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Autore: MalkContent    21/07/2008    0 recensioni
[Liberamente ispirato alla storia di Kurnos narrata nel codex dedicato agli Elfi Silvani] Ogni anno, Orion sceglie un elfo come proprio portatore, votandolo al sacrificio alla fine dell'Estate. Eppure, per l'ultimo Portatore, non è esattamente così.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Freddo

Freddo.

La morsa impietosa dell'inverno stringeva la foresta da mesi in una bianca, splendente immobilità. Il manto di neve gli sfiorava le caviglie, e lenti fiocchi candidi si staccavano dal cielo per posarglisi sulle spalle nude.

Non sembrava importargli, nella sua lenta avanzata tra gli alberi.

Sollevò la destra, dalle lunghe, snelle dita, e lasciò scorrere una carezza sul tronco contorto di una quercia, cancellando la brina che ne imbiancava la corteccia. Scolpito nel legno apparve, liberato dal ghiaccio, un volto di donna. Gli occhi erano chiusi, come se dormisse. Più in basso, liberò il collo sottile, elegante, la morbidezza del seno, la curva stretta dei fianchi. La donna emergeva dall'albero con la presenza fisica di una polena di una nave.

 

Le driadi si stavano risvegliando.

 

Sospirò e avvertì la morsa della paura artigliargli il cuore. Per un istante, la folle idea di opporsi all'inevitabile lo sfiorò, strappandogli un mesto sorriso di rassegnazione.

Fuggire alla volontà di un Dio, della Potenza stessa della primavera era inutile. Non poteva negare ciò per cui era stato scelto. 

Tra non molto avrebbe ancora una volta perso sé stesso.

Si guardò attorno, di nuovo. I Malevoli, piccoli, fragili spiriti della foresta, parte dell'anima della foresta stessa, lo fissavano tra gli alberi, colmi d'aspettativa, i corpi sinuosi e glabri che dopo tanto biancore cominciavano a riprendere i vividi colori della primavera.

Un leggero scricchiolare di ghiaccio calpestato spinse l'elfo a voltarsi, con un leggero sussulto.

-Vaire..- sussurrò, la voce quasi spezzata dalla sorpresa. Raccolse attorno a sé una sicurezza che sentiva di non provare  e aggiunse, severamente – Non dovresti essere qui..-

La giovane elfa sussultò, appoggiandosi ad un albero, quasi desiderasse scomparirvi all'interno. Non portava ornamenti, se non la cintura di cuoio tinto d'azzurro che le stringeva sui fianchi un abito bianco, corto,  privo di ricami, troppo leggero forse per affrontare l'ultima gelata prima del Risveglio.

-Volevo... salutarti... prima che...- l'elfa non riuscì a continuare, la frase infranta dai singhiozzi. Le lacrime le scorrevano sul viso pallido, sconvolto dal dolore, i capelli color del grano sparsi sulle spalle esili tradivano come fosse uscita precipitosamente di casa, forse precedendo i Cavalieri di Kurnos. E dallo sguardo dell'elfa capì che era esattamente così.

Non gli restava molto tempo.

il ciclo stava per volgere al termine.

Per lui.

Per Orion, Volto e Ira di Kurnos, Sovrano Ardente di Athel Loren, un nuovo cerchio stava per essere tracciato.

Era soltanto il Portatore Prescelto, che avrebbe sacrificato sé stesso perchè la primavera portasse nuova vita alla foresta, perchè l'estate portasse i propri frutti. Soltanto un involucro per il Potere della divinità, finchè il suo esile corpo d'elfo non si fosse infranto, spezzato dal Cerchio,

Allora, sarebbe stata la volta di un altro Portatore.

Forse.

L'elfo strinse la compagna a sé con forza, cercando quell'ultimo contatto con avidità, cercandone le labbra con devozione, imprimendosi il sapore di lei nella mente e nel cuore, per farne baluardo alla propria anima. Percorse il suo corpo con le mani, sfilandole via l’abito per avvertire ancora una volta contro di sé la morbidezza della sua pelle. Poteva avvertire il suo stesso cuore scandire il tempo che gli restava per abbracciarla, stringerla, sentirla parte di sé. Desiderò disperatamente che quel semplice contatto bastasse a trattenerlo lì, accanto a lei.

La prese così, contro la quercia, sotto gli occhi delle immobili driadi paralizzate dall’inverno, sotto lo sguardo vacuo dei Malevoli, nel gelo che mordeva la pelle.

Tremava, ma non di freddo quando abbandonò il capo contro il seno di lei, perdendosi nell’illusione di poter restare così per sempre.

Il suono di un corno, profondo come un tuono lontano, infranse il silenzio di quella mattina d'inverno. L'elfo si distaccò dalla compagna, per sfilarsi dal capo l'unico ornamento che indossava, un ciondolo a forma  di foglia appeso ad una sottile catenella d'argento. Lo depose nel palmo dell'elfa, chiudendovi poi sopra le dita e portandosi delicatamente la mano di lei alle labbra.

-Conserva per me il mio cuore... amore mio..-

Qualche istante dopo, era già scomparsa tra gli alberi ancora incrostati di neve e di ghiaccio, senza lasciare una sola impronta sul candido manto, se non la pallida traccia delle lacrime salate cadute al suolo dov'era stata fino a qualche istante prima.

Il Portatore si volse verso il varco nella radura. Lontano, il canto sommesso dei Cavalieri di Kurnos scandiva gli ultimi istanti della sua esistenza come elfo.

 

Era nudo, e spire di rovo gli immobilizzavano i polsi. Faceva parte del rituale,  ma nessun elfo prescelto aveva mai temuto lo svolgersi della cerimonia.

Nessuno era mai sopravvissuto per poter ricordare e tremare nell'aspettativa di smarririsi.

Quante volte, ancora, avrebbe dovuto sopportarlo?

Che l’intera Athel Loren ricordasse, non v’era nessun Portatore che fosse  sopravvissuto all’incarnazione di Orion.

Non vi era mai stato nessuno che fosse tornato. Orion era destinato al Sacrificio e con lui il suo Portatore Prescelto. L’anno successivo, i Cavalieri sceglievano il nuovo elfo che avrebbe portato il manto della Regalità.

Lui l’aveva fatto, nello sconcerto dei Cavalieri di Kurnos.

Due volte.

Non poteva vederli, avvolti in tuniche color della foresta raggelata, dietro maschere di cuoio e cappucci tirati ad adombrare le espressioni dei volti, ma poteva udirne il canto. Le vibrazioni dei tamburi si accordarono al battito accelerato del suo cuore.

Le spine gli affondarono nella carne, riaprendo le cicatrici lasciate all’ultimo rituale. Il sangue sgorgò scarlatto, a impregnare la lastra su cui era inginocchiato, coperta di simboli e volute, troppo antiche perché chiunque potesse ricordarne il significato.

Avvertì muoversi qualcuno dietro di sé e chiuse gli occhi, preparandosi all’inevitabile sofferenza, che ormai conosceva bene.

Una mano delicata gli percorse la schiena, come una carezza, sfiorando le cicatrici che già una volta erano state riaperte, e strinse i denti.

Un istante dopo, la punta di un pugnale tornò a tracciare l’elaborato sigillo che avrebbe schiuso la via ad Orion e al potere di Kurnos.

Gridò e gridò, ma ben presto la voce non fu più sua.

L’ultima cosa che avvertì, come elfo, furono le proprie grida di strazio mutarsi in un ruggito di collera, e chi ancora gli era alle spalle premergli qualcosa di freddo sulla schiena coperta di sangue.

 

 

Il dio sorse nel cerchio della radura, come sempre alto, maestoso come un cervo maschio nel pieno delle proprie forze. Si guardò attorno, gli occhi fiammeggianti di fiera ferocia. Tralci di rovo gli avvolgevano il busto e le braccia senza ferirlo, portati quasi come un regale ornamento. Non notò nemmeno uno dei suoi Cavalieri, che in silenzio, a capo chino, stringeva una foglia d’argento macchiata di sangue. Sollevò le braccia e lanciò un nuovo ruggito, come di richiamo.

La Foresta esplose di luce e di colori.

Le driadi presero ad animarsi dagli alberi, distaccandosi dal legno per danzare attorno alla radura, mentre la neve si scioglieva a vista d’occhio, ritraendosi dalla presenza di Kurnos Incarnato.

Il Sovrano fece un passo indietro, liberando il sigillo macchiato del suo stesso sangue. Le incisioni parevano contenere lava fusa, impregnate di tutta l’energia della primavera finalmente liberata. Forgiata in quella luce una figura di donna si levò e prese forma al centro della pietra.

Forse era stata elfa, un tempo.

Ora, era Potere. Gli occhi contenevano tutta la saggezza delle stagioni, il corpo nudo la bellezza splendente della Vita. Ripiegate sulla schiena vibravano ali di farfalla, d’ogni colore della foresta.

Fece due passi leggeri sull’erba e piccoli fiori azzurri sbocciarono sul suo cammino, così come si aprì un sorriso etereo su quel volto dalla bellezza devastante. Poggiò entrambe le mani sul petto del Re Consorte, sollevandosi in un vibrare di ali per baciarlo sulle labbra.

-Ariel… mia signora…ad ogni Estate ritorno…finchè mi aspetterai.- mormorò, la voce profonda come un tuono lontano.

 

 

- Vaire..mia signora...Ad ogni Inverno…. Ritorno…finchè mi aspetterai…-

  
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