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Autore: xX__Eli_Sev__Xx    22/04/2014    2 recensioni
Tessa Silver è una ragazza qualunque, o almeno, così credeva. Quando incontra Percy Jackson e Annabeth Chase fuori dal Seth's cafè, non può credere a ciò che le viene rivelato. Lei è una Mezzosangue, figlia di una dea e destinata a combattere in un'epica battaglia contro Crono, re dei Titani e padre degli Dei.
Quando troverà l'amore dovrà scegliere, combattere per l'Olimpo o schierarsi dalla parte di Crono e seguire il suo cuore?
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Luke Castellan, Nuovo personaggio, Percy Jackson
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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I’m not leaving you


CAPITOLO 1

Strange meeting
 
«Tessa! Svegliati o farai tardi a scuola!» gridò una voce maschile dalla cucina di un piccolo appartamento di Brooklyn.
Uffa. Che noia questa scuola. Ma quando finirà? pensò la ragazza sollevandosi sulle braccia e stropicciandosi gli occhi. Controvoglia, si alzò dal letto e si vestì. Felpa azzurra, jeans attillati scuri e stivali. Prima di andare in cucina per la colazione, aprì la finestra e si affacciò. L’aria primaverile le accarezzò il viso e lei inspirò. Il rumore di clacson e frenate brusche riempì l’aria. Nonostante Brooklyn fosse un quartiere tranquillo, i rumori della Grande Mela raggiungevano anche l’appartamento dei Silver.
Theresa Silver, aveva sedici anni e viveva a New York con suo padre e la sua matrigna da quattro anni. Si erano trasferiti da Seattle dopo il matrimonio, dato che Hellen lavorava in uno studio legale in città. Suo padre l’aveva incontrata ad un convegno e qualche anno dopo si erano sposati. Anche lui era avvocato e aveva ottenuto un posto nello stesso studio di Hellen, perciò, oltre che passare molto tempo insieme a casa, si vedevano anche al lavoro. 
Tessa, invece, frequentava il quarto anno di liceo e lo odiava, come amava ripetere in continuazione. Lo considerava il periodo più brutto che potesse vivere una persona. Odiava i suoi compagni e i suoi insegnanti. L’unico che valeva la pena ascoltare durante la lezione era l’insegnante di scrittura creativa, per cui Tessa aveva un vero talento.
«Tessa!» insistette il padre.
«Arrivo!» ribatté lei. Chiuse la finestra e uscì dalla piccola stanza. «Eccomi.» annunciò una volta in cucina.
«Dormito bene, Tessa?» chiese Hellen, dolcemente.
«Sì, Hellen. Grazie.» le aveva chiesto più volte di chiamarla mamma, ma Tessa proprio non ci riusciva. Non aveva mai conosciuto la sua vera madre. Il padre le aveva raccontato che se n’era andata quando era molto piccola, perciò Tessa poteva dire di non aver mai avuto una vera mamma. Comunque, Hellen non era male. Si occupava di lei ed era sempre gentile. Insomma, la madre ideale.
Daniel, il padre, un uomo alto e dai tratti severi, stava seduto al tavolo della cucina intento a leggere un giornale. Tessa si sedette di fronte a lui e lo osservò. Occhi blu, capelli castano chiaro. Ordinato, preciso e all’altezza di ogni situazione. Tutto il contrario di lei: capelli neri ribelli, occhi blu come la notte, disordinata, ritardataria e dislessica. Tessa usava spesso porre tra i suoi difetti questa caratteristica che la perseguitava fin da piccola. Odiava essere dislessica. Era frustrante e rendeva ogni cosa molto più complicata, soprattutto per una ragazza che adorava la scrittura creativa.
«Papà?» lo chiamò lei.
«Mh-m…?»
«Mark mi ha chiesto se dopo la scuola potevo accompagnarlo ad assistere allo spettacolo di un gruppo dove suona un suo amico. E volevo sapere…»
«Se potevi andarci?» concluse suo padre per lei.
«Già.»
«Fammi pensare…»
«Non farò tardi. Promesso.» disse lei con sguardo implorante.
Il padre le osservò da sopra il giornale e poi accennò un sorriso.
«D’accordo.»
Lei si alzò dalla sedia e scoccò un bacio sulla guancia dell’uomo, che sobbalzò leggermente.
«Grazie, grazie, grazie!» esultò.
«Nulla. Ora vai o perderai l’autobus.» disse e Tessa corse in camera sua per recuperare la sua tracolla.
Uscì di casa appena in tempo per prendere l’autobus che l’avrebbe portata a scuola.
 
«Silenzio, ragazzi.» disse la professoressa di matematica, entrando.
Tessa la osservò. Quarant’anni, magra, alta. Avrebbe potuto fare la modella e invece eccola lì, a insegnare matematica in un liceo. Non aveva proprio polso per quel mestiere e lo aveva dimostrato in varie occasioni. Tessa era quasi dispiaciuta per lei. Avrebbe voluto che almeno qualcuno oltre a lei la seguisse durante le sue noiose lezioni.
«Ragazzi, cominciamo.» annunciò.
Tessa tirò fuori il quaderno e il portapenne.
«Dunque. Avevo assegnato dei compiti. Chi vuole venire a correggerli per la classe?» chiese la donna, sedutasi alla cattedra.
Oh, no. Ti prego, non me. Ti prego.
«Theresa?»
Perché? Perché a me? Su venticinque studenti, proprio io?
La ragazza si alzò dalla sedia e raggiunse la lavagna. Sapeva che ogni tentativo di opposizione sarebbe stato inutile. Inspirò profondamente e prese un gesso dal cassettino. La professoressa Smith dettò l’equazione e poi attese.
Tessa la osservò. I numeri cominciarono a muoversi sulla lavagna come tante farfalle, troppo veloci per osservarli. Lei strizzò gli occhi e distolse lo sguardo.
«Theresa? Stiamo aspettando.» la incalzò la professoressa.
Perché non vieni tu a risolverla? Non ne saresti capace! Non con una dislessia come la mia. pensò, ma riuscì a trattenersi dall’esplodere.
Dopo vari tentativi, decise che era tutto inutile.
«Non so come si risolvono.»
«Theresa.» la rimproverò la Smith «Se non comincerai a studiare, potresti anche rimanere bocciata.»
Tessa abbassò lo sgaurdo.
«Torna al tuo posto.» lei annuì imbarazzata e tornò a sedersi.
«È da ricovero. Chiunque saprebbe risolvere un’equazione del genere.» esclamò Caroline Cotton.
Sta’ zitta. pensò Tessa.
Caroline era la ragazza più carina del loro corso e, oltre ad essere attraente oltre ogni immaginazione, era anche intelligente. Una combinazione vincente.
«Caroline? Vuoi venire tu?» la chiamò la Smith.
«Con piacere, professoressa.»
Tessa ebbe l’impressione, per un momento, che la professoressa Smith volesse umiliarla, chiamandola alla lavagna ogni santa volta.
 
Alla fine della giornata, Tessa ringraziò ogni divinità conosciuta per non aver dovuto sottoporsi ad altre umiliazioni.
Raggiunse Mark e lo salutò.
«Ciao.»
«Ciao, Tessa.»
I due si incamminarono verso il club più esclusivo di Brooklyn. Era lì che avrebbe suonato il gruppo di Carl, era piccolo, ma molto frequentato. Si fermarono davanti alla porta, l’insegna ormai vecchia di anni, ondeggiava illuminata dalla luce del tramonto. Il cartello di metallo diceva: SETH'S CAFE'.
«Tra cinque minuti si comincia.» annunciò Mark.
Tessa annuì. Entrarono e si sedettero al fondo della sala, ad un tavolino isolato.
«Cosa suonano?» chiese lei.
«Canzoni scritte da loro.»
«E sono…?»
«Accettabili? Credo di sì.»
«Credi?! Quindi potrebbe essere un fiasco?»
«Già. Per questo ci siamo seduti qui. Se dovessero lanciare pomodori, non ci colpirebbero e potremmo scappare.» spiegò.
«Buona idea.»
Le luci si spensero e lo spettacolo iniziò.
«Vado a prendere qualcosa al bancone. Cosa vuoi?» chiese Mark.
Lei ci pensò su. «Ehm… Un cappuccino, grazie.»
«D’accordo.» e si allontanò. Tessa tirò fuori il suo quaderno di scrittura creativa e cominciò a scrivere la storia che aveva cominciato durante la lezione. Era un giallo. Aveva già una buona idea, ma avrebbe dovuto terminare la scaletta e cominciare la stesura.
Il gruppo cominciò a suonare. Sembrava che avessero preso parole a caso nel dizionario e le avessero messe una dietro l’altra senza tener conto del senso. La canzone, probabilmente, avrebbe dovuto parlare d'amore, ma più che altro sembrava un caos primordiale senza senso.
Oh, cavoli. Non tireranno solo pomodori. Sarà un miracolo se non li lapideranno.
«Ecco qui.» sbottò Mark, porgendole una tazza.
«Grazie.»
Si sedette accanto a lei e osservò le persone attorno a loro. «Li uccideranno.» annunciò.
«Già.» concordò Tessa e bevve un sorso del cappuccino dalla tazza.
Quando la canzone fu finalmente finita, ci fu un applauso forzato e sommesso. Anche Tessa e Mark si trattennero. Si sorrisero e Tessa decise di andare in bagno prima che qualcuno capisse che conosceva i ragazzi di quella band. Erano abbastanza intonati ma le loro canzoni facevano davvero pena.
«Vado in bagno.» disse all’amico e chiuse il quaderno che era rimasto aperto durante il “concerto”, di modo che l'amico non potesse leggere. Si fidava di Mark, perciò sapeva che non l'avrebbe mai aperto senza il suo permesso. 
«D’accordo.»
Si alzò dalla poltroncina e chiese al barista dove fosse il bagno.
«Sul retro, esci ed è la seconda porta sulla destra.» disse.
«D’accordo. Grazie.» e seguì le sue indicazioni.
Appena fu fuori, l’aria primaverile la risvegliò. Si avviò nel vicolo e osservò le varie porte. Ognuna aveva incollato sopra un cartellino, ma tentare di leggerli sarebbe stato inutile.
Seconda porta a destra. pensò.
Ad un tratto sentì dei passi alle sue spalle. Si voltò e vide una ragazza e un ragazzo alti e mori fermi a qualche metro da lei. Li osservò per un momento e poi si avviò verso la porta su cui, probabilmente, c'era scritto “Toilette”.
«Ciao.» le disse la ragazza, proprio mentre stava per aprire la porta del bagno.
Si voltò. «Ehm… Ciao.»
«Posso farti una domanda?» disse la ragazza.
Lo sguardo perplesso di Tessa sembrò non scoraggiarla. «Sì.» rispose lei un po’ incerta.
«Te le inventi tu, queste?» chiese sollevando una mano.
Tessa ci mise un momento a mettere a fuoco ciò che la ragazza teneva sollevato.
Come cavolo ha fatto a prenderlo? era il suo quaderno di scrittura creativa. Perché Mark non ha detto nulla? Lo uccido, quando rientro. nessuno poteva leggere le sue storie, a parte l’insegnante ovviamente.
«Quello è mio!» esclamò senza riuscire a trattenersi.
«Lo sappiamo.» intervenne con voce piatta il ragazzo.
«Dove l’avete preso?»
«Sul tavolino. Non dovresti lasciare incustodita la tua roba.»
«Questo non vi autorizza a prenderla.» ribatté lei con aria di sfida.
«Giusto.» intervenne la ragazza «Tieni.» e gettò a terra il quaderno.
«Grazie.» Tessa lo raccolse e lo pulì.
«Sono molto belli, comunque.»
«Devo presumere che l’abbiate anche letto, quindi.»
«Non abbiamo resistito. Vero, Martin?» disse rivolto al ragazzo.
«Sì. Sei davvero brava. Un vero talento.» disse Martin con un sorriso beffardo.
«Grazie. Adesso devo andare.» concluse velocemente Tessa e fece per voltarsi, ma la voce di lei la bloccò.
«Sai, le parole possono essere molto potenti.»
Ma cosa cavolo dice?
«Davvero? Molto interessante.» sbottò lei, infastidita.
«Già. Ho visto poche persone con un talento come il tuo.»
Ci fu un momento di silenzio in cui Tessa osservò meglio i due ragazzi. Erano sicuramente fratelli. Capelli neri e corti con le punte di un rosa pallido, sicuramente tinti, e occhi viola. Lenti a contatto. pensò Tessa.
«Sai…» cominciò la ragazza «ci interessi molto. Crediamo che ti sia speciale. Potresti piacere al nostro padrone.»
Tessa si lasciò sfuggire una risatina. Padrone? Vivono ancora come nel Medioevo?
«Perciò» continuò Martin «o vieni con noi di tua spontanea volontà, o ti dovremo costringere e, credimi, non ti piacerebbe.»
Ok, sono matti.
«No, che non vengo con voi.» disse Tessa.
«Sei sicura?» intervenne ancora la ragazza.
«Ovvio. E adesso devo andare. Ciao.» si voltò e girò la maniglia del bagno.
«Noi ti avevamo avvertita.»
Adesso basta. Sono stata gentile, ma mi hanno stancata. si voltò per dirgliene quattro, ma Martin e la ragazza erano scomparsi. Al loro posto, c’erano due persone che assomigliavano parecchio a due cadaveri.
Tessa indietreggiò senza fiato per la sorpresa.
Avevano occhi infossati, erano pallidi e la loro pelle sembrava raggrinzita. I loro vestiti eleganti erano stati sostituiti da tute grigie.
Ma che cavolo…? Tessa tentò di gridare, ma l’urlo le morì in gola.
«Verrai con noi, Theresa.» disse la ragazza. La sua voce sembrava allo stesso tempo di un’ottava più bassa e di una più alta.
I due si avvicinavano trascinandosi con un passo pesante.
«Cosa volete da me?» chiese in preda al panico.
«Che tu venga con noi, tesoro.» rispose Martin.
«No!» gridò lei «Neanche morta.»
«Morta non saresti più utile.» spiegò lui.
Hanno anche il senso dell’umorismo. Fantastico.
Adesso i due erano troppo vicini. Per Tessa era impossibile indietreggiare ancora, perciò appoggiò la schiena contro il muro e chiuse gli occhi.
«Ehi voi!» sentì gridare da una voce maschile.
Mark! pensò.
«Vi consiglio di andarvene.»
I due mostri risero. «Certo, come no. Il capo la vuole. Non lo deluderemo, mezzosangue.» esclamò Martin.
«Mi dispiace, ma oggi non porterete proprio niente al vostro capo.»
Tessa aprì gli occhi. Da quando Mark era così coraggioso? Quando si voltò per vedere cosa stesse succedendo, vide che chi aveva parlato non era Mark, ma un ragazzo all’incirca della sua età, alto e moro.
Chi cavolo è? E soprattutto perchè ha una spada in mano?
Il ragazzo si mosse così velocemente che Tessa fece fatica a vederlo. Si gettò contro i mostri e trafisse Martin con la spada lucente. La ragazza lanciò un grido, ma subito un'altra ragazza, anche lei con una spada, la trafisse proprio all’altezza dello stomaco.
Oh, mio Dio.
I due mostri scomparvero in una nuvola di polvere, il loro grido risuonò nel vicolo e poi, lentamente, si dissolse.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Questa è la mia prima storia su Percy Jackson. Ḗ una saga che ho adorato e spero che la ff che ho scritto vi piaccia. Le critiche sono ben accette!
Fatemi sapere cosa ne pensate, a presto.
Izzy, xX__Eli_Sev__Xx

 
   
 
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