Prologo.

 

Spalancai gli occhi. L’unica cosa che vidi era l’oscurità del cielo interrotta dalla poca luminosità delle stelle rimaste, mentre il mio odio cresceva per quella lucina che si muoveva lassù. Erano loro che ci avevano spedito nuovamente sulla terra, cento ragazzi rilasciati su un pianeta all’apparenza morto e pieno di radiazioni. Erano loro i colpevoli della morte di mia madre e recentemente anche quella di mio fratello. Il respiro stava diventando affannoso, strinsi le mani fino a formare un pugno, strinsi così forte da sentire le unghie incidere la pelle. Distaccai lo sguardo dal cielo stellato e mi girai sul fianco, chiusi gli occhi per pochi secondi per poi riaprirli l’attimo dopo,  mi ritrovai il suo sguardo addosso. Bellamy era appoggiato ad un tronco con un coltellino che si rigirava tra le dita delle mani. Mi asciugai una lacrima, mi alzai e mi diressi verso di lui con il suo sguardo fisso su di me. Mi sedetti vicino a lui e gli dissi per la milionesima volta "dimmi cosa è successo", erano giorni che non pensavo ad altro che ad Atom. Quando misi piedi sulla terra non potevo che non riconoscerlo: lo sguardo intenso, quel sorriso che mi aveva tenuta compagnia per sei anni; pochi minuti dopo gli corsi incontro e lo abbracciai, lui ricambiò l’abbraccio immediatamente. Mio fratello, ma non solo, il mio gemello, era come aver ritrovato quella parte di me che era andata persa 10 anni fa. Finalmente mi sentivo felice dopo tanto, fino a quella sera. La mattina Atom si diresse nella foresta per cacciare con Bellamy e altri ragazzi e quella fu l’ultima volta che lo vidi, noi tutti fummo  colti alla sprovvista da una tempesta piena di radiazioni e purtroppo mio fratello non sopravvisse.
Bellamy  mi guardò con uno sguardo di comprensione “Kaylee, non vuoi saperlo, davvero”, sollevai lo sguardo al cielo come per respingere indietro nuovamente le lacrime, “non può essere peggiore di quello che mi sto immaginando. Ho bisogno di sapere, Bellamy. Lo so che i rapporti tra noi due non sono stati dei migliori. Me lo devi. Ne ho bisogno”. Mi guardò ancora, non volevo rinfacciargli di averlo aiutato a trovare sua sorella, Octavia, qualche giorno prima, ma ero disperata. “Io non ti devo nulla” rispose poco dopo lui, “ti prego” implorai sfiorandogli la mano. Sospirò. “come ti ho già detto, l’ho perso nella nebbia”, annuii permettendogli di continuare, “quando la tempesta finì, siamo usciti a cercarlo e lo abbiamo trovato disteso, nelle condizioni che hai visto”, mi ricordai tutte le bolle sulle braccia, il viso, il collo e il sangue ovunque, “ci ha implorato di farlo, ci ha implorato di ucciderlo, Kaylee, non c’era più nulla da fare. Era pieno di dolori. Mi dispiace. Ma non ha sofferto alla fine”, disse deglutendo. Singhiozzai. Una lacrima scese dall’occhio di Bellamy, per quanto voleva dimostrare a tutti di essere il duro della situazione, il leader che non voleva nessuna regola nel proprio campo, aveva ancora un cuore e lo si vedeva soprattutto quando stava insieme alla sorella. “Mi dispiace”, ripeté. Mi allontanai da lui, cercando di fermare le lacrime, che oramai avevano ripreso a sgorgare nuovamente.