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Autore: phiby116    22/04/2014    0 recensioni
Phiby, è una ragazza di 28 anni che, dopo aver passato una vita a reprimere ciò che realmente provava dentro di sè, si ritrova a dover prendere la decisione piu importante della sua vita. Il passato non le è d'aiuto, poichè le ha arrecato parecchie delusioni, ma nel futuro lei ripone la speranza di ritrovare se stessa, ascoltando i suoi desideri e cercando di esaudirli. Andrà incontro a diverse avventure, che, regalandole emozioni mai provate prima, l'aiuteranno a scavare nel suo io piu profondo per arrivare a darle quel coraggio di vivere la vita che ha sempre sognato, lasciando fuori paure e incertezze. Troverà alcuni ostacoli che devieranno il suo percorso alla scoperta della sua vera essenza, ma che l'aiuteranno a crescere e a credere sempre piu nelle proprie capacità.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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E' arrivato il grande giorno! Quello che dovrebbe essere il giorno più bello della mia vita, ma perchè non sento niente, se non agitazione allo stato puro? Dovrebbe anche essere normale, ma lo è anche pensare di stare per commettere un'abominevole cazzata? Ok, calma. Mi siedo, o almeno ci provo, questo dannato vestito pesa più di me! Phiby respira, dai,...inspira, ed espira... No, non cambia nulla. Sono in camera mia, quando all'improvviso sento gridare il mio nome:"Phiby, sbrigati, l'auto è giù che ti aspetta, gli invitati sono tutti in chiesa che ti aspettano, tutti aspettiamo solo te! Dai sposina, muovi quelle chiappe da futura mogliettina e và a fare il grande passo!" Sì, grande passo... Faccio appello a tutte le mie forze per uscire da quella stanza, e due minuti dopo mi ritrovo in macchina nel tragitto verso la chiesa. L'agitazione aumenta sempre più fino a farmi sudare freddo, mi accorgo di essere in apnea e di avere un ritmo respiratorio irregolare... Arrivati davanti alla chiesa, mi dico "Dài, sei arrivata fin qui, non mandare tutto al diavolo, andrà bene"... ma,ahimè, quelle parole provenienti da quel briciolo di buon senso riesumato dai lati piu profondi della mia coscienza, che si faceva largo nella mia testa, non provocarono l'effetto desiderato. Scesi dall'auto, ritrovandomi di fronte a quella maestosa costruzione barocca, adornata di petali di rose e veli bianchi, che davano un'atmosfera fiabesca al paesaggio. Mi voltai, e vidi mio fratello sorridente che mi porgeva il braccio, affinchè mi accompagnasse all'altare, mentre nella mia testa iniziai a sentire la voce del mio papà che mi diceva "Piccola mia, anche quando ti troverai di fronte a scelte difficili che ti faranno soffrire, prometti una cosa al tuo vecchio: segui sempre il tuo cuore." Me lo ripeteva da quando ero piccola e in punto di morte erano state le sue ultime parole prima di lasciarci per un mondo migliore, a causa del maledetto cancro. Quelle parole rieccheggiavano dentro di me, mentre avanzavo con la sinfonia nunziale di sottofondo che smisi di ascoltare appena vidi Richard sull'altare ad aspettarmi. Vidi l'uomo con cui trascorsi 8 lunghi anni, che comprendevano momenti belli e momenti che,se avessi potuto, avrei fatto a meno di trascorrere. Io e Richard ci conoscemmo a Miami, in una calda estate del 2005; lui è un ingegnere, era lì per progettare l'appartamento di un ricco manager che non si faceva mancare niente dalla vita. Uno di quei tipi con la faccia a forma di banconota, in poche parole. Insomma, io ero lì in vacanza e una sera andai in un pub con le mie amiche con l'intento di sbronzarmi, dato che poche ore prima avevo scoperto il mio attuale ex ragazzo, scopare in maniera molto vivace con una ballerina di samba conosciuta in spiaggia. Il "coglione", chiamiamolo così, mi aveva persino pagato il biglietto per la vacanza che avremmo dovuto trascorrere insieme, ma tralasciamo quest'altra avventura...anzi, disavventura. Io e le mie amiche decidemmo di recarci in un locale non lontano dall'hotel in cui alloggiavo, prevedendo la futura sbronza e il fatto che saremmo state, io in primis, incapaci di camminare per lunghi tratti di strada. Così, una volta entrate, prendemmo subito posto ordinando vari cocktail di cui non sapevo nemmeno l'esistenza e che, in tutta onestà, non mi importava nemmeno. Iniziai a tracannare un bicchiere dopo l'altro...ricordo di aver iniziato a ballare su un tavolo e anche di aver rovesciato un sex on the beach sul jeans di un uomo, che presi alla sprovvista, sentendolo urlare "Porca puttana i Levi's nuovi"! Alcune immagini confuse di quella sera mi ricordarono di aver provato ad asciugare il pantalone zuppo di quel tizio, in maniera ridicola e goffa, come solo un'ubriaca può fare, e poi puff, vuoto totale! Mi svegliai la mattina dopo, con un mal di testa atroce, come se ci fosse qualcuno nella mia testa che, con un martello pneumatico, mi tartassava le tempie! Ero nella mia camera d'albergo, con ancora addosso gli abiti della sera prima. Mi spostai dall'altro capo del letto e con me sembrò spostarsi tutta la stanza, quando i miei occhi ancora abbottati dal sonno e dalla sbronza notarono un biglietto sul cuscino... provai a mettere a fuoco e vidi che c'era scritto:
 "Ciao Phiby, sono quello a cui hai accidentalmente (spero) versato il cocktail sul jeans. Mi sono offerto di accompagnarti in hotel perchè eri in condizioni critiche, comprese le tue amiche. Ti auguro una buona giornata.
                                   ps.questo è il mio biglietto da visita, nel caso in cui avessi voglia di conoscermi di persona (da sobria). Richard.
Cosi, presa dalla curiosità, la mattina stessa mi recai agli uffici della UPC, un'azienda di costruzioni edili, come mi informava il biglietto da visita, per ringraziarlo. Attesi in sala d'aspetto per 10 minuti quando vidi apparire un uomo poco piu alto di me, con i capelli castano chiaro ingelatinati e uno sguardo rassicurante. Mi venne incontro ed io, intuendo che fosse lui, mi alzai istintivamente, molto imbarazzata. Si fermò a un passo da me, porgendomi la mano per presentarsi ed invitarmi a pranzo per "farmi perdonare" la gaff del cocktail. Accettai, non avendo nulla da fare, e da quell'incontro in poi, iniziammo a frequentarci. Si rivelò un uomo divertente, molto dolce, premuroso, cordiale, sembrava l'uomo perfetto. Decisi di provarci, partendo sempre un po prevenuta a causa dell'esperienza precedente, che mi vide obiettivamente e spudoratamente cornuta! Così, il 21 aprile del 2006 divenne ufficialmente il mio fidanzato. Insieme stavamo bene, trascorrevamo bei momenti, viaggiavamo molto e non ci facevamo mancare nulla. Ma dopo un po, tutto questo entusiasmo nella relazione andò a scemare, facendo posto all'abitudine. Si ripeteva sempre la stessa routine: sveglia, colazione, lavoro, pranzo insieme, lavoro, cena, tv, letto. Anche il sesso era diminuito notevolmente, o a causa della stanchezza che prevaleva sul desiderio o per mancata voglia. La situazione ci stava decisamente sfuggendo di mano, ma noi continuavamo a comportarci come se andasse tutto bene, mentre io, dentro di me, sapevo che non andava per niente. Ero avvolta da un senso di monotonia e di apatia che mi faceva vedere le cose tutte uguali, indifferenti. Non trovavo piu stimoli, e così decisi di parlargliene. Un pomeriggio, approfittando del mio giorno libero, mi recai nel suo ufficio trovandolo, con enorme disappunto, nel bel mezzo di una riunione. Pensai di andarmene, quando lui mi fece segno di aspettare 5 minuti, così mi sedetti a leggere qualche rivista in attesa della fine di quella maledetta conferenza. Nella mia testa c'era tanta confusione, pensavo a cosa potevo dirgli per ferirlo il meno possibile, a cosa avrei potuto fare, mentre il flusso di coscienza si interruppe appena me lo ritrovai davanti a me, quasi senza essermene accorta. Mi alzai, gli diedi un bacio sulla guancia, e tutto quello che riuscii a dire fu "devo parlarti". Lui aveva finito il turno in anticipo, così tornammo insieme nel monolocale che avevamo deciso di condividere a Washington, mentre l'ansia pervadeva ogni poro della mia pelle. Arrivati, non gli diedi neanche il tempo di togliersi le scarpe, tanta era la voglia di rivelargli ciò che mi creava disagio e che non mi faceva piu vivere quella relazione in maniera spensierata e serena. "Tesoro, qualcosa non và? Ti vedo particolarmente agitata" Ecco, se n'è accorto, cosa sei, Nostradamus? "Ascolta Richard, io questa relazione non la sto vivendo piu come all'inizio, sento che tra noi qualcosa è cambiato, non vedo piu l'entusiasmo e la complicità che c'era all'inizio nel nostro rapporto e questa cosa mi mette malinconia." Lo vidi irrigidirsi, per poi piegare la testa per squadrarmi, incurvando le labbra in un sorriso comprensivo, come quello che si rivolge ai bambini quando fanno una marachella o a un anziano quando dice una parola al posto di un'altra... La sua reazione mi innervosì, ma cercai di rimanere il piu calma possibile. "Cucciola, in questo periodo forse siamo stati entrambi presi dal lavoro, non possiamo sempre andare in giro a divertirci, abbiamo anche le nostre responsabilità a cui pensare." Cos'è, il discorso del papà alla figlia sedicenne ribelle? "Lo so benissimo Richard, ho 25 anni ormai, non sono una bambina." Dissi, con un tono leggermente infastidito. "Amore mio, non intendevo dire che sei una bambina, volevo spiegarti che sono periodi che tutti passano, non siamo ne i primi ne gli ultimi, è solo che dovresi lamentarti un po meno." Adesso lo uccido. Io lamentarmi? Idiota, ti sto confessando un mio disagio e tu, al posto di rimediare, mi umili? Il tuo cervello ha bisogno di ossigeno. "Ehm... non mi sto lamentando, ti stavo facendo presente un problema e speravo che mi aiutassi a risolverlo, so quanto sia importante per te il lavoro, ma ci sono anch'io, anzi, ci siamo anche noi e la nostra relazione." Lui si avvicinò, mettendomi le mani alla vita e, guardandomi negli occhi, mi disse "Ti va se questo fine settimana ce ne andiamo da qualche parte, io e te, soli soletti?" Ecco, ora si inizia a ragionare. "Per me va bene, dove si va?" - "E' una sorpresa, lo scoprirai". Il nervosismo non mi era passato del tutto, dopo essere stata trattata da bambina capricciosa, ma cercai di mandarlo via pensando positivo, credendo che quel viaggio, magari, avrebbe riportato un po di vita nel nostro rapporto. Dentro di me, nonostante lui fosse dolce, esageratamente dolce, sapevo che mancava qualcosa, ma non lo ammettevo per paura delle conseguenze, autoconvincendomi, come sempre, che andasse tutto a gonfie vele. Quel sabato mattina, ci svegliammo presto, preparammo due piccole valigie e ci recammo all'aereoporto. Io, ignara della destinazione che stavamo per raggiungere, mi accomodai sul sedile dell'aereo, con un po di agitazione per la mia fobia per l'alta quota, ma sempre sperando che le cose migliorassero. Atterrammo a New York, lo sentii dall'altoparlante dal quale risuonava una voce femminile che annunciava l'arrivo del nostro volo con 20 minuti di anticipo. Scesi dall'aereo, noleggiammo un'auto e ci imbattemmo nel traffico della città. Dopo 40 minuti, arrivammo in un ristorante italiano, grazie a Dio, pensai, muoio di fame! Richard scese dalla macchina e venne ad aprirmi la portiera, come un vero gentleman, al che ne rimasi di stucco, poichè non l'aveva mai fatto. Ci sedemmo al tavolo, e immediatamente un cameriere dalla faccia fin troppo entusiasta, si avvicinò per prendere le ordinazioni. "Per me un piatto di spaghetti ai frutti di mare, per secondo mmh...un'orata al cartoccio e da bere, se è possibile, una bottiglia di Rosso di Montalcino"- "Bene, per lei signora?" - "Lo stesso, grazie". Il cameriere portò via i menu e scomparve in un batter d'occhio. Così, io e Richard, iniziammo a parlare del più e del meno, del mio nuovo lavoro come guida turistica alla galleria d'arte e delle miriadi di riunioni, conferenze stampa e progetti a cui stava lavorando. Mi disse che era in procinto di progettare un grattacielo nei pressi del Mitchell Park, qualche isolato distante dal nostro appartamento. Così, tra una chiacchiera e l'altra, terminammo la cena e, dopo aver pagato e ritirato i soprabiti, uscimmo per una passeggiata. Era una bella serata, l'aria primaverile iniziava a farsi sentire e finalmente il gelo invernale dava spazio ad un clima piu temperato. Richard mi portò sull'Empire State Building, sul quale non ero mai salita, e la visione di quel panorama spettacolare mi fece mancare il respiro. Ce ne stammo abbracciati a contemplare quella meraviglia per 10 minuti, quando lui ad un certo punto, si voltò verso di me con uno sguardo indecifrabile. "Tesoro... mi dispiace di averti fatto passare un periodo un po noioso, ti prometto che non accadrà più". Io mi limitai a sorridergli, ancora rapita dalla visione di tutta New York sotto i miei piedi. Lui continuò, notando la mia distrazione. "Voglio che tu sappia che ti amo" Be', dopo avermelo ripetuto per 7 anni direi che l'ho intuito "Anche io ti amo Richard, ma cos'hai? Ti vedo...strano!" Dentro di me, nel profondo del mio cuore, sapevo che l'abitudine e la monotonia, oltre al nostro rapporto, stava divorando i miei sentimenti, ma come sempre, reprimevo questa consapevolezza, soprattutto di fronte quegli occhi lucidi che mi stavano fissando. "Phiby..." Lo vedevo sempre piu nervoso, tanto che stavo iniziando ad agitarmi anch'io. "Phiby...io... ti amo davvero tanto e..." -"Richard, parla! Mi stai mettendo l'ansia!"- "Emh... ascolta, sai che ti amo e..." -"Si, me l'hai ripetuto 24 volte, ma se arrivi al punto potresti evitare di farmi venire il panico, stai tremando!" - "Phiby Crawford, vuoi sposarmi?" Appena finì la frase, aprì il cofanetto che stringeva tra le mani, mostrando un anello con un diamante bellissimo. Quando il suono di quelle parole arrivò al mio cervello, mi prese il panico totale. In quei pochissimi secondi pensai "No, no,no,no,no, stiamo calmi! Aspetta, ha detto vuoi sposarmi? Phiby no, è presto! E come farai? Sei sicura di amarlo? Sposare! Matrimonio! Figli! Phiby fallo aspettare! Digli di no!..."Si, Richard!" Come? Ho detto si? Povera me... "Oh amore mio, ti amo tanto!" 35esima volta... vabè... "Anche io ti amo"! Mi abbracciò, sollevandomi da terra e facendomi volteggiare, tanto che mi salì sullo stomaco l'orata che avevo mangiato a cena, forse era ancora viva. Tornammo a casa a suon di baci e continui "sei la mia vita, ci sposeremo" , "la mia futura mogliettina", tanto che mi venne l'emicrania. Ero stata stupida, forse avrei dovuto aspettare... Dopo 7 anni di fidanzamento lui era cambiato trasformandosi in una sanguisuga appiccicosa e fastidiosa, era diventato maniaco per il lavoro, la nostra vita sessuale si era affievolita e lui si comportava come se fossimo Bred Pitt e Angelina Jolie. I primi anni di fidanzamento erano stati bellissimi, ma pian piano la relazione da sentimentale si stava trasformando in abitudinale, e questa cosa mi spaventava. Ma dopo 7 anni, come fai a lasciare un uomo? Dopo aver condiviso tanti momenti, tante esperienze. Magari col matrimonio sarà diverso, pensai, cercando di rassicurarmi. Informammo le famiglie e mia madre impazzì dalla gioia, tartassandomi l'anima e parlando già di quando sarebbe diventata nonna, ci mancava che scegliesse i nomi dei futuri nipotini, il che mi faceva pentire di averglielo detto. A dire la verità ne furono tutti contenti, tranne Myra, la mia migliore amica. In quel periodo lavorava in un centro estetico ed era istruttrice di yoga, il che era un toccasana per le mie condizioni emotive. Lei è la classica persona che sa "leggerti dentro" e che con uno sguardo sa dirti mille parole, infatti quando la informai delle nozze che si sarebbero tenute l'anno dopo, mi rispose abbassando lo sguardo, emettendo una risatina che stava a significare "tanto sappiamo entrambe come andrà a finire", ma per non infierire subito dopo venne a regalarmi un abbraccio. I giorni seguenti che comprendevano i preparativi per le nozze, furono i piu stressanti che avessi mai passato. Mia madre mi assillava ogni giorno proponendomi miriadi di locali dove tenere il ricevimento, mia suocera voleva accompagnarmi a tutti i costi a scegliere il vestito, mio fratello e la sua ragazza si erano messi in testa di organizzare il mio addio al nubilato e così via, mentre Myra mi guardava impazzire, divertita. Richard era fuori di se, strillava come una checca se qualcosa andava storto nell'organizzazione, mentre io cercavo di rilassarmi e di convincermi, ogni giorno di piu, di aver fatto la scelta giusta. Il tempo volò e l'anno passò in un baleno, cosi da ritrovarmi il 25 Giugno 2014, sotto braccio a mio fratello, con il cuore in gola e l'anima urlante. Eccomi qui! Seduta accanto a quello che tra 5 minuti, sarà mio marito. Mi guardo intorno e vedo facce sorridenti, felici, commosse, così inizio a piangere. Tutti ridacchiano pensando che la mia sia commozione, ma non lo è. Piango perchè ho fatto una cazzata, piango perchè questo non è l'uomo della mia vita, piango perchè infondo non lo amo e non ho avuto il coraggio di dirglielo. Piango perchè sono una vigliacca. Intanto, il fatidico momento si avvicinava e i miei singhiozzi aumentavano, mentre, dentro di me, tentavo di calmarmi e di tranquillizzarmi. Il sacerdote, dopo aver interrogato Richard con le formule nunziali alle quali lui rispose con un decisissimo "Si, lo voglio", si voltò verso il mio viso pallido e rigato dalle lacrime e iniziò "Vuoi tu, Phiby Crawford, prendere il qui presente Richard Anderson come tuo legittimo sposo,per amarlo, onorarlo e rispettarlo, in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà finché morte non vi separi?" Il suono di quelle parole mi provocò una scossa nell'anima e una scarica di adrenalina, che, istintivamente, mi fecero dire "Cazzo no, no che non voglio!" In chiesa scese un silenzio tombale. La faccia di Richard era sconvolta, incazzata, terrorizzata e umiliata, tutto in un'unica espressione. Non feci in tempo neanche a dire un misero "mi dispiace" che le mie gambe iniziarono a correre come mai avevano fatto. Mi alzai il vestito per facilitare la fuga e mi fiondai fuori dalla chiesa con le lacrime agli occhi e, mentre correvo, iniziai a ridere come mai avevo fatto prima d'allora! Risi di gusto, assaporando il dolce gusto della libertà che quella pazzia che commisi mi stava regalando. Con mia grande sorpresa, appena fuori dalla chiesa, accostata di fronte all'entrata, trovai Myra in macchina che mi guardò e, scoppiando in una risata euforica, mi disse "Sei una cogliona prevedibile, muovi quel culo e salta su che ti porto via da questo manicomio!" non me lo feci ripetere due volte e sfrecciammo via. Dallo specchietto retrovisore vidi Richard dietro di me che correva come un forsennato urlando "Phiby ti prego, noooooo! Mamma fermala!" E quelle parole mi fecero ridere ancora di più, facendomi convincere di aver fatto la scelta giusta. Mentre Myra guidava, decisi di accendere la radio per scaricare tutta la tensione accumulata, e, neanche a farlo apposta, stavano trasmettendo una canzone del mio gruppo preferito, i Muse, ovvero Panic Station, nel momento esatto in cui Matt Bellamy canta "do what the fuck you want to, there's no one to appease!" Che mi diede un'ulteriore conferma di quanto fossi stata stupida a non lasciare Richard tanto tempo fa. Eravamo una di quelle coppie autodistruttive, mangiate dalla routine e dalla monotonia. Io e lui non litigavamo mai, andavamo sempre d'accordo, non ci eravamo mai mandati a fanculo in 8 anni di fidanzamento, mai un tono di voce leggermente piu aggressivo, nulla. Non ci eravamo mai aperti l'uno con l'altra, ci eravamo sempre limitati a vivere una relazione effimera. Quel giorno che doveva essere il piu bello della mia vita, lo fu davvero, ma in maniera diversa! Mi permise di ricominciare a vivere, partendo proprio con una bella sbronza con la mia migliore amica! 
  
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