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Autore: Lys3    30/04/2014    0 recensioni
Tutti a Capitol City amano gli Hunger Games. Tutti tranne Leo.
Lui è diverso, lo è sempre stato fin da piccolo, ma nessuno comprende le sue ragioni. E in un mondo così grande, così forte, lotterà nel suo piccolo per far valere le sue idee in una società travagliata da questi Giochi mortali.
Martia era una ragazza come tante altre. Questo prima di vincere gli Hunger Games. Ora lotta per non perdersi nei suoi incubi, per mantenere la sua famiglia che sta cadendo verso l'oblio e per dare a sé stessa una speranza di una vita migliore.
Dal testo:
“Siamo diversi. Apparteniamo a due mondi diversi. E questa cosa non cambierà mai. [...] Vuoi un ragazzo che ti salvi dagli Hunger Games, non uno il cui padre ha progettato la tua morte.” [...]
“Ti sbagli. Tu mi salvi dagli Hunger Games. Mi salvi dagli Hunger Games ogni volta che mi guardi, ogni volta che mi stringi la mano, ogni volta che mi sorridi. Ogni singola volta in cui tu sei con me, mi sento libera di nuovo, come se nulla fosse mai accaduto. [...]”
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri tributi, Nuovo personaggio, Strateghi, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 28 – Morte
 
Leo provò ancora una volta a contare i mesi che erano passati dall’ultima volta che aveva parlato con Martia. Erano sette. Non riusciva a credere che fosse tutto vero.
Inizialmente aveva paura di essersi immaginato tutto, ma Verin, in un disperato tentativo di consolarlo, gli aveva detto che era tutto reale e che lei non lo meritava. Ma lui non la pensava allo stesso modo.
Da quando lo aveva chiamato quella sera, non aveva fatto altro che chiedersi dove avesse sbagliato. Eppure gli sembrava che stesse andando tutto a gonfie vele, tranne per il suo comportamento strano. Poi lei lo aveva lasciato, dicendo di non sopportare più quella situazione e dopo non aveva più risposto al telefono.
Inizialmente Leo aveva tentato di essere forte, di sperare che lei cambiasse idea. L’aveva chiamata tutte le sere, ma il telefono squillava sempre a vuoto.
Arrivò così lo sconforto, la disperazione e la depressione.
Leo abbandonò il lavoro, si chiuse in camera sua senza rispondere a nessuno. Le uniche persone con cui parlava erano Verin, che veniva  a fargli visita spesso, e ogni tanto sua madre.
Sua sorella si manteneva del tutto estranea alla faccenda: stava programmando il suo matrimonio e non voleva farsi rovinare nulla da lui. Suo padre non faceva altro che arrabbiarsi e sbraitare e chiedere cosa diavolo gli prendeva.
Adesso che non doveva più fingere, Leo ruppe con Verin e dovette tornare allo studio del dottor Minos per frequenti sedute. Ci andava giusto per far contenta sua madre, ma rimaneva seduto lì senza aprire la bocca.
Sentiva di non aver più voglia di fare niente.
Non riusciva, però, in nessun modo a dare la colpa a Martia. La capiva perfettamente se non voleva più vederlo o sentirlo, ma senza di lei sentiva un vuoto enorme e non vedeva come poteva continuare a vivere in quella città di bigotti.
Era una sera di settembre, una come tante altre. Leo se ne stava in camera sua a guardare gli stupidi programmi televisivi e a chiedersi quando sarebbe arrivato il sonno per porre fine a un’altra giornata schifosa.
Nel sentire squillare il telefono, pensò che doveva essere Verin che lo avvisava di dover prendere parte a qualche festa, e invece dall’altra parte rispose un piccolo sussurro. “Leo? Sei tu?”
“Chi parla?” quella voce maschile era stranamente familiare, ma non riusciva a ricordare a chi appartenesse.
“Sono io, Sam. Devo parlarti.”
Leo per un istante credette di aver capito male. “Cosa c’è? Perché mi chiami?”
“So che ti sembrerà strano, ma devo dirti una cosa su Martia.”
“Puoi parlare un po’ più forte?”
“No!” disse lui in fretta. “Ho poco tempo. Si è addormentata sul divano e se scopre che ti ho chiamato mi ammazzerà.” Leo non aggiunse altro e il ragazzo continuò. “Martia non è stata sincera quando ti ha chiamato mesi fa. Ha deciso di non rivolgerti più la parola perché è stato tuo padre e il presidente a minacciarla di morte se ti avesse ancora sentito. Vi avevano scoperti.”
“Che cosa?!” Leo non poteva crederci. L’uomo in casa sua si comportava come se non sapesse niente e invece sapeva tutto.
“E’ la verità. Lo ha fatto per proteggere noi e sé stessa anche se è stato difficile per lei dirti addio.”
Improvvisamente gli venne voglia di piangere. Suo padre, come sempre, era il colpevole di tutto. Non aveva fatto altro che rovinargli la vita e aiutare il presidente a fare il lavaggio del cervello a tutti, sua madre e sua sorella comprese. “Perché me lo stai dicendo? So che non mi odi ma non vedo il motivo per cui avresti dovuto dirmelo e rischiare tanto” domandò Leo, cercando di trattenersi dall’urlare di rabbia, piangere o qualsiasi altro strano comportamento.
Dall’altro capo del telefono ci fu qualche istante di silenzio, poi Sam disse: “So che lei tiene molto a te… E… E’ incinta. Tra nemmeno un mese dovrebbe partorire e be’… Se io stessi per diventare padre vorrei saperlo.”
Leo rimase immobile. “Come scusa?”
“Devo andare, scusa” e subito chiuse la chiamata.
La cornetta tremava visibilmente nelle sue mani, attraversate da un grande brivido. Era troppo da reggere per una sola sera.
Aveva voglia di raggiungere suo padre, picchiarlo selvaggiamente e poi andare via di casa. Ma a che scopo? Non avrebbe risolto niente. Così compose il numero e chiamò Verin: “Ho bisogno di parlarti.”
 
Quando Sam sentì bussare alla porta, non si sarebbe mai aspettato di trovarsi davanti Leo. “Cosa diavolo ci fai qui?” chiese sbalordito.
“Posso entrare? Non è il caso che io rimanga qui fuori col rischio che mi vedano” disse lui.
Sam annuì e lo fece entrare.
La casa era in uno strano silenzio. Sembrava totalmente vuota, come abbandonata. Leo cercò di vedere i bambini mentre correvano come al solito per vedere chi fosse l’ospite. Ma nessuno comparì dalla cima delle scale o da una delle porte che affacciavano sull’ingresso.
“Perché sei qui? Sai che è pericoloso” sibilò Sam.
Leo gli passò un foglio dove era riportata la notizia del suo suicidio: con l’aiuto di Verin, di un veleno e delle tecniche avanzate di Capitol City, erano riusciti a simulare il tutto e, grazie ai soldi, aveva comprato un passaggio per il Distretto e la discrezione del macchinista. Anche se un po’ perplesso, Sam gli disse di seguirlo. “Martia è di qua.”
La ragazza se ne stava seduta sul divano, le mani appoggiate sul ventre e lo sguardo perso nel vuoto. Non si accorse che erano entrati fin quando Sam non la chiamò. Lei si voltò con aria assente e li osservò per un bel po’ prima di rendersi conto della situazione.
Non era rimasto nulla della ragazza forte che era uscita dall’arena. Sembrava solo un corpo vuoto e inabitato. Perfino quando andò da Leo e lo abbracciò, in lacrime, sembrava tutto essere studiato meticolosamente e per niente spontaneo.
Ma con il passare dei giorni, con Leo che si prendeva pazientemente cura di lei e che non la lasciava mai sola, impegnandosi per farla sorridere e divertire, sembrò riprendersi e tornare la ragazza di prima.
Il parto, però, arrivò con qualche settimana di anticipo. Nessuno se lo aspettava e la corsa per andare a chiamare l’unica persona abbastanza vicina nel Distretto che ne capisse di questo genere di cose fu repentina.
Le urla strazianti di Martia erano udibili per tutta la casa. I più piccoli furono mandati dai vicini e, accanto a lei, rimasero solo Leo e Sam per supportarla.
Il travaglio durò molto, ma alla fine la donna che assisteva Martia fu felice di annunciare che era nato un maschio.
“Hai sentito? E’ un maschio! Non abbiamo ancora pensato a nessun nome, tu hai qualche idea?” disse Leo tutto eccitato alla ragazza che cercava di riprendere fiato.
Sam, invece, si fiondò accanto al bambino, per vedere come gli prestavano le prime cure.
“Non… Non lo so… Io… Non sto bene… Mi sento… Male…” Martia faticava a tenere gli occhi aperti.
Leo, allarmato, chiamò subito aiuto. “Qualcosa non va!”
La donna, fortunatamente, riuscì a giostrarsi e a prendersi cura sia del bambino, che ora piangeva tra le braccia di Sam, e di Martia che aveva perso i sensi.
“Cos’ha?! Cosa le succede?!” gridava furioso Leo.
La donna era terrorizzata. “Credo ci sia un’emorragia, credo… Io non so cosa fare… Non sono attrezzata e non ho mai fatto nulla del genere.”
Leo la guardò senza dire una parola. Fu Sam che ebbe il coraggio di parlare: “Mi sta dicendo che devo starmene qui a guardare mia sorella morire?”
“Mi dispiace…” mormorò la donna.
“No!” strillò Leo alzandosi in fretta. “Non morirà, non può morire!” Corse in cucina e fece l’unica cosa che gli venne in mente: chiamare suo padre.
Non gli diede il tempo di parlare che gli raccontò tutto per filo e per segno, dal suo finto suicidio al bambino. “Papà, devi aiutarmi, ti prego! Altrimenti Martia morirà! Fallo per me, per tuo figlio! O almeno fallo per tuo nipote!”
Il padre stette qualche secondo in silenzio, poi disse: “Per me lei e tutta la plebe possono morire. Servono solo al sostentamento di Capitol City. E tu non sei mio figlio, non dopo quello che hai fatto.”
Chiuse il telefono e Leo rimase inchiodato al suo posto, senza poter fare altro che rassegnarsi all’evidenza: Martia non aveva possibilità di sopravvivere.
 
Era passata una settimana dalla nascita del bambino e la casa era nel più totale caos: vi erano scatoloni pieni di vestiti e oggetti e gente che camminava ovunque.
Avrebbe dovuto essere una piccola cerimonia in onore di Martia, non come un funerale, ma solo un piccolo ritrovo per chi le voleva bene, e invece sembrava una festa dai toni morti e in uno scantinato.
Liz se ne andava girando cercando di tranquillizzare il neonato ancora senza nome; Monika e Erik se ne stavano seduti in un angolo e gli era stato detto di rimanere fermi e immobili; Sam e Leo ricevevano le visite nell’ingresso, mentre Issa, accanto a loro, piangeva e non faceva altro che chiedersi come poteva essere possibile.
“Sopravvivere agli Hunger Games per poi morire così? E’ assurdo!” e poi “Non trasferitevi dall’altro lato del Distretto… Siete l’unica cosa che mi ricorda lei…”
“Dobbiamo” si limitò a dire Sam. “Capitol City rivuole la sua casa ora che non c’è una vincitrice tra di noi. E lì le case sono più economiche… Perciò…”
Leo non faceva altro che guardare la gente attorno che li commiserava e che cercava di esprimere in qualche il modo il lutto, ma era impossibile. L’unica che se ne andava tranquillamente girando per casa era Mags.
La vide scendere dal piano superiore e le disse: “Non puoi salire sopra, che ci sei andata a fare?”
Mags alzò le spalle. “Un giro” si diresse poi alla porta, ma prima di uscire tornò da Leo: “Io so come stanno veramente le cose, capitolino.” Lasciò la casa ridendo e non facendo altro che voltarsi in continuazione a salutare come se stessero partendo per una gita.
Leo pensò che c’erano solo due possibilità: quella ragazza o era pazza o era un genio.





Buonasera a tutti. Eccoci, finalmente all'ultimo capitolo. Premessa: era molto più lungo ma ho dovuto ristringere i tempi perché, scrivendo due capitoli, sarebbero venuti troppo corti, ma facendone uno solo era troppo lungo e noioso a mio parere. Nella versione "originale" c'era descritto il finto suicidio di Leo, la situazione tra Leo e Martia al loro incontro e anche un dialogo un po' più lungo tra Mags e Leo. Comunque... Appena avrò tempo aggiungerò un piccolo epilogo ambientato molti anni dopo per concludere la storia.
Cosa ve ne pare? Delusi? Contenti? Non so, ditemi voi! Acceto benissimo le critiche :)  a presto ^^
Ps. non sono un'assassina!

 
  
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