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Autore: Sam221b    24/04/2014    1 recensioni
Cos'ha provato Will Graham tentando di uccidere Hannibal Lecter?
Genere: Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hannibal Lecter, Will Graham
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Note: é da una vita che non posto nulla su EFP. Per i pochi che hanno letto qualcosa di mio, sapranno che principalmente preferisco parlare di psicologia di un personaggio, e quindi ieri, studiando Marziale in latino ed imbattendomi nel termine in cauda venenum mi è venuta l'idea di questa breve narrazione di una fetta della psicologia di Will, che si concentra sul momento in cui [spoiler per chi segue la serie solo in italiano] Will tenta di far uccidere Hannibal, e ciò che prova prima di scoprire che il piano non è andato a buon fine.
Non sono completamente soddisfatta, ma c'è da dire che è uno di quei racconti che faccio di getto in un'ora e non saprei sinceramente come modificarlo e riscriverlo. Enjoy the reading.


Un sospiro aleggiò per qualche istante nell’aria. Un respiro sommesso e trattenuto fece da inframmezzo insonoro tra le parole che aveva pronunciato pochi istanti prima e quelle che ora sentiva raschiare sulle pareti della gola, desiderose di librarsi con ali di colibrì nell’aria rarefatta del luogo fetido che da settimane chiamava casa.
-Voglio….- ripeté di nuovo, deglutendo poi invano, affinché la saliva inumidisse la gola bruciante nell’angoscia. I suoi occhi scoccarono in fretta nella direzione di quelli ampi e folli del suo giovane interlocutore che, con l’ansia malcelata di un discepolo in adorazione del maestro e di un ragazzo desideroso di rompere un’esistenza noiosa, lo fissava in attesa che la sua voce impartisse gli ordini attesi.
-Voglio che tu uccida Hannibal Lecter.- le parole batterono nell’aria, frenetiche come le ali di un colibrì che, finalmente libero, raggiunse le orecchie del suo ammiratore, pronto ad accogliere quelle sante parole come l’ostia eucaristica, e farsi così portatore della parola del suo signore.
Oh, se solo Hannibal avesse potuto vedere la compiaciuta soddisfazione che increspò le labbra sarcastiche di quel volto. Se solo avesse potuto vedere la curva di quella bocca che, con voce gagliarda e gravida di aspettativa, si aprì a cantilenare un concitato assenso alle parole di quel messia profano.
Ebbe un brivido nel rendersi conto di aver appena tolto la sicura ad una pericolosa arma di distruzione, aggiungendovi un bersaglio sicuro ed un mirino appositamente preparato per colpire ed affondare. Ma non se ne curò. Era colpa sua, ed esclusivamente sua. Hannibal lo aveva sospinto con la dolcezza di una mano amica sull’orlo di un burrone tanto scuro da non poter più distogliere lo sguardo dallo spettacolo osceno di un’ombra infinita che gli stava risucchiando l’anima poco a poco, corrodendolo dall’interno e scavando in lui le strade di un labirinto entro il quale non si ritrovava più. Sapeva chi era, ma al contempo non riconosceva appieno quel roseto di emozioni spinose che lo facevano sanguinare ad ogni passo che avanzasse.
Anche in quel momento, mentre osservava la gelida gioia di quegli occhi iniettati di sangue che stavano per ubriacarsi dello spettacolo di morte che lui stesso aveva ordinato loro di commettere, sentì le spine del suo odio penetrare nella carne sulla sua scapola sinistra, all’altezza del cuore, e dalla ferita che esse gli provocarono, avvertì distillare una goccia di sangue purissimo, di cui riusciva a vederne il vermiglio lucore. Essa percorse la sua schiena, raggelando al suo passaggio la pelle accapponata dagli lievi spasmi che percorrevano le sue membra, mentre l’ombra del ragazzo che avrebbe commesso il crimine per lui, pareva ingrandirsi sulla parete dietro alla sua schiena ed allungarsi arcigna per afferrarlo e divorarlo con zanne d’avorio vermiglio..
 
Will aprì gli occhi di scatto, risvegliandosi in uno spasmo sorpreso, mentre il respiro gli si mozzava in gola e i muscoli del corpo gli si irrigidivano più di quanto già non fossero a causa dell’incubo cupo in cui la sua mente lo aveva gettato. Incubo che era, in realtà, macabra testimonianza teatralizzata di un evento realmente accaduto.
Avvertendo una goccia scorrergli lungo il lato sinistro della schiena, fece scattare la mano dietro al proprio torso, e, tremando sorpreso, si rese conto di non poter raggiungere con le dita la pelle umida, in quanto coperta dalla divisa sciatta che indossava da così tanto tempo ormai da essere diventata una sua seconda pelle, tanto che quando la levava gli pareva di fare la muta come un serpente, adesa com’era la stoffa al suo corpo rachitico, ridotto all’ombra di ciò che era stato.
Ma ciononostante realizzò che la goccia che avvertiva sulla schiena doveva essere solo sudore.
Deglutì ancora, rannicchiandosi sulla brandina per qualche istante, mentre il respiro straziato usciva a singhiozzo dalle labbra semischiuse. Si chiuse su sé stesso quanto più potette, avvicinando a tal punto il viso e le gambe che con la fronte riuscì a sfiorare le ginocchia ossute, aggrovigliato in una posizione fetale che, con il suo antico riverberare, gli fece per qualche istante sembrare di essere protetto.
Ma non durò molto, e le urla di un suo vicino di cella lo riportarono con un calcio nella realtà che era costretto a condividere con lui.
No rest for the wicked. Specialmente per gli innocenti come lui che si erano resi wicked con le proprie mani, cedendo alle proprie ferine pulsioni.
Will si portò le mani avvizzite sul viso, tentando di trasformare in pece il nero ovattato delle palpebre attraverso cui passava la luce dei lampadari perennemente accesi come il giudizio divino, impedendogli di ottenere quel nero totale a cui anelava. Voleva che ogni fottuto spiraglio di luce si cancellasse, perché la luce serviva a delineare e colorare gli oggetti, ma nei grigi corridoi di quella gabbia per matti, non c’era nessun colore che valesse la pena di essere delineato. Cosa c’era da illuminare, quando gli unici colori che vedeva erano il grigio delle pareti ed il rosso del sangue?
Un singhiozzo gli strozzò la gola, scoppiando come preludio di un pianto disperato che però Will non liberò. Strinse le palpebre e con le ultime briciole residue di forza, si alzò a sedere, costringendosi ad aprire gli occhi nonostante tutto, e ad alzare lo sguardo sulla parete davanti a sé.
Se non altro doveva sopravvivere per ricevere la notizia della morte di Hannibal.
Se non altro doveva ritrovare quella fredda apatia che si era pazientemente costruito durante quelle settimane di reclusione, solo per assaporare la notizia per cui aveva irrimediabilmente macchiato la propria anima. Sempre che ne avesse mai avuta una ad essere onesti.
In fondo, era stato sempre un perfetto vessillo per le anime di altri, cosa gli assicurava che la sua empatia non derivasse proprio dal fatto che lui stesso non ne avesse una di anima? Forse era come un vaso di pandora vuoto, nel quale potevi infilarci la peggior feccia del genere umano, grazie proprio al fatto che in sé stesso esso è nato vuoto, fatto apposta per essere riempito.
Tentò di aggiustare la posizione degli occhiali, bloccando il movimento della mano a metà quando si rese conto, toccando il solco tra gli occhi, che non c’era nessuna asticella di metallo da sollevare proprio perché non c’era nessun paio di occhiali da sistemare.
Già. Dimenticava che la politica dell’ospedale psichiatrico criminale non prevedeva che i pazienti dell’ospedale portassero con sé molti effetti speciali, soprattutto se metallici e potenzialmente utilizzabili come armi.
Stringendo i denti, portò le dita delle mani sugli occhi ed iniziò a massaggiarsi le palpebre, tentando invano di rilassarsi. Doveva resistere. In qualche modo doveva farcela. In qualche modo doveva..
-Will Graham.-
Il suo nome pronunciato da una voce estranea non gli fece alcun effetto, se non un vago fastidio che si manifestò con uno sguardo appena irritato, che rivolse all’infermiere in camice bianco dopo aver portato le dita lontane dagli occhi, lasciando le mani a coppa sospese davanti al proprio viso, come fosse stato interrotto nell’atto di lavarsi la faccia.
L’infermiere parve sorpreso. Dopotutto, per quanto vaga potesse essere l’irritazione, perlomeno era una forma di emozione, che appariva come un miraggio insperato sul volto di Will Graham, da settimane inespressivo quanto una pallida maschera del teatro giapponese. Si riscosse infilandosi le mani nelle tasche del camice e frugando nervosamente alla ricerca delle chiavi della cella, senza mai staccare le pupille dilatate dal carcerato.
-Hai una visita.- comunicò, lapidario, mentre infilava le chiavi nella toppa con una mano, e con l’altra faceva cenno a due guardie armate di avvicinarsi per aiutarlo nell’ammanettare e scortare l’ospite nella saletta delle visite –una deliziosa aula magna di raffinato gusto barocco con una serie di sublimi privè costituiti da una cabina stretta quanto all’incirca un condotto dell’aria, fatta di sbarre in quasi nulla dissimili a quelle delle prigioni vere e proprie, in cui erano ospitati gli illustri ospiti dell’ospedale allorché avessero avuto visitatori.
Quando Will si sedette in una di queste deliziose ghigliottine, l’infermiere ve lo rinchiuse osservandolo con un’occhiata di sbieco, come sorpreso dal fatto che non avesse comunque proferito parola, nemmeno per domandare chi fosse il visitatore che desiderava parlargli.
Ma Will, apaticamente, non vi badò. C’era una buona possibilità –decisamente elevata-, che fosse Jack, e che volesse interrogarlo sull’omicidio di Hannibal. Jack non era un uomo stupido, per quanto umanamente ingenuo, ed una volta compreso che l’assassino era un infermiere di quello stesso ospedale –valutò che dovevano averlo catturato, dato che non si era fatto vivo per confermargli di aver eseguito ciò che gli aveva comandato- avrebbe compreso che in qualche modo, Will doveva averci messo del suo. E questo non lo toccava minimamente. Dopotutto, la sua vita era già stata violentata brutalmente. Cosa potevano fargli ancora? Questa volta l’omicidio che gli avrebbero imputato, perlomeno sarebbe stato davvero opera sua.
Si sedette più comodo sullo sgabello precario della cabina, osservando un capello ricciolo che si separò dalla sua chioma per finirgli sulle gambe, andandosi ad aggiungere al resto dello sporco incrostato su quella divisa.
Quel capello scuro gli fece pensare che c’era la minima possibilità che il visitatore fosse Alana, pronta a snocciolare uno dei suoi discorsi moralmente ineccepibili, grazie ai quali, però, ora si ritrovava prigioniero di una tela ordita ad arte da un grasso ragno che li aveva inebetiti tutti con il suo veleno, senza che loro, mosche affascinate, se ne rendessero conto.
Quando dei passi lontani lo avvertirono dell’arrivo del visitatore, però, sentì la tela del ragno stringersi con più tenacia intorno a lui. L’ombra che nel suo sogno lo aveva avvolto poco prima di svegliarlo si fece tangibile quanto l’aria che respirava, palesandosi  in un palco di corna ritorte affinché la sua colpa, il lurido peccato che aveva tentato di commettere, fosse manifesto sopra di lui, così che nessuno più potesse confondersi sulla sua natura.
-Salve Dr Lecter.- salutò, con distaccato tremore.
Per anni aveva sperimentato emozioni attraverso quelle degli altri. Poche ne aveva avvertite direttamente sulla propria pelle, dalle proprie interiora. Ma di tutte non aveva mai potuto annoverare l’odio.
L’odio, quando aveva avuto modo di avvertirlo, era sempre stato quello di altri, e di solito si era sempre accompagnato ad una sete inspiegabile di sangue. Lo aveva sperimentato solo quando aveva dovuto trasformarsi psicologicamente negli assassini dei casi su cui aveva indagato, e quando lo aveva provato, era sempre stato il riflesso in uno specchio rotto, dell’odio di qualcun altro.
Ma ora si sentiva di capire un po’ di più quegli uomini.
Ora che l’odio si era presentato a lui con tutta la propria forza adulatrice, che gli aveva fatto l’inchino, stretto la mano, e lo aveva lambito fino nei meandri più oscuri del suo cuore, Will capiva con più lucidità i perché di quegli uomini. Si dice che l’amore è forte, ma non quanto l’odio. L’odio lo aveva accecato. Lo aveva avvolto e si era sostituito alle altre emozioni, prendendo posto come intera linfa vitale che muoveva le membra altrimenti inerti del suo corpo. Era diventato il suo solo ed unico cibo. Da esso era nutrito e da esso era tenuto in vita, perché l’odio lo spingeva a cercare quella vendetta che non avrebbe ammesso di non avere.
E tutto quello, Will lo doveva soltanto all’uomo che lo osservava con studiato cordoglio dall’altro lato delle sbarre. Il lato libero di esse.
C’era qualcosa di profondamente sbagliato nella posizione dei due uomini. E Will non avrebbe vissuto per altro che non fosse correggere quella posizione, oppure annientare la fonte dell’errore.
-Voglio che tu uccida Hannibal Lecter- aveva detto. Mai riporre nelle mani di altri quello che avrebbe dovuto fare da sé. Non era andato a buon fine quel piano. Ma si scoprì a pensare che, dopotutto, era meglio così.
Non era per mezzo di altri che la situazione doveva essere sistemata. E soprattutto non era una morte veloce quello che quel ragno beffardo si meritava. No, Will ora voleva divertirsi. In qualche modo sarebbe uscito e si sarebbe divertito con il Dr Lecter.
Per poi ammazzarlo con le proprie mani.
In cauda venenum.
Il veleno alla fine.
  
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