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Autore: ElathaDeiCorvi    23/04/2014    5 recensioni
E pensare che era nato tutto per un inganno.
Allearsi esclusivamente con chi poteva garantirgli la vendetta sul suo “Coccodrillo”, ed approfittare dei perdenti.
"Ma, appena l’aveva vista in piedi sopra di se, con quell’espressione decisa ed arrabbiata e quella giacchetta rossa che si portava addosso quasi come si imbraccia uno scudo (e lui sapeva che esistono diversi tipi di scudi, sia contro le spade che contro gli assalti del mondo), aveva capito subito che Emma Swan non era una perdente. Non lo sarebbe mai stata. "
Hook, maledetto da Zelena, si ritrova a vagabondare per Storybrook riflettendo sul suo rapporto con Emma, sui dolori del proprio passato, sugli errori che ha commesso.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Killian Jones Lifehouse - Everything
E pensare che era nato tutto per un inganno.
Allearsi esclusivamente con chi poteva garantirgli la vendetta sul suo “Coccodrillo”, ed approfittare dei perdenti.
Ma, appena l’aveva vista in piedi sopra di se, con quell’espressione decisa ed arrabbiata e quella giacchetta rossa che si portava addosso quasi come si imbraccia uno scudo (e lui sapeva che esistono diversi tipi di scudi, sia contro le spade che contro gli assalti del mondo), aveva capito subito che Emma Swan non era una perdente. Non lo sarebbe mai stata.
Sarebbe potuta cadere, scivolare, avrebbe potuto mettere il piede in fallo… ma si sarebbe sempre rialzata più forte, più determinata, più aggressiva.
E più chiusa.
Ne aveva conosciuti tanti, di tipi così.
Bambini sperduti con il vuoto negli occhi e la rabbia dell’abbandono nel cuore.
Non lo aveva mai sorpreso sapere che proprio Bae era stato il primo amore di lei, come Milah il suo. Bae aveva ereditato dalla madre il carattere forte, la rettitudine, il senso del dovere e dell’onore. Poco importava che fosse campato di espedienti, rubacchiando qui e là. Non era forse così la vita? Un’unica, lunga prova di sopravvivenza, in cui il destino ti trascina nella polvere e tu devi cercare di rialzarti e di mantenerti integro, in forze, vivo, una perdita dopo l’altra?
Sì.
Killian Jones ne aveva conosciuti tanti, di sopravvissuti come Milah, Baelfire ed Emma.
Killian Jones era uno di loro.
Ed ora?
Ed ora non poteva impedire al proprio viso, quasi fosse un’entità separata da lui, di tendere i muscoli in un ghigno distorto, e amaro come quelle mele verdi che Zelena aveva lasciato alla sorella.
Zelena.
Maledetta lei, maledetta la sua magia, maledette le maledizioni…
Dicotomia assurda, Hook. Non sei altro che un idiota ingenuo e dal cuore troppo tenero.” Si disse, ma non riusciva a smettere di pensare al volto confuso e terrorizzato di Henry mentre la scimmia volante lo afferrava e lo conduceva in alto, in alto, lontano dalla sua portata ed accanto alla megera a cavallo di una scopa da cortile.
Si immobilizzò, teso, nel bel mezzo del marciapiede della main street, rivedendo brillare davanti a se quel sorrisetto soddisfatto.
«Hai aspettato troppo. Baciala, o il ragazzo pagherà le conseguenze del tuo ritardo, Pirata. »
Il pirata in questione, in uno scatto d’ira, ricordando quell’istante di poche ore prima, prese rabbiosamente a calci un bidone dell’immondizia.
Baciarla.
Quella dannata bagascia aveva idea di quanto Killian desiderasse baciare Emma?
Di quanto desiderasse stringerla, respirare il suo profumo, guardarla negli occhi senza il timore che lei vi leggesse quanto sporco si sentiva dentro?
Di quanto, in quell’anno passato, aveva lottato per dimenticare quel contatto di labbra nella jungla dell’Isola, sperando di poter dimenticare lei?
Di quanto la morte di Bae lo avesse emotivamente devastato, sia come perdita di un ragazzo al quale era affezionato che a causa del pensiero (malato, sbagliato, non voluto, non desiderato… ma fin troppo reale…) di quel corpo di donna caldo tra e sue braccia, senza più ostacoli, senza più tentennamenti, senza più terzi incomodi…
Si era sentito un verme. Un verme senza speranza alcuna di poter agire diversamente.
Perché ogni volta che lei gli si avvicinava, che lo guardava, che gli sorrideva, perdeva completamente il lume della ragione, incapace di evitare di giocare con lei quel gioco iniziato mentre scalavano una pianta di fagioli.
Lo stesso gioco che lo aveva illuso di poter essere il suo vero amore, di poterla svegliare dal torpore con un bacio, di farle ritrovare i ricordi con la sola forza di ciò che provava per lei dal momento in cui lo aveva trascinato fuori da una pila di cadaveri senza cuore, in una landa desolata, quando ancora l’unico pensiero che lo divorava era la vendetta.
E, dei dell’inferno! Quanto si era sentito IDIOTA quando il suo “geniale piano” non aveva funzionato e lei gli aveva sbattuto la porta in faccia. Gli era sembrato di rivivere all’infinito quell’angoscioso istante in cui gli aveva stretto attorno al polso il ceppo dorato, nel castello dei giganti.
Ora,  invece, si sentiva solo contaminato.
Contaminato ed impotente.
Dopo che Zelena e le sue scimmie avevano rapito Henry e Smee (povero Smee; forse, dopotutto, avrebbe davvero avuto l’occasione di calarsi nei panni di un primate, oltre che di un topo…), Killian aveva vagabondato per le strade di Storybrook per ore, sotto un cielo pesante di nubi ravide di neve, arrovellandosi per trovare una soluzione, valutando ogni possibilità, arrivando addirittura a ponderare di gettarsi in mare e lasciarsi annegare. Ma, a conti fatti, a cosa sarebbe servita una sua prematura dipartita? Certo, non avrebbe potuto baciare Emma da cadavere. Non avrebbe potuto tradirla come ogni altro uomo della sua vita. Non avrebbe potuto deluderla.
Non avrebbe potuto nemmeno proteggerla.
O riprendersi Henry.
O salvarlo.
Per quanto ne sapeva, Zelena avrebbe potuto uccidere il ragazzo (o trasformarlo in scimmia volante) non appena lui avesse esalato l’ultimo respiro, e a quel punto il suo sacrificio sarebbe risultato vano.
No. Ammazzarsi era da pusillanimi. Una cosa che il Coccodrillo avrebbe potuto fare, non lui. Lui avrebbe sopportato. Ci avrebbe ragionato sopra e sarebbe giunto alla soluzione più vantaggiosa per tutti. Alla soluzione migliore per Emma.
Dopo quattro ore, ed infinite e deprimenti elucubrazioni, non era riuscito ad ideare nessun piano geniale.
Dopo quattro ore in cui il senso di colpa gli aveva dato il tormento e la rabbia gli aveva graffiato il cuore, non aveva potuto fare altro che arrendersi all’evidenza: doveva andarsene.
Lasciarle una lettera, in cui le spiegava cosa la Strega Verde gli aveva fatto, e lasciare la città. O provarci, quantomeno.
Nascondersi da qualche parte era fuori discussione, così come raggiungere il Fuorilegge nei boschi che circondavano il confine cittadino. Chiunque fosse stato sorpreso in sua compagnia rischiava grosso, era assurdo mettere a rischio ancora più vite.
Chiedere protezione a sua maestà? Impensabile. Regina non lo avrebbe mai aiutato, visti i loro trascorsi ed il fatto che era indirettamente responsabile del rapimento del figlio adottivo.
Rivolgersi a Biancaneve, o al principesco marito? Sarebbero corsi da Emma, l’avrebbero coinvolta, le avrebbero detto tutto.
No. L’unica soluzione plausibile era scomparire.
Anche se il solo pensiero di lasciarla gli provocava la stessa sensazione della mano di Cora stretta attorno al proprio cuore.
Il suo cupo rimuginare venne interrotto da un tonfo secco e sordo, e da un grido di rabbia.
Alzando lo sguardo, si rese conto che i piedi (infidi traditori) lo avevano condotto all’altezza del loft di Biancaneve, dove l’aveva veduta l’ultima volta.
Dove la vide anche in quel momento, i palmi poggiati contro il muro di mattoni, il capo chino, il respiro ansimante che si condensava in nuvolette argentate davanti al volto, i capelli dello stesso colore dell’oro fuso alla luce dei lampioni.
«Swan…» il suo nome, un sospiro che gli sfuggì involontariamente dalle labbra.
Emma si voltò di scatto, i boccoli che frustarono la parete al suo fianco, e lo notò: le braccia lungo i fianchi, le spalle abbassate, l’uncino che brillava debolmente riflettendo la luce della vetrina lì accanto, un profondo graffio sanguinante sulla guancia, sotto gli occhi cerchiati e tormentati che avevano evitato il suo sguardo per tre interi giorni, e gli corse incontro.
Lei sa.” Si disse lui. “Sa, e sta venendo a darmi una lezione. Una lezione che mi merito, per aver lasciato che una scimmia rapisse suo figlio.
«Killian!» quasi singhiozzò. Aveva la voce rotta e gli occhi lucidi, come chi ha appena smesso di piangere o chi si sta trattenendo dal farlo da troppo tempo.
Aveva quasi dimenticato, nella disperazione che lo aveva attanagliato da quel pomeriggio, quanto felice lo rendeva ogni volta il sentire il suo nome di battesimo dalle labbra di lei. Non era più “Hook”, uncino, quello sgradevole strumento che sostituiva la sua mano da più di trecento anni. Era Killian, per lei. Killian Jones.
Non era un capitano, un epiteto, un accessorio appuntito o un nomignolo.
Era Killian. Era se stesso.
Quasi caddero entrambi sul marciapiede quando lei, di slancio, gli si gettò tra le braccia.
Si era aspettato un cazzotto, una pistola puntata, un altro calcio… non un abbraccio, stretto come se ne andasse della vita di ambedue.
La guancia che lei gli posò sul petto, lasciato scoperto dallo scollo della camicia, era umida di lacrime.
«Emma…» assaporò per un istante solo quel nome, come si fa con un liquore pregiato che si è consci di poter bere solo una volta nella vita, per poi aggiungere: «Non so se potrai mai perdonarmi.»
Anche ammesso che la notizia di Henry non le fosse ancora giunta, doveva essere successo qualcosa per provocare in lei una simile reazione emotiva. Per tutta risposta, la donna si staccò da lui quasi imbarazzata, avvicinando la mano alla sua guancia, sfiorando appena il segno dell’artiglio della scimmia e strappandogli una smorfia di dolore.
«Per cosa? Per avermi fatto prendere un colpo?»
«Swan, io…»
«Henry è tornato, sporco di terra e solo, blaterando di scimmie volanti che vi avevano attaccati…»
«Henry è qui?» non avrebbe potuto sembrare più esterrefatto di quel che era.
Emma annuì, incrociando il suo sguardo sbalordito con espressione afflitta.
«La scimmia che lo ha preso si è dissolta prima di arrivare alla fattoria. Ha detto che l’hai ferita con l’uncino, prima che si sollevasse troppo in alto. E’ atterrato nel bosco ed è tornato qui, nascondendosi da Zelena.»
«E sta bene?»
«Solo una caviglia slogata… e troppe domande.» una lacrima, una singola lacrima luminosa come una perla le solcò la guancia, e lei la terse con rabbia prima che lui potesse sollevare la mano. «Abbiamo discusso. Ha preteso di sapere cosa sta succedendo, e sono stata costretta a raccontargli tutto. Regina ha portato il suo libro di fiabe dalla villa, e pare che lui abbia iniziato a ricordare.»
Il pirata sospirò, alzando gli occhi alla coltre di nubi pesanti e scure, solcate da cumuli biancastri, che si era radunata sulla città.
«Come l’ha presa, Swan?»
Lei si limitò a scuotere il capo, tirando su col naso ad occhi bassi, voltandogli le spalle ed incrociando le braccia per nascondergli il proprio dolore.
«Starà da Regina, stanotte. Non vuole vedermi.»
Incapace di trattenersi, lui le passò il braccio buono attorno alle spalle e le circondò la vita con l’altro, attirandola contro di se nel mezzo del marciapiede, costringendola a poggiare la schiena contro il suo petto.
«Capirà. E’ troppo giovane per non sapere cos’è il perdono, e troppo simile a te per non comprendere le tue motivazioni. Devi solo lasciargli tempo.»
La sentì rilassarsi nel suo abbraccio. I muscoli persero la tensione nervosa di poco prima, il respiro divenne più regolare, la presa spasmodica sulle maniche del suo pastrano si allentò… permettendogli di lasciarla e fare un passo indietro, maledicendosi mentalmente, mentre lei si voltava a cercare il suo sguardo tenuto ostinatamente piantato sui piastroni di porfido del marciapiede.
«Perché mi stai evitando?» domandò, con aria tra l’offeso e lo scocciato.
Cosa poteva dirle?
Perché Zelena ha corrotto l’unica cosa buona che avevo ottenuto dopo centinaia di anni, e la tentazione di baciarti quando ti sono vicino è troppo forte? Perché fa male da morire doverti stare accanto ed essere obbligato a trattenere il minimo impulso a sfiorarti, toccarti, giocare con te come facevo prima?
Perché sono un pirata, e i pirati prendono ciò che vogliono senza rimorsi ne rimpianti, ed io rimpiangerei per tutta la mia esistenza di averti tradita in un momento simile?
«Non so…» attaccò lui, tentando di trovare una scusa plausibile che non suonasse come la più grossa fandonia del secolo.
«Non mentirmi! Sai che capisco sempre quando una persona mi mente!»
Alla malora quella sua dannata capacità.
«Perché non posso permettermi di farti del male. E  non potrei mai perdonarmelo.»
Dirlo fu come sputare un grumo di veleno: salutare e liberatorio.
«Non fare domande, Swan. Non chiedermi altro.» Alzò persino la mano buona, per cercare di tenerla a distanza, fissando un punto alle sue spalle per evitare lo sguardo diretto di quegli occhi che, alla luce dei lampioni, sembravano schegge di ghiaccio impazzite e dure come diamante. «Non posso dirti altro. Non posso fare altro. Per te, per Henry e per tutti quanti voi è meglio così. Se volete una possibilità di salvarvi, è meglio così.»
Un bacio freddo gli sfiorò la guancia, e la neve prese a cadere in fiocchi umidi ed appiccicosi, depositandosi su entrambi in pochi, interminabili minuti di silenzio, rendendo il cappotto di lui lucido come uno specchio nero ed incollandosi alle chiome color del grano di lei, ai jeans, al maglioncino leggero che aveva indossato per cucinare assieme a Mary Margareth nel loft riscaldato dalle risate e dall’attesa della  cena assieme.
Nel silenzio surreale che la neve porta, si ritrovò a sussurrare disperato, piantando gli occhi nei suoi dopo un tempo che gli era parso lungo in maniera straziante.
«Sono maledetto, Emma. Zelena ucciderà tutti coloro a cui tieni se non riuscissi a rubare il tuo potere.»
Idiota. Idiota e stupido.
E pazzo.
Il senso di colpa per quello che aveva appena fatto gli crollò addosso come un maglio, schiacciandogli il cuore in una morsa di disperazione.
L’avrebbe persa. Persa per sempre, senza possibilità di ritorno. Lei lo avrebbe odiato, con quel fervore devastante con il quale si odia sempre chi amavamo e ci ha traditi.
«Killian... perché non me lo hai detto?»
Lui chiuse gli occhi, scosse il capo… e non vide ciò che stava arrivando.
Lei, che colmò la distanza che li separava con pochi, rapidi passi, allacciandogli le dita dietro la nuca quasi con frenesia. Lei che si alzò in punta di piedi per avvicinarsi a lui. Lei che, senza dire una parola, schiacciò le labbra sulle sue con forza data dalla disperazione, mentre i fiocchi di neve le imperlavano le guance e le ciglia. Questo vide Killian Jones, quando spalancò le palpebre senza riuscire a staccarsi da quella morsa ferrea e dolce, come una catena avvolta nel velluto: gli zigomi di lei, arrossati dal freddo e umidi di lacrime, e le sue ciglia impreziosite da piccoli cristalli candidi.
Assolutamente incapace di fermarsi, la strinse a se con foga, aprendo le labbra alla sua richiesta delicata, baciandola (per l’ultima volta? Sicuramente, per amore.) con passione e con orgoglio, con l’intensità di chi respira l’ultima boccata d’aria prima di salire sul patibolo, con il bisogno dell’assetato che cerchi acqua dolce dopo settimane di mare aperto, o dell’affamato che trovi una tavola imbandita al suo risveglio.
E fu un bacio desiderato, e fiero, e caldo come il fuoco di un camino acceso in una lunga notte d’inverno. E che fosse una condanna o un’assoluzione, Killian Jones vi si abbandonò completamente, accettando infine di appartenerle con tutto il suo essere, desiderando di poter sprofondare all’inferno per ciò che le stava facendo, ma sentendosi come chi cammina sulla strada del paradiso.
E nulla più importò, tranne Emma, le sue labbra morbide, il corpo asciutto e freddo premuto contro il suo, il tremare delle sue dita intrecciate ai suoi capelli, e quel calore che gli si andava accumulando nel petto mentre il contatto delle loro bocche risucchiava da lei il potere della salvatrice.
O almeno così credeva.

Quando la magia si liberò, lo colse di sorpresa tanto quanto il bacio: un’onda arcobaleno nella notte innevata, che eruppe da loro come le increspature sull’acqua di uno stango quando vi si getta un sasso, investendo case, persone, anime buone e spiriti malvagi, lasciando una scia di incantesimi infranti e menti risvegliate, e una nuova consapevolezza nel cuore di un pirata.
 
Emma lo guardò, sorridendo quasi a scusarsi. Ma non c’era nulla di cui chiedere scusa, tra loro due. Nulla di cui vergognarsi. Nulla da nascondere.
Appoggiandogli la guancia sul petto, godendosi l’odore di pelle e di sale che sempre emanava da lui, sospirò soddisfatta nel suo abbraccio. Le dita della mano buona le sfioravano la tempia ed il volto, le sue labbra i capelli, e il freddo era fugato dal calore del corpo di lui.
«Non lo sapevi, Killian?» sussurrò contro il suo collo, strappandogli una risatina. «Il bacio del Vero Amore può spezzare qualsiasi maledizione.»
   
 
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