- Non ricevo pazienti se non previo appuntamento.
 
Non l’aveva sentita entrare; era stata silenziosa e rapida come un gatto.
Aveva un buon profumo. Femminile e forte, salato, come le onde del mare che si spezzano sciabordando contro uno scoglio aguzzo.
 
La sentì fermarsi soltanto qualche metro lontano da lui, in mezzo allo studio.
 
Il parquet non scricchiolava sotto i suoi passi, il suo respiro non era pesante, la sua presenza non era di troppo.
 
Lui non si voltò.
Mantenne lo sguardo fisso verso il basso, sulla matita che aveva in mano.
 
- Mi dispiace. Avevo bisogno di vederti.
 
La voce della donna era bassa e melodica.
Piacevole all’udito, ma sconosciuta.
 
Lentamente prese il bisturi, affondando la lama nel legno della matita e facendola scorrere verso la punta in grafite.
Un truciolo di legno si staccò dalle sue dita, arricciandosi e cadendo sulla scrivania.
 
- Come mai?
 
Poté sentirla sorridere anche se non la vedeva.
Incise di nuovo il legno della matita.
 
- Ho giurato che ti avrei rivisto, Hannibal.
 
Lo psichiatra allentò la propria presa sul bisturi e sollevò lo sguardo sulla parete davanti a sé.
 
- Ha intenzione di dirmi chi è?
 
La donna avanzò di un altro passo, ma poi si fermò.
 
- Mi chiamo Mischa Amilija Lecter.
 
Voltandosi, per la prima volta in quarant’anni il dottor Lecter incrociò lo guardo di sua sorella.
 
 
 
 
 
 
Il fulmine spezzò il buio, rompendolo in migliaia di schegge come frammenti di specchio.
Il sogno si frantumò insieme alla notte, e Hannibal Lecter aprì gli occhi.