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Autore: TerremotiAmbulantiWeasley    30/04/2014    9 recensioni
"Tu non sai niente. Ti sei mai chiesto che cosa è successo veramente. Ti sei mai chiesto come stavo, cosa stavo passando. Tu non sai cosa significhi essere lasciata da sola, di nuovo. Tu non sai cosa vuol dire illudersi di essere felici, vedere crollare ogni certezza che avevi, far finta di star bene, andare avanti, isolarsi e fingere che non sia successo niente."
"Trovai l'unica cosa capace di salvarmi. Ero incinta."
"Non si dimentica chi ha avuto un posto nel proprio cuore: lo si accantona per far spazio a qualcun altro, ma resta lì a nutrirsi di ricordi, ad attendere che, di tanto in tanto, un pensiero gli sia dedicato, a sperare di non sprofondare nell'oblio per sempre, consapevole di esserci stato."
"Quando le cose vanno male io trovo sempre un modo per farle andare peggio."
"Ho sempre avuto un debole per le cose impossibili."
"Mi hai distrutta. Ora non riesco a sentire nulla."
Una scuola. Dei ragazzi. Le loro storie. Sorrisi, risate, ferite e cicatrici. Vecchi rancori, ribellione, amicizie e feste illegali. Ritorni, sorprese e nuovi inizi.
L'ultima possibilità di realizzare i propri sogni, di affrontare le proprie paure. Di star bene, di costruire una famiglia.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Luke Castellan, Percy Jackson, Quasi tutti, Talia Grace
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Nothing's ever perfect, you know?

New York, USA. 12 Settembre, 7.50 a.m. Casa Grace.
Talia.

Apro gli occhi in una gelata mattina di settembre, riesco a mettere a fuoco con lentezza le lenzuola azzurre del mio letto. Dalla finestra entra uno spiraglio di luce, infastidendomi parecchio. Lancio un'occhiata pigra alla graziosa sveglia a forma di mucca, poggiata sul mio comodino, delizioso regalo di zio Poseidone.
Le lancette segnano un’ora decisamente improponibile per i miei standard da ritardataria cronica, è presto. Mi rigiro su un fianco decisa a riaddormentarmi.
È un attimo, sgrano gli occhi, rimettendomi seduta: oggi dobbiamo partire. Mio padre mi ucciderà, già lo vedo che mi urla di muovermi e se non mi muovo mi farà sbranare dai cani.
Cerco di uscire incolume dal groviglio di lenzuola in cui sono incastrata, col risultato piuttosto scoraggiante di ritrovarmi distesa sul pavimento, dopo aver battuto il mento sul suolo freddo. Impreco mentalmente contro ogni divinità e simili di mia conoscenza, giusto per trattenermi dal rompere qualcosa.
Un'altra illuminazione mi coglie: Jason! Sono scientificamente sicura che quel cretino di mio fratello starà ancora dormendo.
Attraverso con lo stesso passo di un ciclope il pianerottolo, prima di fiondarmi in camera sua senza bussare. Inutile aggiungere che sono inciampata nello skateboard che aveva lasciato davanti l'uscio, e sono caduta rovinosamente a terra.
« Jason Grace! Svegliati, ora! » urlo come una matta, scollandolo così forte da buttarlo quasi giù dal letto.
« Talia se non sparisci immediatamente dalla mia stanza ti appendo sull'Empire State Building, lo giuro. » borbotta lui con un tono in teoria minaccioso. Sì, minaccioso, che paura!
« Jason, ma hai una pallida idea di che giorno sia oggi? » 
Finalmente quel genio di mio fratello è scattato a sedere. Forse ha recepito il messaggio. Credo di sì, visto che sta sbiancando.
« Oddio, la valigia! » esclama poi e mi trattengo dall'imprecare visto che, come dire, neanch'io ho preparato la mia. Il proverbio "non rimandare a domani, quello che puoi fare oggi" non mi si addiceva affatto.
Iniziamo entrambi a correre per casa come dei pazzi, afferrando tutto ciò che riusciamo e cercando di non far esplodere le nostre valigie.
Dopo mezz'ora siamo stranamente pronti - un miracolo! - e appena nostro padre citofona, ci precipitiamo giù per le scale.
Zeus Grace non è esattamente la persona che più adoro sulla faccia della Terra. Io e il mio dolce paparino ci odiamo a vicenda, per motivi a cui al momento non voglio pensare. Sto per commentare con un "Ti dovresti tagliare la barba" quando lui mi lancia un'occhiata fredda e piena di rancore. Lui non ha mai voluto che io nascessi, l'ho sempre saputo. Io sono la delusione del più grande giudice degli Stati Uniti. A furia di sentirmelo dire ci ho creduto.
Saliamo sulla Lamborghini rossa, io dietro e Jason davanti. Durante il viaggio non parliamo molto, a parte qualche botta e risposta tra me e papà - che poi, perché lo continuo a chiamare così non lo so -. Neanche con Jason va d'accordo. Però almeno con lui ci ha provato a stabilire un rapporto una volta, avrebbe voluto che seguisse le sue orme, farlo diventare come lui. Solo perché era l'unico erede maschio, si intende. 
Dopo non so quanto tempo passato in macchina, ci fermiamo e finalmente vedo che siamo arrivati a destinazione: la Pacific Coast Academy è davanti a noi. All'inizio non volevo andarci, neanche se mi avessero trascinata con la forza. Ma poi avevo deciso che, per allontanarmi dai miei vari casini familiari, avrei fatto di tutto. Anche cambiare scuola, di nuovo.
Jason avrebbe iniziato a frequentare il terzo anno, io avrei iniziato il quinto. Mio padre aveva fatto un casino, pur di non avermi tra i piedi. E lo spedirmi a chilometri e chilometri di distanza era risultata la soluzione migliore. Il pensiero che dopo quest'anno avrò finito con la scuola per sempre, è l'unico motivo che mi fa alzare la mattina.
Prendo le mie valigie dal portabagagli e sto per andarmene quando mio padre mi afferra per il polso, facendomi voltare.
« Non fare danni. È l'ultima possibilità, Talia. »
Ritraggo con forza il braccio, liberandomi dalla sua presa e senza nemmeno rispondergli me ne vado, diretta ai dormitori, anche se non ho la più pallida idea di dove siamo. Fa' niente, pur di non passare un'altro secondo con quell'individuo, sono disposta a girarmi tutto il college. L'unico problema è che mi sono persa Jason. Lui ha già passato parecchio tempo qui, mi avrebbe saputo dire dove cavolo devo andare. Ma, ovviamente, si è volatilizzato nell'aria.

***
 
Pacific Coast Academy, California. 7.10 p.m.


Dopo un quarto d'ora e varie figuracce, ho finalmente raggiunto il dormitorio femminile, devo solo trovare la camera 22. A quanto ne so, la dovrò dividere con due o tre altre ragazze. Speriamo bene.
Eccola, camera 22. Sopra c'è scritto "Boureagard, Chase, Grace, La Rue". Poggio la mano sulla maniglia e con decisione entro. Diciamo che per poco non ho sfondato la porta. L'unica cosa che c'è nella stanza è un materasso ambulante, con delle bellissimi scarpe, aggiungerei.
« Carino il materasso. » dico con abbondante sarcasmo.
La ragazza che lo stava portando, lo poggia a terra, e poi sposta lo sguardo su di me. Ha i capelli biondi legati in una coda di cavallo alta e gli occhi grigi.
« Ciao! Tu devi essere Talia, io sono Annabeth. »
Solo per il fatto che non mi ha chiamato "quella nuova" mi sta simpatica. Le sorrido e mi offro volontaria per aiutarla con quel materasso. Mi commuovo davanti a questi gesti d'affetto improvvisi.
« Ti informo che la camera la dividiamo solo io e te. Clarisse ha cambiato scuola e Silena non mi sopporta neanche di striscio, così ha chiesto di essere spostata. »
« Tanto meglio, staremo più larghe. »
« Ti posso fare una domanda? - io annuisco. - Come mai ti sei trasferita qui? »
Domanda scomoda, la ragazza è troppo intelligente.

« Magari un giorno te lo racconto, bionda. Adesso però ho fame, quindi ti chiederei se mi potresti accompagnare in mensa, visto che io non ho la più pallida idea di dove sia? »
 
***

Alla fine Annabeth mi ha portata in mensa, per la mia gioia. Anche se non mi riesco ancora a spiegare una cosa: quando siamo entrate tutti gli sguardi erano puntati su di noi, e ancora non ho capito il perché. La bionda mi ha trascinato fino ad un tavolo vuoto in fondo alla mensa, come se non volesse essere vista. Sono tentata di chiederle il motivo di tutto questo, ma poi mi ricordo che la conosco da un'ora appena.
« Conosci già qualcuno qui? »
« Ci sono mio fratello e mio cugino. »
« E chi sono? »
Mi volto alla ricerca di quei due, e alla fine li trovo. Sono seduti con altri due ragazzi, uno biondo e l'altro bruno. Entrambi stanno ridendo come matti.
« Eccoli, sono a quel tavolo. Si chiamano Jason Grace e Percy Jackson. Percy è del nostro stesso anno. »
Annabeth per poco non sputa l'acqua. La vedo irrigidirsi e sgranare gli occhi. Secondo me, adesso sviene.
« Talia, io torno in camera. » dichiara alzandosi.
Una parte di me vuole andare a salutare Jason e Percy, ma l'altra dice che è meglio andare con Annabeth. C'è qualcosa che non mi torna nel suo comportamento. 
Appena rientriamo in camera la bionda si fionda nel bagno e chiude la porta a chiave. Io intanto mi stendo sul mio letto, decisa ad aspettarla, per poterle estorcere delle informazioni. Ma, come dice Jason, io sono inaffidabile, infatti, a furia di ripetermi non mi addormento, non mi addormento, non mi addormento, mi sono addormentata.



Buonasera a tutti quelli che sono riusciti ad arrivare alla fine di questa cosa ~
È la mia prima storiella su PJ e non mi sembra orrenda come la immaginavo - molto probabilmente sto dicendo una cretinata, come la metà delle cose che dico :') -. 
Fino ad adesso sono sempre stata una fedele seguace del fandom di Harry Potter (l'amore mio *-*) dove sono conosciuta per aver vinto il premio nobel dei ritardi e della pazzia - visto che al momento ho tre long in corso (dettagli :p) -.
Comunque, a questo capitolo ci tenevo particolarmente - infatti è la terza volta che lo modifico completamente - e spero di non aver scritto una schifezza.
Vi chiedo *si inginocchia* di sprecare due minuti del vostro tempo per scrivermi una recensione di undici parole, vi prego Ç_____Ç altrimenti mi scoraggio :'(
Mi volatilizzo *salto su Blackjack e volo via*
   
 
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