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Autore: Mariange7a    22/04/2014    0 recensioni
Rebecca è fidanzata con Alessandro da non molto tempo eppure i due litigano parecchio, nonostante al momento stiano dormendo tranquilli e abbracciati, Rebecca mette a nudo i suoi sogni trascinando se e il suo Alessandro in un'avventura costantemente in bilico tra l'ansia e l'eccitazione.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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TU RESTA QUA CON ME

Iniziava a fare caldo in quei giorni. L’inverno iniziava a diminuire e grado dopo grado il calore si sentiva fitto sulla pelle, anche la notte. Mi distesi, quasi del tutto sconfitta, in quel comodo letto protagonista di mille storie tinte d’ogni colore. La mia arma segreta, ancora una volta, sarebbe stata il mio animo da sognatrice. Mi immersi ancora una volta tra i miei desideri più forti, tra quelli incollati tra la pelle e le ossa, che quasi ne senti il respiro rilassante e intenso all’orecchio, nel collo e la carne si impregna di vivo, di passione e desiderio e i tuoi occhi non vedono più nulla se non il riflesso di ciò che è nella testa.
Mi mancava, non sapevo più come dirlo. Ogni vocabolario restava vuoto e privo d’ogni parola perché tutte riversavano, inutili, su di Lui. Ogni cosa in quella casa sapeva di noi, dei nostri ricordi, delle nostre risa
. Quel letto che mi abbracciava delle sue fresche lenzuola, era ancora intriso del nostro amore, a respirarlo il suo profumo s’esalava e quei ricordi mi raccontavano d’ogni giorno vissuto insieme, d’ogni carezza, d’ogni sguardo, d’ogni film visto dal televisore di quella stanza, che giaceva ormai intriso di polvere, intriso di passato, di vecchio, di andato. Mi ricordava di tutte le urla, delle carezze e delle liti furibonde finite facendo l’amore sotto le lenzuola fresche e finì ricordando, anche, il punto di frattura.
 Perchè alle volte basta un attimo e “amore” e “dolore” iniziano ad intrecciarsi facendo rima tra i ricordi e allora devi prendere una decisione: o addormentarti bagnata dalle tue stesse lacrime fredde, prive ormai d’ogni sentimento, oppure puoi semplicemente alzarti dal letto, lavare la faccia e sorridere alla prima notte d’estate dell’anno. Il mio istinto di sopravvivenza stava prendendo il sopravvento su tutti i momenti no.
Così, contrariamente ai miei sani principi caratteriali, decisi di vestirmi delle prime vesti, prendere furtivamente le chiavi della macchina e sgattaiolare, come un ladro, per le scale di casa. Appena la porta di casa fu chiusa alle mie spalle mi sentii la protagonista del film più bello di sempre, in cui nulla può andare storto perché i sogni hanno la meglio, sempre, su tutto. Non feci nemmeno in tempo ad avvertire le mie due migliori amiche che presto loro vennero giù, rimproverandomi, quasi, per il mio immancabile ritardo. Salirono presto in macchina e iniziai a correre per l’autostrada in direzione della città più vicina, con la voglia di chi ha bene in mente il concetto di “libertà”, con le luci della strada che riflettevano sull’asfalto e mi indicavano, quasi, il percorso da seguire. L’orario era un po’ insolito, l’adrenalina della fuga mi scorreva dentro sempre più forte, forte. . forte:
<< Rebi, perché vai così forte?? Rallenta! >>
-risi sicura di me, quasi a rassicurarle e decelerai subito.
Presto arrivammo, le porte di quella città sembravano essere aperte solo e soltanto per noi, quella sera. Il buio diminuiva con quegli alti lampioni che facevano da tetto a tutti i nostri percorsi, o forse diminuiva per le poche ore che ci separavano dal mattino. Iniziammo ad entrare nel primo locale a noi sott’occhio, le luci psichedeliche e quasi accecanti mi trascinarono, quasi a rallentatore, nel tunnel della confusione, associate a quella musica così assordante da non capirne le singole parole. A tutto quello ben presto mischiai dell’alcool e iniziai a convincermi che così, forse, riuscivo a tenerlo lontano, a tenere lontano da me quegli occhi azzurri intensi, quelle fossette irresistibili, simmetriche, quei capelli ricci biondo cenere, quel profumo che senti anche quando non c’è e quella sua voce che ti ritorna all’orecchio anche quando, ormai, non deve più. Chiusi gli occhi per cessare il suo centesimo ricordo e bevvi il terzo o forse quarto bicchiere di non so quale miscela colorata a me sconosciuta, i bicchieri andavano e venivano con molta facilità dalle mie mani e le risa delle mie amiche, che mi circondavano, in un certo qual modo appoggiavano quel mio atteggiamento poco salutare, ma forse era quello che volevo. Troppo tardi, forse, mi resi conto di essere risucchiata nel vortice della mia prima, vera, sbornia. Non me ne resi conto subito. Tutto, attorno a me, iniziò a rallentare, la mia bocca non smetteva di sorridere, la testa diveniva pesante e i miei occhi avevano chiara la vista come di chi è affetto dalla cataratta.
 Quel locale era stracolmo di gente, tanto che anche l’ossigeno faceva fatica a suddividersi per quelle molteplici persone. La confusione e il caldo stavano sfidando i miei limiti fisici così feci cenno alle mie amiche verso l’uscita. Non feci in tempo ad alzarmi dal nostro tavolino e ad avvicinarmi verso la porta d’uscita per prendere un po’ d’aria che inciampai e spinsi accidentalmente un ragazzo:
 << oddio! Scusa, non mi sento molto bene, non volevo! >> - questo si girò di scatto e io, per quanto la mia vista non fosse delle migliori, non riuscì a fare a meno di osservare il suo sorriso, limpido, bello. Rideva come a dirmi di non preoccuparmi, i suoi capelli scuri, poco lunghi, si innalzavano centralmente con una piccola, moderata, cresta fonata che contrastava in maniera splendida il verde dei suoi, ipnotici, occhi ed io iniziai a notare ogni singolo dettaglio del suo viso, come quello splendido, e quasi invisibile, neo sopra il labbro, nella parte sinistra:
<< Tranquilla, non preoccuparti! >>
- sorrise- Avrei voluto, tanto, dirgli quanto bravo sarebbe stato nel distrarmi durante le mie notti insonni ma la mia testa continua a girare così lo abbandonai lì, certa che, qualora me lo avesse chiesto, non avrei saputo dire neppure, quale fosse il mio nome.
 Quasi come se fosse passata un’eternità, finalmente arrivai alla porta d’uscita e iniziai a respirare, a pieni polmoni, la freschezza e la leggera umidità che fuoriusciva da alcuni alberi che s’innalzavano nella piazzola di fronte al locale. Presa dalla necessità d’aria e dalla voglia di isolarmi per un attimo dalla frastornante confusione, iniziai ad attraversare, con passo svelto ma barcollante, quella larga strada. Accelerai il passo in vista della meta quasi raggiunta, ma la mia borsetta cadde, scivolandomi dalle mani. Mi chinai a raccoglierla nella lentezza assonnante della sbornia che, senza pietà, stuzzicava la mia reattività disarmandomi quasi del tutto e nella lontananza, con una leggera eco, sentì la voce chiara di quel ragazzo.
Non feci in tempo ad indagare quelle sue parole d’allarme che un camion mi scaraventò a molti metri dall’impatto. Di quella forte botta, di cui il mio lato destro e la mia testa furono i protagonisti, ricordo solo i primi cinque minuti. Il mio corpo strisciava con velocità sul suolo gelido portandosi dentro i tagli le pietroline dell’asfalto, la mia testa iniziava a perdere grosse quantità di sangue e la mia vista diveniva sempre più appannata e stanca. Lui era lì. Quel ragazzo dagli enormi occhi verdi travolgenti era lì, chino su di me, a scostarmi i capelli dalle lacerazioni, a rassicurarmi che tutto sarebbe andato per il meglio.
Ed io lo guardavo e mi sentivo male a ricevere quelle attenzioni e pensavo al mio Ale, ai suoi sorrisi, ai suoi abbracci rassicuranti,
<< Alessandro dov’è?! >> Urlai con un fil di voce. Il silenzio.
Ricordo che c’era tanta gente che formava un cerchio attorno al mio corpo, l’autista del camion incredulo e le mie amiche piangevano, sentivo le loro strazianti voci intrise d’ogni senso di colpa. Ero molto meno lucida dall’impatto e sentivo dentro me come se qualcosa si stesse spegnendo. In lontananza delle sirene d’ambulanza martellavano pressanti le mie meningi. Ricordo due uomini vestiti completamente di una divisa verde e guanti in lattice, ricordo le loro voci calde e precise al mio orecchio, ricordo le loro voci ma non le parole.. Da lì, buio pesto. Cercavo di ricordare altro, mi sforzavo, ma non riuscivo a concentrarmi del tutto. Io stavo bene eppure tanta gente mi stringeva le mani e mi piagnucolava addosso milioni di preghiere. Nei primi giorni vennero un sacco di persone, mi accarezzavano il viso, mi impregnavano del loro profumo, mi baciavano e mi raccontavano delle loro vite, ma nulla. Le mie amiche non tornarono neppure a casa e un giorno venne pure quel ragazzo del pub, che caro ragazzo! Mi prese per mano, strinse forte e disse:
 << Ciao Rebi, io sono Francesco, ho provato ad aiutarti, io, io.. lo giuro. Sei una ragazza forte e so che supererai anche questa! >> -Beh, almeno so che ti chiami Francesco!- Io mi sforzavo eppure i miei occhi non s’aprivano. Io urlavo, sapevo di farlo, ma loro non sentivano. La sola cosa che vedevo ogni tanto era una forte luce bianca che accecava, una luce di cui io ne ero fortemente attratta. Un giorno bussarono alla porta. D’un tratto un forte ed intenso profumo invase la stanza, le mie narici, il mio corpo, tutto impregnato di quel meraviglioso profumo. Profumo di casa, profumo d’estate, profumo di vita, di felicità, profumo d’amore. Come quando da una crepa inizia ad entrare la luce e quella stessa luce diviene la sola speranza di vita. Perché sapevo che era Lui e non avrebbe avuto bisogno di presentazioni. Non iniziò subito a parlare, sentivo dei singhiozzi, tirò su col naso e poi inizio:
<< Rebi, amore mio, ma che ho fatto?! mi sento un coglione! Si, sono un coglione! Io so che non solo sarei dovuto essere con te, ma sarei dovuto essere lì, al posto tuo, a salvarti la vita almeno per una volta. Si, dico almeno per una volta, amore mio, perché tu la vita me la salvi ogni giorno, ogni volta che mi sorridi, ogni volta che mi carezzi, ogni volta che mi stringi le mani e mi sussurri quanto mi ami dopo aver fatto l’amore. Rebi, amore mio.. potrei stare qui ore ed ore a riempirti di innumerevoli parole e se sarà necessario, se solo tu me lo chiedessi io lo farei, ma ti prego resta, svegliati, resta qui con me, resta perché tu sei la sola che mi riempe dentro, sei la sola per cui ucciderei e per cui mi farei uccidere, resta perché vedere i tuoi occhi ogni mattina sarebbe il dono che il cielo decide di farmi ogni giorno. Resta e baciami, amore mio, baciami perché potrei vivere dei soli tuoi baci che sanno di miele e delle tue labbra simili al velluto. >>
Si alzò dalla sedia, tirò su, ancora una volta, col naso e iniziò a baciarmi. Le sue labbra erano calde, erano vive, il mio cuore riprendeva a battere e i miei occhi a vedere:
 << Quanto sei bello, amore mio! >>
Mi svegliai di scatto, non c’era nessun ospedale, nessun dolore alla testa, nessun medico e neppure nessun infermiere, non c’era nessun parente che mi riversava le sue preghiere e neppure le mie migliori amiche che si davano colpe.
<< Rebi, amore mio, hai detto qualcosa? Ti senti male? >>
Mi girai di scatto, quasi stupita, il mio Lui non si era mosso neppure un istante dal mio fianco, quelle fresche lenzuola ci avvolgevano e sapevano di noi, erano belle da respirare e lui era bello da morire. I suoi capelli lucevano anche al buio, i suoi occhi mi leggevano dentro costantemente e mi imprigionavano per sempre al suo cuore e le suo dolci labbra mi facevano ringraziare Dio, anche in quell’istante.
<< Si, amore mio, va tutto bene, era solo un sogno >> sorrisi e continuai: << ma tu adesso baciami, resta per sempre e baciami perché potrei vivere dei soli tuoi baci che sanno di miele e delle tue labbra simili al velluto. >>
  
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