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Autore: calamity julianne    26/04/2014    2 recensioni
Julia è una quindicenne che scappa da un passato che vuole dimenticare. Si trasferisce a Brooklyn con la sua famiglia e da quel momento niente sarà più lo stesso.
Scopre di aver vissuto una vita che non le apparteneva, una vita fatta di bugie e omissioni.
Inizierà per lei un viaggio che la porterà alla scoperta di chi sono i suoi genitori, chi è lei, qual è la sua storia e qual è il mondo a cui veramente appartiene.
Non sarà sola, sarà affiancata da Jace Wayland e i fratelli Lightwood, Alec e Isabelle.
Julia scoprirà l'amore, scoprirà il valore dell'amicizia, il dolore, la sofferenza, il coraggio e il potere che non aveva mai pensato di avere.
Dalla storia:
«E se dovessi fallire?».
«Non fallirai».
«Come fai ad esserne così sicuro?».
Fece spallucce. «So quello che dico, so di cosa sono capace ed io non ho mai fallito. E se tu dovessi fallire ti proteggerò io, a costo della mia vita».
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alec Lightwood, Hodge Starkweather, Izzy Lightwood, Jace Lightwood, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Non si è mai preparati alla perdita di una persona.
Succede e tu puoi solo stare a guardare la tua distruzione da dietro uno specchio.
Questo riassumeva i miei ultimi sei mesi. Ero un fiume in piena, una bambina che veniva risucchiata dalla voragine del suo stesso dolore. Ero impotente di fronte a qualcosa che non poteva e non doveva succedere a me, a lui, a noi.
Harry era morto e con lui, inevitabilmente una parte di me.
Era il mio migliore amico, mio fratello, era la persona che avevo amato più di tutte, era colui che mi aveva insegnato ad amare e a soffrire.
Smisi di mangiare, di bere, di fumare, di vivere. Riempivo le pagine di un diario rovinato con la mia rabbia e la mia tristezza. Scrivevo perché mi sembrava l’ unica via d’ uscita e non capivo che in realtà una via d’uscita non c’era e mai l’avrei  trovata.
Ricordo che non piansi più, dalla notte del suo incidente. E ricordo che non amai più nessuno da quel giorno.
Ero come entrata dentro un tunnel buio che pareva non avere uscita. Ero guarita dalla mia distruzione, mi ero rialzata e avevo attraversato il tunnel.
Da sola.
 
Secondo i miei genitori, cambiare città mi avrebbe fatto bene. Era un nuovo inizio, nuove persone, nuove storie e una piccola ma non insignificante possibilità di cambiare il finale della mia.
New York, Brooklyn precisamente.
Avevamo comprato un appartamento dove vivevamo io, Jenna e Luke i miei genitori. Mi  piaceva, avevo solo una paura tremenda del primo giorno di scuola. Ero timida, anche se non sembrava, e avevo difficoltà a stringere amicizia con le persone e poi sapere che sarei stata considerata “quella nuova” mi metteva ansia.
«Julia sei pronta?», chiese mia madre dalla cucina.
Feci un sospiro davanti allo specchio della mia stanza. Non avevo niente di speciale, non ero niente di speciale. Capelli ricci castani, occhi marroni e un metro e settanta che la maggior parte delle volte non si era rivelato utile.
Raggiunsi mia madre fuori dall’appartamento e mentre salivo in macchina intravidi la signora che abitava nel piano sotto il nostro che ci fissava.
Alzai un sopracciglio vedendola. Era una signora sulla sessantina, bassa e piuttosto robusta ed era tremendamente strana ed inquietante. I vicini dicevano che lei si considerava una sorta di veggente, una maga. I superstiziosi la evitavano, tutti gli altri si prendevano gioco di lei e dei suoi modi di fare inusuali.
 
Per quanto riguarda noi, non badavamo a lei più di tanto. Era semplicemente Theresa, la signora del piano di sotto che non ti saluta quando ti vede, semplicemente ti fissa come se stesse cercando di capire cosa ti passa per la testa.
E sì, era inquietante.
 
***
Le prime due ore nella mia scuola non erano andate poi così male, ma l’ansia era ancora addosso a me e non aveva intenzione di lasciarmi andare.
Avevo conosciuto un ragazzo simpatico, un po’ nerd che si adattava a me alla perfezione. Si chiamava Chris, era alto e piuttosto magro con i capelli  corti e due occhioni color carbone. Mi aveva aiutata a trovare le classi e mi aveva invitato a sedermi nel suo tavolo a mensa.
 
«Oh, magnifico», borbottò con una smorfia stampata sul volto posando il panino sul vassoio.
«Non ti piace il panino?», chiesi.
«No, non è quello. Jace Wayland ti sta fissando».
«Chi è?».
Con un cenno del capo, indicò un punto alle mie spalle. Mi voltai e vidi per la prima volta Jace Wayland. Occhi ambrati, fisico atletico, capelli biondi e ondulati e l’ aria di chi si sente padrone del mondo. Sedeva nel tavolo insieme ad un ragazzo e ad una ragazza. Il ragazzo aveva gli occhi azzurri e i capelli scuri e la ragazza aveva lunghi capelli neri e occhi scuri. Erano tutti e tre maledettamente belli.
Mi voltai verso Chris di nuovo. «Chi sono i ragazzi accanto a lui?».
«Isabelle e Alec Lightwood, sono fratelli e tutti e tre insieme, formano il trio più desiderato e strano della scuola».
Presi un sorso d’acqua dalla mia bottiglietta. «Perché strano?».
Chris alzò le spalle. «Sono strani. Hanno modi di fare insoliti e certe volte si comportano come se avessero qualcosa da nascondere».
Mi voltai un’ultima volta e nascosti il viso tra i capelli sperando che non si accorgessero che li stavo guardando ancora. Notai che avevano tutti e tre dei tatuaggi strani più o meno negli stessi punti ma evitai di fare a Chris altre domande.
Jace incontrò il mio sguardo ed io mi voltai di scattò, rossa in viso.
In ultima ora avevo geometria ed io odiavo quella materia in maniera folle. Trovai la classe con qualche difficoltà,  perché Chris per qualche motivo era andato a casa prima quindi avevo perso la mia guida personale.
Entrai in classe con il fiatone. «Buongiorno… scusi non ho trovato l’aula», dissi cercando di giustificarmi.
Il professore annuì. «Julia Collins, giusto?».
Annuii incapace di parlare. «Siediti lì, ho solo quel posto libero».
Indicò un banco in terza fila, l’unico disponibile, accanto a Jace Wayland.
Mi mordicchiai il labbro inferiore leggermente imbarazzata e andai a sedermi accanto a lui.
Non disse nulla tutto il tempo, si limitò a guardarmi in modo quasi morboso. Sembrava che avesse riconosciuto in me qualcosa e per un attimo ebbi l’impressione che una parte di lui avesse quasi paura di me. Ma erano solo sciocche supposizioni.
Addirittura serrò la mascella quando vide che stavo scarabocchiando nel mio quaderno. Era un semplice simbolo che disegnavo, frutto della noia e di quattro linee messe a caso, non qualcosa da guardare in quel modo.
 
 
Quando finirono le lezioni andai verso l’uscita della scuola perché mia madre sarebbe venuta a prendermi. Mentre l’aspettavo, vidi in una macchina lontana Jace Wayland insieme ad Alec e Isabelle Lightwood parlare o meglio discutere animatamente.
Erano troppo lontani da me per riuscire a capire cosa stessero dicendo e perché fossero tanto sorpresi.
Sì, sembravano sorpresi. I due Lightwood sembravano anche piuttosto ansiosi, ma Jace sembrava più calmo quasi contento.
La macchina di mia madre occupò la mia vista.
«Com’è andata a scuola?», chiese mentre tornavamo a casa.
«Bene».
«Hai conosciuto nuove persone?»
«Sì».
Ovviamente non era molto contenta delle mie risposte brevi, ma stranamente non disse niente.
Durante il corso di tutta la giornata sembrò piuttosto tesa, poi a cena mi dissero che sarebbero stati assenti per il fine settimana e mi dissero che per qualsiasi cosa dovevo chiedere solo ed esclusivamente a Theresa.
Piuttosto insolito.
 
***
Il fine settimana arrivò e l’idea di stare sola a casa per due giorni mi piaceva non poco. Andai a scuola prendendo un taxi in assenza di un mezzo che mi rendesse indipendente e rimasi sorpresa quando, a mensa, Jace Wayland mi invitò a mangiare nel tavolo insieme a lui.
 Non era proprio un invito, c’era lui che mi faceva segno di andare nel suo tavolo ed io che ero troppo idiota da dire di no.
«Ciao», disse lui con tono deciso.
«Ciao», risposi imbarazzata.
«L’altro giorno non ho avuto modo di presentarmi, sono Jace Wayland», e allungò una mano verso di me.
L’afferrai e la strinsi. «Julia Collins, piacere di conoscerti».
«Collins?», chiese incuriosito.
«Ehm, sì».
«Allora, Julia cosa ti porta qui?».
Sorrisi amaramente. «Volevamo cambiare aria».
«Volevamo?».
«Io, Jenna e Luke i miei genitori».
«I tuoi genitori…», mormorò tra sé e sé.
Non ci feci tanto caso ero troppo presa da uno dei suoi tatuaggi. Portava una camicia azzurra sbottonata e potevo chiaramente vedere quel simbolo strano che padroneggiava nella sua spalla destra.
«Posso chiederti una cosa?», dissi senza riuscire a trattenermi più di tanto.
«Certo».
«Tu e i tuoi amici avete questi tatuaggi strani… che significano?».
Il suo volto si contrasse. Serrò la mascella e mi squadrò. «Tatuaggi?».
«Sì, come quello sulla tua spalla».
Quel simbolo aveva qualcosa di familiare ma Jace si abbottonò la camicia per intero, impedendomi di vedere oltre.
«Devo andare», disse secco e sparì dalla mia vista.
 
In ultima ora Jace non si presentò a lezione e pensai di averlo spaventato con la mia curiosità senza freni. Tuttavia, la sua reazione era stata esagerata ed io non potevo di certo immaginare che una semplice domanda avrebbe causato un comportamento del genere.
Finite le lezioni chiamai un taxi per tornare a casa.
Aprii la portiera e andai a sedermi dentro l’auto ma prima che potessi  chiuderla Jace la bloccò ed entrò con me.
Aggrottai la fronte. «Che fai?».
«Ti porto a casa», disse con tono saccente.  «Parti, Alec».
«Alec?», solo allora mi accorsi che alla guida non c’era un semplicissimo tassista con i baffi che puzzava di fumo, bensì Alec Lightwood e al suo fianco sua sorella Isabelle.
«Dove diavolo mi state portando?», sbottai.
«Calma, ragazzina. Dobbiamo parlare».
«E c’era bisogno di inscenare un rapimento per parlare?».
«Un rapimento?», Jace rise e per tutto il viaggio non parlammo più.
 
Mi portarono in un quartiere che non avevo mai visto prima e in una stradina isolata, accanto ad abitazioni che sembravano assolutamente normali, c’era una sorta di castello enorme e spettacolare.
«Benvenuta all’ Istituto», disse Jace facendoci entrare.
Rimasi a bocca aperta guardando la bellezza di quel posto. Sembrava di essere in una favola.
«Perché sono qui?», chiesi.
«Per sapere la verità».
«Quale verità?».
«Questi», indicò uno dei tatuaggi sul suo petto. «Non sono tatuaggi, sono rune. I mondani non possono vederle, tu sì ciò vuol dire che non sei una mondana».
«Una mondana? Cos’è una mondana?», chiesi ancora più confusa.
«Un’ umana».
Scoppiai in una risata isterica. «E cosa sono se non sono umana? Un’ extraterrestre?».
Fece spallucce. «È quello che abbiamo intenzione di capire».
Poi una domanda si fece spazio nella mia mente. «Cosa sei tu?», mormorai.
«Io sono uno Shadowhunter, un cacciatore di demoni».
«Come no, e per animale domestico hai un elfo?».
Era assurdo. Erano pazzi, erano tutti pazzi.
Jace sembrò piuttosto infastidito dal mio commento. «Hodge deve parlarti».
Sbuffai. «Chi è Hodge?».
«Uno dei più grandi cacciatori di demoni di tutti i tempi».
 ***
La sala dove Jace mi portò era immensa e bellissima anche questa. «Da qui devi andare da sola».
Mi voltai verso di lui e annuii, poi scomparve.
«Sei identica a tua madre», disse una voce.
Iniziai a scendere l’enorme scalinata davanti a me e vidi un uomo dai capelli grigi e i baffi che mi guardava come si guarda una figlia.
«Non me lo aveva detto mai nessuno. Quando la gente ci vede dice che non ci somigliamo per niente», ammisi.
Hodge sorrise scuotendo il capo. «Parlo della tua vera madre».
«Come?».
Mi fece segno di avvicinarmi a lui. «Ci sono tante cose che non sai, Julia. Cose che ti sembreranno assurde, cose che pensi esistano solo nelle fiabe o nei racconti per spaventare i bambini. Ma non è così. Quelle storie, sono vere e tu ne fai parte».
Non riuscii a parlare.
Aprii una sorta di portafoto e mi mostrò la foto di una donna e di un uomo. La donna aveva lunghi capelli marroni e occhi verdastri, l’uomo aveva i capelli neri e gli occhi color caffè. Sorridevano abbracciati, con vestiti che nel mio mondo si indossavano solo a Carnevale e con dei coltelli nascosti nei vestiti.
«Charlie e Grace Michealson, i tuoi veri genitori».
«No, non è possibile», farfugliai.
Hodge si voltò verso di me. «Posso capire come ti senti. Come se il tuo mondo, tutte le tue certezze, le persone a cui volevi bene si fossero appena trasformati in bugie. Fino a poche ore fa eri solo Julia e ora tutto sta cambiando. Posso anche smettere di parlare e di raccontarti la tua storia, ma sappi che tu sei pronta a conoscere la verità».
Annuii semplicemente.
«Grace, tua madre era una donna forte e coraggiosa con validi ideali. Tuo padre era uno di quegli uomini che si sarebbe fatto uccidere pur di salvare la vita alle persone che amava e così fu…».
Lo interruppi. «Sono…sono morti?».
Fece una pausa. «Sì, sono morti».
«Erano dei cacciatori di demoni?».
«Sì, erano tra i migliori cacciatori di demoni, proprio come te».
Lo guardai alzando le sopracciglia. «Io? No, io sono solo io».
Hodge accennò un sorriso scuotendo il capo. «In te scorre sangue di cacciatrice, Julia. I tuoi genitori adottivi ti hanno tenuta nascosta da questo mondo per paura di finire nei guai, hanno deciso di partire perché sapevano che Jace, Alec e Isabelle ti avrebbero portati qui all’ Istituto».
Socchiusi le labbra. Non è possibile.
«Quindi il loro viaggio, il fine settimana… in realtà non sarebbero tornati».
Hodge annuì. «Non è tutto, mia cara».
In quello stesso istante, entrarono nella sala Jace, Alec  e Isabelle. «Grace e Charlie, insieme ad altre famiglie quali i Lightwood e i Wayland facevano parte di una stretta cerchia di alleati creata da Valentine. Valentine all’ inizio aveva le migliori intenzioni, ma come accade in questo mondo, fu accecato dalla sete di potere, lui voleva dominare. Iniziò a mischiare il sangue di un angelo con il sangue di un demone, faceva esperimenti folli, anche su bambini», per qualche motivo si bloccò e guardò i ragazzi alle mie spalle. «Tra questi bambini, c’era una bambina in particolare su cui lui fece più esperimenti, la bambina aveva sangue di cacciatrice in sé ma rispetto agli altri cacciatori aveva più sangue di angelo a causa degli esperimenti di Valentine. È una bambina di immenso potere, una bambina che Valentine vuole possedere ma se non potrà averla, la ucciderà.
 
Tu, Julia. Quella bambina sei tu».
«Quindi lui vuole uccidermi?».
«Non glielo permetteremo. Julia, non sarà facile, sappilo non sarà per niente facile».
«Non è pronta», sbuffò Alec.
«No, lei è pronta», disse Jace.
 
***
«Hodge non ti ha detto tutto», disse Jace facendo irruzione nella mia stanza. Richiusi il quadernetto dove stavo scrivendo i miei piccoli sfoghi e lo poggiai nel comodino.
«Cosa non mi ha detto?».
«Valentine cerca qualcosa. Una cosa dall’immenso potere che potrebbe fare di lui il cacciatore più potente del mondo. Noi dobbiamo trovare questa cosa prima di lui e se così non tutti i Nascosti saranno in pericolo».
«I Nascosti?».
«I Nascosti sono mezzi demoni come lupi mannari, streghe, vampiri».
«I vampiri luccicano al sole?», buttai lì.
Jace sorrise scuotendo il capo. «Quella è un’altra storia. I vampiri veri bruciano al sole».
«Cosa cerca Valentine?».
«Valentine cerca te e un ciondolo apparentemente innocuo ma dal potere inestimabile».
«E noi dobbiamo prenderlo prima di lui».
«Esatto».
«Io non so se sono pronta a tutto questo», ammisi abbassando la testa.
«Hai paura?».
«Forse».
«Tu sei forte, più di quanto credi. E sei coraggiosa. Sei una Shadowhunter come tutti noi. Sei pronta a tutto questo».
«E se dovessi fallire?».
«Non fallirai».
«Come fai ad esserne così sicuro?».
Fece spallucce. «So quello che dico, so di cosa sono capace ed io non ho mai fallito. E se tu dovessi fallire ti proteggerò io, a costo della mia vita».
  
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