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Autore: Thiana    23/04/2014    1 recensioni
Dal testo:
"Lunedì.
Se si chiedesse a qualsiasi pendolare com’è il lunedì mattina sulla Metro di Roma, la risposta sarebbe, pressappoco, la stessa: infernale.
[...]
...mai nella sua vita, Mara era stata contenta di andare al lavoro come quel lunedì mattina."
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Lunedì.
Se si chiedesse a qualsiasi pendolare com’è il lunedì mattina sulla Metro di Roma, la risposta sarebbe, pressappoco, la stessa: infernale.
Salita alla fermata Furio Camillo, Mara era riuscita ad accaparrarsi un posto a sedere tra un professore che correggeva compiti e uno studente che, al contrario, li copiava da un compagno in piedi di fronte a lui, e l'aveva trovato solo perché il flusso dei passeggeri era scemato. Iniziare il proprio turno alle dieci del mattino aveva senza dubbio i suoi vantaggi. Una Metro meno infernale e colazione tranquilla nel bar davanti lo studio del suo capo.
La borsa del lavoro, piena di documenti, era stretta al petto e le mani erano impegnate a stringere un libro. L’unico modo per passare quei minuti di viaggio senza guardarsi intorno era proprio leggere.
Faceva quel viaggio, Furio Camillo - Valle Aurelia, da tutta l’estate e ora, con un sospiro, ringraziava quel Settembre fresco, che rendeva meno infernale quel viaggio.

“Siamo in arrivo a San Giovanni.” La voce metallica le fece staccare gli occhi dalle parole stampate sulle pagine del libro nel momento esatto in cui il professore, alla sua destra, fece cadere un fascio di compiti verso la parte opposta del vagone.
Solo in quel momento, Mara notò il ragazzo seduto di fronte a lei. Lo scrutò, senza neanche pensare di dissimulare il suo sguardo, ignorando lo squittio dell’insegnante.
Appariva come un’accozzaglia di colori ammassati su un corpo abbronzato. I capelli erano castano chiaro, sistemati in una pettinatura troppo simile a quella di Danny Zucco per essere presa sul serio; una semplice maglietta, verde acqua con un disegno giallo e viola; pantaloni rossi e un paio di sneakers azzurre; gli occhi, neri, corsero subito ai fogli sparpagliati a terra.
Mara chiuse il libro, sapendo di essere l’unica persona che avrebbe aiutato quel professore, nonostante l’avesse quasi asfissiata con la sua acqua di colonia.
Un paio di mani maschili la precedettero, però, raccogliendo i compiti e porgendoli all’uomo sedutole accanto che, con un ringraziamento fugace, li riposava tutti malamente nella sua cartella, stropicciandone la maggior parte, e si alzava pronto a scendere alla fermata successiva.
Si voltò, sistemandosi la tracolla della cartella e ringraziò ancora il ragazzo che, tornato al suo posto, fece solo un mezzo sorriso accompagnato da una scrollata di spalle.
Lasciando il libro chiuso, Mara osservò il ragazzo, di nuovo.
Stavolta, però, cerco di essere meno palese della volta precedente. Allungò lo sguardo verso sinistra, passandolo sulle porte automatiche e sulla piantina delle diverse Metro romane, quando passò sul ragazzo si soffermò.
Nonostante l’aspetto totalmente non-ordinario, continuò ad avere un sorrisetto appena accennato. Lo guardò grattarsi una guancia con un accenno di barba.
Tutti i propositi di essere discreta, svanirono. Restò ad osservare le dita del ragazzo che giocavano con un elastico, la testa abbandonata contro il grande finestrino alle sue spalle; lo sguardo era fisso verso l’alto ma, probabilmente, i suoi occhi non stavano davvero guardando qualcosa.
Lasciò che lo studente alla sua sinistra le bloccasse la visuale quando, sentendo l’annuncio dell’arrivo alla fermata della Stazione Termini, le passò davanti e si fermò esattamente davanti a lei per attendere il suo momento di scendere. Non che fosse una persona che attendeva, realizzò Mara. Nei pochi secondi di attesa lui e il suo compagno di scuola avevano spinto almeno quattro persone, nella fretta di scendere.
Aspettò l’intero tratto per la fermata successiva, prima di tornare a guardare quel ragazzo.
In ventiquattro anni non le era mai capitato di interessarsi così rapidamente a qualcuno senza averci neanche parlato. Sua sorella avrebbe attaccato con la storia del colpo di fulmine, ma Carlotta era solo un’inguaribile romantica che credeva al principe azzurro in sella ad un destriero bianco.
Abbassò lo sguardo per guardare le scarpe del ragazzo: un paio di quelle scarpe di tela che, nonostante fossero visibilmente state indossate molte volte, avevano il fascino dell’usato e non del vecchio. Scarpe di tela azzurra e gomma bianca. Poiché il ragazzo teneva le caviglie incrociate, riuscì a notare una frase scritta con una penna sulla gomma della scarpa, nella parte interna.
“Ogni cosa accade per una ragione.” Buffo. Aveva sempre sostenuto il contrario. Fin da quando, al liceo, aveva scoperto che alcuni filosofi credevano in un finalismo, un destino che fa muovere gli uomini con il solo scopo di realizzarlo.
Esistevano gli uomini. E le azioni. Le motivazioni, sì, ma non i fini.
In quel momento però dubitò di quello in cui aveva sempre creduto. E se davvero fosse esistito un destino e lei, ignara, avesse davvero creduto di muoversi per una causa e non per un fine?
Se un destino c’era, si disse, gli occhi di quel ragazzo lo conoscevano bene.
Quando li guardò, concentrandosi più su quello che trasmettevano che sul colore, si meravigliò di trovarli puntati su di lei.
A discapito della timidezza che l’assaliva puntualmente, ogni volta che parlava con un ragazzo, si ritrovò a sorridere continuando a guardare gli occhi dello sconosciuto.
Sua sorella si sarebbe alzata, gli avrebbe chiesto il suo nome e il numero di telefono; avrebbe avuto il cellulare pronto in mano, con uno dei social network che frequentava per richiedergli l’amicizia, o qualunque cosa fosse.
E qualche volta voleva avere il fegato di quella diciassettenne romantica e sconsiderata, per non essere la solita ventiquattrenne che arrossiva ai complimenti degli zii o dei parenti.
“Siamo in arrivo a Flaminio.” Gracchiò ancora la voce meccanica. A differenza di tutte le fermate precedenti, però, il ragazzo si alzò, sistemandosi uno zaino in spalla.
Un ridicolo zainetto arancione pieno di frasi scritte con un pennarello.
Un adorabile zainetto arancione, che le ricordava tanto quando ne aveva uno rosa, al liceo, ed era pieno di frasi e dediche delle sue compagne di classe.
Sorrise per il ricordo, o forse per il sorriso gemello sul volto del ragazzo che, si passò una mano tra i capelli e scese dal vagone, affrettandosi ad uscire dalla Metro.
Mara era stata tante cose nella vita: una sorella maggiore, una studentessa modello, una fidanzata troppo premurosa, una figlia poco problematica, un’amica sincera ma mai nella sua vita, Mara era stata contenta di andare al lavoro come quel lunedì mattina.

   
 
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