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Autore: Fannie Fiffi    28/04/2014    1 recensioni
[Post Reichenbach; Johnlock.]
Il salotto è buio, l’unica fonte di illuminazione è quella del lampione vicino la finestra, ma non ci vuole una grande luce per vedere la figura seduta sulla poltrona di pelle nera; riesce a riconoscerla perfettamente: la forma dei ricci, il bavero della giacca tirato su, le gambe accavallate.
Il dottore si appoggia alla porta con tutto il suo peso quando la testa comincia a girargli e le ginocchia sembrano ripiegarsi su se stesse, mentre cerca invano di trattenere un lamento strozzato.
« Sorpresa, John. »
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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I Love You Most of All   
 

Ferisci sempre quelli che ami
quelli che non dovresti ferire affatto
prendi sempre la rosa più dolce
e la schiacci finché i petali non cadono

Spezzi sempre il più tenero dei cuori
con una parola frettolosa che non puoi rimangiarti, e
se la scorsa notte ho spezzato il tuo cuore
è perché ti amo più di tutto.

 

 

 


John Watson se ne sta seduto sull’erba umidiccia e fissa il pezzo di marmo davanti a sé. Su di esso, solo due parole: Sherlock Holmes.
Ecco cosa rimane. Ecco cosa resta dell’uomo migliore che abbia mai conosciuto: una targhetta su una fottuta tomba. Una. Fottuta. Tomba.
John continua a fissare quelle due parole e immagina come sia buffo il fatto che scambierebbe il proprio nome con quello. Lo farebbe senza pensarci un attimo, senza la minima traccia di esitazione, se questo volesse dire riportarlo indietro. Perché, diciamocelo, il mondo è un posto di merda senza Sherlock Holmes.
E poi, ci sarebbero tanti John Watson a sostituirlo; tanti soldati più coraggiosi di lui, tanti fidanzati più affettuosi di lui, tante persone tanto ordinarie e banali come lui. Ma come Sherlock Holmes… nessuno. Nessuno in quell’universo può reggere il confronto.
John ultimamente si sente diverso, si sente più sollevato e più appesantito al tempo stesso. Si sente più sollevato perché proprio in questo momento c’è la sua fidanzata che lo aspetta in macchina con caffè e ciambelle, ma si sente peggio perché ora non c’è più il suo migliore amico – che peccato ridurre la grandezza di quell’uomo a una mera etichetta – nella sua quotidianità.
Perché quel posto è stato rimpiazzato. Perché non ci sono più casi, clienti, esperimenti chimici, analisi della scena del crimine. Perché quel suo vecchio mondo sembra essersi ripiegato su se stesso fino a scomparire e non lasciare nessuna traccia dietro di sé. Il problema è che le tracce ci sono ancora, e sono i ricordi che l’ex medico militare si porta dietro come un fardello sulle spalle. Perché i pensieri che lo assalgono nei momenti più disparati riesce a cacciarli via, a respingerli in un luogo in cui non si permette di accedere, ma gli incubi sono tutta un’altra cosa. Gli incubi non può fermarli, sono demoni affamati che si nutrono della sua paura e del suo dolore e non smetteranno mai. Qualsiasi cosa accada, non smetterà mai. E forse è questa la sua punizione per non essersi accorto di quello che stava succedendo, per non aver notato i segnali, per non essere stato in grado di ascoltare veramente. Per non averlo salvato.
John viene distratto da una goccia di pioggia sul palmo della mano, ma gli ci vuole un attimo per capire che non è proprio di pioggia che si tratta. John Watson piange. È confuso perché dopo due anni non è ancora riuscito a capire il motivo, la ragione per cui il migliore amico che avesse mai avuto si sia dovuto lanciare giù da un tetto.
Ci sono così tante parole nella sua mente, così tante domande, e tutto sembra girare vorticosamente senza un senso, senza una direzione precisa.
Questo è  solo l’ennesimo incontro davanti a una tomba fatto di parole, di tante parole che formano un agglomerato indistinto e informe, e lui vorrebbe solo districare questo garbuglio perché odia visceralmente questa situazione, odia dover parlare a un pezzo di marmo, odia il silenzio che riceve in risposta.
Se Sherlock lo sta in qualche modo – in qualsiasi modo che la sua mente disperata può concepire – ascoltando, John vorrebbe solo trovare il modo di dirgli quanto si senta inutile senza di lui.
E quanto lo odia. Oh, quanto lo odia.

 
 
È passato solo qualche mese quando John riceve un messaggio da un numero sconosciuto mentre è a cena con Mary.


Baker Street. Ora.
 

E potrebbe davvero ignorarlo, potrebbe pensare che si tratti della Signora Hudson, per quanto improbabile, potrebbe trovare un milione di spiegazioni logiche per quello, ma il suo cuore comincia a martellargli nel petto ed è come se battesse per la prima volta. È come se per due anni si fosse fermato e ora tum tumtum tum tumtum.
Quindi cos’altro potrebbe fare se non scusarsi con la sua quasi futura moglie e alzarsi da tavola?


John cerca di aprire il portone con tutta la delicatezza del mondo, in fondo è tarda notte e non vuole rischiare di svegliare l’anziana vicina, anche se il suo battito cardiaco è così veloce da rimbombargli dietro la nuca e da fargli pensare di essersi già fatto scoprire.
È con silenzio e con una particolare devozione, perciò, che si avvia verso le scale e in pochi secondi raggiunge la porta del 221B, stranamente chiusa; sì, perché non si è ancora abituato a non vivere più in quell’appartamento e a non vedere più quell’uscio aperto e pronto ad accoglierlo.
Vorrebbe quasi bussare, ma poi si accorge di quanto stupida possa essere la cosa. La sua mano destra – quella che dovrebbe essere la più ferma – trema visibilmente quando l’accosta al pomello e lo gira con tutta la delicatezza che gli è possibile.
Il salotto è buio, l’unica fonte di illuminazione è quella del lampione vicino la finestra, ma non ci vuole una grande luce per vedere la figura seduta sulla poltrona di pelle nera; riesce a riconoscerla perfettamente: la forma dei ricci, il bavero della giacca tirato su, le gambe accavallate.
Il dottore si appoggia alla porta con tutto il suo peso quando la testa comincia a girargli e le ginocchia sembrano ripiegarsi su se stesse, mentre cerca invano di trattenere un lamento strozzato.
« Sorpresa, John. »
Ed è in quel momento che John cade e l’ultima cosa che percepisce è la superficie del pavimento contro la propria guancia.
 
 
Quando riapre gli occhi, gli sembrano passati giorni da quando è stato cosciente, ma dopo alcuni secondi realizza che non è così. Questa volta l’appartamento è illuminato e tutto è esattamente come lo ha lasciato anni prima.
Prova a sollevarsi sulle ginocchia mentre gli avvenimenti dell’ultima mezz’ora gli tornano prepotenti alla mente: il messaggio, la corsa verso Baker Street e…
Subito scatta in piedi, o almeno ci prova, prima di ricadere rovinosamente sul divano.
« Uoh, non vorrai mica perdere di nuovo i sensi? » Una voce familiare e baritonale lo riprende, una voce che non pensava di poter mai più sentire.
John si guarda intorno e non riesce a capire da dove provenga, poi sposta lo sguardo al tavolo della cucina e lì lo trova. È più magro, il volto scavato mette ancor più a risalto gli zigomi spigolosi e i capelli sono leggermente più lunghi, ma è perfetto così come i suoi ricordi l’hanno gelosamente conservato.
Ed è lì.
Vivo.
Con un cuore pulsante.
« Come… »
« John, so che ci sono moltissime cose che… »
« Come! » il biondo urla e si alza in piedi, anche se deve portarsi le dita alle tempie e chiudere gli occhi per un attimo.
« Come hai potuto… » ciò che segue è un sussurro in perfetta antitesi allo sfogo di qualche secondo prima.
Sherlock – oh, Sherlock, vivo e caldo, anche se non può toccarlo – si alza dalla sedia e gli si avvicina, ma John, senza sapere come, fa un passo indietro. Non può sopportare di averlo vicino, sebbene sia tutto quello che vuole.
« Non ti azzardare. »
« Lascia che ti spieghi, ti prego. » Non importa che quella sia una delle poche volte da quando lo conosce in cui il consulente investigativo lo prega per qualcosa, John non riesce neanche a rivolgergli uno sguardo.
« Non riesco nemmeno a guardarti. » E così gli dà le spalle, avvicinandosi alla finestra e passandosi una mano sul volto.
Tutta quella situazione è assurda, non è in grado di gestirla: ha tanto fantasticato e anelato quel momento, ha desiderato con tutto il suo cuore e con ogni fibra del suo essere di vederlo ritornare, poterlo toccare di nuovo – e questa volta toccarlo veramente, toccarlo con le mani e con l’anima – e ora che è lì, davanti a lui, vorrebbe solo che sparisse dalla sua vista. Vorrebbe picchiarlo e spaccare quel volto e fargli smettere di fissarlo in quel modo. Cosa gli sta succedendo?
« Pensi che l’abbia fatto con piacere? Pensi che sia stato facile per me? » Sherlock compie dei passi avanti, si porta quasi alle sue spalle, vicino a quel corpo di cui ha tanto sentito la mancanza e che ha sognato per due anni.
« Non provarci! », l’ex chirurgo militare non riesce a trattenere un altro grido mentre si gira e gli punta l’indice contro, « non provare a puntare i riflettori su di te! Tu non hai… non hai idea… »
Il moro apre la bocca per rispondere, ma viene nuovamente interrotto. « Non hai idea di quello che ho passato. Non lo immagineresti nemmeno con la tua bella mente geniale. Ti ho visto cadere da un tetto! Ti ho visto… ti ho visto lanciarti nel vuoto. Come… »
Sherlock piega le spalle e assume un’espressione avvilita mentre scorre lo sguardo sulla figura dell’amico e nota il rigonfiamento della scatolina che contiene l’anello di fidanzamento nella tasca destra della giacca.
« John, ascoltami. Non ci sono parole per quello che… »
« Hai ragione », bisbiglia il medico avvicinandosi sempre di più a lui, « non ci sono parole e non voglio sentirle. Sai cosa? Ho sparato a un uomo, per te. Ho tolto la vita a un uomo per darla a te, perché per me la tua era più importante, perché non si sarebbe trattato solo della tua vita che ti veniva tolta, ma anche della mia.
Perderti mi avrebbe cancellato. Avrei smesso di esistere. E poi vederti tutti i giorni, sapere che eri ancora lì, con me, che potevo ancora guardarti e parlarti, era più di quanto potessi permettermi di sperare. Ma a quanto pare hai deciso tu come sarebbe dovuta andare. Mi hai lasciato.
Hai deciso per tutti e due e questo non te lo perdonerò mai, Sherlock. Mai. »
« Non sai… »
« Quello che so è che avremmo potuto affrontarlo insieme. Di qualsiasi cosa si fosse trattato, l’avremmo superato. L’avremmo combattuto e avremmo risolto le cose. »
« Non c’era altra possibilità. Te lo posso assicurare. »
A quel punto John si fa ancora più vicino, e sono più vicini di quanto siano mai stati, più vicini di quanto sia permesso a due semplici amici. Ma loro non lo sono più ed entrambi se ne sono resi conto, perciò fingere è inutile. Anzi, c’è stata fin troppa finzione durante gli ultimi due anni.
« C’è sempre un’altra possibilità. » il risentimento nella sua voce è palpabile nell’aria e il suo sguardo ormai è vacuo, come se avesse raggiunto la soglia massima di dolore e tutto quello che gli abbia seguito fosse semplicemente nulla.
John Watson sente di non poter più sentire nulla, perché grazie a Sherlock ha già provato tutto. Ora non gli rimane più niente.
È per questo che piega la testa di lato mantenendo il contatto visivo con il moro e, proprio nell’esatto momento in cui questi chiude gli occhi, lo fissa per una piccolissima frazione di secondo e quasi si lancia verso l’uscita di quella casa, lontano dai ricordi, dal dolore, lontano da Sherlock Holmes.

 
  
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