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Autore: Water_wolf    27/04/2014    7 recensioni
{ Piper/Jason | Quarta classificata + Vincitrice premio Dolcezza contest "Amore con la A maiuscola (Afrodite sarebbe fiera di me) indetto da AnnabethJackson/Roses98 sul forum di EFP | orgogliosamente entrata a far parte della List of Awesomeness nella community campmezzosangue }
Nel fandom di PJO ci sono troppe poche Jasper, e io, da buona paladina dell'umanità, dovevo per forza scriverne una!
Lo guarda a colazione, a pranzo, a cena, come una pillola contro uno raro malessere. Piper si domanda se l’amore può essere considerato una malattia.
♠♠♠
Stringe la mano di Jason e desidera che qualcuno scatti loro una foto, così da poterla tenere sempre con sé, come le fotografie dei figli nel portafoglio di un papà.
♠♠♠
«A proposito di cose vere e meravigliose» sussurra, con un tono che si può definire solo con “sexy” «Devo fare una confessione.» Piper deglutisce. «Piper McLean, sono innamorato di te.»
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Jason Grace, Leo Valdez, Piper McLean
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Autore (nick EFP e Forum):  Water_wolf (sia EFP sia Forum)
Titolo: (h)earthquakes
Personaggi:  Piper McLean, Jason Grace, Coach Hedge, Leo Valdez, Tristan McLean
Rating: Verde
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale
Avvertimenti: Missing moment, Lime
Note dell'autore: Ho tanto da dire, quindi cercherò di essere concisa. Allora. La ff è ambientata durante L’Eroe Perduto, perché ho sempre trovato crudele che la storia di Piper e Jason durante la Scuola della Natura fosse tutta inventata. Isabel e Dylan sono, rispettivamente, la capa delle ragazze che la prendevano in giro e il tizio che ci provava con lei. The Fault In Our Stars è il titolo originale del libro Colpa delle Stelle, di John Green sia santificato questo uomo! (decisamente meglio di quello italiano!) Tutte le statistiche sono fornite da Google, ed è stato piuttosto imbarazzante trovare come primi risultati sulla barra di ricerca “Quante possibilità ci sono di (venire colpita da un  fulmine) rimanere incinta prendendo la pillola?” Ho cercato di non tenere conto solo della relazione amorosa richiesta dal contest, ma di inserire anche una crescita interiore di Piper, e per questo temo che il racconto possa essere più “di formazione” che “romantico”. Non ho usato la canzone nel pacchetto ad eccezione di una frase, perché mi sembrava brutto non usarla nemmeno un pochino pochino minuscolo. Non ho idea se la mia Piper sia la Piper di zio Rick, né se sia rimasta IC, ma lo spero perché damn, l’IC è il sale della vita. Poi, ho tentato di costruire un cerchio di frasi o concetti che si ripetono e si riprendono, però non so se è una grade cavolata e io mi sono fumata il cervello, oppure ci sono riuscita davvero. E… uhm… niente, non sono sicura di niente hahah (LoL) Enjoy! ♥


 

(h)earthquakes

 
Piper non è pazza.
O, almeno, è quello che si ripete pur di non credere a ciò che sostengono gli altri. È impossibile che Era abbia alterato così la sua memoria. I sentimenti che ha provato con Jason alla Scuola della Natura, la volta che l’ha baciata, la sensazione che degli elefanti stessero ballando il flamenco nel suo stomaco quando la guardava… No, è impossibile che tutto questo sia un’invenzione, frutto della sua immaginazione. Non è giusto. Non è giusto che una sola persona, anche se una dea, possa soggiogarla in quel modo.
Piper non è pazza, Piper è solo arrabbiata.
 
 
Il Coach Hedge ordina che facciano dieci flessioni e dieci addominali, che corrano per venti minuti attorno al campo e che facciano stretching mentre riprendono fiato, prima della serie di esercizi seguenti. Piper pensa che sia pazzo. Lo pensano tutti, a dire la verità, ma questo non gli impedisce di essere un despota.
Il Coach Hedge soffia nel fischietto, il quale emette un suono acuto che annuncia l’inizio della tortura. Scattano a terra e cominciano con le flessioni, recitando insulti, maledizioni e testi di canzoni sataniche nelle loro menti contro di lui.
La Scuola della Natura ha il nome giusto, crede Piper. Come nell’ambiente selvaggio, se non sei abbastanza forte sei destinato a soccombere. Piper non è forte, ma è intelligente e sa come far finta di esserlo. È la prima delle ragazze a rialzarsi per correre, nonostante le braccia le formicolino e nel petto le si stia aprendo una voragine.
Porta i pensieri verso altro per dimenticarsi dei disagi del presente, così si scopre a recitare a memoria le battute delle parti dell’ultimo film di suo padre. Il Coach Hedge strepita che si muovano, che sono solo trascorsi cinque minuti, che sono delle mammolette, che non sono abbastanza.
Piper pensa che, di questo passo, potrebbe non riuscire più a respirare e stramazzare a terra. Chissà se qualcuno ruberebbe un oggetto dal suo cadavere. Sorride, perché il pensiero di una cleptomane derubata è divertente. I capelli le finiscono in bocca, le si appiccicano alle labbra screpolate e lei se li scosta dal viso con una manata. Ha un taglio asimmetrico fatto in casa, quello che le altre ragazze criticano e suo padre non nota.
Sta recitando nella testa alcune delle sue battute, frasi che ha imparato per aiutare lui, non se stessa. Suo padre l’ha mandata alla Scuola della Natura perché le possono dare una mano. Ma non è vero. È solo che Piper si è fatta prestare una macchina ed è troppa attenzione quella che lui dovrebbe spendere per farle smettere di commettere furti per lui.
Piper corre più veloce, perché è arrabbiata, perché all’improvviso si sente scoppiare d’energia e magma fuso le ribolle sotto la pelle. Vuole essere padrona della sua vita, ma è ancora suo padre a condizionarne l’andamento. A volte lo odia. Quando succede, lo perdona sempre.
Il Coach Hedge fischia la fine dei venti minuti, i ragazzi si fermano e fanno stretching. Piper sente che l’aria le trapassa i polmoni a ogni respiro, ma la sensazione non dura molto, lo stesso tempo che impiega a sbollire la rabbia. È sempre così: non riesce a rimanere imbronciata per tanto; le sue sono piccole scosse, un po’ come la crosta terreste che si deve riassestare. Solo che le seconde creano onde anomale e terremoti, le prime devastano unicamente lei.
«Complimenti.»
Piper si volta verso destra e incontra la figura di un ragazzo. Jason. Non riesce a vederlo in faccia, perché si sta stendendo sulla gamba dalla parte opposta alla sua e il sole le rende difficile distinguere i suoi lineamenti.
«Non è da tutti mettere il cuore in quello che si fa, anche se non ci piace» continua. Jason si prende una pausa per sorridere. «Non lo faccio nemmeno io, a volte.»
Piper non sa cosa ribattere. È stato suo padre a farla arrabbiare, a darle modo di sfogarsi nell’attività fisica. Se non dice nulla subito, però, sembrerà un’idiota.
Così, replica piano: «Grazie» e volta la testa prima che Jason riesca a guardarla in faccia.
 
Jason sembra uscito da una rivista di modelli di un negozio di fama mondiale come Abercrombie e Piper non si sa spiegare come mai sia finito alla Scuola della Natura. Può essere una coincidenza – come il fatto che suo padre venga scelto sempre più spesso per ruoli che prevedono scene di lui a torso nudo –, ma Piper non crede alle coincidenze.
È solo un modo sciocco per non trovare il collegamento tra due avvenimenti, un po’ come fidarsi del destino o degli oroscopi. Una leggenda cherokee narra che le stelle siano istrici luminosi e Piper pensa che sia assurdo che dei grossi porcospini-paralume decidano per lei o addirittura scrivano la sua storia. Piper crede nell’amore a prima vista, però, e al colpo di fulmine, all’esplosione causata da due elementi chimici mescolati insieme. Con Jason è stato così.
C’è una possibilità su 576’000 di essere colpiti da un fulmine e una su 2’320’000 di rimanerne uccisi, e lei è proprio quella singola occasione. Jason l’ha guardata, l’ha scossa per tutto il corpo come la folgore di Zeus e lei è caduta ai suoi piedi.
Non sa se essere felice per essere unica e speciale come quell’uno in confronto a quegli zeri, oppure triste per essere diversa, un’alterazione di uno schema predefinito che complica tutto. Si chiede come le persone possano vivere bene divergendo dalla massa, perché lei proprio non ci riesce.
Vorrebbe scomparire, entrare nell’ombra e volatilizzarsi. Eppure, quando c’è di mezzo suo padre, compie ogni genere di azione pur di abbandonare la sua abilità di mimetizzazione. Forse ruba perché le sembra di rubare la sua attenzione. Jason, di certo, ha magnetizzato quella di Piper.
Lo guarda a colazione, a pranzo, a cena, come una pillola contro uno raro malessere. Piper si domanda se l’amore può essere considerato una malattia. Piper si chiede anche se farsi continue domande sia sano, e se anche porsi la stessa questione vada bene. In fondo, non è perfetta. Dicono che nessuno lo è, e lei ci crede.
Anche Jason non lo è. Ha una piccola cicatrice sul labbro, che luccica col sudore o alla luce. È un’anomalia che un ragazzo così bello abbia un taglio, ma è ancora più strano che ciò lo renda persino più attraente. Forse è questa la perfezione, pensa Piper. L’essere perfetti anche con le proprie imperfezioni. Magari essere diversi è un pregio.
Allora rientrare nel 20% di persone che muoiono se colpite da un fulmine non le pesa più tanto, e può continuare a guardare Jason pensando di essere quella cicatrice, che non solo sta sulle sue labbra, ma che lo rende perfetto.
 
Piper ha deciso che non rimarrà nell’ombra, che se Jason le piace deve sfruttare l’opportunità che ha. Sono passati quattro giorni dall’arrivo alla Scuola della Natura, ad Armpit, Nevada. Ha ancora tempo per scegliere con chi stringere amicizia e come comportarsi con Jason, ma non vuole aspettare.
Non ha ancora un piano – probabilmente non ce l’avrà mai –, però parla con Leo e Jason, e prova affinità per entrambi. Viene travolta dal discorso, sente una piccola scintilla accendersi all’altezza del torace. È la sensazione, la quasi certezza che comunica al cervello che due persone diventeranno tuoi amici. Piper si fida dei suoi sensi.
Si lascia andare. Chiacchiera, scherza, ride, sorride. Non si sforza. Quella che sta parlando è lei, Piper McLean, senza maschere o muri a sua protezione. E l’emozione che le scalda il petto, che le dice che quello è l’inizio di un’amicizia e qualcosa di più, le piace, tanto. Piper non ha un piano, ed è certa che non le serve più, che non ne avrà mai bisogno.
 
Piper conosce Jason e pensa che sia impossibile che un ragazzo così sia finito alla Scuola della Natura. Può capire Leo, fuggito da sei famiglie adottive, che sembra attrarre più guai delle ragazze che vorrebbe e fa scherzi assurdi. Ma Jason è gentile, paziente e assomiglia a un angelo. Forse è anche un po’ tonto, perché proprio non si accorge che lei gli sbava dietro dalla prima volta che l’ha visto.
Nessuno le ha mai detto che i maschi sono intelligenti o intuitivi. Nessuno le ha mai detto che possono essere dei buoni ascoltatori, come quando ha passato un intero pomeriggio con lui a tediarlo con le sue riflessioni sul libro The Fault In Our Stars, appena finito di leggere. Piper ha fatto un sogno dove lei era Hazel e Jason Augustus, ed è riuscita a immaginare così bene le loro labbra che si toccavano che ha creduto fosse la realtà.
L’unica cosa di cui era certa, quando si è svegliata, quella mattina, era che sapeva che qualcosa era cambiato dentro di lei. Ha realizzato, per la prima volta, che Jason era tutto ciò che desiderava, persino più di suo padre.
Ancora adesso non sa bene cosa pensare a riguardo, ma sente lo stomaco contrarsi al pensiero che la famiglia non è più al primo posto. È diventata egoista? O sta solo cogliendo ciò che la vita le offre e sarebbe un peccato sprecare? Piper non lo sa.
Non sa molte cose, come se riuscirà mai a ottenere ciò che vuole, se si accetterà mai, se smetterà di porsi domande, se un giorno si considererà perfetta, se sarà felice e orgogliosa di essere un’alterazione. Ma, mentre dà fuoco ai pantaloncini del Coach Hedge insieme a Jason e se la squagliano prima che siano scoperti, sa solo che ha voglia di ridere e che non si tratterà dal farlo nemmeno un secondo, quando si sarà nascosta in camera con lui.
 
Piper guarda Jason fisso negli occhi – che colpiti dalla luce del sole sono quasi trasparenti e ci si può vedere attraverso, come vetri azzurri di una cattedrale – e allaccia, con lentezza e circospezione, la propria mano alla sua.
Quando i loro palmi si toccano, sente il cuore tremare. Se fosse un vero terremoto, avrebbe raso al suolo una città, tanto era potente. Di sicuro, quella stretta ha raso al suolo le sue paure. Jason ricambia la presa e Piper si sente trascinare in alto, sempre più in alto, verso il cielo, come la casa piena di palloncini di Up.
Si sorridono. Riprendono a passeggiare. A Piper non piacciono i cambiamenti perché spesso la situazione muta in peggio, ma, questa volta, è così gasata e su di giri ed eccitata e orgogliosa di se stessa che la consapevolezza del cambiamento – un cambiamento causato da lei – le fa venire voglia di saltare.
Stringe la mano di Jason  e desidera che qualcuno scatti loro una foto, così da poterla tenere sempre con sé, come le fotografie dei figli nel portafoglio di un papà. Leo va loro incontro, nota l’intreccio delle loro dita e fa una battuta, ma Piper non ci bada.
Non pensa a suo padre, al perché si trova alla Scuola della Natura, alla fatiche che le impone il Coach Hedge ogni giorno. Non le importa più di niente, se non del contatto tra lei e Jason, dell’ossigeno che le riempie i polmoni, il sole che le scalda la pelle e il cuore che le batte nel petto. Vorrebbe che quel benessere durasse per sempre.
 
Inspira, espira. Inspira, espira. Inspira, espira.
Piper desidera che i suoi polmoni la smettessero di inalare aria, che la lasciassero morire. Piper supplica le lacrime di finire di caderle dagli occhi e scenderle lungo le guance. Piper si inginocchia davanti al suo cuore e lo prega di darci un taglio, con quella sofferenza.
Inspira, espira. Inspira, espira. Inspira, espira.
Piper vuole smettere di singhiozzare, di essere debole, di provare dolore. Piper è stufa. Si sente stanca e le piacerebbe morire. Il pensiero non la sconvolge più di tanto. Non è la prima volta che lo formula. Non sarà la prima volta che lo porta a termine.
Inspira, espira. Inspira, espira. Inspira, espira.
Piper si domanda perché le persone devono essere così cattive. Non malvagie o crudeli; cattive. È una parola da bambini, che non definisce appieno un oggetto, ma è adatto agli uomini. Non c’è nulla di più assoluto di “cattivo”, un aggettivo che persino un bebè, un innocente, può formulare. Quando Piper piange e desidera morire, non c’è nient’altro che le viene in mente per dare un nome a ciò che la fa sentire così inutile e stupida. Il mondo è cattivo, le persone che lo abitano sono cattive.
Poi, la porta si apre ed entra Jason. Piper si chiede come abbia fatto a trovarla – si è nascosta bene –, dopo che è scappata dalle angherie di Isabel e dalle avances di Dylan. Cerca di ritrarsi, quando le si avvicina. Vuole soffrire da sola. Chi è lui per impedirglielo?
Ma Jason è caparbio e le si inginocchia accanto, le scopre la faccia seppellita sotto le braccia e tra le gambe. La guarda, le sorride, l’abbraccia. Piper non vuole piangere, non si mostrerà così debole e indifesa in presenza del ragazzo che le piace, però il corpo di Jason è caldo e accogliente e lei scoppia in singhiozzi e si aggrappa a lui, come uno scrittore alla penna che lo salva dal baratro della tristezza.
Inspira, espira. Inspira, espira. Inspira, espira.
«Va tutto bene va tutto bene va tutto bene.»
Jason mormora le parole attaccate, senza spaziature, le trasforma in una litania, mentre compie cerchi sulla schiena di Piper per calmarla e rassicurarla.
Inspira, espira. Inspira, espira. Inspira, espira.
«Va tutto bene va tutto bene va tutto bene.»
Jason non le dice di non piangere, di essere forte, che capita a ognuno di noi sentirsi in quel modo. Piper preferisce così, perché ha bisogno che qualcuno le menta o le racconti una verità comoda. Ha bisogno di credere che vada tutto bene.
Inspira, espira. Inspira, espira. Inspira, espira.
Jason le ripete “va tutto bene” senza stancarsi né lasciarla andare mai. E Piper desidera che i suoi polmoni continuino ad inalare aria, che la lascino in vita solo per abbracciare Jason un minuto in più.
 
«Davvero?»
Piper non ci crede. Jason le ha appena detto che, quella sera, ci sarà una pioggia di stelle cadenti.
«Davvero» assicura il ragazzo.
Piper si mordicchia il labbro. «Possiamo andare a vederle insieme» propone di slancio.
«Te l’avrei chiesto io» rivela Jason, sorridendole. «Dove?»
«Sul tetto» risponde lei, decisa. È il posto con la vista migliore e non correranno il rischio di essere interrotti.
«In teoria, è vietato» le ricorda.
«In teoria, è vietato anche bruciare il pantaloncini del Coach Hedge» replica Piper. «Siamo dei cattivi ragazzi, noi.»
Jason alza le mani in segno di resa. Piper si trattiene dallo sbuffare, gli prende il polso – non ricorda quand’è che è diventata così spigliata – e lo semi-trascina verso le scale. Il ragazzo la ferma, s’intrufola nella sua stanza e torna fuori con una coperta di plaid.
«Così non avremo freddo» spiega.
Piper annuisce. Attenti a non farsi scoprire, percorrono il lungo corridoio che attraversa il dormitorio, aprono la porta che nasconde le scale e iniziano a salire. Piper ha giusto un po’ di fiatone, quando raggiungere la cima delle rampe; uno dei pochi buoni effetti della vicinanza col Coach Hedge.
L’aria della sera è fresca e la rabbrividire per un attimo, perché ha solo una felpa leggera a coprirla. Ringrazia mentalmente Jason per essersi ricordato di portare la coperta. È ancora troppo presto per le stelle cadenti, così si sistemano sul tetto, stendendo il plaid sotto di loro. Piper osserva Jason, notando che i suoi capelli biondi hanno assunto una sfumatura arancio chiaro alla luce del tramonto.
«Sei comoda?» le chiede Jason, spezzando il silenzio.
Piper risponde: «Mmh-mmh. Ho solo un po’ freddo.»
Jason le si avvicina e le mette un braccio attorno alle spalle. «Ora?»
«Perfetto.»
Piper non gli dice che adesso sta meglio perché sono più vicini o perché la sola sua presenza le scalda il petto, si limita ad accoccolarsi contro il suo torace e a guardare il cielo, in attesa dell’inizio della pioggia di stelle cadenti. Si chiede cosa accadrebbe, se fossero davvero istrici. Probabilmente assomiglierebbe a quel film dove piovono hamburger giganti e cibo vario.
«Credi sia stato giusto non invitare Leo?» domanda per fare conversazione.
Non che le dispiaccia davvero per lui, ma è riuscita a stare da sola con Jason, forse sarà la volta buona in cui capirà che lei è innamorata di lui, non può non essere felice né non ignorare il lieve senso di colpa.
Jason alza le spalle. «Non sarebbe stato capace di aspettare fino a notte.»
«Avrebbe fatto esplodere qualcosa» conferma lei.
«Come minimo» rincara il ragazzo.
Piper ride. «Ti immagini Isabel che fugge terrorizzata dall’incendio?»
Il ragazzo ghigna al pensiero, poi fa: «O Dylan che strilla con voce da donna? Tipo: oh, mio Dio! Vi prego! Aiutatemi!» Jason modula la voce fino ad ottenere un tono troppo acuto per un maschio.
Si scambiano uno sguardo e scoppiano a ridere. Piper dà un colpo di tosse e cerca di recuperare un minimo di serietà.
Rimangono in silenzio per un po’, finché Jason non riprende, domandandole: «Avresti paura? Se Leo facesse saltare in aria qualcosa e provocasse un incendio, intendo.»
«Mmmh.» Piper si picchietta le labbra con un dito. «Be’, penso di sì. Insomma, potrei morire e far soffrire qualcuno. E non mi piace quando qualcosa va in fumo.»
Jason la fissa dritto negli occhi, la studia come un’esemplare di dinosauro al museo di Scienze Naturali.
La osserva fino a quando Piper si ritrae e gli chiede: «Che c’è?» forse troppo sulla difensiva.
«Niente» risponde lui, ma continua a guardarla. Piper non sa decidersi tra il desiderare che prosegua o che smetta. «Solo, ecco, hai detto che potresti morire e far soffrire qualcuno. Non hai pensato a te stessa, al fatto che potresti provare tu del dolore. È… è…»
«Strano?» suggerisce Piper. «Diverso? Differente? Sciocco? Spaventoso? Anomalo?» Sfodera il suo vocabolario dal titolo Come Definire Esseri Viventi Di Poca Importanza Che Si Fanno Troppe Domande.
«No» la blocca Jason, deciso. «È un gesto altruista. Gentile. Genuino. E sì, anche anomalo. Ma in modo bello. Capisci?»
Piper scuote la testa. «Non so. Non mi piacciono le incognite, sono imprevedibili. Può essere buono, ma anche complicato.»
«Be’» ribatte Jason, «non intendo quel senso. Nonostante non essere egoisti e pensare agli altri prima di se stessi sia fuori dalla norma e un po’ spaventoso – pensa se ti sacrificassi, diventando una martire –, non significa che non sia okay. Anzi, preoccuparsi per altre persone è così raro che è difficile credere sia vero. E si sa, le cose vere sono sempre le migliori.»
Piper è presa in contropiede, non sa cosa ribattere. Quello che ha detto Jason è un complimento, ne è sicura, ma è un tipo di complimento diverso. Se le dicessero che la sua maglietta è carina, sorriderebbe e mormorerebbe un “grazie”, dimenticandosene l’attimo dopo. Ciò che ha appena sentito è impossibile da scordare, ed è profondo, forse troppo, per un ragazzo di sedici anni.
Ridacchia. «Stai giocando a fare il filosofo?»
«Cosa ti fa pensare che io non lo sia?» ribatte.
«Il fatto che hai trascorso un semestre alla Scuola della Natura» risponde. «E che sei troppo bello per essere un topo da biblioteca» aggiunge in un sussurro, chinando il capo per nascondere il rossore che le ha invaso le guance.
Jason finge di non accorgersene. «I filosofi possono essere belli» replica.
«Nominamene uno.»
Jason apre la bocca, ma la richiude subito dopo. «Touché» ammette la sconfitta.
Piper vorrebbe che la conversazione continuasse, ma non trova argomenti abbastanza interessanti per impedirle di terminare. Il silenzio scivola di nuovo tra di loro, ma non c’è imbarazzo. Sono semplicemente due ragazzi seduti vicini – molto vicini – che aspettano la notte senza parlare. Piper si gode la sensazione di non appartenere al mondo e si concentra unicamente sui battiti del cuore di Jason contro la sua scapola.
«Uh» esclama Jason. «Inizia.»
Piper alza lo sguardo sul cielo ormai scuro e segue la traccia scintillante della coda della prima cometa. Si immagina di essere al suo posto, di volare veloce nello spazio, attorno al globo, e la consapevolezza di doversi schiantare e frantumarsi in polvere la riempie di tristezza. Sente gli occhi lucidi e sbatte le palpebre per combattere le lacrime.
«Va tutto bene?» le chiede Jason, con una punta di preoccupazione che minaccia di farla sciogliere completamente.
«Niente» dice con voce poco convincente. «Solo che è così meraviglioso che fatico a credere che sia vero.»
Cadono altre stelle, tante che illuminano la volta celeste più della luna piena. Piper chiude gli occhi ed esprime un desiderio. Ti prego, ti prego, ti prego, fa’ che Jason provi qualcosa per me. Il ragazzo si china sul suo viso e la scruta, impedendole di guardare le comete. Piper si morde il labbro inferiore.
«A proposito di cose vere e meravigliose» sussurra, con un tono che si può definire solo con “sexy” «Devo fare una confessione.» Piper deglutisce. «Piper McLean, sono innamorato di te.»
«Cosa?»  Piper trova la forza di buttare fuori la domanda, seppur con un filo di voce.
«Sono innamorato di te» ripete Jason, «e non sono il tipo da negare a me stesso il semplice piacere di dire cose vere.»
Piper pensa solo: oddio. Quando Jason la bacia, è ancora l’unico pensiero che riesce a formulare. Prova un senso di vuoto allo stomaco, come se la stessero sollevando da terra. Si chiede se stia morendo, perché l’emozione che sente nel petto è simile alla beatitudine eterna.
Immagina di nuovo di essere la cometa, ed è terrorizzata al pensiero che è destinata a schiantarsi in una nuvola di fumo, polvere e detriti. Non le è mai piaciuto quando qualcosa va in fumo.
Però Jason le sposta le mani sui fianchi, riprende fiato e la bacia ancora. E Piper non riesce più a porsi domande, a dare loro una risposta, a definire tutto ciò che vede, perché gli elementi stanno infuriando dentro di lei.
Quante possibilità ci sono di sopravvivere a un terremoto, o a uno tsunami, oppure a un uragano? Piper non lo sa.
Non le importa.
Ricambia il bacio.
 
 
Mentre cavalca Festus e le stelle scorrono sopra la sua testa, Piper sospira. È impossibile impedirsi di ripensare a quella notte, e a quelle che seguirono. La Foschia non è in grado di manipolare sensazioni del genere. Un dio non può essere tanto meschino.
È un’azione cattiva. Come lo è pensare a se stessi mentre il proprio padre è in bilico tra la vita e la morte, prigioniero di un Gigante. Piper ha una lista di priorità, e il primo punto recita “famiglia”. Eppure, pensa che sarebbe perfetto se Jason facesse parte della sua.
Anche se non si ricorda nulla di lei, possono costruire nuove memorie. Dovrebbero solo sforzarsi, faticare. Ma cos’è che non costa sudore e rende davvero felici, soddisfatti e appagati?
Inclina il capo di lato e sbircia Jason, scambiando con lui un breve sguardo. Gli occhi del figlio di Zeus – o di Giove, come si definisce – si adombrano per un secondo, lui corruga la fronte, come se si stesse sforzando di mantenere vivido un ricordo, poi scuote la testa.
Piper ritorna a guardare il cielo. Sorride. Forse si sta illudendo, è probabile che se lo sia immaginato. Eppure, è convinta che Jason sappia. Ha ragione lei, su tutto.
Piper non è pazza.
 
 
L’Islanda è un’isola situata nell’oceano, separata dalle acque dall’Europa e dalla Groenlandia. Si dice che sia una terra sospesa tra ghiaccio e fuoco. È un territorio ancora in formazione, risalente a circa 20 milioni di anni fa. Costituisce un luogo unico, dove la potenza senza controllo dei vulcani e la forza inaspettata e bollente dei geyser incontra prati verdi, case abitate e una vita spensierata. È un Paese unico.
Piper si sente un po’ così, un po’ Islanda: ancora giovane e in formazione, con zolle di crosta terreste in assestamento, che provocano scosse e terremoti, eruzioni vulcaniche, sbuffi di vapore bollente – ciò che accade al suo cuore a seconda delle emozioni.
Piper si sente un po’ così, un po’ Islanda – unica nel suo genere, un’anomalia ancora da studiare e comprendere –  e questo non le dispiace affatto.

 
  
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