riesco a incrociare il suo sguardo, la paura mi blocca al mio posto e al contempo mi costringe a seguire con lucidità le sue mosse.
- Ci vuole disciplina, Tobias, in questa casa. Come ti permetti di parlarmi con quel tono? Tu non vali niente, sei un bambino cattivo, e meriti una punizione adeguata.
Le parole mi si incidono a fuoco nella mente.

Non vali niente.
Sei un bambino cattivo.


Immagini confuse e dolorose di mille altre sere mi si accavallano tra i pensieri.
Minando la mia autostima già inesistente, portandomi sull'orlo del baratro.

Meriti una punizione adeguata.

- Avvicinati subito.

È un ordine.
Ed io non posso farci niente.
Comincio a piangere e singhiozzare forte, ma mi avvicino.
- Sei davvero patetico, Tobias. 

Sono patetico. Sono cattivo. Non valgo niente. Sono orribile. Sono sbagliato. Tobias.
Disciplina. Merito di essere punito. Merito di essere picchiato.
Uno come me se le merita tutte, queste cose.
Quando la mamma era ancora viva mi diceva che ero un bravo bambino e che non era colpa mia. Un pochino la ascoltavo. Adesso credo solo che si sbagliasse... Una parte di me però è contenta che non si fosse accorta di quanto cattivo fossi, che mi credesse buono e mi volesse addirittura bene. Ma ora lei è morta.
E comunque ora so anche che non meritavo il suo affetto. Sono cattivo. Sono sbagliato. Sennò perchè dovrei essere punito?

- Togli la maglia.
Obbedisco. Le lacrime scendono copiose sulle mie guancie.
Ancora un po' più vicino: mio padre è davanti a me. Senza darmi tempo di finire l'ultimo passo verso di lui, la sua mano scatta verso l'alto e si riabbassa con violenza. Grido.
All'inizio sento solo lo schiocco secco, ma è dopo il primo momento che un dolore lancinante, bruciante, mi ferisce il petto verso la spalla.
Mi getto a terra, raggomitolandomi su me stesso, coprendo la testa con le mani. Visto l'incidente del livido sotto l'occhio, non credo che stasera mi costringerà a rialzarmi. Forse, solo forse, si limiterà a colpire la schiena.
I colpi fendono l'aria e si abbattono con precisione sulla mia pelle.
Urlo a pieni polmoni, è impossibile resistere, e tanto la nostra casa è al limitare di una zona isolata: nessun vicino mi sentirà.
Altri schiocchi. Altro dolore.
Le mie grida suonano alle mie orecchie tanto disumane che nemmeno riconosco la mia voce.
Fa male.
Ho paura.
Mentre questa tortura prosegue, sento il sapore salato delle mie stesse lacrime in bocca e il mio viso è incrostato di polvere e pianto.
Nell'aria mi pare di avvertire l'odore metallico del sangue.
Non so se sia vero o se la mia schiena sia intatta, per quanto intatta possa essere.
Forse me lo sto immaginando. Non lo so. Fa male. Non ho idea di quando finirà. Ho paura. Vorrei essere un bambino qualsiasi e avere una famiglia felice. Odio questa vita. La mia vita.
Perdo i sensi, ma non del tutto.

Riprendo gradualmente coscienza della realtà. 
È finita. 
Mio padre non è più qui in camera: probabilmente è già a letto.
Mi alzo e mi rinfilo la maglia. La schiena è tutta un bruciore e al minimo movimento mi fa male. Passo ripetutamente le maniche grigie sulle mie guancie, sugli occhi e sotto il naso colante. Le goccie intrappolate tra le mie ciglia se ne vanno. Tiro su col naso un'ultima volta. So di avere gli occhi e il naso rossi a furia di piangere, ma non è nulla che con una nottata di sonno non si possa cancellare.
Tranquillizzandomi un pochino, cerco di ignorare i rimasugli di paura e vergogna che sento dentro. È come se non avessi alcuna dignità, a pensarci bene non sono neanche sicuro che lui mi consideri a pieno titolo suo figlio. Non sono neanche sicuro di volerlo.
Singhiozzando silenziosamente, senza lasciare sfuggire alcun suono, salgo sul letto e mi distendo sotto le coperte.

È finita.
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Divergent / Vai alla pagina dell'autore: anonima K Fowl