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Autore: phantom of music    01/05/2014    0 recensioni
Cecilia è una studentessa di psicologia, che lavora quasi tutte le sera in un bar, il "Jazz Cafè", situato nella periferia di Milano. Lei è una ragazza che ha deciso di guidare la sua vita tramite la ragione, i sentimenti non fanno per lei, sostiene. Ma non aveva fatto i conti con un sassofonista, capace di entrarti nell'anima solo attraverso il suono del suo strumento. Lei ai suoi occhi sostiene di essere solo fumo. Riuscirà a lasciarsi andare ai sentimenti a distanza di due anni dal loro primo incontro e a dar voce a quello che prova?
Genere: Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Jazz Cafè
 

Cecilia serviva ai tavoli come ogni sera, in quel piccolo bar di periferia sconosciuto ai molti eppure che lei amava con tutta se stessa.

Non so se avete presente quei piccoli café imbucati in quelle viette sperdute agli angoli della città, quelli che visti da fuori sembrerebbero solo un covo di malintenzionati e trafficanti, che si trovano sotto un sexy shop e che per arrivarci bisognava scendere lungo una vecchia scala, costantemente sporca, senza illuminazione per arrivare davanti a una porta di legno anch’essa logora e un po’ ammuffita eppure resistente.

Si, insomma ... uno di quei posti dai quali vi terreste alla larga e su cui non scommettereste un soldo.

Ma una volta entrati ti sembrava di essere in uno di quei vecchi Bar di New Orleans, dove il jazz era di casa.

Perché era quello che tutte le notti si sentiva in quel locale dimenticato da Dio: semplicemente Jazz.

In quel posto non importava chi fossi, cosa facevi nella vita o quante erano le tue amanti. No, in quel locale era la musica a dettare legge, era lei che regnava sopra ogni cosa. Nessuno si metteva a giudicare il compagno occasionale di bevute, nessuno ti giudicava per il completo che indossavi oppure se i tuoi calzini erano per qualche assurdo motivo bucati.

In quel locale le parole non servivano, perché solo la musica poteva esprimere cosa sentivi dentro.

Quel bar era diverso dagli altri ... in mezzo a quei pochi tavoli centrali c’era un palco con degli strumenti posti su delle sedie: un pianoforte datato a mezza coda ( recuperato dalla soffitta del vecchio proprietario che voleva sbarazzarsene perché mancavano alcuni tasti e non voleva farlo riparare), due vecchie trombe lasciate da uno studente che poi era riuscito a sfondare nel mondo della musica qualche decennio prima, un contrabbasso e un sax un po’ ammaccato ma che comunque suonava divinamente.

Gli strumenti erano a disposizione di chiunque, così non appena qualcuno sentiva il bisogno di esprimere di qualcosa, se ne prendeva uno e lo si cominciava a suonare. Alle volte il Bar era immerso nel silenzio più assoluto, altre invece ecco che le note impregnavano le pareti e i cuori della gente. Ci furono molti concerti improvvisati, nuovi talenti che venivano scoperti, altri invece che non lo erano affatto. Alle volte gli studenti della scuola di musica della città venivano lì a provare ed erano sempre ben accetti e ben accolti. La musica riuniva molte realtà diverse e se qualcuno voleva staccare un po’ dal grigio mondo il Jazz Cafè era il posto adatto.

Ecco, quello era il posto dove Cecilia trascorreva la maggior parte del tempo quando non era alla facoltà di psicologia per le lezioni o in biblioteca a preparare un esame. Studiava canto jazz privatamente e i suoi genitori non sapevano di quel lavoro, né di quel corso che stava seguendo ... non avrebbero mai approvato e lei non voleva vedersi togliere quella valvola di sfogo che era riuscita a trovare dopo tanto tempo.

Intendiamoci, non è che non adorasse la facoltà che aveva scelto ( Anzi! Era la migliore del suo corso), ma sentiva molte volte il bisogno di staccare e il canto era stato una piacevole passione che aveva scoperto fa poco.

Però non aveva il coraggio di mostrarsi in pubblico, per questo preferiva starsene nelle “retrovie” come era solita dire lei.

A modo suoi era dentro la musica e a lei stava bene così.

Quella sera, una classica e fredda sera di Novembre, non molti aveva avuto l’ardire di uscire di casa ... il bar era più vuoto del solito, se non si contavano quella decina di clienti che ormai erano di casa. Si prospettava una serata tranquilla e noiosa, se non fosse per il fatto che non appena l’orologio scoccò le dieci in punto ecco che uno sconosciuto entrò nel locale.

Era completamente zuppo, l’impermeabile grondava di acqua sgocciolando sul pavimento. Cecilia , non sapeva perché, ma aveva la sensazione di conoscere quello strano tipo che aveva avuto l’ardire - o l’imprudenza?- di uscire quando per le strade c’era il diluvio universale. Il passo cadenzato, la postura, il modo solo di camminare gli ricordava una persona in particolare, una persona che non era riuscita a levarsi dalla testa tanto facilmente.

Cecilia è una ragazza testarda, a tratti timida a tratti esuberante. Una ragazza che quando voleva sapeva tirare fuori gli attributi da quel corpo minuscolo e poco proporzionato che si ritrovava. Una ragazza difficile da capire, ma che sapeva donare tutto. Una ragazza che aveva deciso di vivere la vita all’insegna della ragione, perché, sosteneva, i sentimenti non facevano per lei.

Ma non aveva fatto i conti con lui; lo sconosciuto appena entrato.

Alto, mani grandi e una strana espressione in volto: non sapevi se ti stava prendendo o meno per i fondelli. A tratti distaccato, simpatico e accogliente solo con chi voleva lui.

Ma gentile, questo lo era sempre.

Con tutti.

Nessuno escluso.

Gli occhi color cioccolato vagavano per la stanza soffermandosi a lungo su quel vecchio sax che solo pochi eletti erano riusciti e non appena Cecilia seguì il suo sguardo con i suoi occhi grigio fumo capì che era lui.

E il suo cuore prese ad accelerare, senza un motivo logico.

Gianluca Monteverdi, ventiduenne e al quarto anno di Fisica presso l’università di Milano. Un ragazzo particolare, a volte difficile da capire e da interpretare. Cecilia lo aveva conosciuto due anni prima, durante il concerto di fine anno del liceo che avevano frequentato entrambi. Lui e il suo gruppo avevano animato la maggior parte di quella serata dedicata a quei poveri sfortunati che pochi giorni dopo avrebbero affrontato gli esami, chiudendo definitivamente il capito “liceale” della loro vita, per entrare in un mondo a loro sconosciuto, un mondo che avrebbe fatto loro un nome ... un giorno.

Lui suonava il sax, e quella sera rapì il cuore di quella studentessa apatica a insolita.

Cecilia scostò un movimento secco una ciocca di capelli ramati da davanti il volto, ricominciando a pulire con forza il tavolo e cercando così di scacciare via quei ricordi che erano tornati inevitabilmente a galla. Aveva cercato di conoscerlo, ma a quanto pare non aveva superato l’esame che l’avrebbe portata all’interno delle sue conoscenze. Simpatico e disponibile certo, quando magari gli chiedeva qualcosa oppure quando alla sua amica di Biotecnologia gli servivano delle ripetizioni in matematica perché il professore passava le sue giornata a guardare il vuoto davanti a sé e non spiegava.

Ma per lui, lei era solamente fumo, nebbia ai suoi occhi.

E Cecilia si era rassegnata, come sempre.

Decise di ignorarlo, lui sapeva a malapena chi era e lei non aveva intenzione di lasciarsi andare un’altra volta.

I passi di Gianluca si sentivano per tutto il locale, continuava a gocciolare sul pavimento, incurante di essere bagnato da capo a piedi.

Toccò con venerazione quel sassofono che pochi avevano avuto il coraggio di suonare, lo toccò come se avesse tra le mani la cosa più preziosa del mondo e scomparisse da un momento all’altro.

I presenti si girarono, osservarono quello che stava accadendo con occhi pieni di curiosità, come dei bambini che a cui si mostra loro un oggetto che mai prima d’ora avevano visto.

Il tempo sembrava essersi fermato, anche Marco, il barista, si fermò a guardare quello che stava per accadere; solamente Cecilia continuò imperterrita nel suo lavoro ... aveva gli occhi chiusi, ma le orecchie erano ben aperte.

E poi accadde quello che tutti in cuor loro speravano di sentire.

Una melodia triste, un suono dolce e allo stesso malinconico usciva da quel vecchio strumento fermo da tempo ... quel vecchio strumento che sembrava adattarsi perfettamente alle mani di quel ragazzo, che seppe benissimo far uscire quel suono da tempo perduto, quelle note angeliche che gli fecero acquistare il rispetto che non gli era stato concesso.

La musica fluiva da quel ragazzo, sconosciuto ai molti, conosciuto a una.

Tutti erano rapiti da quella musica, quella musica che proveniva da cuore ... che sapeva di dolore, ma anche di speranza, di un passato tormentato e di un futuro ancora incerto. Molti si rispecchiarono in quelle note che sembravano raccontare la loro vita, le loro ingiustizie.

Calde lacrime caddero dai presenti, sentendosi chiamati in causa da quella melodia che non era loro eppure che sembrava essere scritta per loro.

Una lacrima solitaria percorse la nivea guancia di Cecilia, mentre quelle note iniziavano ad entrarle in corpo ... non riuscì a fermarla. Perché non poteva, o semplicemente, non voleva.

La rossa si maledisse di nuovo a distanza di due anni, mentre quella goccia salata si infranse sul tavolo appena lucidato.

Ci era cascata.

Di nuovo.
  
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