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Autore: Fannie Fiffi    22/04/2014    2 recensioni
[Sherlolly.]
« Si sdraiò sul letto e incrociò le braccia sul busto, deciso a reclamare almeno un paio d’ore di riposo per il corpo e la mente.
Non appena chiuse gli occhi, però, un volto ben familiare si dipinse nitido sul fondo delle sue palpebre serrate. Non faceva niente, si limitava a fissarlo di rimando e questo gli dava i brividi.
Esci dalla mia testa, Molly Hooper.»
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I Wanna Be Yours
 
 
 
Secrets I have held in my heart
are harder to hide than I thought
maybe I just wanna be yours
Arctic Monkeys, I Wanna Be Yours
 
 


« Adesso basta! » John Watson batté un pugno sul tavolo della cucina e alcuni degli oggetti chimici ancora non identificati presenti sulla superficie finirono inesorabilmente a terra. Sherlock, totalmente indifferente e imperturbabile a ciò che era appena avvenuto, spostò lo sguardo vitreo sul volto del suo migliore amico.
« E non guardarmi in quel modo, Sherlock! »
 « Quale modo, John? »
 « Nel modo in cui io sembro un pazzo perché non capisco cosa sta succedendo e tu invece sì, ma ti diverti troppo a non dirmi nulla. »
« Cosa sta succedendo? »
« Non lo so! È questo il problema. È per questo che odio quello sguardo! »
« Non ho nessuno sguardo, questo è il mio viso. » Affermò tranquillo il consulente investigativo, voltandosi verso lo specchio e osservandosi.
« Vorrei davvero strangolarti in questo momento. Io vorrei... » L'ex medico militare strinse il pugno destro e chiuse gli occhi.
« Immaginare l'omicidio di amici e famigliari è un ottimo esercizio per la mente. Bravo, John. »
« Sai che ti dico? Puoi andare a ritirare i tuoi dannati risultati da solo. Anzi, non capisco perché sarei dovuto andare a prenderli io in primo luogo. »
 Così dicendo, il Dottore lo guardò per un'ultima volta e poi si avviò verso le scale della sua camera, sbuffando e borbottando fra sé e sé. Beh, quello poteva essere un problema.
Sherlock, invece, prese il violino e cominciò ad accarezzarlo senza produrre veramente alcun suono. Non poteva recarsi al Bart's, semplicemente non poteva, ma al tempo stesso necessitava i risultati degli esperimenti che aveva condotto in laboratorio.
Considerò l'idea di seguire John e chiedergli nuovamente di andare al posto suo, ma a quel punto avrebbe rischiato davvero di farsi rompere il naso.
Avrebbe potuto mandargli un sms e tempestarlo di notifiche finché non avesse accettato, però il risultato sarebbe stato pressoché lo stesso.
La Signora Hudson non era in casa e, anche se ci fosse stata, il dolore all’anca non le avrebbe permesso di arrivare fin laggiù.
Lestrade era una possibilità, ma poi avrebbe cominciato a fargli domande e a ricamarci su, e ciò era qualcosa che Sherlock intendeva categoricamente evitare.
Aveva bisogno di qualcuno discreto e silenzioso che non facesse domande e che fosse disponibile ventiquattrore su ventiquattro.  Improvvisamente capì chi poteva fare al caso suo.



« Ecco i suoi documenti, Signor Holmes. »
« Grazie, Anthea. »
« Immagino che lei non voglia che suo fratello venga informato della cosa… » Sherlock la fissò negli occhi e annuì, « ma immagino anche che sappia che in realtà dovrò farlo. Il signor Holmes deve essere messo al corrente di qualsiasi mio spostamento durante l’orario di lavoro. In effetti, non solo dei miei. » disse guardandolo con eloquenza.
Era probabilmente il discorso più lungo che avesse mai sentito pronunciare da quella donna tanto rigida e taciturna.
« Ne sono consapevole. Di entrambe le cose. »
La donna non attese un momento di più, chinò leggermente il viso e poi lasciò il 221B.


 
John Watson si rigirò nel letto almeno tre volte prima di capire che non sarebbe stato in grado di prendere sonno fino a che non avesse chiarito le cose con Sherlock.
Ecco quanto influiva su di lui il loro rapporto.
Erano da poco scoccate le due del mattino, era vero, ma conosceva Sherlock abbastanza bene da sapere che in quel momento era sicuramente sveglio.
Inoltre nell'ultimo mese i suoi equilibri erano ancora più instabili, tanto che non parlava per giorni e si nutriva solo allo stremo, quando ormai non riusciva nemmeno a stare in piedi.
La perdita di sonno e appetito era inversamente proporzionale al consumo di sigarette, fenomeno di cui aveva avuto totale conferma appena una settimana prima, quando era stato letteralmente inghiottito da una nuvola densa di fumo entrando in cucina.
Insomma, in quell'ultimo periodo Sherlock era stato... più Sherlock del solito, ecco.
Fu per questo motivo che l'ex soldato militare si scansò con un gesto secco le coperte di dosso e scese le scale che lo portavano fino al salotto del loro appartamento.
Come previsto, il suo migliore amico se ne stava scompostamente seduto sulla sua poltrona e fissava il vuoto con espressione vacua.
 « Sherlock? » Lo chiamò cautamente.
 Senza alterare di un minimo la propria espressione, il moro si limitò a spostare lo sguardo su di lui.
« Mi dispiace per aver dato di matto. »
 John non attese risposta, bensì si avvicinò e si sedette sulla propria poltrona.
« Ti va di dirmi cosa sta succedendo? »
« Devo davvero risponderti? »
« Potrei aiutarti. »
Un'alzata di spalle seguì quell'affermazione.
« Non mangi, non dormi, raramente esci di casa, hai smesso di andare al Bart's e cerchi di evitarlo a ogni costo... L'altro giorno hai addirittura risposto quasi civilmente a Mycroft! »
 Il biondo terminò la frase con una smorfia un tantino troppo teatrale, provocando ilarità solo in se stesso.
« Ho un problema. » Affermò il minore degli Holmes e poi tacque.
« Hai intenzione di dirmi quale sia? » Chiese l'altro dopo attimi in cui aveva atteso che l'amico proseguisse.
« Ovviamente no. Non puoi fornirmi la soluzione. »
« Come fai a saperlo? »
« Non sei nella mia testa. Non hai la mia testa. »
« E che diavolo vorrebbe significare? »
Nessuna risposta.
« Potrò non avere la soluzione a questo problema, ma posso offrirti una distrazione. »
John si avviò verso la cucina e mise a bollire l'acqua per il the.
The, pasticcini, sigarette e l'unico consulente investigativo al mondo in preda a una crisi esistenziale. Cosa c'era di tanto strano al 221B di Baker Street alle due del mattino?
 
 

Sherlock posò il telefono cellulare sul tavolino basso vicino alla sua poltrona e si diresse verso la propria camera da letto. Poteva anche dichiarare il contrario, ma era un essere umano e, in quanto tale, necessitava di dormire.
Anche se questo voleva dire piegarsi dinnanzi alle proprie debolezze. Anche se questo voleva dire abbassare la guardia e doversi arrendere al proprio inconscio.
 Si sdraiò sul letto e incrociò le braccia sul busto, deciso a reclamare almeno un paio d’ore di riposo per la mente e per il corpo.
Non appena chiuse gli occhi, però, un volto ben familiare si dipinse nitido sulle sue palpebre serrate. Non faceva niente, si limitava a fissarlo di rimando e questo gli dava i brividi.
Esci dalla mia testa, Molly Hooper.
Ecco il suo grande problema: Molly Hooper.
Non riusciva a fare più niente per colpa sua, che si trattasse di mangiare, dormire o recarsi al Bart’s per fare qualche esperimento. Perché andare in ospedale significava vederla e vederla significava zero concentrazione.
Quando la patologa entrava nella sua orbita visiva, uditiva o generalmente sensoriale, ogni parte di lui si concentrava su di lei, sui suoi occhi, sulle sue labbra, sul suo sorriso, e – doveva ammetterlo almeno a se stesso – impazziva, perdeva completamente ogni contatto con la realtà.
Sherlock aveva identificato l’esatto momento in cui tutto era inesorabilmente cambiato, costringendolo a un limbo fatto di dolore e piacere.
Era avvenuto ventotto giorni prima. In un pomeriggio come un altro, il consulente investigativo si era ritrovato ad analizzare delle cellule morte al microscopio e Molly si era offerta di aiutarlo.
Non che quella fosse una situazione anomala, spesso avevano condotto esperimenti o fatto autopsie insieme, eppure quel giorno c’era qualcosa di estremamente diverso, che Sherlock aveva faticato a riconoscere subito. Una tensione. Una particolare tensione nel suo corpo dovuta a un particolare evento.
Molly stava analizzando un campione di tessuto al suo microscopio e aveva trovato qualcosa di davvero interessante – un tessuto morto in decomposizione a contatto con un particolare tipo di muffa – così Sherlock si era avvicinato senza dire una parola (perché avrebbe dovuto parlare?) e si era posizionato alle sue spalle per vedere con i propri occhi quale grande scoperta avesse fatto.
Secondo una sfortunata combinazione di pessimo tempismo e mancata coordinazione, però, Molly si era voltata nello stesso momento, sbattendo malamente contro il suddetto consulente investigativo; data l'evidente differenza d'altezza dei due, la patologa era finita con lo sprofondare il volto nel petto di Sherlock e, per tre secondi e qualche millesimo, lui aveva potuto percepire il profumo dei suoi capelli.
Lei si era subito scostata, ovviamente, perché il contatto fisico era un'interazione da cui entrambi si tenevano ben lontani, inconsapevole di aver scatenato una reazione chimica che avrebbe inesorabilmente sconvolto gli equilibri ben saldi del minore degli Holmes.
Da quel giorno il suo profumo l'aveva tormentato nei momenti più disparati: durante un caso, mentre insultava Mycroft, mentre beveva il the e, dannazione, perfino nel suo Mind Palace.
Non era continuo, sembrava quasi prendersi gioco di lui; proprio quando pensava di aver riposto quell'informazione nel cassetto delle nozioni da cancellare, questo tornava a spalancarsi e a riversare fuori il suo contenuto, andando così a minare la sua ferrea concentrazione.
Dopo il profumo, cominciarono ad accumularsi altri dettagli: il modo in cui lei si portava indietro i capelli sempre con la mano destra e sempre dietro l'orecchio destro, il suo corrucciarsi quando delle analisi non corrispondevano e, purtroppo, il suo corpo. Non che prima non l'avesse osservato, aveva sempre conosciuto la sua taglia e le misure della vita, delle gambe e del seno, ma ora ne era in qualche modo attratto.
Notava un particolare capo d'abbigliamento che metteva in risalto il suo fisico e non poteva evitare di sentirsene affascinato, e ciò implicava un'istantanea perdita di fermezza.
Era per quel motivo che aveva smesso di recarsi al laboratorio del Bart's quando c'era lei: come poteva analizzare un cadavere, condurre un esperimento o cercare indizi sugli oggetti personali della vittima se la sua distrazione gli girava attorno per tutto il tempo?
 La soluzione gli era sembrata chiara. Estirpare la tentazione. Lasciare fuori il cibo, il sonno (oh, lo perseguitava anche nei sogni), non vederla più, ripulire la propria mente da tutto ciò che non gli permetteva di essere lucido al cento per cento.
Se avesse eliminato quelli che credeva fossero gli indicatori del suo problema, avrebbe potuto risolvere la questione e tornare quello di prima.
Capendo che ormai non c'era nulla da fare per prendere sonno, Sherlock sbuffò, si sporse per prendere una sigaretta dal comodino e l'accese, aspettando che il fumo portasse via almeno una parte della tensione che gli attorcigliava e contorceva lo stomaco.
Erano passate tre settimane e il suo metodo non aveva ancora sortito alcun effetto, cosa sarebbe successo se non fosse riuscito a districare quella situazione? Se avesse dovuto rinunciare per sempre?
« Sherlock? » Due timidi colpi alla porta e una voce assai conosciuta interruppero i suoi pensieri.
 No, non poteva essere. Non poteva davvero essere possibile che fosse lei.
 Cosa diavolo ci faceva Molly a Baker Street?
Sherlock scattò a sedere, la sigaretta fra le dita che ancora fumava, e in pochi secondi analizzò le sue possibilità: poteva uscire dalla finestra e scendere dalle scale antincendio, ma non era proprio sua intenzione.
Sherlock Holmes non scappa da niente e da nessuno.
 Avrebbe potuto non rispondere e lasciare che se ne andasse, di certo Molly non sarebbe entrata nella sua camera da letto senza il suo permesso. Non lo avrebbe fatto, vero?
Oppure poteva scacciarla. Dirle di non cercarlo più finché non ci avrebbe pensato lui, dirle che stava male e non aveva bisogno di una visita medica a domicilio.
« Chi ti ha fatta entrare? » Parlò senza muoversi, alzando la voce per farsi sentire e assumendo un tono freddo.
« John. »
« Che vuoi? »
« Posso entrare? »
« No. »
A quel punto pensava che se ne sarebbe andata, ma con sua enorme sorpresa la porta si aprì ugualmente e rivelò la figura minuta della patologa.
Lui spalancò gli occhi e si tirò indietro sul letto, mentre Molly lo guardava innocentemente e si avvicinava con il passo lento di un predatore.
Quando gli fu abbastanza vicino, gli posò le mani sulle spalle e accostò la bocca al suo orecchio.
« So quello che vuoi... »
 Sherlock cercò di tirarsi indietro, ma finì per immobilizzarsi quando lei poggiò prima un ginocchio e poi l'altro ai lati delle sue gambe e si sedette su di lui.
Non sapeva cosa fare, ogni singola cellula del suo corpo sembrava protendersi verso di lei, avvicinandosi sempre di più, e Molly sembrava esserne perfettamente consapevole.
Abbassò il volto e con la bocca gli sfiorò lo zigomo sinistro, scendendo fino alla mascella. Senza voler fare nulla per impedirlo, Sherlock portò istintivamente la testa all'indietro.
 « Molly... » Lei ne approfittò e cominciò a baciargli il collo, tracciando con le labbra la linea pulsante della carotide, toccandolo con le mani e facendolo impazzire del tutto...
 


« Sherlock. »
« Sherlock! »
Il consulente investigativo aprì di scatto gli occhi e mise a fuoco il volto di Molly, questa volta la vera Molly.
« Che ci fai qui? »
Si alzò di scatto con gli occhi spalancati e il respiro accelerato; evidentemente il suo corpo non si era totalmente ripreso da quello che aveva appena sognato e il fatto di ritrovarsela davanti non aiutava per niente.
Cos'era, una specie di scherzo? Si erano per caso alleati tutti contro di lui e complottavano di farlo impazzire?
« John mi ha detto che avevi dei documenti per me e mi ha chiesto di venirli a prendere qui. La Signora Hudson mi ha aperto. »
 « Qui non c'è niente per te. »
Parlò il moro con tono duro, prendendo la vestaglia ai piedi del letto e uscendo dalla stanza senza voltarsi indietro. Molly lo seguì.
« Oh... Probabilmente si è sbagliato. »
 « Di sicuro. »
Il consulente continuava a darle le spalle. Non poteva credere di aver sacrificato tanto nelle ultime due settimane per nulla. Ora lei era lì, a pochi passi da lui, e non poteva immaginare quante difficoltà gli stesse creando.
 Doveva liberarsi di quei pensieri, aveva bisogno di tornare a ragionare come un tempo.
« Devi andartene. »
 « Sherlock, stai bene? »
 « Sì. »
« Non hai per niente una bella cera. » Lui non rispose, bensì scattò indietro e la raggiunse con poche falcate.
 « Ho detto che sto bene. Vattene. » Molly lo fissò di rimando per qualche secondo, poi strinse le labbra e gli voltò le spalle.
Subito Sherlock si rese conto che averla avuta così vicina per un attimo lo aveva momentaneamente distratto e aveva alleviato il tormento nella sua testa; in pochi secondi il vociare e la confusione nel suo Mind Palace si erano placati, quindi forse la soluzione non era allontanarla, bensì…
La patologa stava per uscire dal 221B quando si sentì afferrare appena sopra il gomito.
 Si voltò lentamente verso di lui, che nel frattempo aveva allungato un braccio oltre la sua testa e aveva sbattuto la porta.
« Perdonami. » Il suo volto era pallido, una leggera patina di sudore gli imperlava la fronte e i ricci che ricadevano su di essa, sebbene le sue mani fossero ghiacciate.
« Dimmi cosa c'è che non va, Sherlock. Magari posso aiutarti. »
Il moro non rispose subito, bensì fece un passo avanti, mentre Molly ne compì quasi istintivamente uno indietro.
 Questa specie di valzer si ripeté ancora un'altra volta, finché la patologa non toccò il legno della porta con le spalle.
 « Potresti aiutarmi, se lo volessi... »
Sussurrò lui guardandola dritta negli occhi e scrutando il suo volto.
« Sai che... Sai che per te farei qualunque cosa. »
Rispose lei bisbigliando a sua volta.
« Qualunque? » Domandò il consulente investigativo avvicinandosi e sfiorandole la mano.
 L'altra si limitò ad annuire convinta e a stringere le sue dita attorno a quelle di Sherlock.
 Sapeva esattamente cosa stava succedendo, ma non poteva crederci. Negli ultimi tempi, in effetti, aveva notato qualcosa di strano nell'uomo che amava da sempre, un particolare lampo nei suoi occhi che a volte lo coglieva mentre la guardava.
 Non succedeva sempre, ma capitava che a volte cominciasse a fissarla più intensamente, come se ci fosse in lei un mistero che dovesse svelare a qualsiasi costo.
Quando non si era più presentato in ospedale, Molly aveva cominciato a preoccuparsi, ma John l'aveva rassicurata dicendole che si trattava semplicemente di uno dei "periodi di Sherlock".
 Con il passare dei giorni quindi aveva lasciato andare la cosa, ma ora che se lo ritrovava davanti, la tensione che aveva cominciato a percepire settimane prima si era riaccesa ancora più viva.
« Di cosa hai bisogno? » Per un attimo rivide se stessa nel laboratorio del Bart's, tempo prima, che gli chiedeva la stessa cosa.
« Di te. » Poi gli tornò alla mente lui, il modo in cui allora l’aveva guardata, e la sua risposta non era cambiata.
 Sherlock non attese un momento di più, si avvicinò ancora – non che prima ci fossero molte distanze – e le sfiorò le labbra senza toccarle veramente.
Quando lei si protese in avanti, entrambi chiusero gli occhi e questa volta si trattò di un vero bacio, con bocche che si scontravano e le braccia di Molly intorno al suo collo e le mani di Sherlock attorno ai suoi fianchi, stringendola a sé e abbandonandosi a quella sensazione.
Non era un bacio delicato, anzi, era più uno scontro quasi violento dettato da un bisogno più grande di loro, dove c’erano labbra e denti e semplice desiderio di essere un po’ più vicini, di mescolarsi.
Ma per quanto bello potesse essere, si trattava comunque di Sherlock Holmes, perciò non fu proprio una grande sorpresa quando con un gemito si staccò improvvisamente da Molly e arrancò tre passi indietro, lasciandola ansimante e confusa, le guance rosse e i capelli spettinati.
« Cos’è appena successo, con esattezza? » domandò lei qualche attimo dopo, aggrottando le sopracciglia e portandosi una mano al cuore.
« Mi sembra abbastanza chiaro. » sussurrò il moro lisciandosi la camicia e sedendosi sulla propria poltrona.
Se Molly non lo conoscesse bene, penserebbe che sia sotto shock.
« Sì, ma… perché? »
« Non ne ho idea. »
« Bene. » concordò lei sprofondando a sua volta sul divano. Cercò in tutti i modi di calmare il proprio respiro e il battito del suo cuore, ma ad ogni occhiata che buttava in direzione di Sherlock si sentiva tremare le gambe.
« Era questo ciò di cui avevi bisogno? »
« Ne sono tutt’ora convinto, sì. »
« Ma da quanto? »
« Circa un mese. È cominciato tutto quel pomeriggio in laboratorio, quando ci siamo scontrati. Anzi, quando a causa della tua scarsissima coordinazione tu mi hai urtato. Sono stati solo tre secondi e quindici millesimi, ma il tuo profumo mi ha fatto impazzire. Da quel giorno il rilascio di dopamina nel mio organismo non ha fatto altro che aumentare, portandomi a notare stupidi e inutili dettagli; più cercavo di ignorarli, però, più non riuscivo a smettere di pensarci. 
 Di pensarti. » si corresse qualche secondo dopo, fissandosi le mani e non riuscendo a guardarla.
« E ora quel… desiderio, mh… è scomparso? »
Sherlock trovò finalmente la forza per alzare lo sguardo e puntarlo nel suo. Era palesemente indecisa e si mordeva il labbro inferiore in chiaro segno di nervosismo.
« Preferisci che lo esprima in percentuale o in proporzione? »
« Mostramelo. »
Il consulente investigativo rimase immobile ancora per qualche secondo, forse per il rilassamento dopo l’improvviso rilascio di adrenalina nel corpo, poi decise che non poteva più stare fermo.
Si alzò e si avviò verso il divano, mentre Molly si limitava a guardarlo un po’ intimorita ed eurofica… era eccitazione quella che gli leggeva negli occhi, vero?
Le porse una mano e lei l’afferrò, sollevandosi dal suo posto e trovandosi a pochi centimetri dalla sua bocca.
« E se John rientrasse? » chiese a bassa voce senza poter staccare gli occhi dalle labbra di Sherlock.
« Lo sentirei in tempo. Il terzo scalino dal basso scricchiola ogni qualvolta si comincia a salire con il piede destro. E lui è destrorso, perciò… »
Lasciò cadere la frase a metà, troppo occupato a piegarsi per baciare il collo di Molly. Lei non rispose, ma portò le sue mani fra i ricci corvini e con un sorriso si abbandonò completamente a lui.


 
 

 
 

 
  
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