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Autore: Princess of the Rose    28/04/2014    2 recensioni
"Tu credi che faccia bene a mentire?" domanda infine Prussia, incuriosito da dove potrebbe andare a finire la conversazione. Il Settentrione sussulta leggermente, per poi rilassarsi nuovamente pochi attimi dopo mantenendo però una certa tensione; "L-La ragazza intendi?"
"Ja."
"Bè… non saprei, non ci ho mai pensato realmente a dire il vero." risponde, prendendo le lenzuola e coprendosi fino alla testa, come se volesse proteggersi da qualcosa piuttosto che per un improvviso senso del pudore – cosa che la nazione latina non ha mai avuto.
"Se dovessi dare un parere a caldo adesso?"
Italia rimane in silenzio per un po’, osservando il quadro. Improvvisamente, non sembra più tanto orgoglioso di quell’opera: "Ve, infondo lei dice bugie a fin di bene, quindi non me la sento di dire che quello che fa è totalmente sbagliato."

[Storia partecipante al contest di Setsuka - Alla ricerca dell'umanità] [PruIta]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nord Italia/Feliciano Vargas, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Lüge (Menzogna in tedesco)
Autore: Princess of the Rose
Fandom: Hetalia
Citazione: Amo la verità. Credo che l'umanità ne abbia bisogno. Ma ha un bisogno ancora più grande della menzogna che la lusinga, la consola, le dà speranze senza limite. Senza la menzogna, morirebbe di disperazione e di noia (Anatole France)
Personaggi: Prussia (Gilbert Beilschmidt); Italia Veneziano (Feliciano Vargas)
Paring: Pruita
Genere: Introspettivo; Malinconico
Avvertimenti: Nessuno
Rating: Giallo
Note Autore: ho la netta sensazione di aver toppato il contest alla grande, ma spero comunque la storia sia di tuo/vostro gradimento.
La fic è stata un vero parto, ma ho voluto provare a raccontare quello che infondo penso sia l’animo umano, analizzandolo attraverso gli occhi di una nazione – che di anime umane è fatta, del resto; nonostante protagonista iniziale della storia doveva essere Germania, alla fine ho scelto di incentrare la storia su Prussia: uno, perché non è più una nazione, questo lo rende una “terza parte” ideale da cui raccontare la storia; due, perché volevo scrivere da tempo qualcosa di PruIta XD.
Essenzialmente, la storia parla di come Prussia si renda conto delle bugie che una nazione (si) racconta per non uscire fuori di testa: nel mio headcanon, le nazioni hanno una parte che rappresenta la nazione in sé (nel caso specifico, Prussia) e una parte umana (Gilbert) che è la loro coscienza e che li distingue come individui. Ecco, per difendere questa parte, loro mentono continuamente: è una sorta di meccanismo di autodifesa, un mentire a se  stessi per non stare male dopo.
La prima parte è introspettiva: diciamo che sono esposte le “deduzioni” di Prussia; la seconda parte invece sono la messa in pratica di quelle deduzioni, complice il quadro di Veneziano.
Ah, il libro citato da Italia non esiste, me lo sono inventato sul momento ^^’
Spero di non aver creato confusione.
Buona lettura!
 
 
 
 
 
Affermare di essere felici senza poi esserlo veramente è un comportamento tipico dell’essere umano. E le nazioni, che di uomini e di donne sono composte, inevitabilmente hanno ereditato questo carattere, e più di altri amano vivere di bugie, che fossero piccole o grandi, più o meno credibili, giustificate o meno.
La menzogna è talmente parte integrante della loro vita che alcune a malapena si rendono conto di mentire quotidianamente; e quelle che invece sanno che non raccontare la verità è un vizio di cui a malapena riescono a fare a meno preferiscono ignorare la situazione, ritenendo che quelle due o tre bugie che raccontano o al loro boss, o agli alti funzionari, o anche ai loro simili, siano del tutto innocue, e che anzi contribuiscano a mantenere la pace nella maggior parte del mondo – una pace che, però, lentamente e inesorabilmente col passare dei giorni, sembra sempre meno robusta e conveniente. È una facciata che evita imbarazzanti interessamenti di convenuto sulla loro situazione personale, che permette di sorridere sempre in modo educato anche quando chi gli sta di fronte è una persona odiosa e sgarbata, e di non far trapelare i propri pensieri sul quello che accade intorno a loro mentre intrattengono importanti conversazioni.
 
Prussia non è più una nazione; ormai è fuori dal flusso della storia, che non più lo riguarda, ma è ancora abbastanza vicino ad esso per poter comprendere i complicati meccanismi del ventunesimo secolo, e osservare dalla sua posizione – quasi privilegiata se non si considera il fatto che è destinato a scomparire da lì a poco – il mondo, uscito dalla Guerra Fredda in condizioni migliori di quanto molti potessero immaginare, e senza che quel “boom” tanto predetto, a tratti quasi sperato, scoppiasse e distruggesse tutto e tutti.
Prussia è un buon osservatore dopo tutto, un caratteristica figlia del suo essere stato fin dalla nascita una nazione spiccatamente dedita alla guerra, dove l’analisi del nemico è fondamentale per poter comprenderne i punti deboli e sfruttarli a proprio vantaggio. E fin da quando era piccolo, studiare chi gli sta di fronte era un’attività che non solo gli piaceva e gli piace tutt’ora, ma che rivela soprattutto risvolti interessanti sulla personalità del suo interlocutore: per esempio, il modo con cui Svizzera è solito carezzare la tasca in cui tiene nascosta una pistola da estrarre immediatamente in caso di necessità denota una fin troppo evidente paranoia, che peggiora ogni qualvolta si nomina Liechtenstein per un motivo o per l’altro; i movimenti compulsivi con cui Austria muove le dita sul tavolo ogni volta che si altera, movimenti precisi dettati dal riflesso condizionato dovuto ai secoli passati su quei dannati pianoforti; il continuo sforzo di Ungheria nel cercare di mantenersi posata e femminile nonostante sia fondamentalmente un maschiaccio, stringendosi in quel ruolo di donna ideale solo per amore; tutti sentimenti che traspirano dalla gestualità, dagli sguardi e dalle parole mai dette;  e chi mai penserebbe pensare che proprio Prussia sia un osservatore così attento nel cogliere quelle silenziose emozioni?
 
Eppure, se qualcuno gli chiedesse il momento in cui ha compreso l’esistenza di quella intricata rete di bugie più o meno consce che una nazione costruisce attorno a sé, Prussia difficilmente avrebbe risposto, soprattutto per imbarazzo: per quanto si diverta a stuzzicare gli altri, certo non li può criticare per una cosa che ha fatto lui stesso fino ad una trentina di anni fa, e che solo la perdita del suo status di nazione gli ha fatto comprendere esistesse. Anche lui ha mentito, per stringere alleanze, per innescare guerre che lo avrebbero favorito politicamente, più spesso per potersi muovere meglio tra i complicati meccanismi della diplomazia – sorrisi di cortesia, le basi del galateo con le insopportabili e frivole mogli dei diplomatici, qualche complimento verso un abito orrendo o un improponibile taglio di capelli, strette di mano un po’ forzate che poco fanno per nascondere l’antipatia reciproca, perfino –e forse soprattutto - con gli uomini e le donne che nel tempo lo hanno governato. Solo col caro buon vecchio Fritz è sempre stato sincero: è lui l’unico verso cui mai ha sentito il bisogno di mentire, o ti dover celare i propri veri sentimenti, sicuro di ricevere in cambio sempre comprensione ed empatia.
 
Ma Friedrich non c’è più, e nessuno di coloro che sono venuti dopo di lui è stato in grado i instaurare un rapporto altrettanto stretto con lui. E ben presto è tornato a mentire, a forzare sorrisi per tutti gli omuncoli a capo del suo governo pur di essere lasciato in pace e evitare domande troppo mirate a livello personale - << Ma è vero che voi nazioni siete immortali? >>, << Siete uomini che hanno fatto un patto col diavolo? >>, << Soffrite per le ferite da armi normali? >>, e tutta una serie di sciocchi quesiti a cui si è sempre rifiutato di rispondere, soprattutto a causa dell’enorme frequenza con cui queste venivano e vengono tutt’ora poste.
La menzogna è parte della sua vita più di quanto abbia mai potuto immaginare. Questo un po’ lo indispettisce, ma non lo stupisce più di tanto: per quanto nell’arco della sua esistenza gli sia stato sempre ripetuto che solo la verità merita di essere detta, mai ha conosciuto una persona che non abbia detto almeno una dozzina di bugie, che fosse un popolano, un re o un cardinale. E esseri come lui, che di popolani, re e cardinali sono essenzialmente composti, non possono non essere che degli abili bugiardi anche loro.
Ed ecco che tutte le gestualità, tutti i tic, e tutti gli atteggiamenti altrimenti inspiegabili assumono un senso: mentire per nascondere le proprie paure, che siano la solitudine o la paura di perdere il controllo, o per celare un amore che le vicende internazionali impedirebbero comunque di sbocciare o di mantenersi, o per conservare faticosamente amicizie e ripararle dai colpi della geopolitica. Un vero e proprio meccanismo di difesa con cui si cerca disperatamente dii salvaguardare quel briciolo di umanità rimasto loro dalla bruttezza del mondo.
 
Ai suoi capi mai è importato che dietro Prussia c’è un Gilbert Beilschmidt che gioisce e soffre esattamente come loro, che prova emozioni come un normale essere umano, e che va difeso e trattato con rispetto. Salvo per il vecchio Fritz, nessuno dei suoi governanti ha mai visto in lui nient’altro che una macchina da guerra ideale; del resto, è capitato anche a tutte le altre nazioni, e l’esempio più lampante è il suo povero fratellino, trascinato dai pazzi che lo hanno governato nel massacro delle guerre, approfittatisi della sua giovane età* e della sua rigida disciplina di soldato senza pensare che dietro a quella grossa nazione c’è un Ludwig che ancora urla nel sonno, tormentato dagli incubi di quanto ha commesso.
 
Le nazioni avrebbero sempre continuato a mentire per poter proteggere la loro parte umana dalla sofferenza che il loro status di essere immortali comportava, e poco importa quanto i capi di governo pretendano che li venga detta tutta la verità e solo oneste opinioni: quando solo pochissimi di loro erano degni di chiamarli per nome, quando tutti lo li hanno guidati in azioni di dubbia morale per ragioni di stato o per questioni personali, come potevano pretendere l’onestà e l’amicizia da parte loro?
 
 
 
 
La grandezza della tela è media, allungata verticalmente, messa dentro una cornice in legno di mogano finemente decorato, e la scena rappresentata è quella di un matrimonio tra due persone apparentemente piuttosto ricche; due grandi vetrate colorate dominano la parte superiore del quadro: una raffigura una donna vestita di bianco che si copre la bocca con le mani, piangente e addolorata, l’altra un uomo vestito di nero con gli occhi chiusi che sorride leggermente, sereno. Sotto di loro, i due sposi si osservano al cospetto del prelato che ha officiato la cerimonia e che li osserva con affetto paterno: lui è pallido, ha pochi ciuffi di capelli castani,  e il completo con cui  è vestito casca male sul suo corpo evidentemente molto magro, ma sorride comunque con un amore e un affetto palpabile per la sua sposa; quest’ultima ha indosso il classico abito bianco, che lascia scoperte le spalle e cade perfettamente sulle forme generose del corpo senza risultare per questo sconveniente il quel luogo sacro, non indossa il velo e  i capelli neri sono legati in una complicata treccia che supera la metà della schiena. È una sposa bellissima, ma il sorriso che mostra al suo amato tradisce una certa malinconia, espressa negli occhi color cioccolato, come se il suo sguardo fosse perso in altri pensieri, e non fosse per nulla concentrata sul pubblico che la osserva sognante aspettando il fatidico “Si.”
 
Prussia  fissa il quadro ancora sdraiato sul letto, sinceramente stupito da come con poche pennellate il suo amante sia riuscito a ricreare una scena del genere, ricca di particolari che possono essere colti semplicemente spostando lo sguardo. Gli piacciono soprattutto gli occhi della sposa, come le poche punte di bianco sulle iridi sono in grado di esprimere i veri sentimenti di quella donna, la quale sembra voler essere ovunque tranne che in quel posto, a tenere le sue tenere mani dentro quelle scheletriche dello sposo.
<< Ve~ non credevo ti sarebbe piaciuto. >>
Prussia si volta verso la porta del bagno, dove è appena uscito Italia del Nord intento ad asciugarsi i capelli con un asciugamano arancione, ancora fresco di doccia. La luce crepuscolare che entra dalla finestra della casa veneziana dell’italiano dona alla pelle di quest’ultimo un’invitante tonalità rosata e un aspetto vellutato, e dà una riverbero particolare ai suoi occhi color ambra, stranamente aperti e pieni di affetto per lui – ancora non riesce a credere di essere a Venezia in compagnia del Settentrione italiano, dopo un intero pomeriggio passato a navigare per le strade della città a parlare di tutto, e terminato nel più piacevole dei modi – quasi si aspetta di svegliarsi, in quell’esatto momento, e di vedersi solo nel letto, sul punto di morte, cercando di ricordare ogni singolo frammento di quel bellissimo sogno prima che la sua ora scoccasse: ma, fortunatamente, quando riapre gli occhi, Veneziano è ancora lì davanti a lui, gloriosamente bello e sorridente.
 
L’ex nazione si perde qualche secondo ad osservarlo, per poi ridere leggermente e stendersi sui morbidi cuscini dietro di lui, << Ksesese, qualunque cosa possono fare le tue mani non può non piacermi, Felichen. >> dice con una nota di malizia, senza badare di coprirsi con le lenzuola
Italia gli sorride con dolcezza, le guance leggermente accese di rosso, e si tuffa su di lui prima di stampargli un bacio appassionato sulla bocca, le esili braccia avvolte saldamente attorno al suo collo. Prussia ricambia l’abbraccio, carezzando con movimenti verticali la schiena dell’italiano, per poi tornare a guardare il quadro non appena si staccano, con la testa dell’altro comodamente poggiata contro la sua spalla e i suoi capelli che gli solleticano il mento.
 
<< Qual è la storia dietro il quadro? >> chiede, sinceramente incuriosito.
<< Un libro che sto leggendo, >> risponde Veneziano, osservando la sua opera con gli occhi illuminati d’orgoglio, << parla di una ragazza che accetta di sposare un uomo che ha solo un anno di vita, nonostante sia innamorata di un’altra persona. Ho ritratto la scena del matrimonio. >>
<< Un po’ scialba per una storia d’amore. >> commenta l’altro, carezzando la morbida chioma dell’amato senza distogliere lo sguardo dal quadro.
<< Ve~ a dire il vero è un po’ più complicata di così, >> l’italiano si rotola sull’altro lato del letto, sospirando felicemente al contatto con le lenzuola fresche, << i due sposi si conoscono da quando sono piccoli, e fin da allora sono fidanzati. Quando lui si ammala di un brutto male, lei smette lentamente di amarlo, e si innamora di un altro. Però per tutto il libro, o almeno per quello che ho letto, lei si  convince di amare ancora l’altro ragazzo, fino a sposarlo, e nel frattempo questo altro ragazzo di cui si è innamorata va in guerra per dimenticare la delusione amorosa. >>
<< Ksese, ora si che comincia ad essere interessante, anche se piuttosto complicato. Come finisce il libro? >>
<< Non lo so, lo sto ancora leggendo. Credo non bene però: il ragazzo andato in guerra ha smesso di scriverle lettere, e suo marito ha scoperto le altre che le aveva mandato, e ha avuto un infarto. >>
<< Ah però! Sembra interessante, me lo presteresti quando lo hai finito? >>
<< Certo. >> Italia gli sorride di nuovo – non ha mai smesso di farlo per tutto il tempo: come può una persona avere sempre il riso sulle labbra senza che le guance le facciano male? – e ritorna subito tra le sue braccia, troppe abituato al contatto fisico per poter rimanerne senza troppo a lungo. Prussia gli dà un bacio sulla fronte, ma non riesce a togliersi dalla mente il quadro, complice il fatto che fosse a pochi metri da lui.
 
Italia, a dispetto di quanto dicono i più – tra i quali rientra, purtroppo, anche il suo fratellino – non è un totale incapace e, se pur vero che sa fare poche cose, in quelle cose è assolutamente imbattibile: la sua cucina è insuperabile, il suo senso dello stile sopraffine, e la sua arte semplicemente indescrivibile; e quel quadro è la prova di come quelle mani affusolate e ben curate – ben diverse dalle sue, callose e con i segni ancora visibile delle tante battaglie combattute – siano buone solo per poter creare bellezza e piaceri. Basta vedere i segni appena visibile delle pennellate sulla tela, come le sfumature d’ombra e i punti di luce siano curati in modo maniacale, specie sull’abito bianco della sposa, per poter comprendere che il vero posto dell’italiano era davanti ad una tela da dipingere o in una cucina per preparare il pranzo per il suoi amici, e non dietro ad un mitra a sparare o di fronte a dei soldati a comandarli, come amava ripetere Germania durante la guerra, rifiutando di arrendersi all’evidenza dell’inutilità in battaglia del suo amico latino.
Ma non è l’evidente abilità con cui l’opera è stata dipinta che attira Prussia, quanto piuttosto il soggetto: cosa può portare una donna a giurare fedeltà coniugale ad un uomo che non ama, rinunciando a quello che probabilmente è il suo vero amore? È indubbio che la principale forza motrice del libro che Italia sta leggendo è la pietà della ragazza nei confronti del suo sposo, ma può bastare per spiegare le sue azioni, a poter giustificare quelli che sarebbero stati mesi di falsi sorrisi verso i familiare dello sposo, a cui avrebbe mentito quotidianamente, e anni di futura vedovanza che probabilmente non saranno mai realmente sentiti, con il pensiero rivolto sempre verso il suo vero amore?
 
Prussia torna ad osservare il quadro: << Chi sono i due tipi sulle vetrate? >>
<< Ve~ sono delle allegorie: la donna è la verità e l’uomo la menzogna. Ho pensato che sarebbe stata un’aggiunta carina allo sfondo, mi sembrava troppo vuoto disegnare un semplice muro. La donna rappresenta i veri sentimenti della ragazza, il fatto che è triste perché sposa una persona che non ama. L’uomo rappresenta invece la bugia che la ragazza si dice. >>
<< Cioè? >>
<< Che è felice perché sposa l’uomo che ama, e che l’altro è stata solo un’infatuazione. >>>
Prussia annuisce, cercando di nascondere il nodo che si è formato nella sua gola mano a mano che Veneziano spiega l’allegoria, e improvvisamente vede in quella bellissima sposa tutta la sua rete di bugie e menzogne che andranno a costellare la sua vita, a prescindere da quanto verrò raccontato nel libro; e non può non fare un parallelo con la vita di una nazione, non pensare a come quell’amore che la ragazza cerca di sminuire assomigli tanto ai suoi tentativi di soffocare la sua parte umana, a come quegli occhi incerti sembrano i suoi mentre giura fedeltà all’ennesimo sovrano o capo di governo.
 
<< Gilbert, stai bene? >> chiede Veneziano, osservandolo preoccupato per poi spostare di nuovo lo sguardo verso il quadro.
<< J-Ja. >> risponde con una nota di incertezza nella voce, aumentando inconsciamente la stretta attorno l’esile vita dell’altro. Italia non sembra affatto convinto.
<< Sicuro che il quadro ti piaccia? >>
<< Ja, è molto bello, te l’ho già detto Felichen. Puoi fidarti del giudizio del magnifico me- >>
<< È solo sembri… triste. >>
Prussia si zittisce improvvisamente, e le ciglia dell’italiano si piegano in un’espressione dispiaciuta; l’ex-nazione si mette seduto sul letto e si volta completamente verso il quadro, osservando sempre con attenzione il volto della sposa.
<< Per caso ti ha… fatto venire in mente qualche brutto pensiero? >> gli chiede l’italiano, abbracciandolo da dietro e poggiando il mento sulla sua spalla, evidentemente preoccupato. L’altro non si volta, internamente grato per quelle piccole dimostrazioni di affetto, ma non sa se è il caso di parlare con lui dei suoi dubbi: dopotutto, anche Italia è una nazione, una tra le più vecchie in Europa, e forse lui meglio di tanti altri sa mentire per poter nascondere i suoi veri sentimenti – per quanto tutti dicano che sia talmente stupido da essere un libro aperto, nessuno è veramente in grado di comprendere i veri pensieri dell’Italia del Nord, nemmeno Germania o Giappone ne sarebbero in grado.
 
<< Tu credi che faccia bene a mentire? >> domanda infine il prussiano, incuriosito da dove potrebbe andare a finire la conversazione. Il Settentrione sussulta leggermente, per poi rilassarsi nuovamente pochi attimi dopo mantenendo però una certa tensione; << L-La ragazza intendi? >>
<< Ja. >>
<< Bè… non saprei, non ci ho mai pensato realmente a dire il vero. >> risponde, prendendo le lenzuola e coprendosi fino alla testa, come se volesse proteggersi da qualcosa piuttosto che per un improvviso senso del pudore –  cosa che la nazione latina non ha mai avuto.
<< Se dovessi dare un parere a caldo adesso? >>
Italia rimane in silenzio per un po’, osservando il quadro. Improvvisamente, non sembra più tanto orgoglioso di quell’opera: << Ve, infondo lei dice bugie a fin di bene, quindi non me la sento di dire che quello che fa è totalmente sbagliato- >>
<< Non credi che suo marito possa soffrire per le bugie che gli ha raccontato? Quando ha scoperto le lettere ha avuto una sorta di infarto, vero? >>
<< Ve, però, >> la nazione latina si interrompe, aumenta leggermente la pressione del braccio attorno al collo dell’amato, gli occhi fattisi leggermente più lucidi, e infine riprende, << non me la sento di condannarla. Non credo che nella sua situazione molte persone avrebbero agito diversamente. >>
Internamente, Prussia si trova concordare con quella risposta; ma non gli basta: << Non credi che sia meglio dire sempre la verità? Ci risparmieremmo chissà quanti problemi, no? >>
<< Non saprei… Non dico che non si debba dire la verità, >> risponde l’italiano, senza sembrare del tutto convinto quella affermazione, << però non credo neanche che mentire sia una cosa così grave. Credo che serva dire qualche volta una bugia, evita la disperazione. >>
<< O la rimanda. >>
<< Solo se la vieni a sapere. >> replica l’altro con voce flebile, come a non volersi far sentire; ma Prussia lo sente comunque, e si volta verso Veneziano cercando di capire dai suoi occhi se questi è realmente convinto delle sue affermazioni; ma l’italiano, com’è suo solito, ha gli occhi chiusi.
 
Rimangono in silenzio per qualche lunghissimo e tesissimo secondo, ma Italia non alza le palpebre, non lascia trapelare se non una minima parte delle sue vere emozioni; e vede in lui la vergogna per quelle parole, che tanto vanno contro a quello che fin da giovane gli è stato insegnato, e la paura di un giudizio impietoso. L’ex-nazione gli dà un bacio sulla fronte, sorridendogli allegramente, e lo coinvolge in un abbraccio mozzafiato.
<< Ah, Felichen, non posso vederti così triste! >>
<< V-Ve, s-soffoco! >>
Prussia non lo lascia andare, e si ributta sul letto coinvolgendo l’italiano in un bacio intenso, spostando di lato le coperte per poter stare più comodo e godere meglio della sua morbida e calda pelle. Dopo qualche attimo di reticenza, il Settentrione ricambia il bacio con trasporto, infilando le dita ancora macchiate di colore tra i capelli nivei del suo amato, ritornando immediatamente sereno.
 
Si staccano dopo qualche minuto per poter respirare, e Prussia ne approfitta per poter dare un’ultima occhiata al quadro. Chissà se West gli permetterà di appenderlo in soggiorno - e chissà se anche in lui avrebbe suscitato le stesse emozioni, se avrebbe provato empatia per quella sposa bugiarda.
È in quel momento che nota che la mancanza della targhetta del nome sulla cornice: << Ma ancora non hai dato il nome al quadro? >>
<< Ve, no. Non so come chiamarlo, forse dovrei mettere il nome del libro? >>
<< Nah, è troppo scontato per un’opera così magnifica. >> dice Prussia, mordicchiando la spalla dell’italiano. Quest’ultimo ci pensa su un pochino, per poi sorridere allegramente: << Perché non gli dai tu un nome? >>
<< Uh? >>
<< Si, dai! Un nome magnifico da uno magnifico come te. >> dice l’italiano ridendo, abbracciando un ora arrossito prussiano, che tuttavia si sente enormemente fiero per aver avuto tanta fiducia dal suo amato al punto da permettergli di nominare una sua opera.
 
Si volta di nuovo verso il quadro, vede le due vetrate che raffigurano le allegorie, e di nuovo la sposa, e di nuovo vede in lei tutte le bugie raccontate nella sua vita– e si chiede se Veneziano l’ha raffigurata pensando alle nazioni, fino a che punto nella storia di quella sposa menzognera ci fosse un po’ di lui, come tanti artisti sono soliti fare quando eseguono un’opera.
 
Vede il quadro nel suo complesso, e sa perfettamente che nome dargli, prima di tornare a dare tutta la sua attenzione al suo amato e dimenticare tutte le emozioni che quello gli suscita, sperando di non pensare più a quelle cose.
 
<< Lüge. >>
 
 
 
 
*Germania è una delle nazioni più giovani se non di conta la teorie SRI=Germania: ha solo 143 anni. Visto che ho constatato che sono pochi a comprenderlo, ho pensato che fosse il caso di specificarlo.
 
   
 
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