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Autore: yllel    22/04/2014    6 recensioni
La prima volta che succede, Sherlock Holmes non se ne accorge subito.
Something got broken.
One shot sherlolly post stagione tre (spoiler, spoiler, spoiler).
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Girava nella mia testa da un po’, anche mentre scrivevo le ultime storie, spero di non aver fatto pasticci. Post terza stagione (tranne i missing moments collocati all’interno dell’ultimo episodio), che io non ho visto. Appunto, spero di non aver fatto pasticci.
Come sempre non mi appartiene nulla (neanche la canzone di Elisa, ci mancherebbe) e il tutto va ricondotto alla serie Sherlock BBC e ai suoi creatori.
 
 
Broken
 
 ‘cause it’s broken broken
Something got broken

Elisa - Broken
 
 
“Sei… sei sicuro che stia bene? Che sia fuori pericolo?”
“Si. I dottori dicono che il peggio e’ passato, ma ha rischiato davvero di non farcela. Ancora non riesco a crederci, e’ successo tutto cosi in fretta! E’ pazzesco... pazzesco”
“Hai l’aria esausta”
“Mi sembra di essere sveglio da secoli... Mrs Hudson sta arrivando per darmi il cambio, ma se vuoi la chiamo e le dico che rimani tu”
“No. Io... io sono solo passata per vedere come andava”
“La morfina lo tiene per lo piu’ in stato di incoscienza, ma sono certo che avere una presenza al suo fianco lo aiuti e dovrebbe comunque svegliarsi per qualche momento. So che gli farebbe piacere vederti. Vuoi entrare?”
“No. Io... devo andare. Ti prego, quando stara’ meglio digli che... digli che sono passata e che mi auguro che si riprenda del tutto e al piu’ presto”
“Molly... perche’ invece non ti siedi per un po’ accanto al suo letto e non glielo dici tu stessa?”
“No. Grazie di tutto, John”
 
***
 
La prima volta che succede, Sherlock Holmes non se ne accorge subito.  A sua giustificazione puo’ annoverare il fatto di essere appena sceso da un aereo che doveva portarlo verso morte sicura, giusto in tempo per scoprire che qualcuno o qualcosa ha risuscitato il suo peggior nemico e ha gettato tutto il Regno Unito nel panico.
L’immagine di Jim Moriarty che ha visto e rivisto mentre tornava verso Londra sulla macchina di suo fratello puo’ essere  tante cose: una presa in giro, una provocazione... un abile trucco o il prodotto di una qualche tecnologia sofisticata, ma Sherlock Holmes si rifiuta di pensare che possa essere anche vera, perche’ lui era su quel tetto e ha visto quell’uomo spararsi in pieno volto.
Mycroft si e’ personalmente assicurato che il cadavere venisse rimosso e analizzato prima di disfarsene, quindi ogni forma di dubbio non e’ ammissibile ed e’ quello che il consulente investigativo  ha ripetuto a John e a Mary, a Lestrade e a Mrs Hudson.
E’ quello che dice anche a Molly Hooper nel laboratorio del Bart’s quando la raggiunge, mentre non riesce a nascondere del tutto una sorta di eccitazione che accompagna le parole che escono veloci, secche e concise dalla sua bocca.
Perche’ lui e’ Sherlock Holmes: puo’ essere preoccupato e forse un po’ in ansia per le persone a lui care, ma il fascino sottile di un nuovo gioco lo sta gia’ invadendo e l’unica cosa a cui riesce a pensare e’ che deve tornare a Baker Street, per riorganizzare con calma le informazioni e cominciare ad agire.
Molly Hooper lo ascolta mordendosi pensierosa il labbro inferiore, gli occhi rivolti verso un punto lontano del laboratorio e le mani posate in grembo.
Non c’e’ niente nell’atteggiamento della patologa che tradisca una qualche forma di paura o ansia, tuttavia Sherlock avverte di nuovo impellente quell’urgenza di rassicurare che e’ una cosa nuova e un po’ fastidiosa, ma per lui necessaria: non permettera’ che qualcuno faccia del male ai suoi amici e ha bisogno che loro lo sappiano.
 “Non ti accadra’ nulla, sarai al sicuro. Mycroft ha gia’ predisposto una fitta rete di sorveglianza e al piu’ presto risolveremo anche questa faccenda. Sai bene anche tu che non puo’ essere davvero lui” le dice con convinzione.
Molly sposta finalmente gli occhi su di lui.
“Ok, grazie di essere passato a dirmelo” dice, alzandosi poi in piedi e dirigendosi verso uno dei suoi piani di lavoro.
Sherlock registra l’espressione leggermente stupita di John al suo fianco, ma francamente non ne capisce il motivo: Molly e’ la donna che e’ uscita con Jim Moriarty per tre volte e  poi l’ha mollato, e’ la donna che ha spinto un cadavere giu per una finestra per salvargli la vita e ha taciuto per due anni il suo piu’ grande segreto... cosa si aspettava il Dottore, una crisi isterica?
No, non lei.
Mentre la osserva radunare qualche attrezzo e poi spostarsi dall’altro lato della stanza, evidentemente pronta a riprendere il suo lavoro, Sherlock sente un improvviso moto di orgoglio al pensiero di quanto siano forti le persone che lo circondano e fanno parte della sua vita.
Al momento della sua partenza pensava di doversi lasciare tutto questo alle spalle, ma ora non vuole pensare a come si e’ sentito quando ha saputo di dover prendere quell’aereo e a quanto alcune scelte siano state difficili.
Adesso e’ di nuovo qui, il passato non conta.
La voce di Molly arriva a interrompere le sue considerazioni.
“Naturalmente sai  che se ne avrai bisogno il laboratorio sara’ a tua disposizione”
C’e una strana sensazione che si trascina dietro a quell’ultima frase detta a chiusura  della conversazione (Molly ha cominciato a sistemare qualche campione sotto il  microscopio), ma Sherlock non riesce bene ad individuarla ed e’ davvero ora di andare, per cui annuisce deciso ed esce dal laboratorio, seguito dal suo amico che borbotta un saluto veloce.
Quando entrambi sono nel taxi che deve portarli a Baker Street, John da’ voce ad alcuni dubbi.
“Molly sembra riuscire a gestire bene tutto quello che sta accadendo”
Sherlock non si cura di rispondere, la sensazione e’ ancora li, che bussa per emergere e farsi chiara e lui ne e’ irritato, non puo’ davvero essere importante in questo  momento.
Perche’ allora non smette di assillarlo e distrarlo?
“Non vorrei fosse invece solo una calma apparente che nasconde uno stato di shock” continua a ragionare John “ma d’altronde penso che ormai siamo un po’ tutti abituati ad avere a che fare con questo genere di situazioni, anche se non e’ certo piacevole. E di buono c’e’ che tu non sei dovuto partire per quella missione all’estero, se proprio vogliamo trovarci un lato positivo. Sei mesi... ti saresti perso la nascita della bambina. E invece eccoci qui e ne verremo a capo, ne sono sicuro, e questa volta lo faremo tutti insieme”
Le parole di John sono contemporaneamente un messaggio di speranza e una minaccia, sta avvertendo Sherlock che questa volta non dovra’ agire da solo, che non si deve sognare neanche lontanamente di escluderlo da qualsiasi cosa stia per succedere; il discorso serve pero’ anche a far si che la fastidiosa sensazione prenda finalmente forma e Sherlock realizzi che cosa ha stonato nel suo colloquio con Molly, la cosa di cui avrebbe dovuto accorgersi subito se non fosse stato cosi ansioso di cominciare ad occuparsi del caso.
Lei gli ha detto che, se ne avra’ bisogno, il laboratorio sara’ a sua disposizione.
Non ha detto altrettanto di se’ stessa.
 
***
 
“Dunque... tu. Io e Mary. Mrs Hudson e i tuoi genitori”
“E Mycroft”
“Giusto. Mycroft. Beh, e’ Natale no? Nessun altro?”
“E chi altro dovrebbe esserci, John?”
“Nessuno, certo. Nessuno”
 
La citta’ e’ investita da una  serie di omicidi efferati senza nessun apparente collegamento tra di loro, come se qualcuno stesse semplicemente colpendo a caso in preda a una furia cieca, ma Sherlock vede il quadro nella sua interezza e sa che il tutto ha invece  l’aspetto e il sapore acre della vendetta: qualcuno sta colpendo i traditori, i voltafaccia e i codardi, quelli che con la scomparsa di Moriarty hanno preferito rintanarsi nei loro angolini o farsi la guerra per prendersi  un pezzettino di cio’ che era rimasto, come sciacalli che si abbattono sulle carogne e si litigano i pezzi migliori.
Questa mattina, nell’obitorio c’e’ un patologo che si mostra ansioso di aiutare Sherlock e John e che non aspetta altro che di sentirsi dire quale cadavere deve estrarre dalle celle frigorifere.
La presenza di Mike Stamford non e’ casuale, e’ li per assicurarsi che tutto vada bene e che non ci siano problemi con quest’inaspettato cambio di scenario.
“Dov’e’ Molly?”
La voce profonda di Sherlock tradisce solo un pizzico di irritazione: in fondo ha gia’ lavorato con il Dottor Coleman e fra tutti gli incompetenti che abbondano in questo ospedale lui e’ il piu’ accettabile, qualcuno con cui per lo meno si puo’ evitare di essere profondamente annoiati, visto che e’ sempre cosi felice di compiacere e di rendersi utile.
Tuttavia, non e’ Molly.
“Di sopra, con gli studenti” replica veloce Mike “Il Dottor Humming ha avuto un’emergenza in famiglia e stara’ assente per qualche giorno, lei si e’ offerta di sostituirlo. Benedetta ragazza, mi ha risolto un bel problema altrimenti avrei dovuto annullare le lezioni, anche se sinceramente non sapevo che fosse interessata all’aspetto dell’insegnamento, ma meglio cosi. Abbiamo preso due piccioni con una fava, potra’ fare un po’ di pratica”
I tre Dottori rimangono in attesa di un qualche scoppio di rabbia o di un rifiuto a lavorare con un patologo diverso, ma Sherlock non replica nulla per qualche secondo e poi in tono secco chiede al Dottor Coleman di fargli vedere la vittima dell’omicidio a Piccadilly Circus, un avvocato a cui hanno sparato il giorno precedente da un’auto in corsa; gli basta un’occhiata veloce per capire che, una volta effettuate le analisi di routine, il calibro dell’arma utilizzata non risultera’ lo stesso dei quattro precedenti omicidi di cui si e’ occupato questa settimana (e nessun riscontro nel database, naturalmente), che l’uomo stava per prendersi un caffe’ e, cosa piu’ importante, stava per fuggire all’estero, alla ricerca di un luogo sicuro in cui nascondersi.
Da chi o da che cosa, e’ ancora difficile da stabilire.
Il Dottor Coleman chiede entusiasta se c’e’ qualcosa d’altro che puo’ fare per loro, ma Sherlock esce dall’obitorio senza nemmeno degnarlo di un’occhiata o di un ringraziamento, della qual cosa e’ sicuro si occupera’ John prima di scambiare due chiacchiere con Mike.
Nel corridoio si appoggia per un attimo al muro e cerca di dare ordine alle informazioni che ha appena raccolto, poi quando ha finito lascia che il pensiero che ha ostinatamente tenuto indietro negli ultimi cinque minuti si faccia largo dentro di lui e serra la mascella, contrariato e confuso.
Perche’ se c’e’ una cosa di cui e’ assolutamente sicuro, e’ che Molly Hooper odia insegnare.
 
***
 
“John e Mary Watson saranno sulla pista di partenza, potrai salutarli”
“Bene. Grazie, Mycroft... lo apprezzo molto”
“Posso arrangiare la presenza di qualcun altro, se vuoi”
“Qualcun altro? No, non e’ necessario”
 
Al caos delle prime tre settimane che sono seguite al messaggio con il volto di Moriarty si e’ sostituita una calma apparente, che sta logorando i nervi di tutti.
Sherlock odia aspettare e non sapere, il che e’ esattamente cio’ che in questo momento  e’ invece costretto a  fare, il suo nervosismo sta contagiando anche chi gli e’ vicino e tutti vivono col fiato sospeso per la paura e l’angoscia di come la situazione si evolvera’.
Mary Morstan Watson un giorno sbotta e dice che cosi non si puo’ continuare, che la loro vita deve essere fatta anche di altro invece che solo di questa attesa snervante, e che organizzera’ una cena che permetta loro di avere una serata normale, cosa che si meritano senz’altro; la donna passa in azione, estende gli inviti e pianifica il menu’ mentre contemporaneamente gli uomini della scorta discutono particolari sulla sicurezza nella sua cucina.
Se Mycroft disapprova questa cena non lo fa sapere, anche se naturalmente declina cortesemente l’invito, mentre Sherlock Holmes viene minacciato di non mancare perche’ saranno tutti li ed e’ questo che fanno gli amici.
Stanno insieme nel momento del bisogno.
Questa sera Mary gli apre la porta con un sorriso meraviglioso e lui le da’ un bacio sulla guancia; lei per tutta risposta  lo stringe in un abbraccio forte quanto glielo permette il suo ventre ormai ben arrotondato.
Sherlock entra in soggiorno e trova gli altri seduti sul divano e sulle poltrone intenti a sorseggiare un aperitivo:  i loro volti raccontano i giorni di preoccupazione che stanno vivendo, ma anche la gioia di ritrovarsi insieme.
E’ Mary che nota il suo sguardo perplesso mentre lui osserva il numero di posti apparecchiati a tavola: gli si avvicina e gli tocca lievemente il braccio.
“Molly proprio non ce l’ha fatta” gli dice dispiaciuta “Ci ha davvero provato, ma stasera non e’ riuscita a cambiare il suo turno. Pazienza, vorra’ dire che abbiamo la scusa per organizzare un’altra cena al piu’ presto”
Sherlock annuisce distrattamente e accetta un bicchiere di vino bianco che John gli porge, poi si sforza di sorridere a Mrs Hudson che gli ha appena detto qualcosa.
L’unica cosa a cui riesce a pensare e’ che prima di venire a casa Watson ha controllato.
Molly ha finito il suo turno circa due ore prima.
 
***
 
“Grazie”
“Prego, Dottoressa Hooper. Devo assumere che la Sua idea sia definitiva?”
“Si”
“In questo caso, la mia assistente la fara’ riaccompagnare a casa”
 
“Tu ti stai allontanando”
Sherlock non e’ riuscito a trovare altre parole per descrivere cio’ che sta succedendo. Ci ha riflettuto molto piu’ di quanto in teoria avrebbe dovuto fare, perche’ in fondo Molly lo sta ancora aiutando, perche’ niente e’ cambiato rispetto al suo libero accesso a tutto cio’ che gli serve e perche’ sa che si prospettano avvenimenti importanti, che richiederanno tutta la sua attenzione e concentrazione, e non dovrebbe quindi lasciarsi distrarre dal fatto che c’e’ qualcosa di sbagliato, di profondamente sbagliato e stonato fra di loro.
Ci ha riflettuto molto e ha fatto molta fatica, perche’ ha dovuto escludere tutte quelle sensazioni e tutto quel disappunto che ha provato negli ultimi giorni, cosi estranei e cosi alieni per lui,  per sostituirli con una logica e razionale analisi dei fatti e alla fine, c’e’ un’unica cosa che riesce a dire a Molly nel silenzio del laboratorio questa notte.
Tu ti stai allontanando.
La vede voltarsi lentamente verso di lui, in modo molto diverso da come ha fatto piu’ di tre anni fa quando e’ venuto a chiederle aiuto: quella volta ha sussultato spaventata dall’intrusione della sua voce, adesso e’ calma e i suoi gesti riflettono una sorta di rassegnazione, quasi stesse aspettando da tempo questa conversazione.
Come gli e’ successo pochissime volte nella sua vita, Sherlock si ritrova a desiderare che la sua deduzione sia sbagliata, a desiderare che Molly sorrida stupita e gli dica che non e’ vero, che lei ci sara’ sempre , che ha davvero avuto voglia di provare ad insegnare e non si e’ offerta volontaria per evitare di lavorare insieme a lui, che la cena a casa di Mary e’ saltata per un disguido dell’ultimo momento per il quale e’ dovuta rientrare in turno.
Molly pero’ non parla subito e si avvicina a una sedia, dove appoggia la sua borsa e si ferma per guardarlo qualche attimo, mentre un sorriso triste arriva sul suo volto.
“Ciao, Sherlock”
Il suo tono di voce e’ lieve e privo di qualsiasi connotazione che di solito lui e’ abituato ad associargli: timidezza, nervosismo, gioia, preoccupazione... perfino rabbia.
No, il tono di Molly invece e’ stanco.
“Perche’?”
Non ha bisogno di elaborare oltre la sua domanda, sa che lei lo capira’, sa che capira’ il suo bisogno di comprendere e di sapere cosa sta succedendo.
“Perche’ e’ arrivato il momento di farlo”
La risposta e’ repentina e semplice, cancella ogni speranza di errore: non c’e’ nessuna negazione, non c’e’ stato nessun malinteso o fraintendimento.
Sherlock stringe i pugni nelle tasche del cappotto.
Nel laboratorio torna il silenzio, carico di attesa per una spiegazione che tarda ad arrivare e di dispiacere per le conseguenze che tale spiegazione portera’ con se’.
“Perche’?” torna a domandare lui, mentre il desiderio di rimediare a qualsiasi cosa e a qualsiasi parola sbagliata che possano essere passate tra di loro lo fa cominciare a parlare a raffica.
“La ricaduta nelle droghe e’ stata per un caso, l’ho gia’ ripetuto molte volte ma sei hai bisogno di essere rassicurata su questo punto sono disponibile a farlo. Sono pulito da molto tempo. Non devi credere a tutto quello che hai letto sui giornali rispetto a quella donna, so che il fatto di averla usata a quel modo non e’ ritenuto moralmente corretto ma, credimi, il caso di cui mi stavo occupando ha richiesto delle soluzioni estreme che mi hanno portato a prendere decisioni forti ma inevitabili, delle quali sto ancora affrontando le conseguenze”
“Lo so”
Lei  lo interrompe senza alzare la voce e tuttavia le sue parole lo bloccano all’istante; Molly non aggiunge altro perche’ non ce n’e’ bisogno.
Lo so.
E’ facile intuire cosa significhi questa affermazione e se e’ cosi, non c’e’ rimedio. Sherlock non potra’ mai cancellare il fatto di aver ucciso un uomo a sangue freddo, per quanto spregevole fosse quest’uomo e per quanto fosse grande il pericolo che rappresentava per le persone che ama.
Resta comunque il fatto che ha commesso un omicidio.
E Molly lo sa.
Non c’e’ piu’ bisogno di nessuna spiegazione, il suo comportamento e’ spiegato: non riesce a stare vicino ad un assassino.
Sherlock si volta e si prepara ad abbandonare il laboratorio in preda a sentimenti contrastanti: una parte di lui ha risolto il puzzle ed e’ soddisfatta, ma un’altra non puo’ fare a meno di sentirsi sconfitta.
Il prezzo da pagare gli sembra improvvisamente troppo alto.
“Io non ti giudico”
La frase di Molly lo fa voltare e per un attimo nei suoi occhi ritrova la fiera determinazione e la fiducia che lei gli ha sempre dimostrato.
“Io non giudico nessuno” aggiunge lei scuotendo il capo.
Sherlock capisce stupito che si sta riferendo a Mary.
“Come...”
“Non e’ stato cosi difficile collegare le cose. Non per me, per lo meno”
Lui prova una punta di ammirazione profonda, che pero’ si tramuta presto di nuovo in confusione.
Se il comportamento di Molly non e’ dovuto alle sue azioni durante il caso Magnussen, allora quali sono le cause dell’abisso che sembra essersi creato tra loro due?
La patologa si appoggia piano ad un tavolo e lo guarda e Sherlock ha quasi la sensazione che gli stia leggendo dentro.
“Sai, non sono stata io a rompere il fidanzamento con Tom” le sue parole sono quasi un sussurro “Non lo amavo, non come lui meritava  di essere amato, per lo meno. Ma ero pronta a sposarlo ugualmente, mi dicevo che mi sarei impegnata al massimo e che far funzionare il matrimonio non sarebbe stato cosi difficile, perche’ lui era un brav’uomo gentile e rispettoso, divertente e affidabile, che voleva vedermi felice. Ero pronta a legarmi a lui per tutta la vita e stavo per farlo con un sacco di menzogne, la prima fra tutte che quella fosse la cosa che piu’ desideravo al mondo. Questo non fa di me una brava persona, non credi? Questo fa di me una bugiarda e un’imbrogliona. E una codarda”
No.
Il pensiero arriva istantaneo: non puo’ permetterle di attribuirsi delle cose non vere, lei e’ una delle persone piu’ oneste e coraggiose che abbia mai conosciuto.
“Molly...”
Lei alza una mano per bloccare il suo tentativo di interruzione.
“Poco dopo il matrimonio di John, una sera Tom ha cominciato a parlarmi: non urlava, non recriminava e non era arrabbiato. Semplicemente quell’uomo se ne stava li... nel mio salotto, nella mia casa... e spiegava a me perche’ io non potessi sposarlo. Mi spiegava con calma e rassegnazione i miei stessi pensieri e i miei sentimenti e io non ho potuto fare altro che ascoltarlo, perche’ non sapevo cosa ribattere. Aveva ragione lui, su tutto. E un attimo dopo era uscito dal mio appartamento e dalla mia vita e il cielo mi perdoni, tutto quello che riuscivo a provare era sollievo per il fatto che fosse stato lui a prendere in mano la situazione, a stabilire per entrambi come io in fondo non fossi andata poi cosi avanti.  
E poi le cose sono semplicemente precipitate”
Sherlock  osserva Molly fare un sorriso amaro e ripensa al giorno in cui John lo ha trascinato in questo laboratorio per eseguire il test tossicologico:  vorrebbe dare la colpa allo stress per il caso che stava seguendo, al fastidio di essere stato trovato dal suo migliore amico in quel tugurio e per essere stato portato al Bart’s, alla vergogna mista a rammarico per l’esame che lei ha dovuto eseguire, alle sostanze che erano ancora in circolo nel suo corpo.
Vorrebbe dare la colpa a qualsiasi cosa, tranne che a se’ stesso e al momento di debolezza e rancore che ha buttato addosso a Molly.
Mi spiace che il fidanzamento sia finito, sebbene sia grato per l’assenza dell’anello.
Smettila.
Tuttavia c’e’ dell’altro, lui lo sa.
“John disse che eri passata in ospedale e che nonostante non ti fossi voluta fermare, eri preoccupata e desiderosa che io stessi meglio. A quel punto eri imbarazzata e ancora un po’ delusa, ma non piu’ arrabbiata. Dimmi che altro e’ successo”
Dimmi dove ho sbagliato.
“Non mi hai ritenuta necessaria”
Sherlock sbatte le palpebre per un paio di volte, sorpreso da quell’affermazione che prende corpo e senso nella sua mente in pochi secondi.
“Qualcuno ti ha detto che stavo partendo” le dice.
Non e’ difficile capire chi: non John o Mary, troppo presi dai loro segreti , a cui ha chiesto di non divulgare la notizia e che hanno accettato convinti che si trattasse di un’assenza di soli sei  mesi.
Rimane solo una persona.
Una sorda rabbia lo invade e stringe di nuovo i pugni.
Il sorriso di Molly adesso e’ ancora piu’ amaro, appena accennato.
“Mycroft e’ un uomo gentile, a suo modo. Ha sempre detto che un giorno avrebbe onorato il debito che la vostra famiglia aveva nei miei confronti per averti aiutato, e l’ha fatto nel modo meno convenzionale possibile. Mi ha parlato e mi ha spiegato cosa stava per succedere, tutto quanto, e mi ha dato una scelta. Se lo avessi voluto, quel giorno avrei potuto presentarmi all’aereoporto e salutarti, dirti addio... io invece gli chiesi di domandarti se tu desiderassi avere vicino qualcun altro in quel momento, perche’ sapevo che non era cosi.
Avevo solo bisogno di averne la conferma o forse in fondo speravo di sbagliarmi, speravo che tu almeno chiedessi di salutarmi che ne so, anche solo per telefono... ma lui naturalmente fece di piu’, mi porto’ la registrazione del vostro colloquio”
Non e’ necessario.
“E questo e’ stato il momento in cui ho accettato la realta’, ecco tutto” riprende Molly, tornando a guardarlo dritto negli occhi “E’ come quando da bambino ti dicono di non toccare una cosa che scotta e tu la tocchi ugualmente e ti fai male, eppure una parte di te non riesce a non essere fiero del fatto che sei stato coraggioso, che hai affrontato la sfida. Tu sei stato il mio fuoco e la mia sfida per molto tempo, Sherlock Holmes... per qualche breve attimo sei stato anche qualcosa che mi faceva sentire fiera e coraggiosa, quando riuscivo ad avvicinarmi senza farmi del male, ma ultimamente non fai altro che bruciarmi. Non me lo posso piu’ permettere”.
A quelle parole, Sherlock si sente come se qualcosa di prezioso gli stesse scivolando dalle mani e improvvisamente realizza che non vuole perderlo, cerca un appiglio, qualcosa che gli dimostri che non tutto e’ compromesso.
“Perche’ mi stai ancora aiutando?”
Perche’ questo e’ un fatto oggettivo, qualcosa che lei non ha smesso di fare e allora forse...
Forse c’e’ speranza.
Lei fa un respiro profondo ed e’ di nuovo la Molly determinata che in quella notte ormai lontana non ha esitato a chiedergli di che cosa avesse bisogno.
“Perche’ devi risolvere questo caso” dice sicura “Ti servira’ tutto  l’aiuto possibile e di essere circondato da persone di cui ti fidi, perche’ sappiamo entrambi che il peggio deve ancora arrivare. Questa e’ la mia promessa e non ne verro’meno. Io credo in te, Sherlock. Tu ce la farai”
Lui rimane in silenzio mentre Molly si rimette la borsa a tracolla e si avvicina all’uscita.
“Ma poi te ne andrai via, non e’ cosi?”
La blocca con l’ultima delle sue deduzioni, quella che fa piu’ male.
“Si”
Anche questa risposta che riceve (sussurrata, addolorata) fa male, e in questa notte e nel silenzio che arriva a sommergerla a nessuno dei due rimane altro da dire.
 
 
 
 
 
 
  
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