Anche negli aspetti più trascurabili, riusciva a superarlo con una facilità tale da farlo ricredere su tutto quello che anni di nazionalismo radicato gli aveva ficcato in testa, lentamente e dolorosamente.
Lo odiava per questo. Avrebbe fatto qualunque cosa per superarlo, anche per un attimo, e poterlo guardare dall' alto, e fissare il suo sguardo violaceo su quello sconfitto e stupidamente azzurro dell' altro.
Si era detto, non era colpa sua. I mezzi, le difficoltà, il tempo, tutto era diverso, che senso aveva fare un confronto? Un cofronto che perdeva in partenza, ogni singola volta?
Ma il suo non era solo odio. Oh, quanto tutto sarebbe stato più facile, se lo fosse stato!
Ma non era solo odio. C' era una sorta di ammirazione fanatista nei confronti dell' americano, che lo portava ad ammirarlo avidamente da lontano, invidiarlo e bramarlo come mai prima aveva fatto. Gli si era avvicinato per qualche istante, spinto da quella cieca sete di conoscenza e consapevolezza - sperava che da vicino sembrasse ridicolmente più affrontabile - che, contrastando con la sua fame di gloria e potere, lo portava ad una lenta morte interiore.
Lo avevano tacciato delle bassezze psicologiche più turpi: ma che colpa aveva a desiderare l' oggetto del suo odio? Non è forse amore consapevolezza della propria mancanza e ricerca di questa nell' altro?
Ma non era amore. Non poteva esserlo, mancavano troppe cose, e molte altre lo avrebbero comunque distorto.
Un' ossessione, nelle sue turbolente e perturbanti sfumature di odio e perversione, di sete e respiri mozzati.
Quando i loro sguardi si incrociavano - quante poche volte accadeva? - era come se si ritrovassero in una terza dimensione, una sorta di iperuranio con le loro idee, dove niente era più ciò che era, e il violetto adombrava l' azzurro, e l' azzurro inondava il violetto.
Quindi non lo amava, non lo odiava. Era frustrante non sapere cosa lo facesse agitare così tanto, cosa gli impedisse di arrivare prima ai meeting per paura di incontrarlo per caso, cosa lo spingesse a rimanere chiuso in macchina fino a quando non lo vedeva scendere ed entrare. Aveva calcolato ormai con pochi secondi di margine il tempo che impiegava l' americano a percorrere i corridoi che lo portavano nella sala riunioni.
Non era un problema convivere con quel viscoso accumulo di sentimenti, quando erano in gruppo. Poteva distrarsi facilmente, nonostante si maledisse ogni volta per la sua assoluta capacità di deconcentrarsi da ogni singolo movimento dell' americano: quando si chinava per raccogliere una penna, il movimento rapido con il quale metteva a posto i fogli delle sue insulse relazioni, delle quali non aveva sentito nemmeno una parola, quello più lento e cauto con il quale metteva a posto gli occhiali.
Ma quando tutti gli occhi delle altre Nazioni erano rivolte su di lui, Ivan cambiava subito lo sguardo: era piacevole immaginare di essere l' unico a conoscere davvero l' americano, perchè lo osservava e lo studiava quando gli altri lo ignoravano.
La parola studio derivava dal termine latino studium, a sua volta derivante dal verbo studeo. Significava applicazione, zelo, ma anche passione, desiderio, obiettivo.
Ecco, forse era quello il termine che tanto il russo aveva inseguito in quella giornata di sole placido.
Ivan studiava Alfred. Nel tentativo di, chi lo sa?, vincerlo, sopraffarlo. O forse semplicemente per il brivido leggero che gli procuravano quelle iridi azzurre quando incrociavano le sue.
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La citazione è di Cicerone, quel gran burlone asiano che mi ha rovinato le vacanze con le sue deliziose orazioni.
La citazione è di Cicerone, quel gran burlone asiano che mi ha rovinato le vacanze con le sue deliziose orazioni.