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Autore: Vala    19/07/2008    1 recensioni
-Piacere, Tezuka Kunimitsu, e sono emo.-
storia dalla dubbia classifcazione derivata da un test reperito su internet. mi sono davvero divertita a scriverla, spero che voi vi divertiate altrettando a leggerla.
Genere: Comico, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tezuka Kunimitsu
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come diceva sempre Inui, i dati non sbagliano mai. Quel test l’aveva ripetuto almeno sei volte e aveva sempre dato lo stesso responso nefasto. Nulla poteva cambiare la realtà. I pugni di Tezuka si abbatterono sul ripiano della scrivania nella sua stanza, accanto al computer con il quale, connesso a internet, aveva dato il via al suo tormento interiore. E ora, ora che la realtà gli si era rivelata così chiara e lampante, ora cosa sarebbe cambiato in lui? Non poteva più fingere.
Tezuka Kunimitsu, capitano del leggendario Seigaku, aprì gli occhi e si guardò allo specchio.
“Sono emo…”
Le parole bruciarono nella sua testa, non sopportava nemmeno di pensare una cosa simile. Sono un emo…la dura realtà della vita, quel test non sbagliava. Piacere, Tezuka Kunimitsu, e sono emo.
Afferrò il telefono cellulare con mossa felina e premette il tasto di scelta rapida per le chiamate di emergenza. Libero.
“Pronto, qui parla Fuji! – rispose la voce squillante del suo amico”
“Fuji, sono io…- parlò lui con una voce da oltretomba”
“Tezuka…? Che ti succede, sei più nero del solito!”
“Non dire quella parola…”
“Quale parola?”
“Non dire nero…”
“……sono da te tra cinque minuti…”
Gli spense il telefono in faccia, non aveva coraggio di dirgli di no, aveva davvero bisogno di una presenza confortante, anche se era quella di un maniaco che per caso era pure il suo ragazzo. Si lasciò cadere in ginocchio per terra e scagliò il telefono lontano da sé, disgustato. Nero. Sei più nero del solito. Lui non era nero! Lui era solo serio! Con la coda dell’occhio vide il suo armadio aperto. Altrochè se era nero! I suoi vestiti erano tutti uguali, tutti della stessa tonalità scura e anonima. Si alzò e buttò fuori tutto. Lui non era emo. Doveva cambiare guardaroba.
Lo specchio gli rimandò l’immagine di un ragazzo con un ciuffo assurdamente lungo a coprire gli occhi già nascosti dagli occhiali. Quel ciuffo doveva sparire. Afferrò un paio di forbici e si diede una spuntatina, quel tanto per poterlo spostare dal volto e mandare indietro con tutti gli altri. Sembrava già un altro.
Attraverso lo specchio notò la sua collezione di manga e anime, la collezione che Fuji l’aveva convinto a fare. L’aveva iniziata per far piacere all’amico ma ora lui stesso era stato rapito da quel vortice di dipendenza creato dai fumetti. Secondo il test era un segno distintivo degli emo. Li afferrò tutti riempiendosi le braccia di tutto quel ben di Dio e li ficcò sotto il letto.
Terzo passo, l’espressione. Sul test l’emo è uno che non sorride mai perché non ha motivo di sorridere. Con l’atteggiamento da combattente, quasi stesse per disputare uno scontro all’ultimo sangue con Atobe, si fissò allo specchio: gambe leggermente divaricate per mantenere l’equilibrio ad ogni costo, mani sui fianchi in posizione da duro, sguardo fiero e deciso…gli angoli della bocca si sollevarono miracolosamente verso l’alto. Si, era uno sforzo immane, ma ce la poteva fare! Era Tezuka Kunimitsu, capitano del Seigaku, promessa del tennis, e non era un emo!
“Kuni? C’è un tuo amico, lo faccio salire!”
Fuji spalancò la porta della camera e si trovò davanti un estraneo. Sobbalzò indietreggiando quando l’estraneo si avvicinò a lui.
“Tu chi sei?!”
“Fuji…sono io…”
“No, tu non sei Tezuka…! Ridammi il mio Tezuka!!”
Sospirando, Tezuka si sedette per terra in mezzo all’ammasso di vestiti gettati alla rinfusa e spiegò al suo amante cosa era successo. Lui non voleva essere emo. Fuji si mise a ridere.
“Tutto qui?! E questo il problema?”
“E ti pare poco! La massima aspirazione di un emo è il suicidio!”
“…ok, adesso basta…vieni fuori con me!”

La strada era gremita di gente, tanto che per non perdersi dovevano tenersi per mano. Normalmente questo avrebbe dato fastidio a Tezuka, così serio, così composto, ma cercava di non pensarci per apparire più allegro. A dire il vero con quel sorrisino forzato che esibiva era più inquietante che altro. Fuji lo trascinò su di una panchina ove si misero a sedere per osservare la folla.
“Vedi…? Guarda, il mondo è pieno di emo!”
Tezuka guardò bene la gente che li attorniava e si rese conto di una cosa: i suoi capelli andavano benissimo così com’erano. C’era fin troppa gente che portava il ciuffo davanti agli occhi, e molti di loro indossavano vestiti sgargianti. Un punto in meno da modificare. Si passò una mano sulla chioma e la riportò al precedente stato di tenda per occhi  e occhiali.
Il secondo punto si fissò sull’abbigliamento. Il nero era di moda, molti lo portavano. Per non parlare di quelle divise scolastiche così monotone, così grigie, così…come le sue. In effetti ora che ci pensava la maggior parte del suo armadio era perfetta per andare a scuola e alle cerimonie pubbliche. Si risollevò un po’ il morale e accavallò le gambe.
In quel momento passò una ragazza vestita di nero, con il ciuffo sui capelli e lo sguardo triste. Tezuka si sentì perduto…finché non arrivò il fidanzato della ragazza, anche lui vestito di nero con lo stesso identico ciuffo assurdo, che la abbracciò facendola volteggiare. Lei sorrise felice. Era salvo. Salvo…ma lei sorrideva!
Si mise a fissare i volti della gente finché non individuo una buona percentuale di persone che nonostante fossero in buona compagnia, nonostante stessero facendo qualcosa di divertente, non sorridevano. Erano intellettuali, come Inui che in quel momento stava passando immerso in una lettura impegnativa a giudicare dall’espressione attenta con la quale scrutava il foglio. Lui non sorrideva. Ed era un genio del tennis. Un punto in meno da depennare sulla lista delle cose da cambiare. Le sue labbra tornarono alla posizione originaria di apatia.
No, non era un emo! Era solo un ragazzo con vestiti tutti uguali dalle tinte morte, la voce bassa, lo sguardo perso, il volto inespressivo, il ciuffo davanti agli occhi, l’atteggiamento distaccato, maniaco per i manga. Decisamente non era emo.
“Secondo me ti sbagli!”
“No, ti dico che ho ragione!”
“Ma non è possibile!”
“Si invece! …oh, ciao Fuji, ciao Tezuka!”
Davanti a loro si fermarono tre esseri maschili non meglio identificati. Uno di loro data la bassa statura doveva essere per forza Echizen, nessuno era basso come lui. Così come quello al centro era per forza Momoshiro, nessuno aveva quei capelli assurdi e l’espressione imbambolata da idiota. Ma l’altro? Aveva un vago ricordo. Quel ciuffo lo aveva già incontrato prima. Qualcosa dovette trasparire dalla sua espressione perché il terzo si chinò a fissarlo da distanza ravvicinata, le labbra imbronciate, seccato.
“Non sai chi sono, vero? Ma insomma! Sono Akira Kamio, del Fudomine!”
Si accese una lampadina nella testa di Tezuka. Aveva capito tutto, non serviva stare lì seduto un secondo di più, aveva perso fin troppo tempo per colpa di quello stupido test. Si voltò verso Fuji che gli sorrise, probabilmente aveva già intuito tutto dalla sua espressione.
“Sai Fuji…” disse con il suo tono monotono Tezuka Kunimitsu, capitano del Seigaku “…c’è di peggio al mondo!”

  
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