'Mi abbracci?'
Trascorro
la mattina passando per vari ambulatori seduta su una sedia a rotelle
con il braccio destro e le gambe ingessate e qualche flebo attaccata
al braccio sinistro.
La
dottoressa mi lascia fuori da una stanza, quando riconosco uno dei
due ragazzi calvi di ieri notte.
“Sei
l'amica di Davide?” mi domanda dolcemente.
Annuisco
semplicemente con la testa, pensando che amica non sia la parola
adatta al rapporto che c'è tra me e lui.
“Ieri
era in lacrime dopo essere uscito dalla tua stanza”
“Non
mi interessa” ribatto fredda, senza nemmeno guardarlo in
faccia.
“Ha
avuto un attacco, gli stanno facendo molte risonanze in questo
momento”
“Ti
ho detto che non mi importa”
“Un
tuo amico sta rischiando la vita e a te non interessa?”
domanda
alzando il tono della voce.
“Forse
non hai capito che io e lui non siamo amici” sottolineo
nuovamente.
“Forse
non hai capito che lui ci tiene a te”
“Ah
sì? Io non picchio le persone a cui tengo, tu
sì?” chiedo
ironica, mentre mi ritornano in mente molti ricordi.
“Nowak?
Perchè non te ne torni al tuo paese? Sai, qua non ti vuole
nessuno!”
urla mentre entro a scuola, seguito dalle risate dei suoi amici.
“Ciao,
Riccioli D'Oro” rispondo fredda, chiamandolo con lo stesso
nomignolo che usa la prof. di matematica alludendo ai suoi capelli.
I
suoi insulti non mi fanno più male. Dopo un po' di tempo ci
si fa
l'abitudine.
“Scusa,
come ti permetti di scherzarlo?” mi chiede un suo amico, uno
di
quelli che lo difende e che lo segue come un cagnolino. Mi ferma per
un braccio e si avvicina bruscamente a me.
Non
gli rispondo, non servirebbe a nulla, qualunque sia la mia reazione
continueranno a trattarmi così.
“Parli
o no, stronzetta?” ripete abbassando notevolmente la voce.
Continuo
a ignorarlo, lui perde la pazienza: sento il suo palmo stamparsi
sulla mia guancia, cado sull'asfalto, mi tira qualche calcio e poi di
sottofondo le risate.
“Te
lo sei meritato, stronza” sussurra malefico Davide, mentre
sono
ancora accasciata a terra per il dolore.
“Tornatene
in Polonia” mi rifila un calcio nelle costole e poi va via.
“Leo,
hai visto per caso...” Davide esce dal reparto di cardiologia
sulla
sua sedia a rotelle, scuoto la testa per allontanare i brutti
ricordi.
“Ciao
Maggie”
“Ciao
Davide, ciao Leo, Maggie io e te andiamo che hai altre
visite” dice
Ester, la dottoressa, lasciando soli i due ragazzi.
Nel
tragitto incontro una donna che ha la faccia truccata, un grande naso
di plastica rosso e il suo sorriso smagliante è contagioso,
porta
allegria.
“Un
bel palloncino per la nuova arrivata! Benvenuta!” esclama
improvvisando una voce acuta e regalandomi un palloncino modellato a
forma di fiore, poi si dirige in sala giochi seguita da una fila di
bambini sorridenti.
“Lei
è Piera, la pagliaccia dell'ospedale” mi spiega
Ester mentre
aspettiamo il dottore “suo figlio è in coma da
otto mesi,
poverino, lei è qui per rallegrare i bambini e per stare
vicina a
Rocco”.
“Oh,
povera” commento pensando a quanto dolore possa provare una
madre
nel vedere il proprio figlio stare male.
Dopo
una manciata di minuti esce un dottore piuttosto giovane
dall'ambulatorio, si presenta sorridendo: “Io sono il Dottor
Carlo,
entra pure”.
Nello
studio c'è un lettino, la dottoressa mi aiuta a sdraiarmici
sopra e
tolgo la maglietta per la visita.
“Sei
molto magra” commenta lei sfiorando con le dita le costole.
Il
Dottor Carlo inizia a controllare il braccio sano rimanendo stupito a
causa dei tanti tagli ancora freschi, poi si dedica alla schiena e
allo sterno, che sono macchiati da qualche livido bluastro.
“Ti
fa male se schiaccio qui?” mi domanda pressando un po' sulle
costole.
“No”
“E
se tocco le spalle?”
“Nemmeno”
“E'
tutto a posto, fortunatamente. Mettiamo un po' di crema sui lividi e
ricuciamo quei tagli, che sono molto profondi” mi spiega
aprendo
una valigietta che contiene molte pomate.
“I
tagli guariscono da soli” aggiungo timidamente, ma lui mi fa
cenno
di no con la testa.
Applica
un po' di pomata biancastra sui lividi e massaggia lievemente, senza
farmi male: percepisco solo il freddo della crema e l'odore pungente
che emana, poi mi restituisce la maglietta e posso finalmente uscire
dall'ambulatorio.
Sono
in camera da sola, sono riuscita a mettermi le cuffie e ad isolarmi
dal mondo, dall'ospedale, da tutto.
La
mia solitudine, però, non dura molto: una ragazza viene a
bussare
alla mia porta, cerco di togliermi le cuffie e lei, vedendomi in
difficoltà, entra e mi aiuta.
“Grazie”
sibilo timidamente.
“Io
sono Cris” si presenta sorridente.
“Magdalena,
ma puoi chiamarmi Maggie” stringo leggermente la mano che mi
porge.
“Ho
saputo che sei sola in stanza, ho pensato che magari ti avrebbe fatto
piacere un po' di compagnia” continua sedendosi sul bordo del
letto. Cerco di spostarmi per farle spazio, ma mi fa segno di non
sforzarmi.
“Come
ci sei finita qua tu?” le chiedo prendendo un po' di
confidenza.
“Ehm,
è difficile da spiegare...” inizia abbassando lo
sguardo e
tirandosi la felpa fino a coprire i polsi.
“Ho
detto qualcosa di sbagliato?” chiedo facendo forza sul
braccio
sinistro per alzarmi e guardarle gli occhi.
“No,
tranquilla, solo che dire che sono anoressica mi rimanda a ricordi
poco carini” risponde ritrovando il suo bellissimo sorriso.
“Tu
sembri conciata peggio di me, cosa ti è successo?”.
Esito
un attimo prima di rispondere, osservo qualche secondo il panorama
Pugliese: il sole brilla alto nel cielo e si riflette sul mare, crea
piccole sfumature bianche che sembrano cristalli, riesco quasi a
sentire il profumo dell'acqua.
“Oh,
ho capito... Sei la ragazza che...”
“Che
ha tentato di suicidarsi, sì, sono io” finisco la
frase
chiarendole i dubbi.
Lei
mi guarda con gli occhi dolci, sembrano appannati da un velo di
lacrime e colmi di paura, di ansia e di timore, una ragazza
così
innocente, chissà che ha passato e cosa le hanno fatto per
indurla
diventare così magra.
“Senti
Cris, posso chiederti una cosa?”
“Certamente”
“Mi
abbracci?” le domando con l'ingenuità e la purezza
di una bambina.
Lei
mi sorride e mi stringe forte tra le sue braccia, toccandole la
schiena riesco a sentire le ossa, ma poco mi importa e ricambio la
stretta con il braccio sano.
Nel
sciogliere l'abbraccio, urto contro il comodino e uno dei tagli
comincia a sanguinare.
“Cazzo”
mormoro cercando di afferrare un fazzoletto.
Cris
accorre subito, poggiando delicatamente il fazzoletto sul braccio.
Vedo alcune gocce scivolare giù dalle braccia e macchiare il
copriletto bianco candido.
“La
Lisandri mi uccide” commento ridendo.
Cris
si unisce alle mie risate e quando il taglio ha finalmente cessato di
sanguinare, mi saluta e si dirige dalla sua 'cara' psicologa per le
visite e per il pranzo.
“Ciao
Cris, grazie ancora”.
Hey! c:
Eccomi qua con il
secondo capitolo c: abbiamo scoperto che la protagonista, Maggie,
è polacca. Io amo spudoratamente
e senza un preciso
motivo la Polonia, non potevo non darle un cognome e un
nome di origine nordica *^*
Scleri a parte.
Questo capitolo è meno depresso, triste, malinconico,
drammatico, tuttoquellochevolete
rispetto al primo e Maggie sta iniziando ad ambientarsi in ospedale.
Spero vi piaccia!
Vorrei ringraziare
le persone che hanno recensito il primo capitolo, chi ha messo la
storia tra le seguite/preferite/ricordate,
un ringraziamento speciale anche a Internet che mi ha fornito nome
(Magdalena) e cognome (Nowak) della ragazza, e già che
ci sono ringrazierei il moscerino
che si
è appena appoggiato sullo schermo del computer e che sta per
crepare schiacciato tra le mie mani.
Recensite in
tanti, mi fate felice *^*
Grazie mille again e watanka a
tutti :3